Antonio Martinelli
(NPG 1987-5-16)
Dio dev'essere rievangelizzato. Schillebeekx intitola un suo studio con le significative parole:
«Dio in bacino di carenaggio».
Il suo annuncio dev'essere ricentrato nella testimonianza di Cristo e nella docile attenzione allo Spirito, perché nel cristianesimo è un dato da accogliere: più da scoprire che da inventare.
Il mondo dei giovani sembra aprire un dibattito attorno a Dio, anche se tante accentuazioni hanno bisogno di essere verificate, per non dare adito a ricerche solo rassicuranti.
In questo senso annunciare Dio ai giovani d'oggi oltre che richiedere coraggio, perché deve affrontare una sfida impegnativa, ha bisogno di esprimersi come una promessa. La promessa che l'incontro con Dio non compromette assolutamente la promozione dell'uomo e la sua libera espressione creativa: sono esigenze né ingenue, né assurde.
Per parlare di Dio in modo adeguato, un punto indispensabile attraverso cui passare è il riferimento a Gesù di Nazareth. È lui, secondo l'espressione biblica usata da Giovanni fin dall'inizio del suo vangelo, l'esegesi di Dio Padre: poiché nessuno mai ha visto Dio, solo il Figlio può presentarci un resoconto della sua vita. Resoconto che non si accontenta di sole parole, ma si esprime attraverso gesti e fatti: attraverso tutta l'esistenza terrena. Gesù è il volto umano di Dio.
Nella catechesi tradizionale si è sempre. affermato che i misteri fondamentali della fede cristiana sono due: l'unità e la trinità di Dio; l'incarnazione, passione, morte e risurrezione del Signore Gesù. È una formula brevissima della fede, che nel legame inscindibile tra Trinità e incarnazione afferma già a sufficienza l'esigenza di comprendere il primo mistero nell'orizzonte del secondo e viceversa. La Trinità non è percepibile in se stessa, se non nella storia di Gesù uomo tra gli uomini, salvatore tra i bisognosi di misericordia e di perdono. L'incarnazione trova il suo centro definitivo nell'amore del Padre e dello Spirito.
Per ripartire da Gesù Cristo e ritrovare il modo di annunciare Dio oggi, possono essere seguiti tre itinerari diversi: la bibbia, la riflessione teologica della chiesa, la pietà popolare dei credenti. Ogni itinerario ha qualcosa da dire, in modo originale: la mia attenzione è riportata prevalentemente sulla seconda strada.
Come guardare, in concreto, a Gesù Cristo, maestro incomparabile nel dire Dio agli uomini del suo tempo?
Il titolo che più si conviene a Gesù Cristo è quello di mediatore. Anche nel contesto che stiamo affrontando è da considerare mediatore.
Gesù è il nostro approccio a Dio inserito nel contesto dell'uomo, riempiendo di sé e della sua presenza la storia dell'umanità. È il nostro approccio a Dio totalmente altro, in quanto non si lascia catturare da un'unica vicenda umana, ma supera spazi e tempi, culture e realizzazioni concrete.
Da questo Gesù Signore, figlio di Dio e figlio dell'Uomo, riparte l'annuncio del Dio e la nuova evangelizzazione che il mondo contemporaneo attende.
LA PROFEZIA RACCHIUSA NEL DIO DI GESÙ
Le riflessioni che seguono non possono essere lette come un trattato completo di teologia su Dio. Sono spunti e cenni che facendosi attenti ai nuclei dell'annuncio evangelico e della riflessione ecclesiale invitano ad una .riformulazione della stessa catechesi su Dio.
Un'osservazione si rende necessaria per intendere l'assoluto, Dio. Ci si interroga, cioè, se guardare a Dio a partire da Gesù Cristo, oppure parlare di Gesù Cristo con gli occhi rivolti a Dio. Si tratta di stabilire se la concezione dell'assoluto che l'uomo religioso ha prima dell'incarnazione prevale sul modo di pensare l'assoluto riscontrabile nella storia di Gesù di Nazareth e nel messaggio evangelico a lui collegato. Se il Cristo nell'annuncio di Dio diventa un riferimento assoluto e il criterio con cui guardare e parlare di Dio, allora le sue parole e il suo comportamento segneranno il cammino della nuova evangelizzazione.
