La crisi di socializzazione ed educazione religiosa dei giovani


Giancarlo Milanesi

(NPG 1987-08-5)


Socializzazione ed educazione sono due concetti che si possono distinguere adeguatamente, anche se nella pratica essi si trovano spesso presenti in misura diversa nello stesso intervento formativo ed hanno un rapporto reciproco necessario.
Per socializzazione in generale si può intendere un processo di trasmissione della cultura, che ha come scopo fondamentale quello di riprodurre il sistema sociale che lo gestisce, cioè i suoi valori, la sua stratificazione e i rapporti di potere. La socializzazione tende a ottenere il consenso, la conformità e l'adattamento dei socializzandi e si serve di meccanismi in gran parte automatici, anche se è lungamente dimostrato che il socializzando non riceve passivamente il messaggio culturale, ma reagisce agli stimoli esterni in modo relativamente originale e creativo, interiorizzandoli selettivamente.
L'educazione è invece un processo che, pur presupponendo un minimo di socializzazione adattante, se ne distingue per più aspetti: è un'azione intenzionale che attraverso la proposta (non la trasmissione) di un sistema di significato per la vita (legittimata da una coerente testimonianza di vita) mira a risvegliare/liberare nell'educando una libera/autonoma/creativa capacità di autoprogettazione e autorealizzazione alla luce dei valori obiettivamente ricercati e riconosciuti. Il processo educativo utilizza e valorizza i contenuti culturali trasmessi per socializzazione, sussumendoli e trasformandoli criticamente in un nuovo progetto di vita.

SFASATURE E FRATTURE

Ci possiamo chiedere in che misura i processi di socializzazione-educazione sono rapportati globalmente all'esperienza religiosa e all'esperienza di fede, e in che modo specificamente l'educazione si differenzia dalla socializzazione rispetto all'esperienza di fede.
Ogni esperienza di fede presuppone e ingloba certi atteggiamenti di fondo, tipici di qualsiasi esperienza religiosa, ma non necessariamente è condizionata dalle «ierofanie» storicamente derivate e mutevoli, espressioni dell'esperienza religiosa stessa. In altre parole, l'esperienza di fede presuppone una serie di processi mentali (affettivi, sentimentali, motivazionali, ecc.), riducibili in buona sostanza alla capacità di esercitare un comportamento simbolico, cioè di risalire al significato e al valore, partendo da una presa di coscienza della situazione. Tale comportamento sembra suscettibile di educazione.
Viceversa le ierofanie, cioè le manifestazioni del sacro presenti nell'universo mentale del credente, come pure nel suo comportamento esterno, sono un prodotto culturale che per natura sua è suscettibile di trasmissione mediante processi di socializzazione. In questa ipotesi è compresa l'idea che l'esperienza di fede è compossibile con diversi sistemi ierofanici (cioè con diverse religiosità), ma non indipendentemente da un qualsiasi sistema ierofanico.
Di fatto nella tradizione cristiano-cattolica la formazione religiosa consiste anzitutto in una socializzazione religiosa che è in grado di trasmettere le cristallizzazioni religiose (cioè la religiosità, le ierofanie) della precedente generazione di credenti; e solo in un secondo tempo (o in seconda istanza) è anche iniziazione alla fede, cioè educazione alle opinioni religiose, che presuppone un'accettazione (libera e critica) di contenuti, di credenze, di riti, ecc. trasmessi.

La crisi dell'esperienza religiosa

Da questa descrizione sintetica degli interventi socializzanti-educanti si possono enucleare alcuni problemi inerenti all'esistenza di sfasature, incoerenze e difficoltà entro il sistema fede-religiosità.
Anzitutto va tenuto presente che le ierofanie tradizionali, per effetto dei processi di istituzionalizzazione, possono presentarsi dotate di un alto grado di ideologizzazione, possono cioè rivelarsi come un sistema culturale chiuso e separato, non più collegato a nessuna esperienza religiosa attuale, e perciò costituire un ostacolo notevole all'esperienza della fede. In altre parole, si può verificare una frattura consistente tra ierofanie provenienti dalla tradizione ed esigenze attuali dell'esperienza di fede.
D'altra parte si può anche verificare il fatto di una frattura tra processo di formazione delle ierofanie a livello di esperienza religiosa ed esigenze dell'esperienza di fede. Il fatto è che l'esperienza metafisica (pre-religiosa), cioè il bisogno di ricollegarsi vitalmente alla totalità e alla trascendenza, prende oggi strade molto diverse da quelle tradizionali indicate dalle religioni storiche. Le ierofanie che ne derivano non sembrano soddisfare a prima vista le esigenze espressive della fede cristiana. In altre parole, il veicolo culturale dell'esperienza religiosa di base si manifesta incapace di sostenere i contenuti tipici dell'esperienza di fede.
Il caso sembra piuttosto frequente tra coloro che, dopo aver rifiutato un'esperienza religiosa inquadrata nell'ambito delle religioni storiche, perseguono una certa ricerca di valore entro esperienze radicalmente laiche, che per altro rinviano a loro proprie ritualizzazioni o ierofanie. Il partito, il profitto, il successo, il sesso possono assurgere a livello di ierofania inconsueta con cui l'esperienza di fede deve necessariamente fare i conti.
Ciò provoca una certa sfasatura che ridonda a danno dell'esperienza di fede, che ne risulta impedita, perché di fatto tali ierofanie non sono che sostituti funzionali della religione, simboli decaduti che non rinviano necessariamente a un oggetto trascendente, né sono capaci di rispondere alle domande utili e che l'uomo si pone.

