Laura Vicuña
e Domenico Savio
Una proposta per gli adolescenti del terzo millennio
Il sussidio è l’ampliamento del fascicolo “Note’s graffiti” tratto dalla rivista “Note di pastorale giovanile” del gennaio 2004, ed è a cura di Manuela Robazza e di Giancarlo De Nicolò.
Parte del materiale è tratto dalla rivista “Primavera” e da pubblicazioni Elledici.
DUE NOTE PER L’ANIMATORE
Un sussidio sulla santità? Ma siamo matti?
Con riferimento a Domenico Savio e Laura Vicuña? Ma non ce ne sono di più vicini?
(E per gli animatori non di ambiente salesiano) Laura Vicuña: chi era costei?
Sì, proprio sulla santità; sì, proprio su Domenico e Laura; sì, proprio una proposta per gli adolescenti del Terzo Millennio.
Beh, l’invito viene non da sprovveduti.
L’invito alla santità viene da Gesù... e giù giù fino al papa attuale, quando nella ormai arcinota “Novo Millennio Ineunte” “osa” parlare di santità, osa chiederla (nel nome di Gesù) a tutti, anche agli adolescenti e ai ragazzi, osa riproporla come “misura alta della vita cristiana ordinaria”, osa parlare di pedagogia della santità (e qui sono tirati in ballo anche gli adulti, gli educatori, i “grandi”).
L’invito viene (anche) da uno che di giovani se ne intende (e gli vuole bene), il successore dell’”Amico dei giovani” don Bosco (per il 2004 ha chiesto a tutti gli educatori, salesiani, suore, laici, famiglia salesiana di tutto il mondo di seguire l’invito del Papa, anche per l’occasione del cinquantesimo di Domenico Savio, santo).
E da una che di giovani (ragazze) se ne intende (e gli vuole bene), la “Madre Generale” delle Suore Salesiane, in occasione del centenario della nascita di Laura Vicuña, beata.
Santità, ragazzi e giovani oggi, Domenico e Laura... Il triangolo è affascinante.
Santità, sì, la santità ci interessa, come educatori.
Sì, i ragazzi e le ragazze di oggi, quelle degli sms e chat e soap opera e veline e calciatori... che vogliono apparire ed essere, vogliono relazioni, vogliono vivere, vogliono essere felici e magari anche ci riescono (e qualche volta no).
Sì, Domenico e Laura, anche se di 100 o 150 anni fa...
Non perché erano come i ragazzi di oggi (anche se erano comunque come tutti i ragazzi e le ragazze del loro tempo, né più né meno), ma perché hanno vissuto una vita ordinaria e qui dentro hanno cercato (e trovato) una misura alta.
Sì, questo ci interessa.
Perché la loro santità ha le radici nell’ordinario, e i frutti sono straordinari.
Perché hanno trovato il filo che li ha guidati verso una grossa santità, da piccoli che erano.
Perché l’hanno trovata nelle loro azioni quotidiane, vissute in un certo modo; nella famiglia e nelle relazioni ordinarie, vissute in un certo modo; nell’incontro con adulti... ma adulti davvero in gamba; nell’incontro con Gesù, senza colli torti.
Perché la santità li ha resi allegri e simpatici, e non musoni antipatici.
Perché non hanno dovuto aspettare di essere prete o suora... ma ce l’hanno fatta, benissimo, da ragazzi.
Ecco, questo ci interessa.
Questi ragazzi non hanno dovuto morire martiri per essere santi, né hanno dovuto rinunciare a essere se stessi o ai loro sogni o alla loro gioia innata per essere santi (anche da altare).
Questo sì che ci interessa, allora.
E probabilmente interesserà (piacerà) anche ai nostri ragazzi e ragazze.
Vogliamo scommettere?
Detto con parole più autorevoli...
In questo sussidio, come vedrai soprattutto nella parte intitolata “Quasi lettera ai ragazzi (o agli animatori)”, vengono citati varie volte il Rettor Maggiore dei Salesiani (“l’amico don Pascual”) e la Madre Generale delle Suore Salesiane (Madre Antonia).
Essi si rivolgono ai loro salesiani e alle suore per dire che è possibile proporre ai giovani e alle ragazze il cammino della santità, e che anche oggi possono fiorire autentici santi come furono Domenico Savio e Laura Vicuña... e tanti tanti altri (degli ambienti salesiani) che hanno preso sul serio il Vangelo e il loro cammino di crescita umana e cristiana.
Ma non è un invito rivolto solo a chi vive gli ambienti salesiani. È un invito a tutti i giovani, a tutte le ragazze, che amano la loro vita, sono felici di essere giovani e di avere amicizie, sanno entrare in relazione con degli adulti, sentono nel loro cuore l’impegno di crescere bene e di diventare evangelizzatori degli altri giovani.
È una proposta che viene dal Santo dei giovani, e che è indirizzata a tutti i giovani.
Essi hanno scritto questo invito e le loro riflessioni in una lettera e in una circolare, in occasione del cinquantesimo anniversario della canonizzazione di Domenico Savio e del centenario della morte di Laura Vicuña. Ne riprendiamo alcuni passaggi tra i più significativi.
Ma soprattutto essi si rivolgono agli educatori perché tornino ad avere il coraggio della proposta, e della proposta “alta”, perché abbiano fiducia nel loro lavoro come educatori e nei giovani.
Prima di avventurarsi nel sussidio che segue, sarà bene che gli educatori (gli animatori) riflettano sul loro invito, si sentano incoraggiati e sollecitati, si rimbocchino le maniche, rimettano al posto giusto le priorità...
“Si tratta di rinnovare la convinzione nostra, come educatori, che “tutto il processo educativo è orientato al fine religioso della salvezza, il che comporta l’impegno assai profondo di aiutare gli educandi ad aprirsi ai valori assoluti e ad interpretare la vita e la storia secondo le profondità e le ricchezze del Mistero” (cf JP 15)...
Ecco le parole di Giovanni Paolo II, nella lettera scritta in occasione del centenario della morte di Don Bosco: ‘Nella Chiesa e nel mondo la visione educativa integrale, che vediamo incarnata in San Giovanni Bosco, è una pedagogia realista della santità. Urge ricuperare il vero concetto di “santità”, come componente della vita di ogni credente. L’originalità e l’audacia della proposta di una “santità giovanile” è intrinseca all’arte educativa di questo grande Santo, che può essere giustamente definito “maestro di spiritualità giovanile”. Il suo segreto fu quello di non deludere le aspirazioni profonde dei giovani (bisogno di vita, di amore, di espansione, di gioia, di libertà, di futuro), e insieme portarli gradualmente e realisticamente a sperimentare che solo nella “vita di grazia”, cioè nell’amicizia con Cristo, si attuano in pieno gli ideali più autentici’ (JP 16).
È la sfida di poter attuare un interscambio tra “educazione” e “santità”. Se questa è la vetta da raggiungere, quella è l’indispensabile mediazione metodologica. Se la “santità” sta ad indicare la pienezza di vita cui tutti quanti aneliamo, l’ “educazione” sta a segnalare il metodo per formare personalità robuste, mature. Se la santità è dono di Dio e viene solo da Lui, l’educazione è lo strumento umano privilegiato per lo sviluppo delle potenzialità che Dio pone nel cuore di ogni uomo e di ogni donna...
È vero – come accennavo – che la santità è opera dello Spirito Santo, l’unico capace di trasformare dal di dentro le persone e farne dei capolavori, ma è anche vero che la grazia ha bisogno di nature ben disposte e soprattutto dell’arte della pedagogia, che fa maturare le persone aiutandole a sviluppare le loro migliori potenzialità ed energie” (D. Pascual Chavez).
“... Impostare un lavoro apostolico che punti sull’accompagnamento educativo e porti le/i giovani a riscoprire la santità come pienezza di vita e di dono...
I giovani non si spaventano della croce, ma diffidano in presenza di una debole testimonianza della comunità educante. Sono disorientati di fronte a persone adulte scoraggiate e prive di speranza. Se invece abbiamo fiducia in loro e li accompagniamo nel graduale cammino di crescita, proponendo Gesù e il suo messaggio come risposta alle attese profonde del cuore umano, li troveremo disponibili a raccogliere il testimone di Domenico Savio e di Laura Vicuña...
... Se le nostre comunità educanti con la loro testimonianza sapranno scrivere una lettera viva nel cuore dei giovani (cf Omelia di Giovanni Paolo II per la beatificazione di Laura), se sapranno orientarli a scoprire che la vita è dono da mettere a disposizione per un servizio alla vita degli altri. Siamo creati per amare e servire e non c’è niente che rende così tristi quanto il sapere che la propria esistenza non serve a niente e a nessuno” (madre Antonia Colombo)
Qualche parola sul sussidio
Il sussidio si articola in sei unità: i temi in cui si “scansiona” la santità... sono esattamente la vita quotidiana.
Ogni unità a sua volta si articola nelle parti seguenti:
- quasi lettera ai ragazzi (o agli animatori): alcune annotazioni teologiche e pedagogiche sul tema dell’unità;
- interviste parallele (sono “ispirate” a fatti della vita di Domenico e Laura).
Ovviamente non bastano per conoscerli. Per “saperne di più” abbiamo ripreso alcuni degli episodi più significativi della loro vita (notizie più abbondanti per Laura Vicuña, che è probabilmente un po’ meno conosciuta rispetto a Domenico Savio), come indica la parte che segue:
- per saperne di più. La storia di Laura; la storia di Domenico.
Il racconto segue piuttosto la linea biografica, piuttosto che quella episodica in riferimento all’unità stessa. L’animatore può anche iniziare l’incontro con i ragazzi dal racconto o lettura di qualche episodio, e magari costruire qualche scena con gli stessi ragazzi e ragazze;
- materiali (sono i “mattoni” dell’incontro, con cui si discute, chiarisce, propone, condivide, scambiano esperienze...). Una traccia per l’animatore su come utilizzare questi materiali è offerta dalla
- scheda di lavoro, cui seguono le
- attività (nuove proposte, giochi, esercitazioni,... impegni). Termina il
- grazie, Signore: l’incontro di preghiera, per ringraziare, lodare, chiedere perdono... e la forza di impegnarsi. Non dimentichiamo che nei processi in cui si vive una “misura alta” del quotidiano c’entra (essenzialmente) lo Spirito di Gesù.
QUASI LETTERA AI RAGAZZI (O AGLI ANIMATORI)
Mezze misure e misure alte
Ciao.
So che le lettere sono ormai andate in disuso. E chi le scrive più? Magari qualche sms o (per chi gli piace davvero scrivere e ricevere posta... “c’è posta per te”, ti ricordi?) qualche veloce e-mail.
Beh, almeno non dovrai rispondermi... ma forse la leggerai con i tuoi amici e con il tuo animatore o animatrice, e questo già mi basta.
Qui si parla di misure alte. E lo si ripete in ogni unità di lavoro sulle cose della tua vita!
Misura alta. Non ti viene già in mente l’altezza di una persona: qualche cm in più conta, eccome se conta. Se fai sport, qualche cm in più nel salto, o qualche secondo in meno nella corsa!
Misura alta o più piena anche di altre cose desiderate nella vita: più gioia, più serenità, più felicità, più amicizia... per dire un maggior livello. Che te ne faresti di gioia così così, di amicizia a livello poco meno che meschino, del minimo?
Misura alta vuol dire che dentro hai voglia di qualcosa che la pigrizia non riesce sempre a bloccare; vuol dire che dentro di te hai desiderio e forza e fiducia e speranza.
Vuol dire che – se ascolti davvero la tua voce interiore – le mezze misure non ti bastano, non riescono neanche a soddisfarti un pochino; che il sei meno meno (una volta a scuola si usava così) ti salva per il rotto della cuffia, ma non ti farà mai stare bene.
Tu sei fatto per grandi imprese, per le montagne, per il rischio, per... di più.
Non ci credi troppo?
Ci crede il papa, quando guarda i giovani e si commuove pensando alle forze straordinarie che hanno dentro, e glielo dice apertamente e non con nostalgia ma con gioia.
Te lo dice un amico dei giovani che si chiama don Bosco, quando propone ai suoi ragazzi dell’oratorio un cammino di crescita impegnativo.
Te lo riafferma il don Bosco di oggi, don Pascual Chavez, quando, parlando ai giovani, dice che l’Everest è la meta da sognare e da scalare, non la collinetta fuori città.
Ecco le sue parole:
“Non è indifferente il fatto che sovente il cammino della vita spirituale sia presentato come una salita alla montagna, per indicare il grande sforzo di mirare in alto, di dare il meglio di sé, e di raggiungere punti che superano la mediocrità della vita. Don Bosco presentava il suo itinerario interiore ai ragazzi come un invito a guardare in alto e operare con coraggio, e insegnava loro a rischiare per questi grandi ideali. Sotto questo profilo, la forza educativa della montagna è unica. E sono molto contento di trovare che ancora qua e là nei programmi di scuole, parrocchie, oratori e centri giovanili non manchi la gita in montagna, la conquista di una cima.
Il cinquantesimo anniversario della canonizzazione di Domenico Savio, il primo adolescente santo non per la via del martirio, ricorre appunto un anno dopo il giubileo dell’ascensione al Monte Everest. Ecco, vorrei servirmi di questa strana coincidenza per rivolgere un invito a rilanciare la proposta della santità giovanile, ad additare ai giovani vette alte da raggiungere.
Si tratta di credere ai ragazzi che, sin dall’adolescenza, sono capaci di fare scelte coraggiose di vita, come quella di Domenico Savio, di Laura Vicuña e di una schiera di giovani che hanno camminato dietro le loro orme cercando, come gli scalatori dell’Everest, nuovi percorsi. Significa riconoscere che i giovani hanno delle energie di bene da sviluppare, energie che trovano il maggiore dinamismo nella scelta di Gesù e del suo Vangelo, della sua amicizia e della volontà di battersi per questi valori. Per dirla con Don Bosco, invitarli a donarsi totalmente a Dio...
I grandi ideali non sono da proporsi ai pochi, al gruppo selezionato degli “eletti”, ma a tutti, perché per tutti c’è una vocazione e una missione, un “sogno” da realizzare, una causa da portare avanti, un meta da raggiungere. Dobbiamo andare oltre l’ideale fasullo di una felicità legata solo all’effimero, tipico di una società consumista ed edonista. Dobbiamo aiutare i giovani a capire che servire Dio non significa essere infelici, anzi, che nessuno come Dio ci rende felici, perché si trasforma in una forza trainante che trasfigura il quotidiano e fa gustare l’adempimento dei doveri”.
Sì, la santità è l’Everest. Le mezze calzette non amano le misure alte. E tu non sei una mezza calzetta.
Ma... devi proprio andare a scalare l’Everest, fare imprese eccezionali chissà dove e chissà come e chissà quando?
Qui di seguito troverai che... l’Everest lo puoi scalare tutti i giorni, che l’impresa eccezionale la puoi fare non inventandoti o sognando avventure, ma imparando a fare le cose ordinarie in maniera straordinaria. Una misura alta, appunto.
1. Santità: misura alta della vita
QUASI LETTERA AI RAGAZZI (O AGLI ANIMATORI)
Vivi la vita!!!
Per definizione sei pieno di vita. La senti dentro, ti pulsa nelle vene, scorre col sangue, la vedi crescere con i cm della tua altezza, i bicipiti più duri o le curve più accentuate. La senti nelle braccia e nelle gambe (come puoi stare fermo?), la senti nel cuore, la senti nel cervello.
Certo, la vita è quella che senti dentro di te... ma la vita non è solo la tua biologia.
La vita è quello che sei, è quello che hai, è quello che sei stato e quello che sei diventato, è quello che sogni di diventare.
La vita sei tu, è il tuo corpo e il fremito di gioia quando stai con persone a cui vuoi bene; la vita sono gli altri, i tuoi genitori e la sorellina rompiscatole.
La vita è l’allegria e il dispiacere, le risate e le lacrime, è quando giochi e quando riposi, è la carezza che ricevi e l’abbraccio che dai.
La vita è Dio. Dio è vita.
La via è tutto, insomma.
Ti sembra un po’ strano quello che dico? Eppure è così.
La vita sei tu mentre la vivi e la assapori, ed è tutto quello che vivi e incontri e assapori.
È il mondo e l’universo, e la città, il quartiere dove abiti.
Ma allora, cosa vuol dire vivere una misura alta della vita?
Vuol dire vivere quello che ti cresce dentro, quello che sei; vuol dire rendertene conto ed esserne contento, accettarlo, amarlo. Perché ci sono ragazzi e ragazze a cui non piace per niente quello che sono: “Ah se fossi bella come... ah se fossi forte come...”. “Vivi davvero”, come dice la canzone di Giorgia. Non lasciarti vivere. La vita è un’avventura, la tua avventura. Fai la pace con essa.
Poi vuol dire accorgerti che la vita vive anche al di fuori di te, e accogliere, accettare, capire, rispettare, amare anche quella. Le cose e le persone con cui entri in contatto ci sono, esistono, sono là, sono là con te, per te, a volte anche contro di te. Non le puoi cancellare o rendere presenti con il pensiero o il desiderio, e resistono alla tua volontà. La vita è più della tua vita, è anche quella degli altri, delle cose.
Ma ci sono altri passi da “misura alta”: non soltanto rendersene conto, accettare, vivere, amare.
Ogni cosa ha un perché, una ragione, un senso. Le cose, le persone non sono lì (solo) per te, al servizio di te e della tua crescita, anche se certamente sono occasione per essa e occasione per la tua gioia. Esse hanno un nome e un senso. Così la tua vita ha una direzione di marcia: puoi andare verso l’Everest o sguazzare nelle pozzanghere. E sai quale è il senso della vita? Non è l’aumento della vita (del piacere, della gioia...) per te, ma è il dono: la vita, la gioia, la felicità per gli altri. Il nome e il senso delle cose è il dono.
È che qualcuno in più possa sorridere felice, qualcuno in più ami e si senta amato, qualcuno in più goda dei beni della vita.
È a questo punto che la vita sconfina nel Dio della vita, della gioia e dell’amore.
“Io sono la vita”, diceva Gesù. E la “vita” (questa vita, questo dono di Dio, questo Dio che si dona) è la luce degli uomini (come diceva S. Giovanni), cioè il loro sorriso, il loro respiro, la loro gioia.
Come vedi, è una misura alta della vita, quella di viverla come un’avventura in cui scopri che Dio te la regala perché ti vuole bene e perché vuole che essa diventi il tuo dono agli altri.
Vivere la vita così fa capire perché Laura ha detto una cosa banalissima e profondissima: “Per me è la medesima cosa pregare o lavorare, giocare, dormire”. Commenta Madre Antonia Colombo per le ragazze e le suore salesiane: “In quelle comunità ogni cosa era semplice, autentica. Per questo Laura trovava naturale passare dalla preghiera all’adempimento dei suoi doveri di studio e di lavoro, alla ricreazione, al riposo. Tutto dipendeva da un unico amore, esprimeva la presenza di Dio nella vita quotidiana. Laura ce ne dà conferma con queste parole: Mi pare che Dio stesso mantenga vivo in me il ricordo della sua divina presenza. Dovunque mi trovo, sia in classe, sia nel cortile, questo ricordo mi accompagna, mi aiuta e mi conforta”.
Santità per un ragazzo è misura alta della vita vissuta come dono ricevuto, come dono donato.
INTERVISTA PARALLELA
Racconta in breve la tua vita.
D. Sono nato in una bella famiglia numerosa. Ho avuto la fortuna di incontrare don Bosco che mi ha portato con sé a Valdocco. Da lui ho capito che essere santi vuol dire conoscere Gesù e restare sempre allegri.
L. Mio padre è morto quando avevo solo tre anni e la mia sorellina Giulia era nata da pochi mesi. Noi tre non abbiamo avuto vita facile e abbiamo vagato un po’ alla ricerca di un modo di sopravvivere. Per fortuna la mamma incontrò le suore salesiane. Con loro ho ritrovato la voglia di sorridere.
Che cosa ti ha aiutato di più nei momenti di difficoltà?
D. Mi ha sempre aiutato poter parlare con il confessore e poter fare la comunione: non potevo desiderare di più per essere felice.
L. Portavo sempre con me la medaglia di Maria Ausiliatrice. Il pensiero che lei era un aiuto potente e importante mi dava tranquillità.
Cos’è per te la vita?
D. È un’arrampicata in montagna in compagnia di tanti amici. Salire è duro, a volte desideri tornare indietro, altre volte hai sete, fame… ma la meta è talmente affascinante che trovi sempre la forza di riprendere a salire!
L. Per me la vita è una grande casa accogliente e serena, dove regna la gioia e c’è posto per tutti. Certo, ognuno deve fare la propria parte per renderla migliore, ma questo rende felici tutti!
Che cosa pensi dei ragazzi di oggi?
D. Molti ragazzi credono di realizzarsi facendo quello che vogliono, magari con gesti di maleducazione e volgarità, ma poi nel loro cuore si ritrovano tristi e soli. Secondo me ciò che manca di più è una persona che faccia loro conoscere la bellezza della vita.
L. Molti soffrono quello che ho sofferto anch’io: vedono la mamma o il padre che sbagliano e non riescono a impedirglielo. Ma quello che è peggio è che molti ragazzi sono completamente soli. Io ho avuto l’affetto di tante persone che ho incontrato.
Adesso prova a rispondere tu alle stesse domande.
Poi, alla fine, sottolinea gli elementi simili e quelli diversi per tutti e tre.
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI LAURA
La storia di Laura si è svolta tanti anni fa.
Perché è ancora così viva la sua canzone? Come è arrivata noi?
Incominciò la gente di Junìn de Los Andes, accorsa in massa a darle l’ultimo saluto mormorando sottovoce: “Angelo, vergine, martire, prega per noi”. La ripeterono le amiche di Laura portando a spalla la sua bara leggera leggera: non aveva ancora 13 anni.
La confidava con tenerezza Donna Mercedes, commuovendosi al pensiero della sua bambina che le aveva ridato la vita.
La trasmettevano le suore che avevano ricevuto il dono di avere Laura in mezzo a loro. La cantavano le ragazze in cerchio, tenendosi per mano nel cortile.
La ripetevano le alunne del collegio alle nuove venute.
E cominciò a pregarla chi era nel pianto, chi aveva bisogno di favori, chi viveva nel dubbio, chi andava cercando Dio. E lei attenta e buona come quando stava sulla terra, anche dal cielo aiutava tutti. Tanto che molti desiderarono che la chiesa la proclamasse santa perché tutto il mondo potesse guardare a lei piccola fanciulla che ha conosciuto presto il segreto della santità.
E il 3 settembre 1988 Giovanni Paolo II la proclama beata.
Emigranti
È l’alba e già sono svegli. tra gli emigranti cileni c’è un’animazione insolita. Sembra che la stanchezza sia, sia ad un tratto sparita. I giorni di marcia erano stati lunghi, spossanti. Su ogni cima della Cordigliera delle Ande si erano fermati per scrutare l’orizzonte. Ma non avevano scorto che alte cime. Fino a quando? Stamattina i volti riflettono una gioiosa speranza. La meta è ormai prossima.
- Venite bambine!
Donna Mercedes Vicuña chiama Laura e Amanda e le fa sedere in groppa al cavallo. La carovana riprende la marcia. Progetti, sogni, speranze vagano nell’aria tersa e fredda. Donna Mercedes osserva le due bambine ancora assonnate. Ecco i suoi sogni, le sue speranze: le sue bimbe. Le stringe fortemente a sé. Se intuissero tutto il dramma della sua insicurezza, della sua solitudine!