Che cosa lascia intendere di Dio la storia di Gesù
La scelta della chiesa, che a Nicea nell'anno 325 ha cercato una migliore comprensione del volto di Dio nel volto di Cristo, ha definitivamente orientato il cammino della riflessione cristiana a partire dall'unità tra Dio e il suo volto umano, Gesù.
Quello che possiamo cogliere a partire dalla riflessione della prima comunità cristiana condensata nei vangeli e nelle lettere apostoliche è detto in tre affermazioni complementari.
Gesù non è anzitutto preoccupato di esprimere una sua particolare dottrina su Dio. Non affronta problemi e questioni di tipo teorico e generale. Presenta abitualmente Dio non attraverso un'idea, ma attraverso un'azione o un'immagine o un simbolo. Ciò che sembra interessargli maggiormente è la comunicazione immediata e chiara del rapporto che si viene a stabilire tra Dio e tutto il resto, creazione e uomini compresi.
Il nuovo testamento non cerca primariamente di suscitare lo stupore religioso dinnanzi al mysterium logico di un Dio che è insieme uno e trino. Tende invece a presentare questo mysterium come l'origine e il fine della salvezza portata agli uomini.
Una seconda indicazione emerge dall'evangelo: Dio è sempre il termine ultimo dell'azione che Gesù compie. Il legame tra Gesù e Dio è profondo, intenso, filiale.
A considerare bene le cose, le due affermazioni non dicono l'originalità propria del discorso di Gesù su Dio. Eppure c'è una distanza, da definire incolmabile, tra il Dio di Gesù Cristo e il Dio di qualunque altro profeta religioso. Ma quale sarà la caratteristica, lo specifico dell'annuncio di Gesù?
È qui la terza affermazione evangelica: l'obiettivo del discorso su Dio, in Gesù, non è Dio stesso, ma l'uomo; non è l'onore di Dio ma la libertà dell'uomo. La parola più efficace che Gesù pronuncia è la sua azione, il suo comportamento. L'azione di Gesù è sempre un'invocazione rivolta a Dio chiamato con il nome di Padre e colto come l'unico fondamento della libertà da restituire all'uomo.
Il rapporto tra Gesù e Dio è filiale e religioso: è sempre un'invocazione ricca di speranza che porta al compimento del desiderio formulato.
L'appellativo di padre rivolto a Dio, anche se non esclusivo sulle labbra di Gesù, è il segno di una presenza reale nella storia del Cristo e degli uomini. È presente ed operante a favore dei figli, proprio come un padre sempre attento alle fondamentali esigenze delle proprie creature.
E l'esigenza prima è la loro libertà. Si può affermare che in questa indicazione ci sia l'appellativo-chiave del discorso religioso, e perciò del vangelo: Dio è il liberatore.
L'annuncio di Dio è l'annuncio della liberazione dell'uomo.
Per poter parlare di un Dio liberatore, Gesù ha dovuto lottare per liberarlo dalle strettoie e dalle catene in cui gli uomini, anche ben intenzionati, lo costringevano tenendolo inutilmente prigioniero del legalismo, dell'autoritarismo, dell'autosufficienza, della stessa religione.
La storia del Signore Gesù può essere letta tutta alla luce del tentativo di purificare la presentazione di Dio: la lotta contro le autorità costituite, le dispute continue con i detentori della legge, le estenuanti lezioni ai propri discepoli perché intendano, le faticose peregrinazioni in tutti i territori della Palestina a raccontare del Padre suo, i miracoli compiuti come sfida pubblica contro coloro che non volevano capire nulla di Dio. Tutto è orientato ad un unico scopo: designare Dio come colui che spezza ogni oppressione, foss'anche quella della religione e agire profeticamente come uno che libera da ogni schiavitù. Il contesto in cui Gesù invoca Dio come Padre è la liberazione dell'uomo. L'immagine della paternità analizzata indipendentemente dall'azione che la sostiene e la concretizza non esprime compiutamente il senso che le attribuisce Gesù.
Dio è misericordia, bontà, comprensione, amore paterno mentre si esprime a favore dell'uomo bisognoso.