Il rifiuto delle forme religiose della fede cristiana

Quanto alle forme di religiosità derivate dall'esperienza di fede, va detto che anch'esse sono oggetto di istituzionalizzazione rapida, che ne condiziona la possibilità di trasmissione.
Ciò che viene trasmesso da una generazione all'altra non è certo la fede (che in sé non è suscettibile di trasferimenti di questo tipo), ma piuttosto sono le forme culturalmente rilevanti che rappresentano il precipitato storico dell'esperienza religiosa di una certa generazione.
L'educazione (o iniziazione) alla fede, che è propriamente il processo che permette di far maturare un'autentica esperienza cristiana, deve essere perciò rinnovata ad ogni generazione, anzi ad ogni individuo, sia pure nell'ambito di una continuità culturale che ne è la condizione essenziale.
L'esperienza di fede non nasce dalla trasmissione impositiva di una cultura religiosa cristiana, ma dalla proposta di riassunzione critica, libera e personale dei contenuti essenziali di tale cultura religiosa. E, ancora, il credente non è necessariamente e solo colui che si conforma alla cultura religiosa trasmessagli dalla precedente generazione per socializzazione, ma colui che ne coglie selettivamente gli elementi capaci di dare alla sua personale ricerca di trascendenza e di totalità un significato pieno. Cosicché si può dire che mentre la continuità con il passato è assicurata materialmente dal contenuto trasmesso, essa è resa effettivamente presente dalla testimonianza degli educatori che lo ripresentano non come dato culturale, ma come ragione di vita e di impegno.
L'importanza della distinzione adottata si verifica soprattutto nell'analisi della domanda religiosa dei giovani. Molti di essi infatti rifiutano una religiosità ridotta a eredità culturale, per tendere a una piena esperienza di fede, pur senza rifiutare le conseguenze culturali derivanti da tale opzione matura; accettano cioè una religiosità capace di esprimere anche in forme culturali nuove l'esperienza di fede, ma non una fede ridotta alla ripetizione rigida di un comportamento religioso consegnatoci dalla tradizione.

La istituzione ecclesiale tra conservazione e innovazione

Un ultimo cenno va fatto in rapporto alla posizione dell'istituzione ecclesiastica di fronte ai processi di socializzazione- educazione.
Essa infatti si trova a dover gestire contemporaneamente, vivendone l'ambivalenza, sia i processi di socializzazione che sono finalizzati a ottenere un consenso conformizzante e ad assicurare nel tempo e nello spazio la continuità e la uniformità del comportamento religioso, sia i processi di educazione religiosa mediante i quali la Chiesa mira a una specifica iniziazione delle nuove generazioni. In questo modo essa indottrina ed educa allo stesso tempo, apparendo conservatrice e innovatrice, difensiva e aperta, dogmatica e flessibile con le stesse persone.
Certamente essa non può venir meno a nessuno dei due ruoli, se intende conservare la sua funzione di custode del messaggio religioso, ma deve pagare l'ambivalenza con un alto prezzo di credibilità, specialmente tra quegli strati di popolazione che non accettano in nessun modo un sia pur indiretto legame con pratiche di manipolazione.
La questione è importante per risolvere l'interrogativo riguardante l'appartenenza ecclesiale, dal momento che non sembrano più sufficienti i criteri di una aggregazione meramente giuridica per assicurare un'effettiva partecipazione alla vita dei gruppi religiosi.
La distinzione tra socializzazione ed educazione religiosa ci fa capire come la prima non possa dare origine se non ad una partecipazione limitata ed estrinseca (ridotta nel tempo - fino all'adolescenza - e nello spazio - limitatamente a gesti o contenuti genericamente religiosi-), mentre la seconda è quella che rende efficaci i motivi di una partecipazione effettiva e duratura.
I processi educativi costituiscono dunque un momento di cerniera tra molti punti nodali del comportamento religioso, assicurando al sistema il massimo di funzionalità interna ed esterna, favorendo il superamento della rigidità istituzionale e costituendo anche l'antidoto contro i rischi di una mortificante ipersocializzazione delle nuove generazioni.