Inseguire la speranza
Donna Mercedes ripensa ai brevi anni di vita tranquilla e felice trascorsi nella nativa Santiago del Cile. Aveva sposato Josè Domingo Vicuña, ufficiale dell’esercito, appartenente ad un ramo cadetto di una nobile famiglia. Vivace, bella gentile, lei Mercedes del Pino, sembrava possedere le doti della sposa ideale, ma la sua condizione non nobile aveva alzato un muro d’ombra e freddezza fra lei e Vicuña. Il 5 aprile 1891 nasce Laura, la primogenita. È il principio di una gioia stabile, no è il principio di una strada dolorosa.
Il Cile infatti, sta vivendo giornate drammatiche di lotta. Nel gennaio 1891, provocata dalla marina, scoppia una guerra civile per abbattere il governo del presidente Balmaceda. I suoi oppositori si impadroniscono del potere e incomincia la persecuzione contro Balmaceda e i suoi sostenitori, primi fra tutti i Vicuña. Anche Josè Domingo deve fuggire profugo. Il cammino dell’esilio è duro e difficile. A sud, fino a Temuco, 500 Km oltre Santiago. Clima rigido vita dura, situazione angosciante.
Neppure la nascita nel 1893 di Giulia Amanda, la secondogenita, sembra portare un po’ di pace tranquillità. Pochi mesi dopo, stremato Josè Domingo muore.
Donna Mercedes è consapevole dell’abbandono in cui si trova. Inutile pensare ad un ritorno a Santiago. Che fare? Temuco, il povero villaggio dove resta 6 anni, non le offre possibilità alcuna. Decide. Varcherà le Ande, si stabilirà nella zona argentina ricca di promesse e meta di molti emigranti cileni.
La costruirà accanto alle sue piccole una nuova casa.
- Il Neuquèn!
Il grido degli emigranti cileni richiama Donna Mercedes alla realtà del momento presente. Adesso sono in Argentina.
Finalmente, finalmente!
Donna Mercedes sente rinascere in cuore qualcosa che credeva morto per sempre: la speranza.
(Dalla rivista Primavera)
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI DOMENICO
La formula “magica”
“Domando che mi aiuti a salvarmi l’anima e a farmi santo”: questo biglietto mandato da Domenico, fu preso sul serio da don Bosco che lo chiamò e gli disse:
- Ti voglio regalare la formula della santità. Stai bene attento. Primo: allegria. Ciò che ti turba e ti toglie la pace non viene dal Signore.
Secondo: doveri di studio e di pietà. Attenzione a scuola, impegno nello studio, impegno nella preghiera. Tutto questo non farlo per ambizione, per farti lodare, ma per amore del Signore e per diventare un vero uomo.
Terzo: far del bene agli altri. Aiuta i tuoi compagni sempre, anche se ti costa sacrificio. La santità è tutta qui.
Domenico da quel giorno ci provò...
Un giorno un ragazzo portò all’Oratorio un giornale poco “pulito”. Subito gli si radunarono intorno cinque o sei amici. Guardavano, ridacchiavano. Domenico si avvicinò, prese dalle mani del proprietario il giornale e lo stracciò. Il ragazzo si mise a protestare, ma Domenico protestò anche lui, a voce ancora più alta:
- Belle cose porti dentro l’Oratorio! don Bosco si rompe la schiena tutto il giorno per fare di noi dei bravi cristiani e onesti cittadini, e tu gli porti in casa questa roba. Quei giornali offendono il Signore, e qui dentro non devono entrare!
MATERIALI
1. Promemoria
Gianni Rodari
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola, a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire
avere sogni da sognare,
orecchie per sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra:
per esempio, La guerra.
2. L’esempio
Una volta una mamma, preoccupata per la figlia che aveva preso la brutta abitudine di abbuffarsi di dolci, si recò da Gandhi.
Lo scongiurò: “Per favore, Mahatma, parla tu con mia figlia in modo da persuaderla a smettere con questo vizio. Accetti?”. Gandhi rimase un attimo in silenzio, un po’ imbarazzato, poi concluse: “Riporta qui tua figlia fra tre settimane, e allora parlerò con lei, non prima”.
La donna se ne andò perplessa, ma senza replicare.
Tornò, come le era stato proposto, tre settimane dopo, rimorchiandosi dietro la figlia, golosa, insaziabile. Stavolta Gandhi prese in disparte la ragazza e le parlò dolcemente, con parole semplici e assai persuasive. Le prospettò gli effetti dannosi che possono causare i troppi dolci. Quindi le raccomandò una maggiore sobrietà.
La madre, allora, dopo averlo ringraziato, nell’accomiatarsi, gli domandò: “Toglimi una curiosità, Mahatma... Mi piacerebbe sapere perché non hai detto queste cose a mia figlia tre settimane fa”.
“Tre settimane fa”, rispose tranquillamente Gandhi, “il vizio di mangiare i dolci l’avevo anch’io!”.
Solo l’esempio permette di parlare, solo chi è testimone può colpire a tal punto da poter essere ascoltato.
3. Adolescenza... non solo problemi!
Un sondaggio
Quali sono le cose più belle e le cose peggiori dell’adolescenza?
Per saperlo abbiamo fatto un sondaggio tra i compagni delle terze medie. Le risposte anonime dovrebbero garantire la sincerità.
Tra le cose positive, la più gettonata è stata l’amicizia; tra quelle negative, la difficoltà nei rapporti sociali. Stare bene con gli altri è un’esigenza primaria per noi adolescenti: con queste scelte sottolineiamo lo spazio e le differenze che intercorrono tra noi. Se nei nostri rapporti un’idea diversa dovesse essere un ostacolo, l’ideale sarebbe mettersi d’accordo per evitare discussioni inutili; purtroppo il più delle volte è difficile accettare le idee di un altro e così si formano gruppi selettivi: se piaci sei nel gruppo, se non piaci sei fuori.
Un’altra cosa positiva dell’adolescenza è il sentimento. A quest’età si comincia a capire cos’è l’amore e si comincia ad apprezzarlo davvero!
Al terzo posto c’è lo sport e il divertimento: una conferma che i ragazzi hanno energia da vendere e allora, per sfogarsi, via libera al movimento e all’allegria.
Quanto alle cose negative, troviamo al secondo posto la... scuola. A quanto pare a nessuno piace studiare, forse perché ci vuole tempo e impegno. Però, anche la scuola è importante e positiva: senza di essa il mondo non andrebbe avanti; la cultura e la tecnologia non si sarebbero evolute e avremmo raggiunto il terzo millennio credendo ancora che le mosche nascono dallo sporco e che la terra è il centro dell’universo.
E al terzo posto la mancanza di autonomia: essere costretti a fare cose che non si vogliono, non potersi ribellare, rispettare regole che si avvertono estranee e inutili, tutto questo ci fa sentire in gabbia e ci fa sognare di raggiungere presto i 18 anni...
Tante altre cose sono significative per noi di quest’età, ma queste della Hit Parade sono quelle che ci descrivono meglio: siamo ragazzi come tutti gli altri.
4. Adolescenti smarriti in cerca di modelli
Oggi più che mai i ragazzi hanno molte ambizioni e sognano cose irrealizzabili. Il sogno di tutte le ragazze è quello di sfondare nel mondo dello spettacolo, magari diventando modelle, veline, letterine, conduttrici... e spesso per inseguire questi sogni perdono di vista i veri valori della vita. I sogni impossibili, però, producono problemi veri. Si cerca in tutti i modi di identificarsi in questi personaggi presi a modello, si evita il cibo per essere più simili a loro e si può diventare anoressiche.
Un altro grande sogno di tutte le ragazze è quello di sposare un calciatore bello, famoso e ricco. Per questo motivo molti ragazzi sognano di diventare calciatori famosi, ispirandosi anch’essi, dunque, a dei modelli; perdono la loro identità e si comportano come loro, li scimmiottano perfino nel modo di parlare.
Questo è ciò che accade nel periodo dell’adolescenza in cui molti giovani, in particolar modo le ragazze, si sentono a disagio per il loro aspetto fisico e sono condizionati dallo specchio e dalla moda; talvolta i ragazzi, per nascondere le imperfezioni, che magari sono piccole, tendono ad isolarsi per non essere giudicati male dagli altri.
Perché, invece, non cerchiamo di essere noi stessi, con pregi e difetti? Saremmo certamente più liberi e meno asserviti a questi stupidi modelli che la società propone ed impone.
(Elena e Angela, III media)
5. Canzone
Vivi davvero (Giorgia)
(…)
Ma quando respiro mi accorgo
che esisto davvero
E stiamo isolati in cerca di gloria
mediocri e muti e senza memoria
Ma guarda l’estate è tornata speranza
c’è ancora
Ti prego vivi... vivi... vivi... davvero...
vivi... vivi... vivi davvero... davvero...
Ma fuori c’è un mondo di anime salve davvero
(…)
Non c’è ideale che valga una guerra...
Combatti ogni piccolo e grande tormento
Ed esci più fuori a gioire di ogni momento
Vivi... vivi... vivi... davvero... davvero...
Vivi... vivi... vivi davvero...
6. Lettera
Ciao Marco
Sono qui sdraiato sul mio letto. Solo le mie lacrime mi fanno compagnia. Ripenso al campo scuola, ai momenti di gioia vissuti insieme, ai tanti bei discorsi fatti: pace, bellezza, sogni. Dov’è ora tutto questo? Non c’è spazio per queste cose nella mia vita. Ogni giorno è un disastro. A scuola va male. Ogni mattina penso che sarebbe meglio che rimanessi a letto a dormire. In casa nessuno mi capisce. Sembra che per i miei esista solo la scuola. “Studia, studia, studia”, non sanno dire altro. Poi si lamentano del fatto che io sia sempre fuori con gli amici. Non vogliono capire il mio bisogno di sentirmi accolto, di sentirmi accettato. Con loro non c’è dialogo. Solo: “Fai questo; fai quello”. Con gli amici si fa a gara a chi la spara più grossa. Solo perché non cerco avventure facili con le ragazze, solo perché parlo di sogni che prescindano da soldi e successo vengo preso in giro, isolato. Figuriamoci quando accenno che ci può essere anche un Dio. Ma perché? Perché mi sento tutto sbagliato? Perché mi sento diverso? (Non ce la faccio ad essere sempre me stesso). A volte è più comodo fingere di essere come gli altri e lasciarsi andare alla banalità. È più comodo non pensare.
Dicono che l’adolescenza sia il periodo più bello della vita, dicono che sia l’età della spensieratezza, ma ora io vivo solo tanta tristezza. Marco, ti prego, dimmi solo che la vita non è tutta così. Ti abbraccio, Alex.
SCHEDA DI LAVORO
Il discorso sulla vita è fondamentale per affrontare correttamente il tema della santità. Parliamo infatti di una santità “quotidiana”, possibile, realizzabile nella vita di tutti i giorni.
- Santità è vivere davvero, come dice Giorgia nella sua canzone (5). Viviamo in un mondo di peccato… “ma guarda l’estate è tornata speranza c’è ancora, ma fuori c’è un mondo di anime salve davvero!”.
Nel dialogo di gruppo possiamo chiedere ai ragazzi:
* siete d’accordo con queste affermazioni di Giorgia?
* quale vi colpisce maggiormente e perché?
* quando secondo voi possiamo dire di “vivere davvero”?
- A volte capita di sentirsi come Alex (6) “tutto sbagliato”, a volte è più comodo fingere di essere come gli altri e lasciarsi andare alla banalità… Leggendo questa lettera di Alex possiamo verificare:
* capita anche a voi di sentirvi così?
* cosa rispondereste ad Alex, se foste Marco?
- Per gli adolescenti è certamente difficile affermare con convinzione che la vita è un’avventura meravigliosa che vale la pena di essere vissuta, ma è proprio questa la sfida da raccogliere: la vita è realmente un’avventura che vale la pena vivere. Una riflessione utile è sulle ricerche e su quello che gli adolescenti dicono di sé (3,4).
Nel gruppo possiamo proporre ai ragazzi:
* qual è la vostra hit parade delle cose della vita?
* una classifica al contrario, cioè delle cose negative, dalla peggiore in poi?
* le cose che abbiamo definito “negative”, lo sono totalmente?
(Meriterà aiutare i ragazzi a comprendere che anche quando siamo in una fase “negativa” la vita cresce!).
- La bella e semplice poesia di Rodari (1) può essere uno spunto semplice e fresco: che cos’altro, oltre la guerra, non si deve fare mai? Ad esempio, odiare, vendicarsi, mentire…
ATTIVITÀ
1. Il viaggio
Dovete partire per un viaggio in un’isola deserta, ma potete portare con voi in assoluto solo 10 tra cose e persone. Cosa portate? Fate un elenco e confrontatelo con quello degli amici.
2. Se fossi
Scrivete in un foglio le vostre risposte e poi confrontatele.
Se fossi un animale:
Se fossi un numero:
Se fossi un colore:
Se fossi uno sport:
Se fossi una materia scolastica:
Se fossi un luogo:
Se fossi un periodo storico:
Se fossi un genere musicale:
Se fossi un film:
Se fossi un cartone animato:
Se fossi un oggetto:
Se fossi un giorno della settimana:
Se fossi un mese:
Se fossi un indumento:
Se fossi una pietra:
Se fossi un libro:
Se fossi una canzone:
Se fossi un cibo:
Se fossi una bevanda:
Se fossi uno strumento musicale:
Se fossi un frutto:
Se fossi un gelato:
Se fossi una festa :
Se fossi una nazione:
Se fossi una lingua:
Se fossi un fiore:
Se fossi una capitale:
Se fossi un arredo:
Se fossi un gioiello:
Se fossi un personaggio delle fiabe:
Se fossi un sentimento negativo:
Se fossi un sentimento positivo:
Se fossi un odore:
Se fossi un rumore:
Se fossi una tecnologia:
Se fossi un soprammobile:
Se fossi un fattore meteo:
3. Intervista
Andate in giro con registratore e macchina fotografica, o telecamera.
Rivolgete queste domande alle persone più varie e poi elaborate una sintesi che potrete anche inserire in uno spettacolo sulla vita con le risposte di Madre Teresa di Calcutta alle stesse domande (le trovate rovesciate a fianco delle singole domande).
1. Il giorno più bello?
2. L’ostacolo più grande?
3. La cosa più facile?
4. L’errore più grande?
5. La radice di tutti i mali?
6. La distrazione migliore?
7. La sconfitta peggiore?
8. I migliori professionisti?
9. Il primo bisogno?
10. La felicità più grande?
11. Il mistero più grande?
12. Il difetto peggiore?
13. La persona più pericolosa?
14. Il sentimento più brutto?
15. Il regalo più bello?
16. Quello indispensabile?
17. La rotta migliore?
18. La sensazione più piacevole?
19. L’accoglienza migliore?
20. La miglior medicina?
21. La soddisfazione più grande?
22. La forza più grande?
23. Le persone più necessarie?
24. La cosa più bella del mondo?
1. (Oggi).
2. (La paura).
3. (Sbagliarsi).
4. (Rinunciare).
5. (L’egoismo).
6. (Il lavoro).
7. (Lo scoraggiamento).
8. (I bambini).
9. (Comunicare).
10. (Essere utili agli altri).
11. (La morte).
12. (Il malumore).
13. (Quella che mente).
14. (Il rancore).
15. (Il perdono).
16. (La famiglia).
17. (La via giusta).
18. (La pace interiore).
19. (Il sorriso).
20. (L’ottimismo).
21. (Il dovere compiuto).
22. (La fede).
23. (I sacerdoti).
24. (L’amore).
GRAZIE, SIGNORE
Signore Gesù, amico e fratello nostro,
noi crediamo che tu ami la vita
e vuoi che ciascuno di noi la renda un dono bello per tutti.
Oggi abbiamo compreso che ogni volta che viviamo
dando il meglio di noi, stiamo già camminando verso la santità.
E che la santità non è un’avventura impossibile,
ma ognuno di noi, vivendo in pieno la propria vita, può essere santo.
Grazie per questa grande occasione che ci dai,
per questa proposta così affascinante e avvincente.
Vogliamo mettere in pratica quanto abbiamo appreso
e fare di ogni minuto della nostra giornata, un minuto PIENO.
Vogliamo rendere straordinario ogni nostro gesto
mettendo tutto noi stessi in tutto.
Lo studio, il gioco, il riposo, ogni azione può diventare una strada che porta a te.
Non c’è bisogno di cose grandi o straordinarie,
basta mettere un grande e straordinario amore in quello che viviamo.
Aiutaci e resta con noi!
2. Santità: misura alta della gioia
QUASI LETTERA AI RAGAZZI (O AGLI ANIMATORI)
Be happy!
Vorrei citarti qualcuna delle espressioni più tipiche di don Bosco.
“Io desidero vedere i miei giovani correre e saltare allegramente nella ricreazione”
“Io voglio insegnarvi un metodo di vita cristiano, che sia nel tempo stesso allegro e contento, additandovi quali siano i veri divertimenti e i veri piaceri, così che voi possiate dire col santo profeta Davide: ‘Serviamo il Signore con allegria”.
Sembra quasi la continuazione dei giochi di prestigio di Giovannino che intrattiene i suoi amici, e della “società dell’allegria” fondata dallo studente Giovanni Bosco in seminario a Chieri... “Ognuno aveva l’impegno di organizzare giochi, tenere conversazioni, leggere libri che contribuissero all’allegria di tutti. Era vietato tutto ciò che produceva malinconia... specialmente la disubbidienza alla legge del Signore”.
L’allegria, la vivacità, la gioia, il divertimento era il clima che si respirava nell’oratorio, assieme all’amicizia con gli educatori, tanto da formare quello che è stato chiamato lo spirito di famiglia.
E questi insegnamenti, questo clima era così vivo e forte che Domenico Savio l’ha appreso molto facilmente: “Noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri”.
Allegria e santità; santità come misura alta della gioia.
Un discorso molto nuovo nella storia della chiesa (fino a non molto tempo prima di don Bosco santità faceva rima con mortificazione, cose serie). Un discorso che si addice ai ragazzi, che per natura sono pieni di gioia: gioia di vivere, gioia di crescere, di stare insieme, di muoversi, di giocare, di divertirsi, di scherzare.
La gioia di vivere è un contenuto della vita.
Lo dice il nostro amico don Pascual. Don Bosco intendeva “la santificazione della gioia di vivere, cioè:
- promuovere un ambiente di allegria e di confidenza, in cui la personalità del giovane possa spontaneamente espandersi e maturare;
- badare alla propria crescita, riconoscendo quello che il Signore ha depositato in noi di buono e di bello, sviluppandolo con fiducia e perseveranza;
- convivere con i compagni, condividendo con loro la spontaneità dei momenti di svago, la gioia dell’amicizia, il dinamismo della festa;
- aprire i cuori all’ottimismo e alla fiducia nella vita, salvata e redenta da Gesù Cristo e amata da Dio”.
La gioia è poi un modo del vivere la vita da parte di un ragazzo. Esprime la tonalità e il colore della fiducia e della confidenza, dell’ottimismo, è sapere di essere accettati e amati, è il piacere dello studiare e del capire, è la felicità dello scoprire il proprio cuore come capace di amore e degli altri che vi rispondono.
Te ne accorgi quando uno è felice dentro: canticchia, fischietta, saltella, sorride.
Ma non vogliamo fraintendere.
Questa gioia connaturale al ragazzo che cresce, non è solo gioia per la vita che si espande e si esprime.
Continua don Bosco: “Vivete pure nella massima allegria, purché non facciate peccato”; “Io non voglio altro dai giovani se non che si facciano buoni e che siano sempre allegri”; “Se volete che la nostra vita sia allegra e tranquilla, dovete procurare di stare in grazia di Dio”; ”Allegria, preghiera e santa Comunione sono i nostri sostegni”; “Voglio che tutti servano volentieri il Signore con santa allegria, anche in mezzo alle difficoltà”...
Allegria in continuità con il servire il Signore, con la preghiera, con il farsi buoni, con lo stare “in grazia di Dio”.
Dopo Bosco la sapeva lunga: il peccato può buttare ombra e tristezza nel cuore del giovane, spegnere l’entusiasmo, la gioia di vivere. Puoi stare bene dentro solo se ti senti in pace con la tua coscienza, e con Dio, se sai che Egli ti ama e vi rispondi.
In una parola, la sorgente e il segreto della gioia, la sua misura alta sta nel saperti e sentirti amato da Dio, nel darti da fare per stare in buona pace con tutti, nell’impegnarti perché la gioia sia un contagio che parte da te e si allarga a macchia d’olio.
INTERVISTA PARALLELA
Perché è tanto importante l’allegria, la gioia?
D. C’è una cosa che ho imparato da Don Bosco: la santità consiste nello stare molto allegri. Lui spiegava che se uno è allegro e sereno vuol dire che non ha dei pesi sulla coscienza, è in pace con se stesso e con Dio, quindi è già ben avviato verso la santità!
L. Io ho imparato che un sorriso riscalda il cuore e rende solare una giornata piovosa. Sentivo le suore ripetere una frase di Madre Mazzarello: “L’allegria è il segno di un cuore che ama tanto il Signore”. Nel senso che se ti senti amato da Dio non puoi che essere felice!
Qual è il segreto della gioia?
D. Io penso sia non avere pesi sulla coscienza, avere il coraggio delle proprie idee, essere se stessi senza ingannare fingendo di essere diversi. I ragazzi dell’oratorio i primi tempi mi prendevano in giro perché io facevo quello in cui credevo, e poi siamo diventati amici, tutti! Sì, penso sia quello il segreto della gioia.
L. Io vedevo le suore della nostra scuola: erano molto povere eppure erano sempre molto allegre. Quando chiedevamo loro il segreto rispondevano che era l’amicizia di Gesù. Così ho capito che quando uno sente Gesù vicino non si dispera, neppure nelle difficoltà!
Come aiutare a sorridere chi è triste?
D. Prima di tutto bisogna aiutarlo ad avere fiducia, riuscire a dire le proprie tristezze è già un passo importante, molte volte non c’è nessuno che ti ascolta. E poi credo sia importante fargli notare anche il lato positivo delle cose. Quando si è tristi si tende a drammatizzare tutto.
L. Penso che sia importante fargli sentire tutta l’amicizia e l’affetto, poi farsi carico davvero dei suoi problemi, e se non si è in grado di risolverli da soli cercare chi può intervenire. Personalmente ho anche sempre affidato le persone più in difficoltà a Gesù!
Quale immagine ti viene in mente pensando alla gioia?
D. Mi vengono in mente i campi vicino al mio paese (Riva presso Chieri) con le viti piene di uva matura e il sole ancora splendente in autunno; mi viene in menta la festa della vendemmia, le risate tra i filari, e i bambini che si divertivano a giocare e mangiare!
L. A me viene in mente il mare calmo, immenso e il sole alto e brillante. L’America Latina è davvero una terra meravigliosa, benedetta da Dio. Io sono sicura che è così per ogni terra... ma le cose belle della natura danno ancora gioia?
Prova a rispondere tu alle stesse domande.
Poi, alla fine, sottolinea gli elementi simili e quelli diversi per tutti e tre.
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI LAURA
La dimora del falco
Ma il Nequèn non era l’eldorado. Terra di recente conquista, vi affluivano avventurieri, truffatori, trafficanti di ogni risma. Donna Mercedes tenta di farsi un nido per se e le due bambine, dapprima a Noquin, poi a Las Lajas, poi a Chapelco, quindi a Junìn de Los Andes. Tanto vagabondare indifesa, fra minacce e insidie, tanti disagi, tanta solitudine l’hanno esasperata.
Cerca con ansia un sostegno sicuro, qualcuno che la protegga.
E incontra Manuel Mora, in “gaucho malo”, un cattivo soggetto.
