Antonio Martinelli
(NPG 1987-05-11)
C'è un mistero che avvolge tutti: la solitudine che occupa la storia di un uomo o di un popolo; la problematicità che scende prepotente nell'esistenza quotidiana trasformandola fin dalle sue radici; il dolore e la sofferenza di cui tutti facciamo esperienza; l'esperienza definitiva della morte che segna la storia faticosa ed entusiasmante di tutti gli uomini.
Come dire Dio?
La scommessa di fronte a cui ci si trova è alta.
Quale itinerario seguirà la coscienza credente? È possibile trovare un linguaggio corretto?
DOLORE E SOLITUDINE ESIGONO UNA «COMPAGNIA»
Noto che se è possibile trovare una «compagnia» adeguata in queste circostanze, allora tale possibilità sarà, a maggior ragione, possibile in altre situazioni umane.
Ma se la risposta è qui negativa, non importa più che a partire da situazioni meno profonde e interpellanti, cioè meno misteriose, le persone sembrino trovare la strada di Dio.
Questo terreno di mistero insondabile pone il problema del linguaggio relativo a Dio.
Si consideri quanto gli avvenimenti che rinviano l'uomo a se stesso e lo pongono di fronte a un mistero insondabile sono in qualche modo esperienze di assoluto. In alcuni casi esperienze tematizzate, sempre almeno «anonime» esperienze di Dio.
Quando l'uomo fa esperienza di sé a livelli profondi e radicali si avvicina all'esperienza di Dio. Le due realtà si richiamano tra loro e si condizionano vicendevolmente.
Con quale linguaggio dire la vicinanza di Dio?
Come si farà compagnia all'uomo in questo viaggio? Cosa fare per accompagnare nell'incontro con Dio? Con quale linguaggio ci si esprimerà?
Nella storia dell'esperienza cristiana i linguaggi sono riconducibili a tre: logico, profetico, contemplativo.
Il primo è preoccupato della consequenzialità delle proposizioni e della loro verificabilità scientifica. Procede per dimostrazioni chiare e distinte. Cerca di convincere e ha bisogno dell'assenso intellettuale. Non coinvolge direttamente la vita della persona, né impegna gli atteggiamenti interiori. Sa soppesare i pro e i contro e si decide, con l'intelligenza che sa valutare, per la parte che meglio salva i propri diritti. Non riesce sempre a far compagnia all'uomo interiore e alle sue ragioni del cuore. Lo accompagna solo per un tratto di strada e poi o cerca di vincerlo con la forza del proprio ragionamento, oppure l'abbandona al suo cammino, impotente e solitario.
È possibile parlare di Dio solo in termini logici?
Il linguaggio profetico, come quello poetico, è capace di cogliere nella profondità e nella sintonia con il proprio spirito la vita nascosta in tutti i germi dell'esistenza.
È il linguaggio della solidarietà, della comunione profonda che esiste fra tutti, della prospettiva che non si perde nei meandri degli interessi.
È il partire sempre dall'ultimo, dal più povero, da chi ha di meno, dal bisogno che urge continuamente bussando alla propria vita.
È sentire nella storia dolorosa del particolare la dimensione che è di tutti.
Qui il discorso su Dio si fa efficace e coinvolgente.
Passare del linguaggio profetico a quello contemplativo comporterà percorrere un altro sentiero.
Qui emerge una nuova esigenza: quella dell'amore che Dio ha per l'uomo. Non è più sufficiente l'amore che l'uomo esprime per Dio.
Dio non abita il mondo della giustizia e della retribuzione, ma quello dell'amore e della misericordia.
Sarà proprio la gratuità dell'amore di Dio il quadro in cui iscrivere l'esigenza di praticare la giustizia.
Si tratta di dichiarare la trascendenza di Dio e del suo amore gratuito.
È in questo modo che le persone riescono ad incontrarsi pienamente e incondizionatamente; senza pagare nessuna tariffa, senza obblighi esteriori che premono perché si corrisponda all'altro.
Da questa prospettiva, che è quella della contemplazione e venerazione, non scompare il problema posto all'inizio, ma è solo trasferito ad altro livello: quello del mistero imperscrutabile.
Gli interrogativi e le incognite non sono risolti completamente, ma si è solo trovata una chiave utile ad una nuova lettura.
La vita cerca «compagnia» per incontrare Dio
Il momento del mistero insondabile della vita è una delle condizioni possibili in cui dire Dio oggi, all'uomo contemporaneo che sperimenta insieme la forza della sua capacità e la fragilità della sua presenza.