SOCIALIZZAZIONE ED EDUCAZIONE RELIGIOSA IN UNA FASE DI TRANSIZIONE

Le considerazioni fin qui fatte vanno ulteriormente inquadrate entro le variabili storiche e socio-culturali che caratterizzano la nostra epoca, perché effettivamente i processi di socializzazione-educazione variano notevolmente in rapporto a diverse condizioni ambientali.

In una società a struttura semplice

In una società a struttura semplice i processi di inculturazione sembrano avvenire secondo modalità lineari che rispecchiano la gerarchizzazione delle istituzioni e dei correlativi sistemi di significato.
Ci troviamo di fronte ad una società dotata di una cultura sufficientemente organica e unitaria, ben identificabile e perciò facilmente trasmissibile. Non esistono situazioni di conflitto radicale tra agenzie di socializzazione, e il contenuto stesso della cultura è diffuso in modo uniforme nelle diverse esperienze sociali attraverso cui i nuovi nati si inseriscono gradualmente nella società.
La socializzazione, in assenza di consistenti stimoli al cambio (cioè in assenza di gruppi devianti), raggiunge facilmente lo scopo dell'adattamento del soggetto in quanto il meccanismo del consenso viene facilmente posto in essere dalla presenza di controlli sociali capillari.
Le agenzie di socializzazione, tra l'altro, non sono caratterizzate da un alto grado di specializzazione, perché tutte, partecipando alla medesima cultura in modo piuttosto diretto e continuo, sono in grado di trasmetterla per diffusione.
In questo contesto il processo tipicamente educativo è gestito capillarmente dalle agenzie che socializzano (famiglia, corporazione, vicinato, parrocchia, clan, ecc.), le quali sono generalmente costituite da piccoli gruppi, altamente funzionali rispetto alle relazioni a faccia a faccia.
Per quanto riguarda i valori religiosi, occorre aggiungere che nel contesto europeo per lunghi secoli essi hanno rappresentato in un certo senso il vertice e l'asse della cultura (sia pure con molte sfumature e accentuazioni); ciò ha contribuito a facilitare da una parte la loro trasmissione, in quanto contenuto centrale e socialmente rilevante della cultura, ma ha anche contribuito a sminuire l'importanza della dimensione specificamente educativa, poiché in una società ad alto consenso sui valori non si esigono specifiche opzioni consapevoli e critiche rispetto ai contenuti dei messaggi culturali. Oltre a ciò si deve dire che questa situazione porta quasi insensibilmente a formalizzare il consenso e a ritualizzare le appartenenze, dando origine ad una crescente spaccatura tra comportamento reale e comportamento ideale.
In altre parole, si corre il rischio di separare religiosità da fede, ed esperienza (religiosa) da comportamento religioso.