Quando conosce Donna Mercedes, il Mora è sulla quarantina di bell’aspetto a cavallo, vestito con ricercatezza, armato di un lungo pugnale, appare superiore a chiunque. Superbo e sprezzante, non conosce scrupoli. Tratta come schiavi, gli indios, la servitù, i pastori e usa la frusta sugli uomini e sulle bestie senza distinzione.
Ma quel signorotto sa anche essere cavalleresco e affascinante quando vuole. Donna Mercedes si aggrappa dunque a lui come a un’ancora di salvezza…. Lo segue.
Chi, di lì a poco, la vede arrivare all’estancia sorridente a fianco del Mora, commenta con pietà il destino di quella signora e la sorte delle sue creature. Non per nulla l’estancia ha per nome Quilquihuè, “la dimora del falco”.
L’ombra del male
La fattoria di Quilquihuè dista 20Km dal centro abitato di Junìn de los Andes.
Donna Mercedes sa che là si è aperto, da pochi mesi, un collegio diretto dalle suore Figlie di Maria Ausiliatrice.
Vuole mandarci le sue bambine perché siano istruite ed educate.
Per brevi giorni dunque le due bambine restano all’estancia. Brevi giorni sì, ma già un allarme per Laura. Ha solo 9 anni, ma è una fanciulla precoce. Le tante difficoltà della sua fanciullezza l’hanno maturata presto alla vita. Avverte quasi per un’innata capacità di percezione, che c’è qualcosa che non va bene nella situazione della mamma.
Intanto il falco medita di affondare un giorno gli artigli in quella innocenza…
e paga volentieri la retta del collegio.
Il collegio
- Questa è Laura, e questa è Giulia Amanda, ma la chiamiamo semplicemente Amanda, Mandina…
Suor Angela Piai, la giovane direttrice, le guarda sorridendo.
-Benvenute! Questa è la casa della Madonna, e d’ora in poi sarà anche la vostra casa.
Amanda sgrana gli occhi. La sua casa? E dove sono le immense distese verdi, i cavalli, gli animali, le ricchezze dell’estancia? Qui tutto è tanto povero. Scoppia in singhiozzi aggrappandosi a Laura.
Laura, che ha tre anni più di Amanda, sa già soffrire. Ricaccia in gola le lacrime e consola la piccola.
- Arrivederci, mamma!
Amanda si è ormai addormentata. Laura, con gli occhi fissi nell’oscurità della povera camerata, pensa. Il collegio non è bello come la fattoria di Quilquihuè, ma sente che le piace di più.
La meravigliosa scoperta
I suoi primi giorni di collegio sono un’ouverture, un preludio che si spalanca su una meravigliosa scoperta.
Nella poverissima casa si respira un aria di schietta bontà evangelica un’atmosfera di grande allegria e di amore semplice e ardente per Dio E quello spirito di famiglia che Don Bosco aveva voluto all’oratorio di Torino. Uno spirito che aveva attraversato l’oceano e in viaggi interminabili e pieni di avventure e disagi era arrivato, attraverso le missionarie, su su, fino alle alte e lontane Ande americane, in questo sperduto paese di frontiera.
Laura lo intuisce dapprima nel sorriso delle suore. Un sorriso che l’affascina, che la interroga. Anche la mamma sorride, ma in modo diverso. Perché? Esente che vuole saper sorridere come la sua Maestra Suor Azocar.
Osservando, ascoltando, vivendo avvolta da quel clima, scopre a poco a poco il segreto di quella pace. Scopre l’amore. Scopre che l’amore è Dio. Che Dio è in lei.
Ciò le riempie il cuore di gioia, la rende felice. Mamma non gliene aveva parlato, ma ora lei si sente amata, protetta dall’amore infinito e forte di Dio. E scopre che Dio è anche in tutte le sue compagne. “ Tutto quello che avrete fatto ad uno di questi piccoli, l’avete fatto a me”.
Creati per amore. Chiamati all’amore.
C’è dunque una ragione seria per vivere. Ha deciso: lei vivrà così.
(Dalla rivista Primavera)
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI DOMENICO
L’anima del cortile
Nel tempo libero, Domenico era l’animatore del gioco e dell’allegria. La sua maniera di comportarsi, di parlare, faceva del bene a tutti. Anche nel pieno dell’allegria era gentile e ben educato. Se uno parlava, non lo interrompeva. Ma quando poteva, prendeva lui in mano la conversazione. Sapeva contare mille storie allegre, come anche discutere di storia e matematica. Se la conversazione scivolava verso il basso, come borbottare di qualche cosa, parlar male di qualcuno, Domenico sapeva farla tornare in su. Gettava là una battuta, raccontava una favola buffa, e tutti ridevano e dimenticavano i discorsi maligni. Il pensiero di fare del bene a tutti lo accompagnava sempre.
La sua serena allegria, la sua mite vivacità lo rendevano caro anche ai ragazzi che in fatto di preghiera e di chiesa la pensavano molto diversamente da lui. Ognuno provava piacere a stare con lui, e vedeva nei suoi suggerimenti l’interessamento di un amico.
Anche lui a scuola
“Quando mi incontrava per strada era tutto contento, e mi salutava per primo con molto rispetto. Poi cominciò a venire anche lui a scuola, e in poco tempo fece molto progresso nello studio, perchè era intelligente e si impegnava molto. Doveva stare insieme ai ragazzini maleducati, ma non l’ho mai visto bisticciare. Se qualcuno lo provocava, lo offendeva, non rispondeva agli insulti, ma si allontanava. Non l’ho mai visto partecipare a giochi pericoloso o disturbare in scuola.
Molte volte altri ragazzi lo invitavano ad andare con loro a far dispetti alle persone anziane, a tirare sassi, a rubare la frutta, a fare monellerie in campagna. Ma lui non ci andava, anzi, faceva capire che non erano belle imprese.”
MATERIALI
1. Il bambino e il santo
Gopal Mukerji
Un giorno, un santo si fermò da noi.
Mia madre lo scorse nel cortile, mentre faceva divertire i bambini.
“Oh” – mi disse – “è proprio un santo; puoi andargli incontro, bambino mio”.
Il santo posò la mano sulla mia spalla e mi chiese: “Bimbo mio, che cosa vuoi fare?”.
“Non lo so. Che cosa vuoi che faccia?”.
“No, dimmi tu cosa vuoi fare”.
“A me piace giocare”.
“Allora vuoi giocare con il Signore?”.
lo non seppi cosa rispondere. Egli continuò: “Vedi, se tu potessi giocare con il Signore, sarebbe la cosa più grande del mondo. Tutti lo prendono talmente sul serio che lo rendono mortalmente noioso... Gioca con Dio, bambino mio: è il più meraviglioso compagno di gioco”.
2. La danza del bambino
C’è un episodio, nella vita di madre Teresa, che sconvolge molte convinzioni e lascia pensosi, forse uno degli episodi-chiave per capire questa figura. Lo raccontò lei stessa.
“Durante una notte passata nella stazione di Howrah, a Calcutta, verso mezzanotte quando i treni sono tutti fermi per qualche ora, arrivò una poverissima famiglia che veniva di solito a dormire alla stazione. Erano una madre e quattro figli, dai cinque agli undici anni. La madre era una buffa, piccola cosa avvolta in un sari bianco di cotone, sottile per quella notte di novembre, con i capelli rasi a zero, stranamente per una donna. Aveva con sé dei recipienti di latta, qualche straccetto e dei pezzi di pane, tutto quanto possedeva per sé e per i suoi figli. Erano mendicanti. La stazione era la loro casa.
I bambini, tre ragazze e un bimbo che era il più piccolo, erano come la madre pieni di vivacità. A quell’ora, in piena notte, sedettero tutti su un marciapiede della stazione presso le rotaie, vicino ad altre innumerevoli famiglie e mendicanti solitari che già dormivano tutt’intorno, e fecero il loro pasto serale di pane secco, probabilmente quanto era avanzato a un rivenditore che verso sera lo aveva ceduto a un prezzo bassissimo. Ma non fu un pasto triste. Essi parlavano, ridevano e scherzavano. Sarebbe difficile trovare una riunione di famiglia più felice di quella.
Quando il breve pasto fu finito, andarono tutti a una pompa con grande allegria, si lavarono, bevettero e lavarono i loro recipienti di latta. Poi stesero con cura i loro stracci per dormire vicini, e un pezzo di lenzuolo per coprirsi tutti.
E fu allora che il ragazzino fece qualcosa di assolutamente meraviglioso: si mise a danzare.
Saltava e rideva fra i binari, rideva e cantava sommesso con incontenibile gioia.
Una simile danza, in una simile ora, in così assoluta miseria!”.
Madre Teresa affermò tante volte che per noi occidentali, tristi nella nostra ricchezza, rintanati nelle nostre lussuose caverne, il povero è un “profeta”. Pur nella miseria dove la nostra economia scaltra l’ha esiliato, egli ci insegna dei valori grandi che noi abbiamo dimenticato: l’amore per gli altri, la gioia che nasce dal gustare le piccole cose, l’amicizia, la capacità di entusiasmarsi per qualche cosa.
(Teresio Bosco, Madre Teresa di Calcutta, biografia).
3. Canzone
Happy (Alexia)
(…)
Don’t let me down down down down down
Happy
It’s so nice...
I just pray
You’ll never run away
Can’t wait another day
To hold you tight
To hold you tight
Happy
It’s so nice...
4. Valore di un sorriso
Un sorriso non costa nulla e rende molto.
Arricchisce chi lo riceve,
senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante,
ma il suo ricordo è talora eterno.
Nessuno è così ricco da poterne fare a meno.
Nessuno è così povero da non poterlo dare.
Crea felicità in casa; è sostegno negli affari;
è segno sensibile dell’amicizia profonda.
Un sorriso dà riposo alla stanchezza;
nello scoraggiamento rinnova il coraggio;
nella tristezza è consolazione;
d’ogni pena è naturale rimedio.
Ma è bene che non si può comprare,
né prestare, né rubare, poiché
esso ha valore solo nell’istante in cui si dona.
E se poi incontrerete talora
chi non vi dona l’atteso sorriso,
siate generosi e date il vostro;
perché nessuno ha tanto bisogno di sorriso
come chi non sa darlo ad altri (P. Faber).
È una piccola/grande poesia che mia figlia, 10 anni, mi ha fatto trovare sul mio comodino, una sera preceduta da diversi giorni tristi di malattia, ridandomi il sorriso (Silvania).
5. Un sorriso al giorno
Parafrasando un vecchio detto “Un sorriso al giorno...”.
Chissà perché molte persone non sorridono mai o in ogni modo, se lo fanno, accade in maniera così limitata nel corso della loro giornata da farlo sembrare “un evento”. Queste persone sono perennemente rabbuiate, incavolate nere, insoddisfatte della loro esistenza. Eppure è risaputo che a sorridere si “spendono” meno energie che ad essere arrabbiati. Il sorriso “parla”, dice più di mille parole: mi piaci, sono contento di vederti o di conoscerti! Pensate ai bambini: quando vedono il loro papà o la loro mamma impazziscono dalla gioia, sfoderano uno di quei sorrisi che ti fanno tremare il cuore, come si fa a non volergli bene!
C’è più comunicatività in un sorriso che in una minaccia. Perché l’incoraggiamento è un sistema educativo mille volte più efficace della repressione. L’effetto del sorriso è potente. E come si fa a dimostrarlo? Nel modo più semplice che ci sia SORRIDENDO!
Ricordatevi che il vostro sorriso illumina la vita di tutti quelli che v’incontrano.
Se non sapete sorridere, nessuna paura, iniziate a praticare questo semplice esercizio: mettetevi davanti allo specchio e sorridete. Fatelo tutte le mattine appena vi alzate. All’inizio vi scapperà da ridere e vi sembrerete ridicoli; se aggiungete poi che la maggior parte delle persone che incontrerete non risponderanno mai (o quasi) al vostro sorriso… lo sconforto potrebbe assalirvi. Ma voi resistete e continuate a sorridervi allo specchio, nonché a sorridere a tutti coloro che incontrate. Insistete e con l’andare del tempo questo semplice esercizio vi aiuterà a vivere meglio, e con il sorriso vi accorgerete d’avere anche una mentalità diversa: più positiva, più disponibile nei confronti della gente. Provate. Che vi costa?!
SCHEDA DI LAVORO
Domenico Savio aveva imparato da Don Bosco: la santità consiste nello stare molto allegri! Ovviamente non è una gioia superficiale, un’allegria dovuta solo al carattere… La gioia, l’allegria, sono una scelta, una decisione importante!
- Anche Madre Teresa, nel racconto che viene riportato (2), ha modo di ricordare che la felicità, la gioia, l’allegria sono possibili nonostante la miseria, addirittura in una famiglia senza casa e senza nulla.
Leggiamo il racconto con il gruppo, poi chiediamo:
* che cosa permette a quel ragazzino di danzare di gioia?
* Conosciamo persone veramente felici anche se non ricche?
* Che cosa ci insegna questo racconto di Madre Teresa?
- La canzone di Alexia (3) è un invito a “stare allegri”. Per la cantante il motivo di tanta felicità è che ha trovato l’amore. Chiediamo al gruppo di fare un elenco, continuando in un certo senso la canzone:
* quali sono i motivi per cui si può essere felici?
* Es: Felice… perché ogni mattina mi sveglio vivo!
* Felice… perché posso lavarmi con acqua fresca e fare una buona colazione…
* Felice… perché ho un padre e una madre che mi amano…
- Dio è gioia! Egli non ci vuole seri o musoni, Addirittura vuole giocare con noi (1). Chiediamo ai ragazzi se ci avevano mai pensato… Chiediamo anche secondo loro cosa può esserci di “divino” nel giocare? Che cosa succede quando si gioca, con autenticità?
- Ma come si fa ad essere nella gioia? Non è mica facile sorridere, soprattutto quando le cose non vanno come vorremmo… (4 e 5).
Leggiamo i due brani e… facciamo la prova. All’inizio non sarà facile “decidere di sorridere” ma poi verrà naturale! Proviamo a farlo nel gruppo, subito!
ATTIVITÀ
1. Mondo sorriso
Immagina le caratteristiche del mondo sorriso aggiungendo ad ogni voce qualche spiegazione in più:
• Banca del Sorriso
• Hotel Sorriso
• Fabbrica del Sorriso
• Scuola del Sorriso
• Piazza Sorriso
• Bar Sorriso
• Ospedale Sorriso
• Via del Sorriso
• Palazzo Sorriso
• Autobus Sorriso
• Radio Sorriso
• Cucina del Sorriso
• Sorriso Shopping
2. Il gioco delle frasi
Trascrivete queste frasi in tanti foglietti. Distribuiteli a tutti. Ognuno deve leggere la frase e poi farla diventare la didascalia di un’immagine, un disegno, una foto o un oggetto. Con l’insieme delle frasi e delle immagini si potrà allestire una bella mostra.
* Si è più felici in solitudine che in compagnia. Non deriverà forse dal fatto che in solitudine si pensa alle cose e che in compagnia si è costretti a pensare alle persone? (N. Chamfort, Massime e pensieri ).
* La nostra felicità non dipende soltanto dalle gioie attuali ma anche dalle nostre speranze e dai nostri ricordi. Il presente si arricchisce del passato e del futuro (E. Châtelet, Discorso sulla felicità).
* Uno dei grandi segreti della felicità è moderare i desideri e amare ciò che già si possiede (idem).
* Ogni età ha la felicità che le è propria (idem).
* Se vuoi una vita felice, devi dedicarla a un obiettivo, non a delle persone o a delle cose (A. Einstein, Pensieri di un uomo curioso).
* Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità (...). Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità (Epicuro, Lettera sulla felicità).
* A volte, da noi dipende più la felicità altrui che la nostra (R. Gervaso, Il grillo parlante).
* L’uomo più felice è quello che è in grado di collegare la fine della sua vita con l’inizio di essa (J.W. Goethe, Massime e riflessioni).
* Chi opera lietamente e si rallegra del suo operato, è felice (idem).
* Si gusta doppiamente la felicità faticata (B. Gracián, Oracolo manuale e arte di prudenza).
* Non si è mai tanto felici né tanto infelici quanto si crede (F. La Rochefoucauld, Massime).
* La felicità sta nel gusto e non nelle cose; si è felici quando si ha ciò che ci piace e non quando si ha ciò che gli altri trovano piacevole (idem).
* Ad alcuni per essere felici manca davvero soltanto la felicità (S. Lec, Pensieri spettinati).
* Penso che prima di tutto essere in buona salute vi rende felici, ma funziona anche nell’altro modo. Secondo me è molto meno probabile che un uomo felice si ammali che non un uomo infelice (B. Russell, Russell dice la sua).
* Tutto quel che sapete far bene contribuisce alla vostra felicità (idem).
* C’è un unico errore innato, ed è quello di credere che noi esistiamo per essere felici (A. Schopenhauer, L’arte di insultare).
* Quando siamo felici noi siamo sempre buoni, ma quando siamo buoni non sempre siamo felici (O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray).
3. Le 10 regole della felicità (Adam J. Jackson)
1. L’ATTEGGIAMENTO - Il fondamento della mia felicità comincia dal mio atteggiamento nei confronti della vita. Sono felice nella misura in cui decido di esserlo. D’ora in poi deciderò di essere felice. Se mi aspetto il meglio, molto spesso lo otterrò! La felicità è una scelta che posso fare in qualsiasi momento, ovunque e in qualsiasi luogo. Qualsiasi esperienza può essere “reinterpretata”, assumendo un significato positivo. D’ora in avanti, cercherò un aspetto positivo in chiunque e in qualunque cosa. In ogni circostanza difficile o stressante, devo pormi le tre domande che aumenteranno il mio potere: Qual è il lato positivo di questa situazione, oppure, quale potrebbe essere il lato positivo? Che cosa non è ancora perfetto? Che cosa posso fare per cambiare le cose nella direzione che desidero, e contemporaneamente per divertirmi? La gratitudine è il seme delle 10 regole della felicità. D’ora in poi cercherò motivi per cui essere grato. Sono unicamente i miei pensieri a rendermi felice o infelice, e non le circostanze della mia vita. Io controllo i miei pensieri, dunque controllo la mia felicità.
2. IL CORPO - Il movimento influenza il sentimento. L’esercizio fisico allevia lo stress e causa una reazione chimica che ci aiuta a sentirci meglio. Praticare un’attività fisica regolare – possibilmente giornaliera – per almeno 30 minuti. I cibi che mangiamo influiscono sui nostri stati d’animo. Evitare gli alimenti che inducono stati depressivi, come il caffè, tè, alcool, amidi, zuccheri e additivi artificiali. Mangiare molta frutta e verdura fresche, cereali integrali e legumi. La mancanza di luce può causare depressione. Uscire al sole per almeno un’ora al giorno, se è possibile.
3. L’ATTIMO - La felicità non si trova negli anni o nei mesi o nelle settimane, e neppure nei giorni, ma si può trovarla in ogni attimo. Traiamo il massimo dalla nostra vita solo traendo il massimo da ogni attimo. I ricordi sono formati da momenti speciali: accumulane più che puoi. Vivere l’attimo dissolve il rimpianto, vince l’ansia e riduce lo stress. Ricordati che ogni nuovo giorno è un nuovo inizio, una nuova vita.
4. L’IMMAGINE DI SÈ - È scritto: “Un uomo è ciò che in fondo al cuore crede di essere”. Siamo ciò che pensiamo. Se mi sento insoddisfatto di me stesso, sarò insoddisfatto della mia vita. Perciò, per vivere un’esistenza felice, devo prima imparare ad amare me stesso. Ciascuno di noi è speciale. Per vincere i complessi e le opinioni negative che nutro nei miei confronti e per creare una positiva immagine di me stesso, devo: Per prima cosa scoprire da dove vengono tali opinioni e se sono vere (se lo sono, è necessario cambiarle). Ogni giorno, formulare affezioni positive che descrivano il tipo di persona che voglio essere. Comportarmi come se fossi già quella persona. Chiedermi quali sono i lati della mia personalità che amo e rispetto.
5. GLI SCOPI - Gli scopi conferiscono alla nostra vita una regola e un significato. Grazie agli scopi, ci concentriamo sul raggiungimento del piacere, invece che limitarci ad evitare il dolore. Gli scopi ci conferiscono una ragione per alzarci dal letto la mattina. Gli scopi rendono più facili i momenti difficili, e più piacevoli i momenti belli.
6. L’UMORISMO - L’umorismo allevia lo stress e crea la felicità. Ridere migliora la nostra capacità di concentrazione e aumenta la nostra abilità nel risolvere i problemi. Ricorrere sempre alla formula antistress in due fasi: Non preoccuparti delle piccole cose. Ricorda, la maggior parte delle cose sono piccole.
7. IL PERDONO - Il perdono è la chiave che apre la porta della felicità. Non possiamo essere felici se portiamo in cuore sentimenti di odio o di risentimento. Dobbiamo ricordare che siamo solo noi a soffrire a causa della nostra amarezza. Gli errori e i fallimenti sono lezioni di vita. Dobbiamo perdonare noi stessi e gli altri. Ricordarsi della preghiera degli indiani Sioux: “O grande Spirito, fa’ che io non critichi né giudichi un uomo prima di aver camminato per due settimane nei suoi mocassini”.
8. IL DARE - La felicità non si trova nel possedere o nell’ottenere per se stessi, bensì nel dare e nell’aiutare gli altri. Più gioia e felicità diamo agli altri, più ne riceviamo. Ogni giorno posso creare la felicità nella mia vita andando in cerca di opportunità per diffondere la gioia.
9. LE RELAZIONI - La qualità della mia vita è la qualità delle mie relazioni. Nessun uomo è un’isola. Tutti noi abbiamo bisogno di relazioni con gli altri. Una gioia condivisa è una gioia raddoppiata, ma un problema condiviso è un problema dimezzato. Tratta chiunque incontri pensando che forse non lo rivedrai mai più.
10. LA FEDE - La fede è il fondamento della felicità. Senza la fede, non esiste felicità durevole. La fede crea fiducia, porta la pace della mente e libera l’anima dal dubbio, dalla preoccupazione, dall’ansia e dalla paura. Dio è per la gioia e la vita.
• Provate a fare il vostro elenco delle regole della felicità.
• Provate a fare anche un elenco di regole in negativo: cosa NON si deve fare secondo voi per la felicità?
• Al posto dei vostri genitori come fareste questo elenco?
• Pensate a una persona che secondo voi è sempre serena (nonostante i problemi e le difficoltà). Qual è secondo voi il suo elenco di regole?
GRAZIE, SIGNORE
“La santità consiste nello stare molto allegri”
Signore Gesù, come Domenico Savio,
anche noi vogliamo imparare questa grande via alla santità: la gioia!
Non è sempre facile sorridere.
Soprattutto alla nostra età a volte capita di essere tristi senza sapere perché.
Eppure la gioia non è solo un sorriso che viene facilmente,
è anche una decisione, un impegno.
E noi abbiamo una grande fonte di gioia e un grande segreto
per riuscire a sorridere anche nei momenti più duri:
la certezza che tu ci vuoi bene, sei sempre con noi e fai tifo per noi.
Ti preghiamo: aiutaci a non dimenticarlo,
aiutaci a trovare sempre la forza di alzare la testa e sorridere,
aiutaci a ringraziarti per tutto quello che ci doni
anche per i momenti di sofferenza, perché ci aiutano a crescere.
Ti preghiamo: rendici portatori di gioia a tutti quelli che incontriamo.
3. Santità: misura alta dell’amicizia con Gesù
QUASI LETTERA AI RAGAZZI (O AGLI ANIMATORI)
Amico dell’Amico
Siamo giunti al cuore del discorso sulla santità.