Luoghi ulteriori in cui è possibile oggi dire Dio saranno, per fermarmi solo ad un elenco arido e bisognoso di approfondimenti, l'esperienza del non senso e la rivendicazione di senso; l'esigenza del dovere morale sempre, senza eccezioni, con una radicalità ultima, insuperabile e incondizionata; l'impugnazione costante nella storia dell'uomo dei suoi diritti inoppugnabili e fondamentali; l'esperienza dell'invocazione e della preghiera in cui ciascuno esprime la realtà più profonda di sé nell'incontro con un trascendente che sconvolge e arricchisce.
Un luogo privilegiato per dire oggi Dio è riaccostare e rileggere la presenza e l'azione del Cristo Signore così come l'esperienza biblica l'ha tramandata a noi.
La passione per la vita è il luogo privilegiato per annunciare Dio. ai giovani d'oggi.
La ricerca di Giancarlo Milanesi, Oggi credono così (LDC 1982), investigando l'area dell'interrogativo «chi è per me Dio», raccoglie una serie di risposte che possono essere significative e interessanti; si riportano al centro della vita cristiana sia nella dimensione di offerta che di risposta: «Soprattutto per me Dio è l'amore e per questo io devo amare chi mi è vicino».
Dall'amore ricevuto all'amore donato il percorso contempla l'atteggiamento essenziale dell'amore alla vita.
Va anzitutto affermato che cogliere la sintesi dell'evangelo nella realtà dell'amore è esprimere, in forma forse confusa ma ricca, le convinzioni che stanno a fondamento dell'amore alla vita, così come la rivista l'ha presentata nel progetto di animazione.
Tra le realtà umane (è la prima sottolineatura) che possono essere punto di partenza per l'accesso al Dio cristiano, la più pertinente è la realtà dell'amore: l'esperienza dell'amore umano, nei suoi valori e nei suoi limiti, nelle sue esaltanti possibilità e nei suoi drammatici condizionamenti, è il luogo antropologico in cui prende senso la rivelazione di Dio.
Dare spazio all'amore alla vita è allargare quindi le possibilità dell'incontro con Dio, perché è giocare sullo stesso terreno d'incontro e d'impegno.
La sostanza dell'amore (è un secondo aspetto da cogliere) è l'interpretazione di ciò che è successo nella vita di Gesù e succede ancora nella vicenda della chiesa: la sua vita tra noi, la morte e la risurrezione, l'effusione dei doni dello Spirito a tutti.
Dio si prende a cuore la vicenda umana e la salva dalla disperazione e dal fallimento, a cui la mancanza di amore la condanna.
L'amore alla vita non solo apre alla speranza, ma dona forza alla povertà dell'uomo perché non sia sopraffatto dalla debolezza e dallo scoraggiamento.
L'amore alla vita dona anche l'orientamento per la solidarietà da costruire con tutti gli altri, sulla linea di quella legge d'amore che regola i rapporti tra Dio e gli uomini, e in Dio stesso tra Padre, Figlio e Spirito.
ANNUNCIARE DIO IMPEGNANDO LA PERSONALE TESTIMONIANZA
Metto a fondamento un'espressione dell'Evangelii Nuntiandi di Paolo VI: «Ecco: un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità degli uomini nella quale vivono, manifestano capacità di comprensione e di accoglimento, comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti per tutto ciò che è nobile e buono. Ecco: essi irradiano, inoltre, in maniera molto semplice e spontanea, la fede in alcuni valori che sono al di là dei valori correnti, e la speranza in qualche cosa che non si vede, e che non si oserebbe immaginare. Allora con tale testimonianza senza parole, questi cristiani fanno salire nel cuore di coloro che li vedono vivere, domande irresistibili: perché sono così? Perché vivono in tal modo? Che cosa o chi li ispira? Perché sono in mezzo a noi? Ebbene, una tale testimonianza è già una proclamazione silenziosa, ma molto forte ed efficace della Buona Novella» (Paolo VI, EN, n. 21).
Paolo VI non fa che raccogliere l'eredità conciliare e riesprimerla. I grandi documenti che definiscono la chiesa (LG 35, GS 43), i decreti che la impegnano sul fronte dell'attività apostolica e missionaria (AG 36, PO 2) e il gravissimo servizio da rendere all'educazione (GE 2) sottolineano l'urgenza della testimonianza ecclesiale.
I contenuti della testimonianza
La ricchezza va espressa con passi ed affermazioni successive.
Quando si accenna alla testimonianza si intende circoscrivere e precisare la portata di una dottrina nei confronti dalla conversione.
Ogni dottrina ha in sé i germi dell'ideologia. La dottrina religiosa non è esente da questo rischio, se non si manifesta come la retta espressione e l'oggettivizzazione, condensata nelle formule, di un'esperienza religiosa, dell'assoluto, di Cristo. L'esperienza del credente si rivolge così al senso religioso degli altri, interpellandolo e sostenendolo nella personale risposta all'invito contenuto nell'annuncio vitale della testimonianza. La vita vissuta, più che le parole, può esprimere l'inesprimibile, vale a dire la qualità umana della vita.