La comunità cristiana annuncia il Dio di Gesù
Tutto il vangelo è in concreto l'annuncio che la prima comunità credente ha fatto del proprio Signore e Maestro. Ma se i racconti erano capaci di evocare a testimoni diretti e ad ascoltatori di testimoni oculari ed auricolari la ricchezza degli episodi catechistici raccolti, i secoli e la storia non hanno facilitato in seguito il compito dell'annuncio. Il contesto culturale faceva sentire il condizionamento: il monoteismo giudaico e il politeismo ellenista misero la chiesa in stato di apologia.
Come parlare del Dio di Gesù Cristo nel nuovo contesto? Come riportare l'esperienza della prima comunità credente sul piano del confronto con le più evolute filosofie del mondo greco? Il mistero di Cristo poteva far fronte alle nuove esigenze del mondo?
Non sono da sottovalutare le difficoltà del nuovo annuncio.
Sul fronte del giudaismo, pur raccogliendo tutto l'insegnamento dell'antico testamento e la fede nell'unico Dio, bisognava inserire la rivelazione del Padre, del Figlio e dello Spirito santo come tipica novità portata da Cristo: una rivelazione poggiata sul mistero della morte e della risurrezione di Gesù.
Quale valore e quale significato annettere alla morte e alla risurrezione del Cristo in vista dell'annuncio di Dio? Che cosa modifica dell'immagine di Dio l'immissione dell'esperienza della storia di Cristo?
Si prende coscienza in modo più evidente che l'antico testamento trova la sua verità nella storia di Cristo, trova in lui il compimento: perciò anche l'immagine di Dio va riletta alla luce del mistero di Cristo.
Guardato in questo modo, l'antico testamento non è più un sistema di riferimento dottrinale completo in se stesso. Non è soprattutto un corpo dottrinale che giudica il seguito della storia salvifica e l'opera del Cristo. Al contrario, sarà l'opera di Gesù a giudicare l'antico testamento. Questo rovesciamento operato da Gesù evita di chiudere l'antico testamento, di travestire il racconto con le forme di un trattato, l'azione alla maniera di una teoria, la descrizione di una storia con il rigore del dogma.
Il concilio di Nicea ha questo grande merito: aver legato in uno Gesù e Dio, per cui il volto umano del Cristo traduce la realtà intima di Dio, la sua parola e la sua azione narrano la vita del Padre, del Figlio e dello Spirito.
Ciò significa che in definitiva tutte le nostre produzioni su Dio sono sottoposte a questa unità tra Gesù di Nazareth e colui che egli invoca come padre suo.
Si tratta di restituire a Gesù di Nazareth il suo posto privilegiato nella determinazione di Dio.
Sul fronte, poi, dell'ellenismo la comunità credente si è trovata a dover tradurre in modo concettuale l'esperienza di fede che andava compiendo. E si è vista costretta ad esprimere la propria fede in un linguaggio lontano sia da quello della bibbia sia dalle forme popolari che le nuove comunità imparavano ad esprimere e a vivere nel concreto.
Si verificò uno spostamento verso categorie logiche. La verità religiosa cristiana posta sullo stesso piano di dignità su cui si trovavano i suoi avversari si allontanò dalla sua struttura fondamentale, dalla simbolica trinitaria che è il principio della nuova religione.
Dare spazio alla presenza del Signore Gesù nel dire Dio oggi, comporta anche la capacità di ritornare ad un discorso che esprima le implicanze concrete circa il rapporto che gli uomini hanno con Dio e tra loro.
IL DIO DI GESÙ E DELLA COMUNITÀ CRISTIANA
Negli ultimi tempi il tema trinitario è stato considerato quasi come una verità rimossa. Si è parlato di Dio in modo generale e, alcune volte, anche generico.
Agostino, nella sua esperienza di uomo di riflessione e di fede, dice: «Non c'è argomento a proposito del quale l'errore sia più pericoloso, la ricerca più ardua, la scoperta più feconda».
Il tema della Trinità va rievangelizzato. C'è nelle forme pratiche di vita cristiana il riferimento ad un Dio generico, ad un monotesismo indistinto e una carenza di esplicito rapporto al Padre, al Figlio e allo Spirito santo. Ciò crea spesso crisi d'identità e condizioni per un ateismo pratico e di protesta.