Questo cammino che stiamo percorrendo non è progressivo, a tappe, nel senso che prima viene il primo e poi il secondo, e così via. Così che Gesù viene come terzo, e solo dopo che si è scoperto quello che lo precede e alla fine, se c’è tempo e ancora energia, si fa qualcosa per gli altri.
Se il cammino dovesse essere veramente progressivo, allora l’amicizia con Gesù verrebbe assolutamente prima, e basterebbe solo quella, perché qui dentro c’è la chiave e la ragione di tutto il resto.
Se partiamo dalla vita e dalla gioia, è perché questa è l’esperienza più comune, più condivisa, più immediatamente percepibile visto che vivi e stai crescendo.
Ma in uno sguardo di fede (che è lo sguardo con cui ti guarda Dio, e quello che devi apprendere per vederti veramente) il cuore, la chiave, la ragione di tutto questo è Gesù e il suo rapporto con te (e il tuo con lui).
Sì, Gesù, quel bambino di Betlemme e ragazzo di Nazareth e uomo adulto in giro per le strade della Palestina per parlare di Dio e di quanto è buono e misericordioso, come il padre di quel ragazzaccio scappato di casa e finito male, ma che ritrova dignità e amore nuovamente e solamente tra le braccia di suo padre. Quell’uomo che si è fatto amico di tutti, specialmente dei più poveri e peccatori, che per difendere il suo Dio ha accettato la morte sulla croce ma poi è risuscitato per la potenza dello Spirito, e da allora è il Signore di tutti, anche di te e di me.
Quel Gesù che già da piccolo aveva capito che scopo della sua vita era dedicarsi alle cose del Padre suo, e che al momento del dolore supremo non ha rifiutato il calice amaro e ha accettato fino in fondo di fare la volontà di Dio. Quel Gesù che appena poteva scappava in solitudine, sulla montagna, di buon mattino per affidarsi al Padre e consegnargli se stesso. Quel Gesù che era un amico grande di Maria e Marta e Lazzaro, di Maria Maddalena, dei suoi amici apostoli che aveva chiamato a seguirlo, che piange quando vede qualcuno soffrire e si fa in quattro per aiutarli, anche con miracoli... persino per cambiare l’acqua in vino per due sposi ignari, per non togliere loro neanche una goccia di felicità.
Quel Gesù che aveva detto che la cosa più importante è amare, amare Dio e amarci tra di noi, e che lui stesso ha amato tutti fino a gridarlo con l’ultimo suo respiro con le braccia tese sulla croce...
Ecco, di questo Gesù sei chiamato a essere amico. Un amico esigente che entra nella tua vita con dolcezza ma con forza e ti chiama e essere pro o contro, con lui o contro di lui, alla sua sequela nella luce o nell’ombra dei tuoi affanni ed egoismi, che vuole essere il Signore della tua vita.
Un amico che chiede di essere conosciuto, ascoltato, preso sul serio, e che ti chiede di decidere e deciderti.
Come vedi, non è un discorso di amicizia tranquilla e rassicurante, che ti lascia come sei. Ti tira fuori da te stesso, ti offre orizzonti nuovi, i suoi orizzonti (è questo il famoso “regno di Dio” che lui predica e rende presente).
Non è solo un discorso di conoscerlo (attraverso la lettura del Vangelo e, per i più grandi, della storia sacra che lo prepara e annuncia), ma di ascoltare la sua parola ed accoglierla nella tua vita.
Lo ricordo ancora don Pascual.
Incontrare Gesù vuol dire:
“- capire la propria vita dalla fede, come dono di Dio e frutto del suo amore, e viverla sempre nella sua presenza con un atteggiamento filiale;
- desiderare e vivere un incontro personale di amicizia con Gesù e con Maria sua Madre, attraverso una preghiera semplice e perseverante, la partecipazione frequente e impegnata ai sacramenti, specialmente l’Eucaristia e la Riconciliazione;
- approfondire la formazione cristiana, illuminare le situazioni e i problemi della vita con la Parola di Dio, assicurare un impegno costante e generoso di miglioramento della vita”.
Anche Madre. Antonia lo dice con chiarezza e forza, a riguardo di Laura, la “pazzerella di Gesù”: “L’amore per Gesù era come la fonte da cui zampillava l’amore per Maria: tutto prendeva luce dal mistero di Gesù vivente nell’Eucaristia e ogni scelta era motivata dalla fede in Lui”.
Gesù come acqua viva, l’amicizia con Gesù come la fonte da cui scaturisce tutto.
Come fonte della vita e dell’amore per la vita; come fonte della gioia e della gioia vera; come modello e forza dell’amore nella famiglia e verso gli amici e dell’impegno per gli altri.
Santità come misura alta di questa amicizia...
L’amicizia con Gesù non si calcola col misurino... la sua misura è la totalità, la continuità, la fedeltà.
INTERVISTA PARALLELA
Chi è Gesù per te?
D. Un amico di cui non puoi fare a meno. Uno con cui vivere e per il quale vivere. Colui che ti indica come puoi essere felice. Una persona formidabile che sa trasformare ogni istante in un grande momento!.
L. Gesù è la gioia della mia vita. Quello che posso incontrare qualunque cosa stia facendo. Uno con cui parlo continuamente, che mi ascolta sempre, mi capisce, mi conforta, mi ama, mi sostiene. Sempre presente anche se non lo senti.
Come è considerato secondo te Gesù dai ragazzi del terzo millennio?
D. A me pare che non lo conoscano affatto. Se infatti lo conoscessero, gli darebbero un po’ di importanza, perché se lo conosci… non puoi evitarlo! Forse non hanno nessuno che gliel’abbia fatto conoscere.
L. Non so come sia possibile vivere senza l’amicizia di Gesù. Secondo me è questo il motivo per cui molti ragazzi sono scontenti, tristi, insoddisfatti…
Vuoi dare un consiglio alla nostra società…?
D. State con Gesù, parlate con Lui, ascoltate quello che dice e fate quello che vi indica! Diventate amici della sua mamma e non avrete più paura di nulla. E poi... io credo ancora che è preferibile qualunque cosa, anche la morte, all’ingiustizia, al non amore, al peccato.
L. Se volete vivere una vita piena, di cui essere soddisfatti, non potete fare a meno di Gesù. Lui è tutto, Lui vi segue, vi accompagna, vi precede, Lui è la via, la verità e la vita. Sia Lui all’inizio e alla fine di ogni vostra giornata, di ogni vostro lavoro, di ogni vostra esperienza!
Nel tuo dialogo con Gesù Egli che cosa ti dice?
D. Ama gli altri come te stesso, amatevi come io vi ho amato, amate i vostri nemici, porgi l’altra guancia…
L. Beati voi poveri, beati voi puri di cuore, beati voi che ora piangete perché sarete consolati, vedrete Dio, vostro sarà il paradiso.
E tu che cosa gli dici?
D. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei, ma per pietà fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato!
L. O mio Dio, voglio amare e servire te solo tutta la mia vita; ti dono il mio cuore, la mia anima, tutto il mio essere. Dammi una vita di amore e... accetto anche il sacrificio.
Prova a rispondere tu alle stesse domande.
Poi, alla fine, sottolinea gli elementi simili e quelli diversi per tutti e tre.
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI LAURA
Il suo paradiso
Finalmente Junìn e il nuovo anno scolastico l’attendono. Vi arriva come a una festa. Laura è un tipo allegro. Le piacciono le ricreazioni, i divertimenti animati, la compagnia. Qui può ritrovare le vecchie amiche e conoscerne di nuove. Qui è tutto semplice e schietto. Si sente a suo agio, felice. Junìn, lo dice lei stessa, è il “suo paradiso”.
Qui ritrova il suo confessore. H scoperto nel sacramento della confessione la strada maestra per scrutare la sua anima, confidare i desideri del suo cuore, chiedere consigli, esporre, interrogarsi. Amanda la prende un po’ in giro, per questo suo assiduo tornare al confessionale. Ma lei tranquilla risponde: - Dopo la confessione mi sento più forte, e ogni cosa mi è più facile.
Ha un carattere forte e dolce.
Dalla Colombia è arrivata una nuova, giovane insegnante che l’affascina con la sua parola e la sua vita: Suor Anna Maria Rodriguez. Vuole per le sue alunne una giovinezza splendida. I giovani possono salire le vette.
Laura approfitta di questa presenza, tanto più che si sta preparando alla Prima Comunione. È un eccezione, quei luoghi, riceverla a soli dieci anni.
Ma lei è pronta. La sua direttrice e Don Crestanello, il confessore, avendo compreso il segreto dolore della sua anima, vogliono darle questa gioia sapendo quanto lo desidera.
Il dono più bello
- Così quest’anno farai la prima comunione.
- Laura rimane senza parole. Il volto si infiamma per la felicità. Ma subito il pensiero vola a Quilquihuè. Chissà se quel giorno sospirato sarà la rinascita anche per la mamma! Scoppia in singhiozzi. –Piangi Laura?- le domanda la direttrice affettuosamente – non sei contenta? – Oh sì! – balbetta asciugandosi i lacrimosi- Penso alla mamma…Povera mamma!
Il due giugno la chiesetta risuona di canti. È il grande incontro. Inginocchiata al suo posto col capo chino, Laura esorta un dolce dialogo con Gesù. Gli parla di tutti. Gli offre la sua anima, il suo cuore, tutto il suo essere. Prende propositi eroici: Si impegnerà perché tutta la sua vita sia, a qualunque costo, un dono d’amore.
Donna Mercedes è arrivata per l’occasione con l’abito bianco, cucito da lei stessa e con altri doni. Laura ha sperato fino alla fine che le facesse anche il dono più bello. Ma la mamma non si accosta con lei all’eucarestia . Confusa tra la piccola folla, misura l’abisso che la separa dalla sua primogenita. Scorge nella sua Laura infatti una maturità nuova e ne teme lo sguardo profondo. Che cosa nasconde? Un rimprovero? una supplica?
Spesso visita le sue bimbe e le ricolma di regali: vestiti profumi, dolci … Amanda ne gioisce e si impadronisce di ogni cosa con egoismo infantile. Laura ringrazia, ma l’ombra nei suoi occhi rimane ferma. Sono altri i doni che desidera.
Una collana azzurra
Le migliori ragazze del collegio per la Festa dell’Immacolata, 8 dicembre, chiedono di far parte dell’associazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Una scelta libera, desiderata. Bontà e purezza sono gli impegni di chi vuole appartenevi, di chi ha scoperto nella Madonna in Modello splendido, una Madre tenerissima.
Laura, con le sue amiche più care, ne fa domanda e si prepara con la solita serietà. Ad una ad una, biancovestite, le fanciulle si presentano all’altare. Ricevono un nastro azzurro con la medaglia della Madonna, segno eterno della loro consacrazione. La gioia trabocca dal cuore. “Il giorno in cui mia sorella ricevette il nastro di figlia di Maria – dirà Amanda – fu uno dei più felici per lei”.
Quel nastro diventa la sua collana preferita. Lo tiene sempre con sé. Resterà ai piedi del suo letto, accomodato con cura a forma di M, anche durante la lunga e difficile malattia.
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI DOMENICO
Il giorno più bello
Ricordando la sua prima Comunione, si vedeva sul suo volto una gioia viva. Diceva: “Quello fu per me il giorno più bello. Veramente un grande giorno!” Scrissi alcuni ricordi che conservava gelosamente e che rileggeva sovente. Eccoli:
“1. Mi confesserò molto sovente e farò la Comunione tutte le volte che il confessore me lo permetterà.
2. Voglio santificare i giorni festivi.
3. I miei amici saranno Gesù e Maria
4. La morte, ma non peccati”
Se tra quelli che leggeranno queste mie pagine ci fosse qualcuno che avesse ancora da fare la prima Comunione, io voglio esortarlo a prendere come modello Domenico Savio. Siate persuasi che se fatta bene, essa pone un solido fondamento cristiano a tutta la vita. È cosa strana trovare qualcuno che ha fatto bene la prima Comunione e poi non è vissuto da buon cristiano. Al contrario, ci sono migliaia di giovani che si comportano male e sono la croce dei loro genitori e di chi si occupa di loro. Se si va a cercare la radice del loro cattivo comportamento, si nota che la loro condotta cominciò ad essere cattiva nella poca o nessuna preparazione alla prima Comunione. È meglio tramandarla, anzi è meglio non farla, che farla male.
Estasy
Un altro giorno, terminate le preghiere di ringraziamento dopo la Messa, sto per uscire dalla sacrestia quando sento dietro l’altare una voce. Sembra uno che discuta. Vado a vedere e trovo Domenico che parla, poi si arresta come per ascoltare la risposta. Fra le altre cose, sentii chiaramente queste parole: “Si, mio Dio, ve l’ho già detto e ve lo dico di nuovo: io vi amo e vi voglio amare per tutta la mia vita. Si, preferisco morire che offendervi”.
Qualche volta gli domandai che cosa facesse quando ritardava a uscire di Chiesa. Con semplicità mi rispondeva: “povero me, mi prende una distrazione, perdo il filo delle preghiere e mi pare di vedere cose tanto belle che ore volano via in un momento”.
MATERIALI
1. La presenza di Dio
Storie dei Padri del deserto
Un giorno un giovane monaco chiese al suo abate, da tutti considerato una persona santa: “Come posso essere certo di essere alla presenza di Dio?”. L’abate rispose: “Tu hai tanto controllo su di essa quanto hai potere di far sorgere il sole”. Esasperato, il giovane esclamò: “Ma allora a cosa servono tutti i nostri esercizi spirituali e le preghiere?”. “Tu fai queste cose per essere certo di essere sveglio quando si leva il sole”.
2. “Tu, chi dici che io sia?”
Quando, da adolescente, mi è arrivata all’orecchio questa domanda mi sembrava ancora uno degli interrogativi inutili al quale dare una risposta da “dizionario” oppure, al massimo, per far contento il “don”.
La scontata domanda da catechismo ha iniziato a “provocare” quando sono giunte le prime grosse delusioni nell’amicizia, le responsabilità nelle scelte scolastiche, la fatica di scorgere la direzione giusta. In quella nebbia i miei occhi in ricerca hanno scorto nei “don”, in alcuni amici e in qualche adulto una “marcia in più”: tutti costoro raccontavano che la “marcia in più” era frutto dell’incontro con Gesù, dell’aver accolto l’annuncio del Vangelo.
Quando ho riconosciuto di avere anch’io bisogno di questo strano Signore che si è fatto “servo”, quando mi sono lasciato dire da Gesù che Egli ha dato la sua vita sulla Croce per me e per tutti, la domanda ha cambiato ulteriormente forma. Un giorno, Egli stesso mi ha fatto la domanda: “Tu, chi dici che io sia?”... Da quel momento quante volte ho ritoccato la risposta per tentare di renderla più bella possibile.
Lui incontra ciascuno in modo unico: ci sono delle costanti (la Parola di Dio, le persone povere e sofferenti, la Santa Messa, la famiglia e la comunità...) ma le variabili sono infinite. È bello stupirsi ogni volta della sua fantasia per giungere al cuore di tutti... Ma la domanda incalza: “Tu chi dici che io sia?”.
“Chi è Gesù Cristo per te?”... è un dono sentirsi rivolgere questa domanda ed è un dono rispondere: al Figlio di Dio che dona la Vita per me l’unica risposta possibile è accogliere il dono di decidere di donare anch’io la vita con lui... e lasciarmi condurre. Dal poco della mia risposta Lui è capace di “grandi cose”, è capace anche di imbandire un banchetto dove invitare tutti, proprio tutti, ad una festa senza fine.
(Don Danilo Barlese, 36 anni)
3. Chi è Gesù per me?
Chi è per me Gesù? Egli è la mia vita! Colui che mi ha amato tanto da donare la Sua stessa vita per me. Colui che ha scelto di soffrire e morire per riconciliarmi con Dio, Suo Padre...
Gesù è il mio salvatore, attraverso il suo sacrificio posso avere la vita eterna con Dio; Gesù è anche il mio Signore, Egli dirige la mia vita e si prende cura di me, anche nei piccoli particolari. Ho messo la mia fede in Lui, gli ho donato il mio cuore e non tornerei mai indietro, nel mondo non si può trovare amore così grande... (Michela)
4. Ho imparato a dialogare con Dio
Ciao a tutti, sono una ragazza di sedici anni e frequento l’Istituto Tecnico Commerciale.
Fin da piccola ho frequentato la parrocchia, non perché costretta, ma per una scelta personale, per manifestare la gioia che sentivo nel profondo del cuore. Ho partecipato per diverso tempo agli incontri del gruppo giovanile mariano. Attualmente faccio parte del gruppo adolescenti che il giovedì si incontra per approfondire il cammino di fede. I risultati sono stati più che soddisfacenti: ho ampliato le mie conoscenze e sconfitto la timidezza. Inoltre mi accorgo che siamo in grado di dialogare più facilmente con Dio, sempre pronto ad aiutarci nelle difficoltà della vita e a comunicare agevolmente con le persone presenti nella realtà quotidiana. Sono una ragazza molto fortunata.
5. Ho vinto la noia!
Sono Elisa, ho 16 anni, sono molto timida, e l’andare a scuola mi aiuta moltissimo, perché mi mette in contatto con nuove persone di altri paesi. Ma non solo a scuola io riesco a confrontarmi con ragazzi e ragazze della mia età, ma anche all’incontro settimanale in parrocchia.
Seguo una serie di incontri utili per la nostra crescita interiore. Io, un po’ per gioco, un po’ per curiosità, iniziai ad andare alle riunioni. Ancora oggi ci vado, e devo dire che le trovo davvero interessanti e costruttive. Abbiamo anche partecipato a dei ritiri spirituali. Questo può sembrare alquanto strano e noioso, ma sono stati molto tonificanti perché ho potuto conoscere di più me stessa e Dio. Non pensate mai che tutte queste esperienze non servano a nulla, anzi mi ritengo davvero fortunata perché tanti miei coetanei, dopo la cresima, non hanno più messo piede in chiesa. Tra le cause che portano un ragazzo ad allontanarsi dalla pratica religiosa ci può essere la noia. Non si è scoperto o meglio approfondito, a tal punto da ritenerlo indispensabile, l’incontro con Dio.
Ho l’impressione che diversi considerino la preghiera monotona e noiosa; ma non è vero, al contrario, il dialogo con Dio, personale o comunitario, porta alla serenità nel cuore, alla certezza che Dio Padre ci ama immensamente. Provare per credere, come diceva una vecchia pubblicità.
6. Canzone
The prayer (Andrea Bocelli / Celine Dion)
(…)
La luce che tu dai
I pray we’ll find your light
Nel cuore resterà
And hold it in our hearts
A ricordarci che
When stars go out each night
L’eterna stella sei
Nella mia preghiera
Let this be our prayer
Quanta fede c’è
When shadows fill our day
(…)
7. “Un amico speciale”
“Caro amico,
io ti voglio bene con tutto il mio cuore.
Mi basta sapere che sei giovane
perché ti voglia molto bene.
Nel tuo cuore porti il tesoro
dell’amicizia con il Signore.
Se lo conservi, sei ricchissimo.
Se lo perdi, diventi una delle persone
più infelici e più povere del mondo.
Il Signore sia sempre con te,
e ti aiuti a vivere come un suo amico.
Se ti comporti così, ti assicuro
che Dio sarà contento di te,
e salverai la tua anima: la cosa
più importante della tua vita.
Dio ti regali una vita lunga e felice.
L’amicizia del Signore sia sempre
la tua grande ricchezza nella vita terrena
e nell’eternità”.
Sono il tuo amico.
Don Giovanni Bosco
8. Dopo una giornata particolarmente dura
Martin Luther King
Dopo una giornata particolarmente dura, andai a letto a tarda ora. Mia moglie era già addormentata e io quasi sonnecchiavo, quando il telefono squillò, e una voce irosa disse: “Stai a sentire, negro, noi abbiamo preso tutti quelli di voi che abbiamo voluto. Prima della prossima settimana, ti dispiacerà di essere venuto a Montgomery”. Io riattaccai, ma non potei dormire: sembrava che tutte le mie paure mi fossero piombate addosso in una volta: avevo raggiunto il punto di saturazione.
Mi alzai dal letto e cominciai a camminare per la stanza; infine andai in cucina e mi scaldai una tazza di caffè. Ero pronto a darmi per vinto. Cominciai a pensare ad una maniera di uscire dalla scena senza sembrare un codardo.
In questo stato di prostrazione, quando il mio coraggio era quasi svanito, decisi di portare il mio problema a Dio. La testa tra le mani, mi chinai sul tavolo di cucina e pregai ad alta voce. Le parole che dissi a Dio quella notte sono ancora vive nella mia memoria: “Io sono qui che prendo posizione per ciò che credo sia giusto. Ma ora ho paura. La gente guarda a me come a una guida, e, se io sto dinanzi a loro senza forza né coraggio, anch’essi vacilleranno. Sono al termine delle mie forze. Non mi rimane nulla. Sono arrivato al punto che non posso affrontare questo da solo...”.
In quel momento sperimentai la potenza di Dio come non l’avevo mai sperimentata prima. Mi sembrava di poter sentire la tranquilla sicurezza di una voce interiore che diceva: “Prendi posizione per la giustizia, per la verità. Dio sarà sempre al tuo fianco”.
La paura si allontanò per sempre e fui pronto, nel nome di Dio, ad affrontare ogni pericolo, ogni prova.
Sentivo che in un mondo buio e confuso il regno di Dio può ancora regnare nel cuore degli uomini... Dio non ci lascia soli nelle nostre agonie e nelle nostre battaglie: ci cerca nelle tenebre e soffre con noi.
9. Pregando, posso amare i poveri
Madre Teresa di Calcutta
Un giorno Madre Teresa parlò con un seminarista. Guardandolo con i suoi occhi limpidi e penetranti gli chiese: “Quante ore preghi ogni giorno?”. Il giovane rimase sorpreso da una simile domanda e provò a difendersi dicendo: “Madre, da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare di più i poveri. Perché mi chiede quante ore prego?”.
Madre Teresa gli prese le mani e le strinse tra le sue quasi per trasmettergli ciò che aveva nel cuore. Poi gli confidò: “Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri! Ricordati: io sono soltanto una povera donna che prega; pregando, Dio mi mette il suo Amore nel cuore e così posso amare i poveri. Pregando!”.
SCHEDA DI LAVORO
Domenico Savio e Laura Vicuña hanno sentito la presenza di Gesù accanto a loro molto naturale e quotidiana. Questo è possibile anche per ognuno di noi.
- I brani 1, 2 ,3, 4, 5 sono testimonianze molto normali di persone che si sono confrontate con Gesù, che si sono chieste o si sono sentite chiedere “Chi è Gesù per me?”. Anche i ragazzi del gruppo possono porsi questa domanda. Affidiamo loro uno di questi brani. Ognuno lo legge e prova a spiegare agli altri che cosa ha letto, chi è Gesù per la persona di cui ha letto. Quindi, dopo un istante di silenzio in cui ciascuno si chiede “Chi è Gesù per me?”. si condivide la riflessione. Un cartellone che illustri chi è Gesù per il gruppo può essere la conclusione interessante della riflessione.
- La bellissima canzone di Andrea Bocelli e Celine Dion (6) parla della preghiera, è una preghiera. Dice che la preghiera dà forza, e chiede a Dio di proteggerci. Possiamo chiedere ai ragazzi se condividono quello che la canzone dice, quale espressione li colpisce di più. Ma possiamo anche chiedere: che cos’è per voi la preghiera? Voi come pregate? Che cosa chiedete nella preghiera? Conoscete una persona che secondo voi sa veramente pregare e prega davvero?