La totalità dell'uomo, parola e vita, parla alla totalità dell'altro.
Il messaggio della religione per l'uomo non è un consiglio da esperto in politica o in economia.
Può annunciare un messaggio religioso e richiamare l'assoluto colui che sa qualcosa dell'uomo e della sua storia; colui che conosce la tragedia e la speranza che si alimentano e si consumano nel tempo. Colui che è impegnato nell'azione responsabile conosce anche i suoi li miti, perché l'affronta con la forza e la sapienza che lo riconducono al fondamento definitivo.
Caratteristica della testimonianza è essere sostenuta da una missione. Ciò la costituisce una relazione: con Dio e con gli altri. Con Dio, perché è relazione con gli altri. In questo senso Bonhoeffer, che a lungo ha riflettuto sulla testimonianza e sull'eroismo del credente, definisce il testimone, Cristo e ogni credente, un'«essere per gli altri».
La testimonianza della croce è l'espressione più alta e più significativa di una vita donata agli altri, è insieme annuncio e denuncia.
La testimonianza cristiana vive non solo di fronte ma dentro le attese del mondo e dell'uomo, le attese del tempo presente: perciò mentre annuncia, denuncia. Il silenzio della testimonianza non è connivenza con la mediocrità, con il male, con il peccato. È il silenzio della responsabilità che resiste, disapprova, denuncia.
Il credente che si sente chiamato ad essere uomo del suo tempo e cooperatore nella costruzione di un tempo nuovo, del regno della vita, non rimane inerte. Anche se non si trasforma in un passionario. «Perciò non si tratta semplicemente di vile timore davanti a verità razionali e concettualmente evidenti, quando si parla poco della apologetica razionale dei praeambula fidei. Si ha l'impressione che anche su di essi si può parlare con la speranza di una valutazione intelligente di quel che si dice, solo se il dialogo si svolge in una posizione spassionata, serena, ma intimamente impegnativa di tutto l'uomo di fronte alla sua ultima responsabilità e al mistero dell'esistenza» (K. Rahner).
Testimonianza non è sinonimo di intolleranza. Testimoni non sono i credenti ciecamente ancorati a tradizioni sorpassate. Le forme della testimonianza sono sottoposte continuamente alla riformulazione del tempo. E ciò esige riservatezza e parsimonia, pazienza ed attesa.
I «santi» come testimoni
La testimonianza cristiana ha rapporti privilegiati con la carità. Essa si trova pienamente coinvolta nell'esperienza di testimonianza: all'origine, come fonte e forza per vivere la testimonianza; alla conclusione, come obiettivo da raggiungere, cioè la diffusione della carità in mezzo al mondo.
Il richiamo alla carità è indispensabile, perché la testimonianza della vita comporta sempre una coerenza interiore, una risorsa di maturità cristiana, un impegno di lasciarsi riempire dal dono di Dio.
La testimonianza più eloquente, nell'esperienza della chiesa, è quella dei santi. Essi sono l'affermazione più evidente di Dio, dopo Gesù Cristo. Sono una rivelazione di Dio: i medaglioni esplicativi del disegno, del comportamento, dell'efficacia della presenza di Dio tra gli uomini. Nella pedagogia di Dio occupano un posto e una funzione particolari. Per ripetere la parola di Paolo VI, suscitano interrogativi, provocano chiarimenti e prese di posizione, interpellano in maniera convincente.
Tutto questo è abbastanza risaputo, anche se andava riaffermato.
Ciò che può avere oggi un significato nuovo è affermare che la testimonianza è oggi giocata nella capacità di riformulare la cultura del proprio tempo e della propria gente.
La carità rimane sempre il primo e massimo comandamento, il comandamento tipico del Signore. Ma ogni carità ha bisogno di misurarsi con le esigenze e i bisogni degli altri. Gli Atti degli Apostoli (cf 2,42 e ss) affermano opportunamente che nessuno era indigente nella prima comunità, non perché tutto veniva messo in comune, ma perché ciascuno riceveva secondo il bisogno reale. La carità è percezione dei bisogni, è adeguamento alle situazioni, è intervento che arricchisce le prospettive presenti. La carità è sempre un saper andare oltre: nel desiderio e nella realizzazione.
In un momento di transizione culturale, come l'attuale, aiutare piccoli e grandi, intellettuali e semplici a ripensare e a riformulare la propria fede e la propria religiosità, è compito di primaria importanza per la comunità dei credenti.