Quando ci si è interessati al tema, lo si è affrontato con preoccupazione apologetica ed essenzialista, cioè ci si è interrogati sulla esistenza e sulla essenza di Dio. La sensibilità moderna invece preferisce una riflessione di tipo storico ed ermeneutico, vale a dire una riflessione che consideri l'origine e il significato della realtà. Ci si chiede il «come» e il «perché» è nata e si è sviluppata la dottrina trinitaria e «qual è il significato per noi» credenti di oggi.
Non si può fare giustizia al Dio di Gesù Cristo e del vangelo se non evidenziando quale progetto d'uomo, nella sua individualità e socialità, il discorso su Dio comporti.
C'è una circolarità interessante tra la conoscenza di Dio e la conoscenza dell'uomo. Ogni approfondimento della realtà di Dio serve per un'approfondita comprensione dell'uomo fatto ad immagine di Dio. Mentre nasce il sospetto che per il catechismo della testa, a cui siamo stati introdotti ed educati, e per il catechismo del cuore, al quale c'è più riferimento oggi, l'immagine dell'incarnazione non muterebbe affatto se non ci fosse la Trinità.
Il Dio «cercato» oggi raccoglie attorno a tre nuclei chiave la presenza e l'azione, la vita e il rapporto: si cerca un Dio operante nella storia, ci si riferisce al Padre di Gesù Cristo nello Spirito, si esige un Dio di uomini.
Mosè, chiamato ad avvicinarsi a Dio che gli parla dal roveto ardente, scopre che si accosta ad una terra santa ed inviolata. Non può vedere Dio in volto, non sa chiamarlo per nome, non gli è permesso farsene un'immagine. È invisibile ed è indicibile.
Il salmista esprime solo una preghiera: «Il tuo volto, Signore, io cerco».
È invocazione accorata perché Dio finalmente si mostri e sveli la pienezza di vita che lo anima. È un desiderio che accompagna per tutta l'esistenza, dando significato alla ricerca e al dolore, alla gioia e alla solidarietà tra gli uomini.
È un impegno continuo. «Credo per capire e capisco per credere» esprime bene la dialettica costante di tutti i credenti, non solo dello studioso, ma anche dell'uomo semplice ed aperto ad ogni comunicazione di Dio.
Dio, il Padre
Perché il tema della paternità non venga estenuato nell'annuncio odierno, è necessario ritornare alla fonte della Parola di Dio e rileggervi il messaggio che Gesù il Cristo fa giungere alla comunità credente. Per Gesù, ecco il dato più importante, Dio è «il Padre».
Ci si può chiedere: come arriva il Cristo all'affermazione che Dio è il Padre? qual è l'immagine del Padre da ricavare dalle parole di Gesù condensate nel vangelo?
Perché solo a partire da quella comprensione è possibile annunciare Dio Padre oggi, per sfuggire all'immaginario paterno di cui tanta parte della odierna psicologia, della ricerca sociologica, della preoccupazione pedagogica, si sono impadronite, con il rischio di non rispettare la rivelazione del Cristo.
All'azione e alla vita di Gesù interessano in modo particolare il riconoscimento e l'accettazione della «signoria» di Dio da parte sua e di coloro che ascoltano il suo messaggio.
Per realizzare ciò (è poi il motivo della sua venuta tra gli uomini) fa di Dio l'unico riferimento del suo esistere. Riprendendo una parola detta poco prima, si può affermare che Gesù si presenta tra gli uomini come il «monoteista più coerente» che si possa immaginare. In modo rigoroso e totalitario, Dio rappresenta ed è per Gesù «tutto». È l'unico. È il vero Dio.
Poiché la sua causa coincide con la causa dell'uomo, Dio manifesta una tenerezza senza limiti, in specie con i piccoli, gli umili, gli emarginati, peccatori.
Gesù annuncia allora una «signoria di amore e di misericordia», ripetendo i gesti di Dio nella propria esistenza, presentandosi intimamente unito a Lui, vivendo una confidenza illimitata ed insuperabile. È sì il riferimento assoluto ed unico: è il suo Dio. Ma nel contempo Dio è «suo padre».