- Il brano numero 7 è un invito a prendere sul serio l’amicizia con il Signore. È Don Bosco che parla. Invitiamo i ragazzi a leggere più volte queste parole, pensando che Don Bosco le ripete proprio a ciascuno di loro. Poi se ne può parlare: che cosa ci rende difficile ricordare che il Signore è con noi, ricordare la necessità del Signore? C’è qualcuno che ogni tanto, lungo la giornata si ricorda di Gesù?
- La testimonianza di Martin Luther King (8) è molto toccante. Ci convince della potenza della preghiera. E tutti sappiamo che lui è stato ucciso, ma la sua causa ha vinto e grazie a lui il razzismo è stato sconfitto in America! Dopo aver letto insieme il brano si può chiedere ai ragazzi se viene loro in mente la storia di qualche santo o di qualcuno che ha sperimentato la potenza della preghiera (Padre Pio, San Francesco, Don Bosco…?).
- Ma la potenza della preghiera non si esprime solo con i miracoli o le grazie ricevute… il seminarista che si sentì chiedere da Madre Teresa “quanto preghi?” (9) si aspettava una domanda più concreta. Invece la preghiera dà la forza. Allora, dopo aver letto il breve brano possiamo metterci a pregare come suggerisce l’attività numero 2.
ATTIVITÀ
1. Pregare
Osservate i seguenti disegni: quanti atteggiamenti di preghiera rappresentano? Qual è la preghiera più facile e vera per voi? Quale più difficile?
(DISEGNI)
2. Pregare con le cose
Si può pregare anche con gli oggetti quotidiani. Ecco un esempio... con il portapenne e con il cellulare.
Continua tu... con il walkman, con le scarpe da ginnastica, con l’orologio, con il telecomando, con i poster, con...
Preghiamo con il portapenne
Il portapenne… uno degli oggetti di scuola più cari che ci siano.
Nel portapenne c’è tutta la mia vita scolastica: i biglietti inviati o ricevuti, i piccoli portafortuna per le interrogazioni, la biro che preferisco, le matite rosicchiate di nervoso e pennarelli per i miei capolavori artistici.
Il portapenne, compagno di sventura, e di momenti belli, simbolo dell’allegria e dell’amicizia tra compagni, ma anche simbolo del lavoro a scuola, di temi, di compiti di matematica, di impegno più o meno attuato…
Grazie, Signore, per i miei giorni di scuola, grazie per quanto vivo in classe, per la soddisfazione nello studio, per la compagnia di tutti, grazie per la nostra adolescenza che si svolge tra i banchi in compagnia del portapenne.
Aiutami a dare il meglio di me in ogni istante.
Preghiamo con il cellulare
Signore ecco lo strumento che forse vorremmo tenere in mano più di tutti: il cellulare!
Con il cellulare noi comunichiamo, ci dichiariamo i sentimenti diciamo mille volte TVB, capita anche di bisticciare con gli sms e soprattutto di chiedere scusa e di fare pace il cellulare è ciò che ci fa sentire vicini gli amici basta uno squillo: ci 6? Ci sono!
Con il cellulare possiamo non sentirci soli mai.
Il cellulare rappresenta l’amicizia, la comunicazione, l’intesa, l’affetto, l’amore, la possibilità di cancellare la tristezza, la noia, la solitudine.
Ti ringraziamo per questa possibilità che le nuove tecnologie offrono, ma ti chiediamo perdono, Signore, per tutte le volte in cui abbiamo sprecato tempo e soldi per le volte in cui ci siamo vantati di avere il cellulare con chi non ce l’ha ancora, e per quando ci siamo serviti del cellulare per comunicare messaggi negativi, invece che messaggi di bontà.
GRAZIE, SIGNORE
Signore Gesù, amico della nostra vita
vogliamo ringraziarti con tutto il cuore, perché, anche se non sempre ce ne accorgiamo,
tu sei sempre con noi e vuoi esserci amico.
Grazie per tutti i momenti in cui entri nella nostra vita:
grazie per il dono dei sacramenti, per la preghiera e per la tua presenza nei fratelli.
Grazie perché la tua amicizia è incominciata quando neppure ci rendevamo conto: nel Battesimo
Grazie perché nell’Eucaristia diventi un nutrimento che ci dà forza;
Grazie perché nel sacramento della riconciliazione ci fai sperimentare la bellezza
del tornare da te;
Grazie perché dove due o tre sono riuniti nel tuo nome tu sei presente;
grazie per la pace e la serenità che sa dare l’incontro con te nella preghiera.
Grazie per il dono immenso che è la tua Parola,
per le pagine così belle del Vangelo che ci avvicinano di più a te;
E grazie per la tua presenza nei fratelli,
per tutte le persone che rendono trasparente la tua presenza,
ma anche per quelle persone che rendo più difficile il riconoscerti:
ci fanno sperare che allora è possibile riconoscerti anche in noi.
Ti preghiamo: aiutaci a parlare di te con tutti;
che tutti comprendano quanto sei importante per noi
e sentano il desiderio di averti come amico.
4. Santità: misura alta della vita in famiglia
QUASI LETTERA AI RAGAZZI (O AGLI ANIMATORI)
Starci dentro
Già, la vita in famiglia. Essere “santi” in famiglia.
Di tutto si può pensare e dire circa la famiglia, ma il discorso della santità della e nella famiglia è forse l’ultimo che viene in mente. Magari uno può pensare a qualche nonna o zia particolarmente buona (“dai, diciamo le preghiere, il rosario...”), forse un po’ bigotta... ma oggi tutto sembra fuorché un luogo di santità e dove fiorisce e dove si apprende la santità. Non è più facile vederla fuori, la santità? Non è più facile praticarla fuori? Ma lì a casa, con questo papà e questa mamma (“quanto rompi!!!”), con il fratellino rompiscatole o la sorellina che ficca il naso dappertutto e non ti lascia un attimo in pace... beh, proprio facile non è.
Eppure o si riesce a essere cristiani sul serio (e dunque santi), non solo bravi ragazzi e ragazze, a casa, con i tuoi, oppure...
Vedi, fino ad adesso hai capito cosa vuol dire essere santi, e cosa ti regala esserlo: vuol dire vivere la vita pienamente, aprire il cuore alla vera gioia, conoscere e diventare amico di Gesù...
Da adesso in poi puoi fare un passo un pochino più difficile: capire come esserlo e dove esserlo. E ti vengono proposti gli ambienti dove tu vivi quotidianamente. È qui dentro che ci credi e lo diventi, almeno cerchi, oppure dove se no? Vedi, è sempre facile esserlo o desiderarlo “altrove”, da qualche altra parte, per qualche altro tempo... “Dedicherò tutta la mia vita agli altri... Confesserò col sangue la mia dedizione a Gesù... Darò la mia vita per i poveri come Madre Teresa...”. Cioè domani, da un’altra parte... non ho tempo o voglia di esserlo qui-adesso.
La famiglia è il luogo dove tu ti apri alla vita, alla gioia, all’incontro con Gesù... dove tu comprendi e sperimenti cosa vuol dire imparare ad amare.
È il luogo dove impari l’alfabeto dello scambio e del dono, dove apprendi cosa è importante e cosa no, dove le relazioni hanno un nome e un volto, dove il sacrificio è vissuto con un sorriso, dove si impara a rispettare persone e cose, a dare e non solo a ricevere... dove puoi avere degli esempi vissuti, delle testimonianze di come crescere sani, buoni e onesti, aperti alle cose belle e a Dio.
Lì dentro trovi le energie che ti aiutano nella tua crescita, perché le ricavi dall’affetto reciproco, dal bene che ci si vuole.
La famiglia è tutto questo, anche se qualche volta lo è solo in piccola parte, quando essa stessa vive nella difficoltà o nella disunione.
Certo, non è detto che essa sia l’unica determinante: anche da famiglie meno fortunate possono venire fuori ragazzi e ragazze eccezionali; o da ottime famiglie dei figli un po’... scapestratelli. Ma certo la famiglia è e resta il primo ambito di educazione, dove i valori, quelli veri, vengono appresi, capiti, vissuti.
Cosa vuol dire allora vivere una misura alta di santità nella vita di famiglia?
Vuol dire accettare di essere figli. Cioè persone che apprendono e imparano cosa vuol dire crescere, che entrano in relazione di affetto con diverse altre persone e ruoli (genitori, fratelli e sorelle, altri familiari), che apprendono e vivono i valori fondamentali, che imparano ad instaurare relazioni corrette, che danno il loro contributo senza essere (troppo) egoisti, che imparano cosa vuol dire impegnarsi, essere onesti e leali, a dire la verità; che imparano anche a bisticciare, a confrontarsi, ad avere idee diverse senza per questo scappare o chiudersi o rompere...
E che avvertono un’ulteriore presenza misteriosa, soprattutto nel momento comune della preghiera serale, tutti insieme, che è fonte e garanzia dell’amore e dell’unità della famiglia stessa.
Niente più di tutto questo. Ma credendoci e impegnandoti veramente.
INTERVISTA PARALLELA
Parlaci della tua famiglia.
D. Una gran bella famiglia! Io ero il maggiore di dieci figli! Mio padre era fabbro ferraio, aveva una bottega in proprio, la mamma era sarta. C’era molta serenità, ci si voleva bene davvero!
L. Dopo la morte del papà la mia esperienza di famiglia è stata molto triste. Con mia sorella Giulia Amandina e mia mamma abbiamo iniziato un’avventura piena di tristezza. Alla fine posso dire che la mia vera famiglia sono state le suore!
Che cosa ti ha dato la famiglia per la tua crescita?
D. Mi ha dato la capacità di credere nei valori grandi, di dare importanza alle cose importanti, di accogliere chiunque e di far sentire ciascuno a proprio agio.
L. Al collegio ho imparato che la famiglia è indispensabile per crescere, che a voler bene si impara in famiglia, che la mamma e il papà sono indispensabili per chi cresce.
Che cosa rende stabile e significativa la famiglia?
D. Per la mia esperienza la fede aiuta una famiglia a rimanere unita. Poi è importante la sincerità, ma anche l’umiltà e a volte il saper tacere.
L. Ci vuole l’amore, ma l’amore vero, quello che sa dare la vita per l’altro, che sa amare anche i limiti, che sa passare sopra un sacco di cose per la gioia degli altri. Un amore così ha il suo fondamento in Dio. Senza Dio non c’è amore e senza amore la famiglia crolla!
E quali sono i nemici della famiglia?
D. Nemico della famiglia è il potere, il voler prevalere a tutti i costi sugli altri, e anche l’egoismo.
L. La prepotenza e la violenza, poi l’orgoglio e l’arroganza, e anche il denaro a volte diventa nemico della famiglia.
Tre parole di critica e tre di apprezzamento per le famiglie di oggi?
D. Solitudine, stress, stanchezza. Positivo: attenzione alle piccole cose, apertura, benessere.
L. Mancanza di dialogo, incomprensione, pretese; ma anche voglia di riconciliazione, impegno per far star bene, dolcezza.
Un consiglio ai ragazzi di oggi perché aiutino la famiglia a vivere.
D. Indovinate i desideri degli altri e portate gioia.
L. Fate di tutto per far sentire quanto amate la vostra famiglia!
Prova a rispondere tu alle stesse domande.
Poi, alla fine, sottolinea gli elementi simili e quelli diversi per tutti e tre.
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI LAURA
L’amara scoperta
Suor Azocar stamattina parla del matrimonio, il sacramento con cui Dio chiama l’uomo e la donna a collaborare al suo piano di creatore.
Sa che per il giovane uditorio non è prematuro trattare l’argomento: nella zona le ragazze si sposano giovanissime (la stessa Amanda lo farà a soli 12 anni). Purtroppo sono molte le convivenze illegittime, fino al 60,65%. Meglio affrontare prima il tema con chiarezza. Laura come sempre, ascolta attenta. Ma ad un tratto si fa pensosa, poi sgrana gli occhi incredula. Ha paura di aver capito fin troppo bene. La situazione della mamma le è ora davanti in tutta la sua crudezza: lo stabilirsi nella estancia di Quilquihuè, l’inaspettato benessere, l’interessamento di Manuel Mora… Laura impallidisce e si aggrappa al banco. Le compagne le sono intorno premurose:
- Laura, che cosa succede?
Non ode nessuno: la verità intuita l’ha schiantata. Qualche minuto dopo l’adagiano sul lettino. la maestra le è accanto premurosa, con una tazza di bevanda calda:
- Prendi, Laura. Riposa.
Riposare… Stamattina Laura si sentiva ancora bambina. Adesso, no. Sente che qualcosa è finito in lei. Adesso comprende, misura valuta. Non condanna, no. Come potrebbe farlo?
Lei e Amanda rappresentano tutto per mamma. Certamente è per loro che ha accettato di andare all’estancia, o per sentirsi meno sola, per sentirsi protetta. La lotta l’ha stancata, povera mamma! Ha finito per cedere le armi. Le riprenderà lei, Laura lotterà per ridarle la vita, per farle conoscere l’amore, il vero amore. Mamma deve allontanarsi da Manuel Mora, deve ritornare a Dio.
“Non c’è amore più grande di chi dà la vita per la persona che ama”.
- Lotterò, Signore, anche a costo della mia vita. Ne vale la pena!
E incominciai a pregare intensamente a offrire tanti piccoli gesti d’amore per ridonare la vita a colei che ama di più.
Aria equivoca
Gennaio 1901: a Junìn è piena estate ed è la fine dell’anno scolastico. Tempo di vacanza, tempo di rientro a Quilquihuè. Laura confida che non vorrebbe andare. Un brivido di paura l’attraversa. Le ricordano che Dio è vicino a chi l’invoca.
Donna Mercedes, orgogliosa della splendida pagella della figlia, è venuta a riprendere lei e Amanda:
- A proposito… - e la voce le si fa esitante – anche nella fattoria potete pregare, se volete. Ma non fatevi vedere dal Mora. Si disgusterebbe.
Arrivate all’estancia, i mandriani, i cavalcanti, i pastori e le loro famiglie circondano Laura di ammirazione. La mamma è tutta premure per lei. Quell’estate nessuno la molesta. Ma c’è un’aria equivoca intorno che non la mette a suo agio.
(Dalla rivista Primavera)
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI DOMENICO
“La prima traduzione del latino”
La gioventù è un’età volubile: quando si è giovani si cambia rapidamente parere, propositi, desideri. Non è quindi raro che un giovane oggi decida una cosa e domani un’altra, oggi sia pieno di buona volontà e domani si abbandoni allo scoraggiamento. Se non c’è una persona che gli stia accanto con attenzione amorevole, può capitare che un ragazzo ben avviato finisca fuori strada. Non capitò così a Domenico. Tutte quelle buone qualità che abbiamo visto nascere e crescere in lui nei primi tempi della sua vita, crebbero in maniera meravigliosa, e in modo tale che una buona qualità non fu mai di danno a un’altra buona qualità.
Giunto nella casa dell’Oratorio, salì nel mio ufficio per mettersi - come diceva - interamente nelle mani dei suoi superiori. Il suo sguardo fu attirato da un cartello che porta a grandi lettere una frase che San Francesco di Sales ripeteva sovente: Da mihi animas, coetera tolle. Lesse attentamente. Io desideravo che ne capisse il significato, perciò lo invitai, anzi lo aiutai a tradurre quelle parole latine: O Signore, datemi anime, e prendetevi tutte le altre cose. Egli riflettè un momento poi disse: “Ho capito. Qui non si cerca di guadagnare denaro, ma di guadagnare anime per il Signore. Ho capito. Spero che anche la mia anima sia guadagnata dal Signore”.
MATERIALI
1. I due genitori
Una giovane coppia entrò nel più bel negozio di giocattoli della città.
L’uomo e la donna guardarono a lungo i colorati giocattoli allineati sugli scaffali, appesi al soffitto, in lieto disordine sui banconi.
C’erano bambole che piangevano e ridevano, giochi elettronici, cucine in miniatura che cuocevano torte e pizze. Non riuscivano a prendere una decisione.
Si avvicinò a loro una graziosa commessa. “Vede”, spiegò la donna, “noi abbiamo una bambina molto piccola, ma siamo fuori tutto il giorno e spesso anche di sera”.
“È una bambina che sorride poco”, continuò l’uomo. “Noi vorremmo comprarle qualcosa che la renda felice”, riprese la donna, “anche quando noi non ci siamo... Qualcosa che le dia gioia anche quando è sola.
“Mi dispiace”, sorrise gentilmente la commessa. “Ma noi non vendiamo genitori”.
Decidere di avere un figlio è contrarre con lui il debito più grande che mente umana possa immaginare.
Tutti i piccoli vengono da noi con il biglietto d’invito per la vita e ci dicono: “Mi hai chiamato. Sono qui. Che cosa mi dai?”.
E qui comincia ogni compito educativo...
2. Tre canzoni
Padre, madre (Cesare Cremonini)
(…)
Padre, occhi gialli e stanchi,
nelle sopracciglia il suo dolore da raccontarmi...
Madre, gonna lunga ai fianchi,
nelle sue guance gli anni e i pranzi coi parenti...
Non mi senti? O non mi ascolti,
mentre piango ad occhi chiusi sotto al letto.
Padre, e se mi manchi
è perché ho dato più importanza ai miei lamenti...
Madre, perché piangi?
ma non mi hai detto tu,
che una lacrima è un segreto?
Ed io ci credo, ma non ti vedo
mentre grido e canto le mie prime note!
Ma se, una canzone che stia al posto mio non c’è,
eccola qua: è come se, foste con me!
(…)
Mi dispiace (Laura Pausini)
Mamma ho sognato che bussavi alla mia porta
E un po’ smarrita ti toglievi i tuoi occhiali
Ma per vedermi meglio e per la prima volta
Sentivo che sentivi che non siamo uguali
Ed abbracciandomi ti sei meravigliata
Che fossi così triste e non trovassi pace
Da quanto tempo non ti avevo più abbracciata
E in quel silenzio ho detto piano... mi dispiace!
(…)
Ma per riuscire a dirti mamma... mi dispiace!
Non è più vero che di te io mi vergogno
E la mia anima lo sento ti assomiglia
Aspetterò pazientemente un altro sogno.
Ti voglio bene mamma... scrivimi... tua figlia
Mario (Jovanotti)
Mi ricordo da bambino che mio padre era spesso arrabbiato con me e non sapevo perché
ritornavo dalla scuola verso l’una e quaranta e la fame era tanta con mia madre che diceva
che c’è? Lorenzo dimmi che c’è? come è andata come mai non dici mai niente?
ma che razza di gente questi figli che ho certe volte non so cosa ho fatto per vedervi dire
sempre no non lo so, non lo so ma ti droghi?
(…)
Questa è la storia che ho detto con la rima baciata
non so forse neanche io perché ve lo raccontata forse il centro di tutto è
quella mano che mio padre mi appoggiò sulla testa questo è quanto mi resta
un ricordo profondo grande come il mondo questo gesto che mio padre ebbe il cuore di fare
questo gesto d’amore mille volte più potente di un pugno in questa notte di giugno in cui scrivo
mi fa essere vivo pronto ad essere padre a mia volta e a spiegare a mio figlio bambino
come ogni destino si unisce si confonde e si intreccia in comune con altre persone gli dirò
che ogni schiaffo e ogni pugno che è dato ogni piccolo diritto che nel mondo è violato
è una ferita per tutti gli esseri della terra e finché non c’è giustizia ci sarà sempre guerra...
SCHEDA DI LAVORO
La vita in famiglia è un luogo importante e difficile per vivere la santità, ma è anche il più urgente.
I brani proposti aiutano i ragazzi a riflettere sulla necessità di avere una famiglia “sana” ma anche sulla responsabilità di ciascuno nella costruzione di un clima sereno.
- Il racconto dei due genitori (1) dovrebbe essere raccontato ai genitori, non ai figli, ma possiamo invitare i ragazzi a chiedersi quante volte anche loro vorrebbero delle cose e non dei genitori…
- Genitori iperprotettivi... (2) è uno spunto per discutere col gruppo. Ognuno può raccontare se i propri genitori sono più o meno iperprotettivi e su come ciascuno vorrebbe che fossero. In un secondo momento si può chiedere ai ragazzi di immaginare quale dovrebbe essere il grado di preoccupazione dei genitori verso i figli…
- Ricordate i fatti di Novi Ligure, Erika e Omar? Può essere un’occasione per parlare delle relazioni in famiglia, delle rabbie nascoste, dei sogni di libertà compressi... e di tutto quello che di brutto ci si porta dentro... anche da parte di ragazzi “normali”.
- Ecco tre canzoni (2) che parlano della famiglia “Padre, Madre” parla di entrambi i genitori; “Mario” di Jovanotti, parla del padre e quella di Laura Pausini parla della madre. Se ci si organizza per tempo sarebbe opportuno reperire i brani e farli ascoltare perché non è detto che siano tutte conosciute, e una canzone sconosciuta è più difficile che faccia riflettere! I ragazzi possono verificare in quale di queste canzoni si riconoscono di più e poi pensare se ci sono altre canzoni che ritengono significative per riflettere sulla famiglia (ad esempio: “No mamma no” di Renato Zero, “Lei è” di Paolo Meneguzzi.
ATTIVITÀ
1. Decalogo per genitori scritto da adolescenti
Il seguente decalogo è stato scritto da ragazzi come voi per i propri genitori. Dopo averlo letto e aver discusso se siete d’accordo o meno, provate a immaginare che cosa potrebbero scrivere i genitori in un decalogo scritto per i figli…
1. Non catalogateci: non siamo fatti in serie. Non c’è un solo modo di essere figli (tutti uguali al primogenito…). Non c’è un solo modo di essere ragazzi, ma mille modi. L’importante è crescere bene. No?
2. Non viziateci. Sappiamo benissimo che non abbiamo bisogno di tutte le cose che vi chiediamo. È di voi che abbiamo bisogno.
3. Continuate a infiltrarvi nella nostra vita: ci fa piacere, anche se spesso reagiamo male. Ma rimanete adulti, non fatevi ragazzi come noi…
4. Siate più allegri, meno seri, più creativi. Non brontolate in continuazione, altrimenti dovremo difenderci facendo finta di essere sordi.
5. Non preoccupatevi se contestiamo, magari in modo maldestro. Un figlio che non contesta è un figlio che ha paura di crescere, come un pulcino che non si dà da fare per spaccare il guscio.
6. Non lasciateci orfani: abbiamo bisogno di una madre (ma che non risolva tutti i nostri problemi) e di un padre con una forte identità maschile.
7. Parlateci di voi. Ci interessa il vostro punto di vista. Aiutateci a pensare, a capire, giustificate le vostre affermazioni, ma lasciateci anche controbattere, altrimenti non impareremo a ragionare.
8. Non giudicateci dalla quantità di gel o dall’altezza dei tacchi o dal tono della voce. Noi siamo molto di più di quello che appare, ma ancora non sappiamo dimostrarlo.
9. Dateci il gusto della fatica, della conquista. Siate esigenti con noi. Dove c’è fatica c’è vita. Chi non fatica non vive. Se sapremo gustare la vita, non avremo paura della morte.
10. Parlateci anche di ciò in cui credete: Dio? I valori? È importante per noi!
2. Casa... Famiglia
Immaginate la vostra famiglia come una casa, disegnatela e ad ogni elemento scrivete che cosa rappresenta per voi (es. le fondamenta = l’amore reciproco; la porta = l’accoglienza cordiale di chiunque….)
• Fondamenta =
• pareti portanti =
• tetto =
• porta =
• finestre =
• gradini =
3. La casa non è un albergo
Quando doveva nascere Gesù non ha trovato posto neanche in un albergo. Avrebbe trovato posto ed ospitalità a casa mia, oppure casa mia per me è solo come un albergo, per cui oggi come allora in un albergo non c’è posto per il Figlio di Dio?