In una società a struttura complessa

La situazione è molto diversa se prendiamo come punto di riferimento una società a struttura complessa, animata cioè dai processi di divisione del lavoro sociale, tipici delle società ad alto sviluppo scientifico, tecnologico, industriale.
In questo contesto i processi di specializzazione rispecchiano il pluralismo strutturale e culturale che si è venuto instaurando per effetto delle condizioni nuove sopra accennate. Le agenzie di socializzazione vengono moltiplicate. Accanto alle tradizionali fonti di emissione di messaggi culturali, altre ne vengono a sorgere, portatrici di nuovi «sistemi di significato» più o meno totalizzanti e più o meno capaci di ottenere il consenso in base al potere di cui sono dotate le agenzie che li diffondono.
In questa situazione di competitività e di conflitto il carattere prevalentemente socializzante di questi interventi è pressoché specifico; ogni agenzia cerca di captare il consenso e di rendere credibile il proprio messaggio mediante le tecniche più raffinate della comunicazione.
Una delle caratteristiche nuove è poi rappresentata dal fatto che in questo contesto le antiche agenzie di socializzazione (prevalentemente microstrutturate) entrano in crisi, sopraffatte dalla efficienza, dal potere e dalla onnipresenza delle nuove (scuola, associazioni, partiti, sindacati, fabbriche, ecc.). Ciò sembra costituire una consistente perdita di qualità educativa, in quanto viene a mancare l'insieme di condizioni che permettevano appunto di esercitare un'azione non solamente socializzante.
Il nuovo modo di trasmettere la cultura si presenta certamente più ricco di occasioni di partecipazione, ma non per questo si trasforma automaticamente in una opportunità educativa; la partecipazione culturale può diventare partecipazione subordinata (e non protagonista), favorendo la massificazione del processo e quindi la più rapida cristallizzazione dei contenuti culturali. Per questi motivi, in assenza di una più esigente dimensione educativa dentro le pratiche socializzanti, la cultura può diventare ideologica e perciò servire piuttosto alla manipolazione di gruppi e persone, anziché alla loro progressiva emancipazione.
Per quanto riguarda il problema religioso, si possono richiamare alcune tipiche situazioni prodotte dalla nuova realtà sociale.
In questo contesto va notato anzitutto che viene meno per l'istituzione ecclesiastica la possibilità di continuare ad esercitare il ruolo di centralità (in alcuni casi di egemonia) fin qui svolto. E di conseguenza viene meno il supporto di legittimazione fin qui prestato ai valori religiosi presenti nella cultura.
Questo processo complesso (equivalente per molti aspetti a quello della secolarizzazione) ha degli effetti immediati e diretti sui processi di socializzazione religiosa. Infatti, anche quando i valori religiosi non siano confinati o emarginati nella sfera della più assoluta privatizzazione, essi sono destinati a entrare in competizione o conflitto con gli altri sistemi di significato presenti sulla scena sociale; sistemi che per di più sono sostenuti da ben altre legittimazioni.
A ciò si aggiunge che le abituali agenzie di socializzazione religiosa, per di più appartenenti all'area del privato, entrano in crisi per obsolescenza e per mancanza di spazio vitale (crescente irrilevanza, perdita di funzioni, assenza di prospettive). Il risultato sembra essere complessivamente ravvisabile in una progressiva (anche se non irreversibile) contrazione della socializzazione religiosa; il che fa mancare a molte persone gli stimoli che servivano a mantenere la continuità culturale-religiosa.

IL RECUPERO DEL COLLETTIVO

La crisi di socializzazione religiosa comporta anche una certa crisi dell'educazione religiosa, dato che i due momenti del processo erano nella precedente situazione socio-culturale strettamente connessi. Ci si può interrogare a questo punto quali siano i fattori che possono intervenire a cambiare il quadro descritto.
La risposta va cercata, tra le altre cose, nei fenomeni di comportamento collettivo, che sono stati recentemente assunti come paradigma esplicativo di alcuni macroscopici casi di cambio sociale.
Secondo Smelser, ripreso in Italia da Alberoni e in Francia da Touraine, i fenomeni di comportamento collettivo si verificano nell'ambito di società caratterizzate da alti livelli di cristallizzazione e formalizzazione dei comportamenti; ove cioè le strutture e le culture obbediscono a processi di consistente istituzionalizzazione. Il comportamento collettivo è fatto proprio da gruppi, strati o aggregati che reagiscono a tale situazione, proponendo una radicale revisione dei valori esistenti, insieme alla completa fluidificazione della struttura che permetta la ricerca di una nuova proposta di valore, che inizialmente ha la caratteristiche del massimalismo utopico. Si tratta, secondo Alberoni, di un moto pendolare tra istituzione (momento di massima rigidità) e movimento (momento di massima fluidità) che assicura ai sistemi sociali la possibilità di superare i punti morti nel loro processo di sviluppo.
Relativamente all'esperienza religiosa, si può forse dire che il periodo conciliare ha rappresentato in qualche modo un momento tipico di de-istituzionalizzazione, capace di mettere in crisi la prassi socializzatrice, di tentare il ricupero dei contenuti del messaggio trasmesso e innovare la trasmissione del messaggio stesso attraverso l'immissione di consistenti interventi specificamente educativi. Questa fase di transizione registra necessariamente una notevole confusione di ruoli all'interno delle agenzie di socializzazione, ma costituisce il passaggio necessario verso una nuova sistemazione della cultura religiosa. Si possono anche richiamare gli spunti offerti dal rinnovato interesse per i piccoli gruppi.
La dimensione comunitaria, contrapposta a quella associativa, viene ricuperata come ambito dell'educativo e come correttivo delle spinte socializzatrici di massa. Non si tratta esattamente di «strutture del privato», ma piuttosto di «strutture private a valenza pubblica», che giocano un ruolo di mediazione rispetto ai due momenti del processo formativo. La famiglia, il gruppo, la comunità riescono (o sembrano riuscire) a ricostruire le condizioni ottimali perché il messaggio culturale, in questo caso religioso, possa essere non solo socializzato, ma anche interiorizzato attraverso le modalità educative.