La suprema maestà di Dio e la più premurosa vicinanza si condensano nella parola evangelica riportata da Marco (14,36): «Abbà».
«Padre» diventa così il nome che conviene a Dio solo; rappresenta il culmine dell'antica rivelazione e l'inizio della nuova; esprime in maniera sintetica ed innovativa tutto il messaggio di Gesù.
Gesù, il Figlio
Il vangelo si sofferma in molte circostanze nella presentazione del singolare rapporto che esiste tra Gesù e Dio, lasciando intendere che al di là di ciò che si coglie c'è ancora dell'altro. Le formule che descrivono il rapporto storico fra Dio e Cristo trovano fondamento e integrazione in altre espressioni che attestano un rapporto al di là della descrizione storica.
È importante percepire questo per la comprensione di Gesù. Mi voglio riferire a tre momenti della riflessione che la comunità cristiana ha compiuto nell'itinerario di approfondimento e di comprensione della persona del Cristo.
Per Matteo, che applica a Gesù che nasce la parola profetica di Isaia, Dio stesso ha voluto parlare agli uomini e ha scelto di stare con loro nella presenza del Cristo: è l'Emmanuele, il Dio con noi.
Il rapporto Dio-Cristo va perciò oltre l'evento storico.
Paolo ha un posto speciale nella riflessione sulla persona e l'azione di Gesù Cristo. Due elementi mi interessa richiamare. È in forza della risurrezione che Paolo, e con lui tutto il nuovo testamento, applica esplicitamente a Gesù la testimonianza dell'antico: «Tu sei mio figlio, oggi io ti ho generato» (Sal 2,7).
È ancora in forza della risurrezione che Gesù il Cristo accumula in sé ed evidenzia i titoli che lo costituiscono «Figlio, Cristo, Signore». L'inizio della lettera ai Romani è molto esplicito in questa linea (cf Rom 1, 1-3).
Giovanni con il suo vangelo è il testimone più alto e più significativo del rapporto tra Dio e il Cristo: rapporto da definire come tra Padre e Figlio, fin dall'eternità.
Ciò comporta che tutte le enunciazioni sono inadeguate alla realtà, e sono soltanto allusioni imperfette di ciò che resta sempre per noi inconcepibile e ineffabile.
Lo Spirito del Padre e del Figlio
La Trinità è tale per lo Spirito santo, che non si presenta quindi come l'accessorio verbale di una presentazione del divino conclusa nell'armonia dei tre, ma è il vero e proprio compimento della stessa autorivelazione di Dio nell'economia cristiana.
A fronte dell'ombra quasi totale in cui è lasciato, o è stato lasciato per lungo tempo, il tema dello Spirito, oggi i vari movimenti (che impropriamente si denominano, in modo esclusivo, carismatici), sorti nella chiesa come frutto del concilio, stanno a ricordare a tutta la comunità la sua presenza e significato.
La fede in Dio come Padre e in Gesù come Figlio non può sussistere senza la fede nello Spirito.
Il messaggio evangelico non offre unicamente il modello di rapporto tra Padre e Figlio, ma anche la speciale e incomparabile intimità che si sviluppa tra Gesù e lo Spirito, tra lo Spirito e il Padre e il Figlio.
Lo Spirito, nella parola di Dio, viene presentato attraverso la funzione che meglio esprime la sua realtà e che più compiutamente raccoglie il suo rapporto con la storia degli uomini e perciò con la vita di Dio: è Spirito creatore, cioè energia di Dio, fonte di libertà, origine della comunione, memoria della salvezza.
Una riflessione che non ha un termine
La storia della salvezza concreta ed esistenziale ha un'impronta costitutiva specificamente trinitaria.
La vita della chiesa si specifica sulla linea e sul tipo della vita della trinità.
Ogni singolo credente deve la sua impronta originale allo stampo tipico trinitario.
Non è immaginabile la vita cristiana al di fuori della simbolica trinitaria.
Tornare alla vita concreta significa allora rendere operativa questa realtà su cui tutti siamo costituiti, e saper trarre quelle conseguenze che cambiano la vita di colui che sente l'annuncia del Dio di Gesù Cristo.