L'attenzione richiesta vorrà che la prima preoccupazione non diventi il problema teorico della cultura, ma che si sappia offrire nuovi modelli incarnati, che nell'esperienza personale hanno coniugato tradizione e novità, storia e profezia, passato e futuro. Ci vogliono, in altre parole, santi per i tempi nuovi. È questa la sfida della testimonianza oggi. Uomini e donne capaci di parlare con la loro vita il linguaggio nuovo della nuova cultura.
Quale comunità cristiana si sente a posto di fronte a questa esigenza? Come rispondere in modo adeguato alla presente richiesta?
L'interrogativo ha la carica di una pretesa non appagabile. Eppure il cristiano santo ha sempre segnato, nel piccolo del proprio mondo e nel grande dell'influsso sulla società, un punto di rinnovamento e di svolta. La santità per natura sua rivoluziona i quadri mentali e di comportamento.
Il coraggio di andare controcorrente
Come testimoni si rendono indispensabili alcuni atteggiamenti interiori.
Ne segnalo particolarmente due: coraggio e provvisorietà.
La testimonianza è sempre stata un fatto di minoranze. Non va detto per semplice consolazione, e neppure come razionalizzazione di alcuni isolamenti che da credenti sperimentiamo, e non sempre senza colpa nostra.
Il contro-corrente non è una stranezza: ogni intuizione si porta dentro il contrasto da affrontare. Così ogni rinnovamento, che puntualmente arriva come esigenza, quando la cultura cambia. Non è un processo indolore né lineare la riformulazione culturale della fede.
Appartenere ad una minoranza non è mai soltanto svantaggioso. Sveglia dalla pigrizia, impone la creatività, impegna continuamente a darsi e a dare ragione delle proprie scelte e della propria vita.
Un'altra caratteristica della testimonianza e dei testimoni è vivere come la comunità dell'esodo. La comunità cristiana che vuole rendere la sua testimonianza davanti agli uomini deve sollevare il problema del significato, rendere ogni situazione mai definitivamente sicura e mantenerla mobile ed elastica nel processo della storia.
Profeti e creatori di nuovi simboli
Il problema del dire Dio oggi è il problema del narrarlo da bravi storici e da bravi ermeneuti. A questa competenza è collegata la possibilità di essere profeti in un mondo che cambia e creatori di simboli nuovi in un linguaggio che cerca continuamente una migliore comprensione del suo stesso esprimersi.
Per narrare bisogna essere dei bravi storici. Cioè: sentirsi, innanzitutto, parte della storia passata, e non massi erratici in un mondo senza continuità e senza collegamenti. Inseriti perciò e non staccati. Saper, inoltre, capire i movimenti sotterranei della storia e non fermarsi unicamente alla cronaca esteriore degli avvenimenti. Il disegno si rivela nel momento in cui si coglie il dato profondo, le intenzionalità nascoste ma presenti. I dati vanno accostati con libertà e senza costringimenti, altrimenti restano muti e poco espressivi. Infine, il bravo storico cerca il compimento della storia, perché offrendo i criteri di lettura, indica contemporaneamente le mediazioni necessarie al fine di realizzarne i processi. La descrizione diventa già interpretazione. L'interpretazione è già l'iniziale compimento.
Non basta alla narrazione l'esser bravi storici, ma richiede la capacità d'essere ermeneuti.
L'impatto con la realtà, i dati di esperienza, gli avvenimenti soggetti a lettura resterebbero muti e senza significanza se non avessero un'incidenza nella mia esperienza, se non avessero un senso profondo per la mia vita. Tutto resterebbe materiale non utilizzabile, quasi un sovrammobile, se non entrasse pienamente nella vita.
Un libro, che parli di amore, non prenderebbe significato in uno che non abbia mai fatto esperienza di amore. Il libro di Goethe sui colori rimane lettera morta per un cieco dalla nascita. Il momento esperienziale, personale orienta tutta la lettura di un testo, di un avvenimento e di una persona.
Le conseguenze dell'esser storici ed ermeneuti si fa avvertire su due piani o impegni: su quello della capacità di essere profeti e creatori di nuovi simboli per dire il proprio legame a Dio.
Profeti nel senso che ci sono alcuni tra gli altri più capaci di dare speranza, di indicare sentieri di vita, di attivare processi di comunicazione e di vita.
Senza speranza non nasce annuncio vero ed efficace.
Infine, la testimonianza cristiana è capace di arrivare fino alla creazione di simboli nuovi per esprimere il Dio di sempre. Simboli che ricostruiscano il quadro mentale e favoriscano la partecipazione della coscienza religiosa popolare alla rilettura della vita.
Sanno ancora narrare la loro storia e la loro esperienza i cristiani di oggi? o si accontentano di dire, senza rilievo e senza significanza, gli episodi di un tempo lontano, più come esercizio di memoria che non come passione per la vita?