Che differenza c’è fra una casa ed un albergo? Evidenziatene le differenze su un cartellone.
Sono forse le persone che vi abitano, e il rapporto che c’è fra loro, a fare la differenza maggiore fra una casa ed un albergo?
– È già successo che mamma mi dicesse “Guarda che casa non è un albergo?”.
– È già successo che per un po’ di tempo vedessi papà solo di corsa, magari durante cena, con la televisione accesa, e senza la possibilità di parlargli?
– La famiglia, in particolare i genitori, “servono” solo quando siamo piccoli, oppure sono importanti sempre perché ...
– La famiglia, in particolare i genitori, sono figura solo di coloro che mi mantengono e mi danno qualcosa, oppure alla mia età ho già cominciato a ricambiare il loro amore perché ...
– Cerchiamo in gruppo alcune cose belle che ci regalano i genitori, che viviamo grazie a loro, alcune situazioni per cui possiamo solo ringraziarli.
– Poi cerchiamo di elencare le situazioni difficili che viviamo in famiglia, e proviamo a fare luce sulle motivazioni di queste difficoltà.
Volendo fare una festa di compleanno:
– il luogo migliore sarebbe una casa o un albergo?
– mamma e papà dovrebbero andarsene o sarebbero tra gli invitati?
– chi preparerebbe i cibi, le bevande e gli addobbi per ravvivare i locali?
Se la festa di compleanno è quella di Gesù:
– cosa capita a casa mia?
– sono costretto ad obbedire al detto “Natale con i tuoi, capodanno con chi vuoi?”.
– cosa comporta ed importa la nascita di Gesù nella mia solita ed abituale vita famigliare?
Proposta di attività: presentare lo schema dell’arcinoto Monopoli e proporre, a gruppi di 4, massimo 6 persone di giocare: in ogni casella si trova un albergo oppure una casa (il previdente animatore si sarà procurato alberghi e case dalla sua scatola di Monopoli e li sistemerà sulle caselle in numero pressoché uguale, in modo che ci siano tot caselle con alberghi e idem con case).
Carina l’idea di fare dei simpatici segnalini per ogni concorrente (chi ha più fantasia e abilità può costruirli, altrimenti si prendono “prefabbricati”).
Si tirano i dadi e si risponde ad una domanda circa la famiglia o l’albergo (che significa: la vita fuori della famiglia) a seconda della costruzione presente sulla casella.
Ecco alcuni esempi di prove, da riportare su cartoncini (tipo imprevisti e probabilità):
ALBERGO:
• Questa casa non è un albergo: trovare 5 differenze in 30 secondi.
• Cercare 5 comfort di un albergo non presenti in casa.
• Cercare 5 cose belle della vita fuori famiglia.
• Trovare 5 aggettivi riferentisi all’albergo che iniziano per R (o D, U, M….).
• Se fossi un albergatore di Betlemme: come mi sarei comportato con Maria, Giuseppe?
• Gesù sparisce a 12 anni e viene ritrovato nel Tempio. Le parole di Maria potrebbero essere state: “Questa casa non è un albergo”. Come giudichi la risposta di Gesù?
CASA:
• Ritorno al futuro: la mia casa fra 15 anni… sono SINGLE.
• Ritorno al futuro: la mia casa fra 15 anni… sono GENITORE.
• Ritorno al futuro: la mia casa fra 15 anni… sono ZITELLO/A PER FORZA (vivo con i miei genitori).
• Cerco 10 cose che mi donano ogni giorno i miei genitori.
• Se fossi Maria (o Giuseppe) come mi sentirei nel far nascere il Bambino in una stalla? La casa che sognavano per Lui…
• Se fossi un animale: quale rifugio sarebbe la mia casa? (Tana, nido, marsupio della mamma).
• Sono padre/madre di 5 figli: 3 maschi e 2 femmine. Come regolerei le uscite?
• Capodanno: famiglia o amici? Giustifica
• Perché “Natale con i tuoi?”.
• Cambia qualcosa a Natale nella mia famiglia? È vero che si è tutti più buoni?
A seconda di quanto il gioco proceda più o meno speditamente, ognuno dovrebbe rispondere a tre-quattro domande.
Se proprio si vuole rendere competitivo il gioco, vince chi arriva prima al VIA, oppure chi risponde meglio (il giudice è l’animatore)… Ma l’importante è far nascere il confronto, e pertanto alla domanda è bene che intervengano anche gli altri giocatori.
GRAZIE, SIGNORE
Signore Gesù
tu hai voluto regalarci una famiglia:
grande, piccola, serena, problematica, ricca o modesta…
è la nostra famiglia e te ne ringraziamo.
Grazie per i nostri genitori, per il bene che ci hanno voluto e ci vogliono;
Grazie per tutto quello che fanno per noi
rendici figli rispettosi, obbedienti, comprensivi.
Rasserena il loro cuore, allevia le loro fatiche, ricompensa il loro lavoro.
Grazie per i fratelli e le sorelle che rendono allegra la vita,
ma grazie anche se siamo figli unici: possiamo sentire fratelli tantissimi ragazzi.
Ti prego per tutte le famiglie in difficoltà
per le famiglie rattristate dai litigi,
per le famiglie povere che faticano a vivere dignitosamente,
per le famiglie colpite dalla sofferenza, fisica e spirituale…
Assistici nel nostro impegno di essere strumenti di pace nella nostra famiglia,
rendici capaci di accorgerci di chi soffre
donaci di saper dare una parola di conforto, un motivo di gioia, un segno di attenzione.
Fa’ che, anche grazie al nostro impegno,
la famiglia possa diventare una chiesa domestica in cui si vive l’amore fraterno
e sei presente anche tu!
5. Santità: misura alta dell’amicizia con gli altri
QUASI LETTERA AI RAGAZZI (O AGLI ANIMATORI)
Per un amico in più
Amicizia, parola magica. Per un ragazzo, per una ragazza, è la cosa più importante, a una certa età forse anche più della famiglia.
E chi potrebbe negarlo? È quello che cerchi quando vuoi confidarti, quando non sei capito. È quello da cui cerchi approvazione, è quello a cui chiedi consigli, è quello con cui passi più tempo possibile.
L’amico ti fa sentire bene, accettato, forte; è là quando ne hai bisogno (e quando non c’è o non è disponibile lo senti come il più grande tradimento, e la rottura è certa): pensi che l’amico esiste appunto per sostenerti e confermarti, ti aiuta a sentirti “te stesso”, ti fa capire che puoi trovare un ambiente favorevole alla tua crescita anche al di fuori della tua famiglia, instaurando altri rapporti e altri affetti, altre dipendenze e altre autonomie.
Queste cose le dicono le ricerche, e i grossi studi di psicologia. Ma lo sai benissimo anche tu senza la laurea!
Che c’entra allora l’amicizia con la santità? Non è una cosa assolutamente normale? E poi, se l’amicizia è vera, è già sempre incandescente, è già naturalmente una misura alta.
Certo, l’amicizia per un ragazzo è la cosa più naturale e spontanea, la più cercata...
Ma c’è un modo di vivere questa realtà che ti aiuta davvero a crescere, e un altro no.
Ci sono qualità dell’amicizia vera che sono sempre da conquistare e da praticare. E poi c’è un’amicizia che è sempre da allargare, da donare... soprattutto a chi se ne sente escluso. E ancora c’è da vedere cosa c’entra Gesù con le tue amicizie. Rientra anche lui tra i doni che gli amici si possono scambiare reciprocamente?
Sono tutte domande importanti perché anche il rapporto tra amici sia un cammino di scoperta di relazioni sempre più profonde, della cura e attenzione reciproca, dell’apprendimento del sentimento e dell’amore, della scoperta di Gesù in ogni cosa bella della vita.
Don Bosco conosceva l’importanza dell’amicizia tra i suoi ragazzi, e creava le condizioni perché queste si sviluppassero (nelle ricreazioni e nelle passeggiate, nell’aiuto reciproco nello studio, nelle “compagnie”..., a volte “affidando” qualche ragazzo più problematico ad altri). Anzi, voleva che lo stile dell’amicizia e della familiarità regnasse anche tra i ragazzi e gli stessi adulti ed educatori, senza per questo voler fare degli educatori dei semplici “amiconi”. Sapeva che questa era una molla straordinaria per la maturazione dei suoi ragazzi.
Ti cito due sue espressioni, perché contengono due ottimi suggerimenti: “Fa’ che tutti quelli con cui parli, diventino tuoi amici”, e “Ricordatevi che sarà sempre per voi una bella giornata quando vi riesce di vincere coi benefici un nemico o farvi un amico”.
Dunque, allargare le amicizie, non restringerle. E farsi amici facendo del bene.
Due “compiti” non facili per le amicizie... ma forse sta proprio qui la “misura alta” che rende l’amicizia un terreno fertile per vivere la santità, per apprendere a voler bene sul serio, per imparare a vedere e ad ascoltare veramente l’altro, per allargare la cerchia degli amici oltre quelli più simpatici o vicini, per fare insieme qualcosa di bello per gli altri.
Solo così l’amicizia sarà non solamente un “guardarsi” da vicino... si diventerebbe miopi o strabici. Ma un camminare insieme verso la meravigliosa avventura della vita.
INTERVISTA PARALLELA
Hai avuto degli amici speciali?
D. Beh sì, molti: Michelino Rua, Giovanni Cagliero, Giuseppe Dongiovanni e molti altri. In particolare quelli con cui abbiamo fondato un gruppo molto importante: la compagnia dell’Immacolata. Abbiamo fatto un regolamento e abbiamo promesso di rispettarlo. Consisteva nel diventare apostoli degli altri, di diffondere allegria, di aiutare Don Bosco. Ognuno di noi era diventato una specie di angelo custode di qualche compagno più difficile e da quel momento la vita in Oratorio migliorò!
L. Come potrei dimenticare la formidabile Merceditas? Aveva tre anni più di me ma eravamo una cosa sola. Molte volte ci siamo alzate nella notte per andare a pregare insieme. La pensavamo allo stesso modo, ci capivamo al volo. Quanto è stata importante la sua presenza soprattutto quando tornavo in collegio dopo essere stata a casa di quell’uomo…
Che cosa cerchi per prima cosa in un amico?
D. Per me deve condividere il mio stesso progetto di vita, deve comprendere il mio modo di pensare la vita, Dio, i valori. Deve esserci qualcosa in comune, un lavoro da condividere, un impegno particolare. Ma soprattutto deve essere uno che non ha paura di farmi notare quando sbaglio!
L. Deve saper comprendere i sentimenti senza pretendere di risolvere i problemi, deve essere sempre presente, deve aiutarti a crescere nella fede, nei valori, deve aiutarti a prendere le giuste decisioni anche se costano sacrificio.
Si può essere amici con gli adulti?
D. La prima persona che mi viene in mente è Don Bosco: posso dire che fosse mio amico? In parte sì, ma per me era soprattutto una guida. Forse “guida” è il nome dell’amicizia degli adulti. A una guida ti affidi, da lei ti lasci guidare. Invece nell’amicizia si cammina sempre uno accanto all’altro.
L. Credo sia molto diverso. Penso alla mia mamma e penso alle Suore e a Don Crestanello: erano più che amici, ma nello stesso tempo anche con loro c’era la condivisione di qualcosa di comune, c’era la comprensione reciproca…
Secondo te gli adolescenti di oggi vivono correttamente le loro amicizie?
D. La mia impressione è che abbiano un po’ paura a stringere amicizie profonde. Diventano amici di chi la pensa come loro, e appena uno fa notare un errore viene eliminato dalla considerazione. Penso che dovrebbero imparare a distinguere gli amici veri da quelli apparenti, che stanno con te perché… gli serve.
L. Per le ragazze di oggi è molto importante “potersi confidare” con l’amica del cuore, però non è importante se l’amica del cuore ti dà un consiglio o ti dà sempre ragione, l’importante è che ascolti e sappia custodire i segreti… Grazie a Dio l’amicizia è molto di più.
Prova a rispondere tu alle stesse domande.
Poi, alla fine, sottolinea gli elementi simili e quelli diversi per tutti e tre.
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI LAURA
Ritorno al collegio
A quella notte tremenda seguono giorni difficili di lotta sorda da parte dell’uomo sconfitto, d’angoscia per Laura, d’incertezza per Donna Mercedes. Manuel Mora gioca ancora una carta.
Rifiuta di pagare la pensione.
Le ragazze non potranno più tornare a Junìn. Anzi, pretende che lavorino come serve all’estancia.
La madre si ribella:
Sono mie – grida – e io non sono qui come una schiava!
L’uomo urla:
- O schiava o morta! In quanto a quelle due vedremo!
Col tempo, è sicuro, Laura abbandonerà l’atteggiamento ostile frutto del bigottismo delle suore. Così crede ma ancora a fatto i conti senza Laura.
- No, mamma. Qui non voglio stare.
Torno al collegio.
- Non posso pagare.
- Parla con le suore. Tutto si risolverà.
Infatti Laura viene accettate gratuitamente. A febbraio la ritroviamo in collegio. Rimasta poche settimane alla dimora del falco, ne riparte vittoriosa, ma i suoi occhi puri hanno misurato con orrore l’abisso del male e l’anima ne è rimasta ferita fin nelle profondità.
Amicizia
- Laura come sei pallida. Che vacanze hai fatto?
- Non molto riposanti. Che novità ci sono? Merceditas Vera e Laura sono due grandi amiche. Merceditas ha 14 anni tre in più di Laura, ma questa è così matura che le due ragazze si capiscono benissimo. Hanno scoperto anche di avere gli stessi ideali. Merceditas è figlia di un ricco benefattore del collegio. Sua sorella ha deciso di consacrarsi a Dio per l’educazione dei giovani. Anche lei e Laura… da quando suor Anna Maria Rodriguez, la loro bravissima maestra è morta, vorrebbero prendere il suo posto.
- Lo chiederò a papà quando Maria diventerà novizia. Papà è buono. Insisterò tanto che mi lascerà.
Quella sera del 1° aprile 1902 Merceditas sprizzava di gioia. Aveva potuto indossare la “mantellina” uno scialle nero, segno del suo primo passo verso la meta desiderata. Anche Laura l’avrebbe tanto voluto, ma aveva saputo che per lei sarebbe stato impossibile.
Eccole sole. La loro amicizia ha un gesto squisito.
- Prendi Laura. Almeno per un momento mettila sulle spalle come se fosse tua.
E Merceditas si toglie la mantellina e la appoggia con delicatezza sulle spalle dell’amica. Non poteva tenere quella gioia solo per sé e nessuno meglio di lei poteva comprendere lo struggimento, l’amarezza che c’era nel cuore di Laura. Laura vola via con quelle piccole nere ali di rondine, a sfogare il suo pianto ai piedi di Gesù. A chiedergli la grazia di saper gioire, senza invidia, della felicità di Merceditas.
(Dalla rivista Primavera)
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI DOMENICO
“Maria, vi dono il mio cuore”
La sera della festa, 8 dicembre, finite le celebrazioni, dopo aver ottenuto il parere favorevole del sacerdote da cui si confessava, Domenico andò davanti all’altare della Madonna. Rinnovò gli impegni della sua prima Comunione, poi si affidò alla Madonna con queste precise parole:
“Maria, vi dono il mio cuore, fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei. Ma per pietà, fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato”. Dopo essersi affidato in maniera totale alla Madonna, la sua maniera di vivere dientò così eccellente che cominciai a prendere nota di ciò che faceva e diceva, per non dimenticarlo. Giunto a questo punto della mia narrazione, mi trovo davanti una quantità di fatti e di atteggiamenti di Domenico degni di attenzione. Perciò non esporrò le cose secondo l’ordine del tempo, ma le raggrupperò secondo il loro argomento. Le esporrò in piccoli capitoli, cominciando dallo studio del latino, che fu il primo motivo per cui Domenico venne in questa casa di Valdocco.
MATERIALI
1. La lampada
Madre Teresa di Calcutta
A Melbourne andai a visitare un povero vecchio la cui esistenza era ignorata da tutti. La sua stanza era disordinata e sudicia. Tentai di pulirla, ma egli si oppose: “La lasci stare, sta bene così”. Senza che io insistessi, alla fine me la lasciò pulire. Nella stanza c’era una magnifica lampada, coperta di polvere: “Perché non l’accendi?”, gli chiesi. “A che scopo, se nessuno viene a trovarmi?”, mi rispose, “io non ne ho bisogno”. Allora gli dissi: “L’accenderesti se le suore venissero a trovarti?”. E lui: “Sì. Pur di sentire una voce umana in questa casa, l’accenderei”. Alcuni giorni dopo ricevetti da lui questo brevissimo messaggio: “Di’ alla mia amica che la lampada che accese nella mia vita continua a brillare”.
2. La sabbia
Giorgio, un ragazzo di tredici anni, passeggiava sulla spiaggia insieme alla madre. Ad un tratto le chiese: “Mamma, come si fa a conservare un amico quando finalmente si è riuscito a trovarlo?”. La madre meditò qualche secondo, poi si chinò e prese due manciate di sabbia. Tenendo le palme rivolte verso l’alto, strinse forte una mano: la sabbia le sfuggì tra le dita, e quanto più stringeva il pugno, tanto più la sabbia sfuggiva. Tenne invece ben aperta l’altra mano: la sabbia vi restò tutta. Giorgio osservò stupito, poi esclamò: “Capisco”.
3. I due amici
Due amici si ritrovarono dopo una lunga separazione.
Uno era diventato ricco, l’altro era povero.
Mangiarono insieme, e rievocarono i ricordi comuni.
Poi il povero si addormentò.
L’amico, colmo di compassione, prima di partire gli fece scivolare in tasca un grosso diamante di valore inestimabile.
Ma al risveglio il povero non trovò quel tesoro e continuò la vita di sempre.
Un anno dopo le circostanze fecero nuovamente incontrare i due amici.
“Dimmi, perché”, disse il ricco all’amico, vedendo che era ancora in miseria, “non hai trovato il tesoro che ti avevo messo in tasca?”.
4. Frasi
* Trova il tempo di essere amico: è la strada della felicità (Madre Teresa di Calcutta).
* I veri amici amano condividere i momenti preziosi che la vita riserva loro, come le piccole cose dell’esistenza per cui vale la pena di vivere ogni giorno (Sergio Bambarén).
* Lo splendore dell’amicizia non è la mano tesa né il sorriso gentile né la gioia della compagnia: è l’ispirazione spirituale quando scopriamo che qualcuno crede in noi ed è disposto a fidarsi di noi (R.W. Emerson).
* L’amicizia è come la musica: due corde parimenti intonate vibreranno insieme anche se ne toccate una sola (J. Quarles).
* Grande cosa è l’amicizia e quanto sia veramente grande non lo si può esprimere a parole, ma soltanto provare (Giovanni Crisostomo).
* I veri amici sono quelli che si scambiano reciprocamente fiducia, sogni e pensieri, virtù, gioie e dolori; sempre liberi di separarsi, senza separarsi mai (A. Bougeard).
* Amico mio, tu e io rimarremo estranei alla vita, e l’uno all’altro, e ognuno a se stesso, Fino al giorno in cui tu parlerai e io ascolterò, ritenendo che la tua voce sia la mia voce; e quando starò zitto dinanzi a te pensando di star ritto dinanzi a uno specchio (Kahlil Gibran).
* Sapere che c’è qualcuno, da qualche parte, dal quale ti senti compreso malgrado le distanze o i pensieri inespressi, fa di questa terra un giardino (Anonimo).
* L’amicizia è un sentimento unico che rende la vita degna di essere vissuta; l’amicizia insegna a vivere la vita con serenità e gioia; l’amicizia aiuta a scalare la montagna della paura, della tristezza, delle difficoltà, della solitudine... senza l’amicizia una persona si perde nei meandri della vita (Clara).
* Crescere insieme senza perdere la propria identità, donarsi per possedere in forma allargata, fondersi in un tutto unico e tuttavia continuare ad esistere ciascuno per proprio conto: questo è il segreto del vincolo dell’amicizia (Siegfried Kracauer).
* Amico mio, accanto a te non ho nulla di cui scusarmi, nulla da cui difendermi, nulla da dimostrare: trovo la pace... Al di là delle mie parole maldestre tu riesci a vedere in me semplicemente l’uomo (Antoine de Saint-Exupery).
5. Canzone
Certe notti (Ligabue)
Certe notti la macchina è calda
e dove ti porta lo decide lei.
Certe notti la strada non conta
e quello che conta è sentire che vai.
Certe notti la radio che passa Neil Young
sembra avere capito chi sei.
Certe notti somigliano a un vizio
che non voglio smettere, smettere mai.
(…)
Non si può restare soli, certe notti qui,
che chi s’accontenta gode, così così.
Certe notti o sei sveglio, o non sarai sveglio mai,
ci vediamo da Mario prima o poi.
SCHEDA DI LAVORO
L’amicizia è una dimensione assolutamente importante e indispensabile per gli adolescenti. Sarà interessante riflettere sul fatto che la santità si realizza anche vivendo bene una cosa bella come l’amicizia.
- Il I primi due brani (1 e 2) presentano due immagini per dire l’amicizia: la luce che si accende e la mano che lascia libera la sabbia. Possono essere uno spunto utile per chiedere ai ragazzi:
* Quante luci abbiamo acceso nella vita degli altri con la nostra amicizia?
* L’amicizia di chi è per noi come una luce che si accende?
* Chi ha bisogno accanto a noi che accendiamo la sua lampada?
* Conosciamo persone che concepiscono l’amicizia come un possesso e non sanno lasciare liberi gli amici?
- La storia dei due amici (3) è molto semplice ma altrettanto profonda. Ognuno di noi ha ricevuto qualcosa da qualche amico tanto tempo fa o recentemente. Il racconto ci propone un bilancio: che cosa abbiamo ricevuto (in valori, consigli, testimonianza) e che cosa ne abbiamo fatto? Ma anche: cosa abbiamo donato?
- Le frasi riportate (4) non hanno bisogno di molti commenti, ma ai ragazzi piacciono sempre. Invitiamoli a leggerle e a scegliere la frase che ritengono più bella. In una attività si potrebbero preparare dei biglietti con belle foto da regalare agli amici.
- La canzone di Ligabue (5) racconta le sue esperienze di amicizia: non si può restare soli…
Possiamo chiedere ai ragazzi di citare altre canzoni o anche poesie che parlano dell’amicizia.
ATTIVITÀ
1. Messaggi
Trascrivete i seguenti messaggi in altrettanti biglietti. A turno ciascuno ne prende uno, immagina quale storia ci possa essere alle spalle e la racconta.
^ by Pietta per Le radike/Roma
ciao Radike mie... volevo solo dirvi che vi voglio TROPPISSIMO bene x sempre non dimenticatelo mai!!!!! siete uniche!!! un bacio grande grande e un tvtrtrtrtrtrtrtrtrtrtrtrbxs alla mia migliore amica jessica!!! Pietta vostra
^ by tua pazzotta per picciottella mia
l’amicizia è qualcosa di grande come il mare, di profondo come l’oceano, d’infinito come il cielo. È un sentimento ke non ha barriere o confini, ostacoli o limiti, ha un inizio ma nn ha una fine e nel cuore senti un calore, come se dentro di te stesse spuntando un’alba tiepida e luminosa, ke si fa strada nel buio del tuo cuore e non ti lascia mai sola... Picciottella mia, sei tu l’amicizia ke stavo cercando... grazie di esistere!! Ti amo di bene cucciolotta, nn scordarti mai di me!! tua x sempre pazzotta.
^ by annina per miki&bianca
scrivo qst dedica per 2 mie amiche fantastike: Grazie a voi ho scoperto il vero significato di “amicizia” siete speciali... vvtttttb. By la vostra annina.
^ by alessietta per maretta
te l’ha mai detto nessuno che 6 un’amica speciale? beh te lo dico io!! non cambiare mai per nessuno ok???!!! tvtrb!! 7000BACIONI!!
^ by BF4ever per sorellina
Prima credevo di aver trovato una vera amika, ma invece mi sbagliavo... era solo una come tante pronta a voltarti le spalle nei momenti di bisogno, ke c’era solo qnd aveva voglia, ke kiedeva consigli, ma nn ne dava mai... io le volevo bene, ma poi ho capito ke era solo tempo sprecato x una xsona ke stava facendo cambiare anke me in peggio... avevo smesso si credere nell’amicizia, credevo ke le vere amike nn esistessero, finkè nn ho incontrato te...
^ by SARA per MADDY
sei per me un’amica davvero speciale, ti ho conosciuto così per caso e ora non ti cambierei proprio con nessun’altra. non deludermi mai perché so di volerti veramente tanto bene.
^ by feffe per x niky
ciao bella!!!!! lo so ke stai passando un brutto momento ma riprenditi ricordati che io c saro sempre x te... RICORDATELO.
^ by roby88 per Sandy
Ciao tata... anke se ci vediamo a scuola tutti i giorni, volevo far sapere a tutti quanto sei importante per me... sei un amica troppo speciale senza di te nn saprei come fare... ciao cucciolotta la tua amica x sempre Roby.
^ by LeLuCciA# per *Aury*
Non leggerai la dedica, ma sentirai sicuramente nell’aria il fatto che voglio esserti vicinissima in questo tuo momento di dolore e vuoto incolmabile. Ma solo una cosa, da parte mia e anche da tutta la classe: ti vogliamo bene, aury, ed ora più di prima, perché è nelle difficoltà che si capisce quali sono le persone veramente importanti. Te sei una ragazza speciale e intelligente... Rassegnarsi con immediatezza ad una cosa del genere non è per niente facile, anzi. Richiede impegno, pazienza... Ma soprattutto cuore. E te ne hai da vendere... Quindi sappi sempre che puoi contare su di me.
^ by anonima
L’amicizia.. Un tempo nn credevo nell’amicizia.. Poi.. un anno fa ho capito che avevo delle vere amike, quelle amike che non ti voltano le spalle nei momenti del bisogno ma che combattono al tuo fianko..Quest estate siamo cresciute assieme, ci siamo consolate x gli amori finiti e siamo state felice le une x le altre x gli amori iniziati.. eravamo un gruppo inseparabile... e lo siamo tutt’ora.. Ciò che voglio dire raga è.. n0n smettete mai di credere nell’amicizia.. xké.. é una cosa bellissima quando la trovi..
2. Il gioco degli animali
È un gioco per conoscersi ancora meglio all’interno del gruppo anche nei propri atteggiamenti fuori dal gruppo.
Si prepara una tabella (vedi pagina a fianco) con tante righe quanti sono i componenti del gruppo (non più di sette).
In un tempo di silenzio (10 minuti) ognuno completa la tabella scrivendo su ogni casella l’animale al quale ritiene di assomigliare di più nelle varie circostanze. Poi tutti trascrivono sulle caselle sottostanti gli animali che hanno scritto gli altri. Ognuno poi dice perché gli altri hanno messo il tale animale secondo lui. Quindi ciascuno dice se le interpretazioni che gli altri hanno dato di sé sono azzeccate o meno. Alla fine ci si chiede: cosa abbiamo imparato con questo gioco?
Nome
In famiglia
A scuola
Con amici
Dio
chiesa
mondo
3. Eliseo e Gedeone
Rappresentate recitandola la seguente storia.
Eliseo e Gedeone erano stati grandi amici fin da bambini. Ognuno dei due considerava l’altro come un fratello e in cuor suo ognuno sapeva che non c’era nulla che non fosse disposto a fare per l’amico. Alla fine si presentò l’occasione di testimoniarsi la profondità della loro amicizia. Ecco cosa accadde.
Un giorno Gedeone fu arrestato dalla polizia. Senza alcuna prova lo accusarono di essere una spia al servizio del nemico. Un giudice distratto lo condannò a morte. “Hai un ultimo desiderio?”, gli chiese il re, prima di firmare l’ordine di esecuzione. “Sì, lasciami andare a casa per il tempo necessario di dire addio a mia moglie e ai miei figli e per sistemare le faccende domestiche”.
“Vedo che mi ritieni stupido”, disse il re, ridendo. “Se ti lascio andare tu non tornerai più!”.
“Ti lascerò un pegno, una garanzia sicura”, disse Gedeone. “Che tipo di pegno potresti lasciarmi che mi renda certo del tuo ritorno?”, chiese il re. In quel momento Eliseo, che era stato per tutto il tempo in silenzio a fianco dell’amico, fece un passo avanti. “Sarò io il suo pegno”, disse. “Tienimi qui come tuo prigioniero, fino a quando Gedeone non ritorni. La nostra amicizia ti è ben nota. Puoi star certo che Gedeone ritornerà fino a che mi trattieni qui”.
Il re studiò in silenzio i due amici. “Molto bene”, disse alla fine. “Ma se vuoi veramente prendere il posto del tuo amico, devi accettare la sentenza. Se Gedeone non farà ritorno, tu morirai al suo posto”. “Manterrà la sua parola”, replicò Eliseo. “Non ho alcun dubbio”. Gedeone fu lasciato libero di andare e Eliseo fu gettato in prigione.
Dopo molti giorni, poiché Gedeone non si presentava, la curiosità del re ebbe il sopravvento e il tiranno si recò nelle prigioni per vedere se Eliseo fosse pentito di aver fatto un simile scambio.
“Il tuo tempo è quasi scaduto”, disse il re sogghignando. “Sarebbe inutile chiedere pietà. Sei stato uno stupido a fidarti della promessa del tuo amico. Hai creduto veramente che avrebbe sacrificato la sua vita per te?”.
“Ha incontrato qualche impedimento”, rispose deciso Eliseo.
“I venti gli avranno impedito di navigare, o forse avrà avuto dei contrattempi lungo la strada; ma, nei limiti delle umane possibilità, sarà qui in tempo. Confido sulla sua parola tanto quanto sulla mia stessa esistenza”.
Il re fu colpito dalla fiducia del prigioniero.
“Lo vedremo presto”, disse, e lasciò Eliseo nella cella.
Il giorno fatale arrivò.
Eliseo fu prelevato dalla prigione e portato davanti al boia. Il re lo salutò con un sorriso compiaciuto. “Sembra che il tuo amico non sia tornato”, gli disse ridendo.
“Cosa pensi di lui adesso?”.
“È mio amico”, rispose Eliseo.
“Ho fiducia in lui”.
Mentre stava parlando, le porte si spalancarono e Gedeone entrò vacillando. Era pallido e ferito e stentava quasi a parlare per la stanchezza.
Abbracciò l’amico.
“Grazie a Dio, sei salvo”, ansimò.
“Sembra quasi che tutto stesse cospirando contro di noi.
La mia nave è naufragata nella tempesta, poi sono stato attaccato dai briganti lungo la strada. Ma non ho mai smesso di sperare, e alla fine ce l’ho fatta. Sono pronto a subire la mia condanna a morte”.
Il re ascoltò le sue parole con stupore e i suoi occhi e il suo cuore si aprirono. Era impossibile per lui resistere alla forza di simile fermezza. “La condanna è revocata”, dichiarò. “Non avrei mai pensato esistesse un’amicizia così leale e fiduciosa. Mi avete dimostrato quanto fossi in errore, ed è giusto che siate ricompensati con la libertà. Ma in cambio vi chiedo un grande favore”.
“Di che favore si tratta?”, chiesero i due amici.
“Prendetemi come terzo amico”.
Nessuno ha un amore più grande di questo; dare la vita per i propri amici...
GRAZIE, SIGNORE
AMICIZIA?
Signore, cos’è l’amicizia?
Amicizia significa stima, aiuto, confronto e conforto.
Significa capire, arrabbiarsi, abbracciare, comprensione.
Amicizia vuol dire gioire insieme, piangere insieme,
pregare, parlare e crescere insieme.
Però a volte amicizia significa anche usare,
assecondare, mentire, piegare e tacere.
Signore cammina sempre al fianco della nostra “Amicizia”,
perché ogni litigio e pianto abbia come risultato
uno scalino in più nella scala della crescita umana.
Proteggi la nostra amicizia e rendila forte
anche davanti ai pericoli del mondo in cui viviamo.
Il profeta
Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.
È il campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza.
È la vostra mensa e il vostro focolare.
Poiché, affamati, vi rifugiate in lui e lo ricercate per la vostra pace.
Quando l'amico vi confida il suo pensiero,
non negategli la vostra approvazione, né abbiate paura di contraddirlo.
E quando tace, il vostro cuore non smetta di ascoltare il suo cuore:
Nell'amicizia ogni pensiero, ogni desiderio, ogni attesa
nasce in silenzio e viene condiviso con inesprimibile gioia.
Quando vi separate dall'amico non rattristatevi:
La sua assenza può chiarirvi ciò che in lui più amate,
come allo scalatore la montagna è più chiara della pianura.
E non vi sia nell'amicizia altro scopo che l'approfondimento dello spirito.
Poiché l'amore che non cerca in tutti i modi lo schiudersi del proprio mistero
non è amore,
ma una rete lanciata in avanti e che afferra solo ciò che è vano.
E il meglio di voi sia per l'amico vostro.
Se lui dovrà conoscere il riflusso della vostra marea,
fate che ne conosca anche la piena.
Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte?
Cercatelo sempre nelle ore di vita.
Poiché lui può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto.
E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell'amicizia.
Poiché nella rugiada delle piccole cose
il cuore ritrova il suo mattino e si ristora.
("Il Profeta", Kahlil Gibran)
6. Santità: misura alta della solidarietà
QUASI LETTERA AI RAGAZZI (O AGLI ANIMATORI)
Uno spazio grande quanto il mondo
Questa è l’ultima tappa del cammino proposto per una santità giovanile.
Ma è una tappa direi obbligata, scontata. Gli orizzonti di scoperta e di vita si allargano.
Parenti e amici non bastano per “saturare” la crescita delle persone.
La cerchia si allarga, verso gli altri, verso tutti coloro che incontri e di cui vieni a conoscere problemi e bisogni, povertà... Gli orizzonti diventano, con una parola grossa ma significativa, il mondo intero.
Si allarga anche il bisogno che senti dentro tu... non solo di conoscenza ma di amore.
Esso diventa sempre meno rivolto verso te stesso, e sempre più un prendersi cura di altri, condividere, donare. Insomma, in una parola, amore allargato, solidarietà.
E mentre ti doni, non perdi qualcosa, ma acquisti qualcosa tu stesso, diventi ancora di più te stesso. O meglio, rispondi a una tua chiamata, a una tua vocazione precisa.
Ecco dunque i due orizzonti definitivi della tua crescita come persona e come cristiano, anche come ragazzo e ragazza: la larghezza e la profondità. Larghezza come apertura verso gli altri, verso situazioni nuove, verso il mondo intero; profondità come ampliamento della tua capacità di amare, come purificazione delle tue intenzioni, come assunzione di responsabilità.
Due orizzonti che si radicano sull’altra dimensione, dell’altezza, cioè Dio, la fede, il modello di amore per tutti e fino al totale dono di sé che è Gesù.
Nei materiali che seguono potrai leggere delle testimonianze straordinarie, alcune usuali e quasi scontate, altre nuove. Ma potrai anche leggere il vangelo da questa prospettiva. Un Gesù che non solo è amico “tuo”, ma ti insegna ad allargare il cuore e a farti amico di tutti... nel modo in cui è possibile attraverso un’amicizia allargata e l’amicizia al mondo intero che si chiama solidarietà.
Senti cosa dice Laura, che ha scoperto questo segreto a 12 anni: “Per amore non posso essere indifferente alle mie compagne”. Commenta Madre Antonia: “Se nell’espressione Laura limita alle compagne questo impegno, la sua vita documenta relazioni con tutti nel segno della presenza premurosa, sollecita del bene di chiunque incontra sul suo cammino... Con le compagne condivide quanto riceve in dono, le aiuta in tutto, talvolta ricevendo in cambio soltanto incomprensione, Ne soffre, ma sa per chi offrire e per questo dissimula, perdona. Si presta inoltre per i servizi più faticosi rifiutati dalle altre. Vive in tal modo le esigenze delle beatitudini evangeliche e ne ottiene come frutto la gioia di constatare che Dio è amato e servito”.
E don Pascual: “Il cammino proposto da Don Bosco si articola in piani diversi e complementari:
- operare a favore dei compagni nella vita quotidiana, attraverso l’esempio, l’aiuto amichevole per superare le difficoltà, il sostegno dell’ambiente educativo…
- aprire i giovani alle grandi prospettive apostoliche della Chiesa e ai bisogni della società (le missioni, la pace, la solidarietà, la costruzione di una nuova civiltà dell’amore…), e aiutarli a tradurli in immediate attuazioni nella situazione e nell’ambiente dove vivono e operano;
- promuovere gruppi, associazioni e movimenti in cui gli stessi giovani sviluppino come protagonisti una fede impegnata e attenta alla promozione umana e alla trasformazione dell’ambiente;
- guidare e accompagnare i giovani nella maturazione delle loro motivazioni verso la concretizzazione di un progetto di vita evangelico e una scelta vocazionale.
Tuttavia, perché queste esperienze esprimano tutta la loro carica di amore e sprigionino tutto il loro dono di grazia, devono essere collocate nello spazio del Regno; devono avere la caratteristica della gratuità, e da ‘occasionali’ devono diventare definitive e totali, un progetto di vita a pieno tempo e a piene forze; i giovani devono rendersi consapevoli che Dio opera attraverso di loro”.
Grandi orizzonti, dunque, e uno spazio ampio di azione, secondo le proprie possibilità e secondo la propria fantasia “di amore”.
Ma non sono proprio queste le dimensioni del sogno dei giovani?
INTERVISTA PARALLELA
Quanto è stata importante per te la solidarietà con gli altri?
D. Per me gli altri sono molto importanti. Sempre. Mi sembra naturale pensare prima agli altri che a me. Lo trovo anche meno noioso.
L. Io non posso immaginare la mia vita senza la presenza non solo degli altri, ma dell’impegno di aiutare gli altri, di preoccuparsi di loro.
Ma chi sono “gli altri”?
D. Per me sono innanzi tutto le persone che hanno più bisogno: i ragazzi più poveri, quelli che nessuno vuole come amici, ma anche la gente che non ha niente per le strade, le persone ammalate…
L. Un giorno ho pregato Don Bosco di correre al letto di una mamma che aspettava un bambino ma era molto malata. Gli altri sono i ragazzi che dicono di non volerne sapere della chiesa, dei preti e di niente di niente!
Gli altri per me sono le amiche di scuola, le persone vicine, ma anche i poveri lontani, quelli che non vediamo tutti i giorni, ma che tutti i giorni faticano ad arrivare alla fine della giornata. Quelli per i quali una nostra piccola rinuncia può essere un grande aiuto!
Qual è l’ostacolo più grande da superare per imparare ad essere solidali?
D. L’ostacolo più grande è il proprio egoismo, la mania di pensare sempre prima a se stessi che agli altri.
L. Per me l’ostacolo più grande è l’orgoglio, che ci fa pensare che esistiamo solo noi. Ma anche la prepotenza secondo me è un grande ostacolo alla solidarietà!
Qual è il segreto per diventare solidali?
D. Non stancarsi di andare verso gli altri, essere sempre protesi verso gli altri, ascoltare, osservare, comprendere…
L. Il segreto per me è: appena desidero qualcosa, o che qualcosa accada, faccio in modo che chi mi è vicino abbia quello che desidero io.
Ma conviene davvero pensare prima agli altri che a se stessi?
D. Decisamente sì: è il segreto per essere contenti. Se pensi agli altri ti ritrovi allegro senza neppure sapere perché. Se pensi solo a te stesso è più facile che ti prenda la tristezza.
L. Sì, io sono convinta che convenga sempre pensare agli altri prima che a se stessi: si sente nascere nel cuore una pace unica. Secondo me capita come per l’allegria: vuoi sorridere? Prova a far sorridere gli altri e ti ritroverai a sorridere anche tu!
Prova a rispondere tu alle stesse domande.
Poi, alla fine, sottolinea gli elementi simili e quelli diversi per tutti e tre.
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI LAURA
Agguato
- Arrivederci, arrivederci!
È finito anche il secondo anno di collegio.
Donna Mercedes guarda stupita Laura la carnagione rosea, gli occhi scuri, i capelli ondulati e castani. Si è fatta alta bella. Dimostra più della sua età. Ha un portamento garbato e signorile. Le fossette che si formano sulle gote quando sorride destano subito simpatia a chi le osserva.
Partendo per l’estancia Laura ha il presentimento di ciò che l’aspetta è Quilquihuè. Raddoppia la sua preghiera, stringe sul cuore la medaglia della Madonna. Laggiù non c’era una cappella dove pregare. Non potrà trovare forza nell’eucarestia ne luce nella confessione. Sarà sola. No, Dio è con lei. Giunge attesissima alla “dimora del falco” che ruota alto e lontano attendendo il momento di piombare sulla preda.
Laura respira nell’aria il pericolo. Donna Mercedes lo sa, lo pensa, lo vede. Manuel Mora arrogante, volgare, padrone dispotico, non è tenero neppure con lei! I sogni sono finiti. Era stato facile appoggiarsi a lui per avere qualche vantaggio. Ora convivenza si è trasformata in schiavitù. Quando dalla veranda, dove di solito passa la giornata, Laura vede arrivare il padrone e legare il cavallo al palenque per entrare in casa, si eclissa.
Un pomeriggio…
Lasciamo la parola a Claudia Martinez, una signora di Junìn che ebbe le confidenze di Donna Mercedes: “… Il Mora cacciò fuori casa la signora Mercedes e pretese di restare solo con la ragazza. Questa però gli resistette e riuscì a liberarsi dall’assalto…”.
Donna Mercedes, col cuore a brani, ha visto tutto dalla finestra.
L’uomo sconfitto, medita un altro colpo. Non può accettare che una fanciulla undicenne gli resista.
Come solida roccia
Qualche giorno dopo si tiene la festa della marchiatura degli animali nati nell’anno.
Dalle immense distese vengono i mandriani con i numerosi greggi.
S’inizia con la lavatura e la tosatura delle pecore, poi il marchio a fuoco e l’ultimo giorno. L’estancia prende l’aspetto di un paese in fiera. Oltre i mandriani, i servi e le loro famiglie, sono presenti gli amici del padrone, i proprietari dell’estancias sono vicine.
Si beve, si gioca si canta, in attesa del gran ballo notturno. Le donne vestite a festa, con smaglianti scialli sulle spalle, vanno e vengono portando dolci e bibite.
Manuel Mora ha scelto questa sera per la rivincita. Tenta di ammaliare Laura con il suo sguardo. Laura, vedendo quei perfidi occhi fissi su di lei, invoca l’aiuto della Madonna.
Iniziano le danze. Il padrone apre la festa muovendo i passi per il primo ballo. Laura lo vede venire verso di lei. Incomincia la lotta. All’invito risponde un “no” fiero e irrevocabile.
A Manuel Mora salgono i fumi nel cervello, tuttavia insiste blando. La fanciulla ripete “no”.
Gli ospiti osservano. L’uomo passa al tono forte, insolente. È casa sua!…
E ancora ferma come una roccia, Laura rifiuta. Donna Mercedes si torce le mani, cosa accadrà?
L’estaciero passa dalle parole ai fatti. Ah si? Non vuole danzare la Santuzza?… L’afferra per un braccio, la getta fuori coi cani.
Rinchiusa la porta si volge rosso d’ira e di umiliazione e avanza fino a Donna Mercedes. Inveisce contro di lei… Le ordina di costringere la figlia a rientrare, a scusarsi, a danzare!
E Donna Mercedes esce. Che cosa dice a sua figlia nel buio della notte andina? La paura di mali peggiori la spinge a scongiurarla di rientrare. Un ballo cos’è infine? Eppure, lei sa bene come finisce quel genere di balli. Forse non ricorda la scena dalla finestra? Laura sì, la ricorda. Troppo bene ormai sa ciò che vuole il Mora. Legge negli occhi della mamma il dolore, la sua schiavitù.
Aveva creduto di trovare nel Mora un protettore ed ha trovato un tiranno. l’angoscia della mamma si unisce alla sua e la rende più acuta. Ma non può accettare. E dice no anche alla madre. Si rifugia tra gli alberi, nel buio. In casa si danza ora.
Non però Manuel Mora che, torvo, guarda l’uscio. E l’uscio si apre. Donna Mercedes rientra: sola.
L’uomo lancia un’imprecazione. L’avrebbe pagata lei! L’afferra per i polsi e la trascina fuori. Le danze cessano. Donna Mercedes è legata al palenque. Nessuno, neanche i fratelli del Mora, osano intervenire. E lui la frusta a sangue. Gli amici inforcano il cavallo e se ne vanno. Laura soffre e piange, ma non è cedimento la strada che può salvare lei e la madre.
La grande decisione
“Nessuno ha amore più grande di chi da la vita per i propri fratelli”.
- No – pensa Laura – non ho ancora dato tutto per la mamma. Il mio amore per lei non è pieno se, per la sua felicità, non sono disposta anche a dare la vita.
Ne parla al confessore, Don Crestanello, a cui con semplicità e consapevolezza, ha chiesto di guidare la sua giovane vita fino alle vette.
- Hai riflettuto bene, Laura? Offrire la tua vita per la salvezza della mamma è il più grande atto d’amore. Ma è assai duro e difficile.
Ma Laura non ha dubbi e Don Crestanello medita. Laura ha appena compiuto 11 anni, ma è matura, sa ciò che vuole. È capace di amore eroico. E nell’umile chiesetta del collegio, Laura, con semplicità il 13 aprile del1902 offre a Dio l’olocausto della sua vita per la mamma.
Olocausto
Freddo e pioggia . Gli abitanti di Junìn osservano preoccupati le acque del Chimehuìn che si fanno torbide e ingrossano ogni giorno di più. Freddo e pioggia ancora.
Il fiume rugge minaccioso. E un giorno straripa con furia, mentre la città è invasa da ondate gelide di acqua fangosa. Il collegio non ne è risparmiato. Le ragazze si rifugiano in una casa più elevata, non raggiunta dalle acque. Paura, freddo e umidità. Se la sentono penetrare nelle membra, specialmente quando, dopo il disastro, possono ritornare al collegio. Il fango ha invaso tutto il pianterreno. Inoltre l’inverno si protrae più del solito.
Laura si ammala. Diventa ogni giorno più pallida e le forze le vengono meno.
Deperisce nonostante le cure. Sente, sa che non guarirà. L’olocausto è incominciato, ma gli altri non conoscono il suo segreto. – La porto a Quilquihuè. L’aria sana le farà bene. Io stessa avrò cura di lei. Donna Mercedes è venuta a riprenderla, decisa. Sa che Laura non ama la fattoria, ma in questo momento ciò che importa di più è la sua salute.
Laura non si oppone. Adesso deve essere più che mai vicina alla sua mamma. Entrando all’estancia si chiude in un dignitoso riserbo. Pur pallida e malata, incute nel Mora un invincibile soggezione.
A Quilquihuè la salute non ritorna. Donna Mercedes se ne preoccupa ogni giorno di più. Approfitta di un periodo di buona del padrone:
- Me la riporto a Junìn. Affitto una stanza per qualche giorno e rimango con lei. A Junìn mi è più facile ottenere le medicine e farla visitare da qualche medico. Manuel Mora, sebbene a malincuore, acconsente. Con loro parte anche Amanda che rimarrà in collegio mentre la mamma si occuperà di Laura.
La malattia avanza inesorabile. Il volto si fa sempre più pallido e affilato. Donna Mercedes lo scruta con ansia, anche se non osa fissare Laura negli occhi. C’è sempre un’ombra che la donna si rifiuta di interpretare. Forse perché non conosce la causa.
Vile vendetta
È l’estate del gennaio 1904. Ora madida di sudore, ora fredda come un ghiaccio, la malata respira con grande fatica e non esce ormai più di casa. Passa qualche ora seduta alla finestra sostenuta dai guanciali.
Non chiede che di morire in pace. E sempre più intensamente prega e offre per la salvezza della madre. Il Mora è impaziente, furioso. Laura gli è sfuggita e ora, a causa sua anche Mercedes ha abbandonato Quilquihuè. Deve agire.
Un pomeriggio risuonano all’improvviso nel cortiletto del ranchito, la piccola casa presa in affitto, gli zoccoli di un cavallo.
La malata solleva lo sguardo. Donna Mercedes accorre. È già Manuel Mora, balzato a terra, sta legando la cavalcatura all’albero. Entra da padrone: - Voglio passare qui la notte.
Donna Mercedes si sente raggelare. Tenta di farlo ragionare. Inutilmente. La donna sembra ora tentennare e cedere. Allora Laura dice risoluta: - Se egli si ferma, io me ne vado in collegio, dalle suore! Raccoglie tutte le poche forze che le sono rimaste e si avvia.
Il Mora non vuole pubblicità. Si slancia fuori come una belva. Afferra Laura per un braccio, tentando di ricondurla al ranchito e incomincia a percuoterla selvaggiamente. Donna Mercedes si butta per liberarla. È peggio. L’avrebbe vinta questa sciocca ragazzina! Laura non può difendersi, ma i suoi occhi indomiti non riflettono paura. Accorre gente. Il vile balza a cavallo e si allontana a spron battuto. Ancora una volta ha perso, nonostante la sua violenza brutale.
Muoio per te
Ultimi giorni. Le percosse del Mora hanno peggiorato le condizioni di Laura.
Donna Mercedes è desolata, agitatissima. Sembra quasi presa da un misterioso timore quando sosta accanto a Laura. L’ombra, negli occhi di sua figlia, è sempre là, ferma, dolorosa.
Laura però non vuole andarsene così. Quando sente che è la fine, la chiama con tenerezza infinita:
- Mamma!
- Che vuoi, Laura?
- Avvicinati, mamma. Devo parlarti. Non guarirò sai? La morte è vicina. Io stessa l’ho chiesta a Gesù. Gli ho offerto la mia vita per te, per ottenere la grazia del tuo ritorno. Ti ho sempre voluto bene mamma!.. Me ne vado . Ma se potessi avere la gioia di saperti con Dio!
Donna Mercedes è annientata. Dunque è per lei che la sua piccola soffre? È per lei che muore? Temeva un rimprovero , ma Laura non sa rimproverare. Sa amare e le verità suggerite dall’amore sono, a volte, più terribili e dolorose di qualsiasi rimprovero.
- Laura! mia piccola Laura! Sì, te lo prometto! Lo giuro al Signore e a te! Mio Dio perdonami!
Madre e figlia si abbracciano in una comprensione intima, dolce.
L’ombra scompare in fondo agli occhi di Laura e una grande pace l’invade tutta.
- Ora muoio contenta. Grazie Gesù!
Sono parole di luce. Quella luce rimane.
È il 22 gennaio 1904. Laura non ha ancora compiuto 13 anni. Nei campi, nei prati e nei giardini, i fiori sbocciano a migliaia. È l’estate piena.
Risurrezione
Il giorno dopo, accanto alla bara di Laura, Donna Mercedes compie la sua promessa. Nella confessione e nell’Eucarestia si incontra con Dio.
Anche per lei è l’inizio di una nuova vita.
- Si Laura, sì! Ma stammi vicina .
Non è facile rompere la catena che la lega al Mora. Ciò significa di nuovo la solitudine, l’incertezza, la povertà, la persecuzione.
Donna Mercedes resiste. Si sente forte e decisa. Il Mora però non si da per vinto e la cerca, furioso, per riportarla a Quilquihuè, adesso che non c’è più la santuzza a dar fastidio.
- Sì, Laura, sì!
E Donna Mercedes fuggirà, valicherà le Ande, rifacendo il cammino percorso un tempo.
- Sì, Laura, Sì!
La sua bambina le ha ridato la vita.
(Dalla rivista Primavera)
PER SAPERNE DI PIÙ
LA STORIA DI DOMENICO
Una scintilla che gli infiammò il cuore
Dopo aver dato qualche notizia sul suo studio, parlerò della sua grande decisione di farsi santo. Domenico dimorava all’Oratorio da sei mesi, quando ascoltò una predica sul modo facile di farsi santo. Il predicatore espose tre pensieri che gli fecero grande impressione: è volontà di Dio che tutti ci facciamo santi; è assai facile riuscirvi; un grande premio è preparato in cielo per chi si fa santo.
Per Domenico quella predica fu come una scintilla che gli infiammò il cuore. Per qualche giorno non disse nulla, ma era meno allegro del solito. I suoi compagni se ne accorsero, e me ne accorsi anch’io. Temendo che ciò provenisse da un nuovo peggioramento della sua salute, gli domandai:
- Patisci qualche male?
- Anzi patisco qualche bene! - rispose scherzando.
- Cosa vuoi dire?
- Voglio dire che sento un grande desiderio, un vero bisogno di farmi santo. Io non credevo di potermi far santo con tanta facilità. Ma ora che ho capito che si può diventar santi stando allegri, voglio assolutamente, ho assolutamente bisogno di farmi santo. Mi dica come devo comportarmi per cominciare sul serio.
Lodai la sua decisione, ma lo pregai di non perdere la calma, perché quando non si è nella pace non si può conoscere la volontà del Signore. Gli dissi che prima di tutto doveva conservare un’allegria serena e costante. E poi doveva ogni giorno compiere i suoi doveri. E gli raccomandai di non trascurare mai la ricreazione: giocare ogni giorno allegramente con i suoi compagni era cosa gradita a Dio.
MATERIALI
1. Il re di Spagna
C’era un re spagnolo che era molto orgoglioso della sua stirpe. Era anche conosciuto per essere crudele con quelli più deboli. Un giorno stava camminando con i suoi anziani consiglieri in un campo in Aragona, dove, anni prima, suo padre era caduto in battaglia. Lì incontrarono un sant’uomo, che stava raccogliendo un enorme mucchio di ossa. “Cosa stai facendo?” chiese il re. “Onore a Sua Maestà” disse il sant’uomo. “Quando ho saputo che il re di Spagna sarebbe venuto qui, ho deciso di ritrovare le ossa di suo padre per dargliele. Ma per quanto cerchi, non riesco a trovarle. Sono uguali a quelle dei contadini, dei poveri, dei mendicanti e degli schiavi”.
(Paulo Coelho, I racconti del maktub)
2. Amore in azione
Madre Teresa di Calcutta
Alcune settimane fa, due giovani sono venuti alla nostra casa dandomi molto denaro per nutrire la gente. A Calcutta prepariamo pasti per 9.000 persone al giorno. Volevano che il denaro fosse speso per nutrire questa gente.
Chiesi loro: “Dove avete trovato così tanto denaro?”. Ed essi risposero: “Ci siamo sposati due giorni fa. Prima del matrimonio abbiamo deciso che non avremmo avuto abiti da matrimonio, e neppure feste. Diamo a voi il nostro denaro”.
Per un indù di alto ceto sociale questo è uno scandalo. Molti furono sbalorditi nel vedere che una famiglia così elevata non avesse abiti e festeggiamenti per il matrimonio. Poi chiesi loro: “Perché avete fatto questo?”. Ed ecco la strana risposta che mi diedero: “Ci amiamo a tal punto che volevamo donare qualcosa ad un altro per cominciare la nostra vita insieme con un sacrificio”. Mi ha colpito moltissimo vedere come queste persone fossero affamate di Dio. Un modo per concretizzare l’amore l’uno per l’altra era di fare questo grandissimo sacrificio. Questi due giovani hanno avuto il coraggio di comportarsi così. Questo è davvero amore in azione.
3. Una testimonianza
Cara Annalena,
Ora che ti trovi finalmente davanti a Colui che cercavi nei “brandelli di umanità ferita”, ti scrivo con tutta tranquillità una lettera...
Tu non eri né “un’umanitaria”, né una “volontaria”. Eri un carattere ostinato e, per certi aspetti, ruvido. Non ti piacevano i “media”, i professionisti della cooperazione senz’anima, chi voleva metterti in riga, chi faceva il furbo, chi era prepotente. Insomma, un bel po’ di gente. Eri un cavallo solitario, alieno alle logiche razionali e a volte fredde dei “progetti”. Inutile imbrigliarti, ma dove tu galoppavi nessuno si sarebbe mosso, e qualcuno deve pur tracciare la prima strada.
Ma soprattutto tu eri una mistica, folle di Dio e folle dei poveri. Non una mistica che si riposa nella preghiera, ma che dalla preghiera si trasforma e sente il servizio ai poveri come un momento di estasi. Con tutto il fascino e la difficoltà che si può avere a capire una persona che vive già in un altro mondo, mentre cura le piaghe di questo, 365 giorni all’anno, 366 nei bisestili.
I poveri? No, non esistevano i “poveri”. Esisteva Abdi, Qassim, Faduma, Amina... con le loro particolari necessità che tu ricordavi con una memoria prodigiosa.
Perché ti hanno uccisa, tu, “donna, cristiana, nubile” cioè un “disvalore” in una società islamica tradizionale? Tu eri un elemento destabilizzante in qualunque società ti fossi trovata a vivere. La tua povertà non era un “voto”, ma un fatto; il tuo non guardare in faccia a nessuno era un insulto quotidiano al potere. Tu eri dolce e materna solo con i poveri. In realtà i poveri e i semplici erano i tuoi padroni e poiché sta scritto che non si possono servire due padroni, ecco che l’altro padrone, il potente, e il furbo, sotto qualunque forma si presentasse, non ti vedeva di buon occhio.
Prima o dopo doveva capitarti quello che ti è successo? Detto così, è offensivo. Si è verificata invece l’ultima beatitudine: “... vi perseguiteranno, diranno ogni male di voi e crederanno di rendere gloria a Dio”.
Sei dunque un esempio da seguire? Pochi sarebbero in grado di seguire il tuo stile di vita. E allora?
Mi hai lasciato un impegno ad amare i poveri come fosse il cuore stesso che pulsa nel nostro corpo, a “cooperare “ senza legarsi ad alcun interesse se non quello dei poveri, ad aver una fiducia in Dio che unisca l’abbandono di stampo islamico alla confidenza filiale cristiana. Mi lasci l’eredità del perdono, difficile per i musulmani, dicevi. Perché, per i cristiani è facile? Mi hai insegnato a non corrompere il mio spirito per riguardo alle persone o alle cariche. Non mi hai lasciato una parte facile da amministrare. Mi ci proverò.
Silvio
4. Canzoni
Che fantastica storia è la vita (Antonello Venditti)
Mi chiamo Antonio e faccio il cantautore
E mio padre e mia madre mi volevano dottore
Ho sfidato il destino per la prima canzone
Ho lasciato gli amici ho perduto l’amore e...
... Quando penso sia finita...
È proprio allora che comincia la salita
Che fantastica storia è la vita
(…)
Mio fratello (Ivano Fossati)
Mio fratello che guardi il mondo
e il mondo non somiglia a te
Mio fratello che guardi il cielo
e il cielo non ti guarda
Se c’è una strada sotto il mare
prima o poi ci troverà
Se non c’è strada
dentro il cuore degli altri prima o poi si traccerà
(…)
5. “Benvenuti a scuola, amici immigrati”
Ascoltando il messaggio del presidente Ciampi a noi studenti, mi sono chiesta “come possiamo noi ragazzi italiani, rivolti ai nostri compagni immigrati, dire benvenuti a scuola”, quando loro sono costretti tutti i giorni, in ogni momento, a dover fare i conti con la nostra società, immersa ancora in falsi pregiudizi e sempre pronta ad “emarginare”.
Questo è quello che io penso, e visto che ho nella mia classe, da ben tre anni, delle compagne di diversa nazionalità temo che anche loro abbiano sofferto!
Ve le presento: Giovanna, Fany, Cinthia e Gisele che considero i simboli viventi di una cultura multietnica e il futuro di un “mondo a colori”.
Giovanna è filippina, Fany zairese, Cinthia è nata in Perù, e Gisele è nata in Brasile.
Per quanto mi riguarda, loro sono uguali a me, non le considero diverse ma, sicuramente qualcuna di loro avrà trovato qualche ostacolo in questo difficile cammino verso l’integrazione; sarà stata costretta dal nostro comportamento a sentirsi diversa. Perché è questo che ogni giorno un ragazzo straniero rischia di sentire a causa della nostra crudele “xenofobia”... che parola difficile e tremenda nel suo significato!
Ma è proprio ciò che sta avvenendo; non è solo il razzismo che c’è dietro l’emarginazione, per questi ragazzi, ma pura “xenofobia” cioè paura, diffidenza e avversione da parte nostra per tutto ciò che è straniero.
Per stabilire un vero rapporto con questi giovani, non è sufficiente ascoltare le lezioni con loro, mangiare alla stessa mensa o salire gli stessi gradini dei laboratori scolastici; questo non basta!
È il contatto che manca, la reale volontà ad accoglierli fra noi. Quello che io sento è che, malgrado tutto, noi non siamo ancora capaci di farli sentire parte integrante della nostra società. Questo è da ricercarsi nel quotidiano, nei messaggi che cogliamo per strada nei luoghi pubblici e soprattutto nei messaggi lanciati da alcuni adulti.
Credo che soprattutto sui banchi di scuola si apprenda che la razza non esiste e che non è un fattore determinante nello sviluppo di una società il colore della pelle, ma piuttosto le capacità personali di ciascuno.
Tutto ciò eviterebbe discriminazioni e situazioni imbarazzanti che ancora oggi scoraggiano ed abbattono le mie care compagne straniere. Accettarle significherebbe solo un’inestimabile fonte di arricchimento reciproco che è alla base di un vero progetto di integrazione.
(Giulia Andreani, III C, Scuola media statale F. De Andrè)
6. Contro il razzismo!
La scena che segue si svolge sul volo della compagnia British Airways tra Johannersburg e Londra: una donna bianca, di circa 50 anni, prende posto di fianco a un nero. Visibilmente turbata, chiama l’hostess, “Che problema c’è signora?” chiede l’hostess “Ma non lo vedete?” risponde la signora “mi avete messo a fianco di un nero. Non sopporto di rimanere vicino ad un essere così ripugnante. Assegnatemi un altro posto”.
“Per favore si calmi” dice l’hostess “Perché tutti i posti sono occupati. Vado a vedere se ce n’è uno disponibile”. L’hostess si allontana e ritorna qualche minuto più tardi.
“Signora, come pensavo, non c’è nessun posto libero in classe economica. Ho parlato col comandante e mi ha confermato che non c’è nessun posto neanche in classe “executive”. D’altro canto, abbiamo ancora un posto in prima classe” e prima che la donna avesse modo di commentare la cosa l’hostess continua. “È insolito per la nostra compagnia permettere a una persona di classe economica di sedersi in prima classe. Ma, viste le circostanze, il comandante pensa che sarebbe scandaloso obbligare qualcuno a sedersi a fianco di una persona così sgradevole.
E rivolgendosi al nero, l’hostess dice “Quindi, signore, se lo desiderate, prendete il vostro bagaglio a mano c’è un posto in prima classe l’attende...”.
E tutti i passeggeri vicini che, scioccati, avevano assistito alla scena, si alzarono applaudendo.
7. Amico bianco
Amico bianco,
Io, quando piccolo, nero.
Quando diventato grande, nero.
Quando arrabbiato, nero.
Quando paura, ancora nero.
Quando morire, ugualmente nero.
Ma tu, amico bianco,
Tu, quando nato, rosa.
Quando diventato grande, bianco.
Quando arrabbiato rosso.
Quando ammalato, giallo.
Quando paura, verde.
Quando morire, viola.
Ma allora, amico bianco
Perché chiamare me di colore?
SCHEDA DI LAVORO
La solidarietà è il punto di arrivo del cammino della santità. La santità è prendere talmente sul serio la vita, da volerla vivere fino in fondo in tutti i suoi aspetti e da volerne fare un dono per gli altri.
- Il brano 1 è un racconto estremamente semplice: quante volte rischiamo di classificare le persone in categorie, di serie A o di serie B, ricchi e poveri, buoni e cattivi… Il racconto ci fa ricordare che siamo tutti UGUALI, tutti della stessa razza UMANA.
- Il brano 2 è una straordinaria storia vera. Leggiamolo con i ragazzi e verifichiamo cosa pensano di un gesto del genere e soprattutto della risposta degli sposi “Ci amiamo a tal punto…”.
- Il brano 3 un po’ più lungo, è una bella lettera di un volontario ad Annalena Tonelli, morta in India nel 2003. È una splendida riflessione sulla vita di Annalena, una delle tante persone che hanno fatto tanto del bene all’umanità, note o meno. È importante che questa lunga lettera sia letta molto bene altrimenti perde tutta la sua efficacia. Si potrebbe anche riportare in power point con belle immagini…
- Le due canzoni riportate (4) fanno pensare… La prima, quella di Antonello Venditti “Che fantastica storia è la vita” racconta quattro piccole storie che hanno in comune la consapevolezza che quando penso che sia finita, proprio allora che incomincia la salita che fantastica storia è la vita. La solidarietà è una salita che fa apprezzare di più la vita. La canzone di Ivano Fossati è un dialogo con un fratello immigrato. “Se c’è una strada sotto il mare prima o poi ci troverà, se non c’è strada dentro il cuore degli altri prima o poi si traccerà”. Chiediamoci: abbiamo già tracciato questa strada verso il cuore degli altri?
- Al 5 viene riportato un bel tema di una ragazza di terza media, uno spunto per chiedere: Conoscete persone di altre culture? Cosa conoscete in fondo di loro?
Con i ragazzi si può tracciare una linea verticale in un cartellone. Da una parte: QUELLO CHE RICEVIAMO DAGLI STRANIERI; dall’altra: QUELLO CHE OFFRIAMO AGLI STRANIERI. Si riempiono le due colonne nel dialogo: è più quello che riceviamo o quello che offriamo? Perché? Che cosa possiamo fare di più?
- Gli ultimi due brani (6 e 7) sono due spunti belli per riflettere sul razzismo. Non c’è bisogno di molti commenti: chiediamoci nel profondo di noi stessi “Siamo razzisti?”.
ATTIVITÀ
1. Nei panni degli altri
Solidarietà è anche empatia: capacità di comprendere l’altro fino in fondo, mettendosi un po’ nei suoi panni. Qualche piccolo esercizio può aiutare a comprendere cosa significa.
Primo tempo (6 minuti): si bendano gli occhi alla metà del gruppo. L’altra metà sfoglia un giornale e commenta quello che vede.
Secondo tempo (6 minuti): metà gruppo resta in una stanza, gli altri stanno in una stanza o fuori in modo da poter essere visti attraverso un vetro e descrivono tra loro un’esperienza bellissima che hanno fatto (anche inventandola).
Terzo tempo (6 minuti): fate una partita a pallavolo, alcuni di entrambe le squadre devono usare una mano sola.
Si torna in sala e ognuno racconta come si è sentito, a non vedere, a non sentire, a non potersi muovere, ma anche ognuno racconta come ha vissuto l’esperienza da “sano” nei confronti di chi non vedeva, non sentiva e non poteva muoversi bene.
Cosa abbiamo imparato da questo esercizio?
2. I disegni
Ecco sei disegni sul tema della solidarietà. Scrivete sotto ogni disegno una frase che spieghi che cosa è la solidarietà. Potete ingrandire i disegni, colorarli e creare una mostra sulla solidarietà.
(DISEGNI)
GRAZIE, SIGNORE
Regala ciò che non hai
(Alessandro Manzoni)
Occupati dei guai,
dei problemi del tuo prossimo.
Prenditi a cuore gli affanni,
le esigenze di chi ti sta vicino.
Regala agli altri la luce che non hai,
la forza che non possiedi,
la speranza che senti vacillare in te,
la fiducia di cui sei privo.
Illuminali dal tuo buio.
Arricchiscili con la tua povertà.
Regala un sorriso
quando hai voglia di piangere.
Produci serenità
dalla tempesta che hai dentro.
"Ecco, quello che non hai, te lo do".
Questo è il tuo paradosso.
Ti accorgerai che la gioia
a poco a poco entrerà in te,
invaderà il tuo essere,
diventerà veramente tua
nella misura in cui
l'avrai regalata agli altri.
Dammi tutti i soli
(Chiara Lubich)
Signore, dammi tutti i soli...
Ho sentito nel mio cuore la passione che invade il tuo per tutto l'abbandono in cui nuota il mondo intero.
Amo ogni essere ammalato e solo.
Chi consola il loro pianto?
Chi compiange la loro morte lenta?
E chi stringe al proprio cuore il cuore disperato?
Dammi, mio Dio, d'essere nel mondo il sacramento tangibile del tuo amore: d'essere le braccia tue, che stringono a sé e consumano in amore tutta la solitudine del mondo.
ULTIMA QUASI LETTERA AI RAGAZZI (O AGLI ANIMATORI)
Vedi alla voce... amore
Nelle pagine precedenti abbiamo percorso un cammino di santità per i ragazzi e i giovani, sulla scia di Domenico Savio e di Laura Vicuña. Un cammino che non porta fuori dalla vita, un cammino possibile anche ai ragazzi di oggi, che non li fa essere eroi di sogno o di avventure, ma li fa prendere sul serio la loro vita e la loro realtà quotidiana. Questo è il materiale da vivere, con cui si costruisce la santità. A patto che se ne viva una misura alta, che si viva l’ordinario in modo “straordinario”.
E, ripeto, lo straordinario non è da pensare come imprese impossibili o quanto meno improbabili, ma come un modo più ampio, più profondo, più alto delle cose quotidiane.
Più ampio vuol dire dare più spazio e più tempo a quello che ti apre, a quello che ti fa crescere, e superare l’egoismo.
Più profondo vuol dire trovare motivazioni più limpide, più pure, scandagliare nuove dimensioni dell’amicizia, della generosità, del dono.
Più alto vuol dire rendersi conto che Gesù è il cuore, il motore di tutto questo, l’esempio e il modello... o, come dice il Vangelo, la tua via, la tua verità, la tua vita.
In una parola... tutto si riduce a imparare ad amare alla scuola di Gesù, alla scuola dei santi, alla scuola di chi davvero ti vuole bene.
La santità è amore (più ampio, più profondo, più alto: con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto te stesso) perché Dio è amore (e l’amore non può che venire da Lui).
Amore dice vita e gioia e amicizia e solidarietà... amore chiama Gesù e preghiera... amore è ringraziare e lodare e implorare e chiedere perdono... amore è comunione e libertà, amore è lo Spirito.
Il cammino che hai percorso, e che è solo l’inizio, è la traduzione nella tua vita di questo amore ricevuto e di questo amore dato.
È l’ordinario nella sua misura alta, straordinaria.
Del resto non è forse vero che tu, che tutti voi ragazzi sapete che solo la misura “alta” è la misura “giusta” della vita?