Giovani, amore, sesso: a proposito di una ricerca


A cura del CSPG

(NPG 1999-07-59)


Anche se è un argomento che incuriosisce e produce materiale facilmente pubblicato sui settimanali più in voga (inchieste veloci, sondaggi rapidi sui gusti sessuali degli italiani, degli adolescenti, dei giovani...), le trasformazioni avvenute negli ultimi anni negli atteggiamenti e comportamenti affettivi e sessuali del mondo giovanile non hanno quasi mai trovato riscontro «scientifico» in indagini conoscitive di un certo livello, come ad esempio le ricerche sui giovani (IARD a livello nazionale e altre più locali). Le ragioni sono principalmente l’obiettiva difficoltà a indagare un campo di vita tra i più delicati e circondati da paura e altissimo senso della privacy. Eppure questa risulta un’area di grande importanza perché coinvolge, oltre ad alcuni elementi costitutivi della cultura giovanile, sia la più generale sfera dei valori e dei principi etici che guidano l’azione degli individui, sia la sfera della relazionalità giovanile che si pone alla base della creazione delle nuove famiglie, sia la sfera del rischio legato alla diffusione tra i giovani di comportamenti che possono arrecare gravi pericoli alla salute.
Dunque un’area di vita che interessa non solo i giovani nel loro vivere quotidiano e progettuale, ma anche gli educatori che si pongono con attenzione e «preoccupazione» di fronte ai giovani, perché avvertono che mai come in questo campo si può giocare la solidità della crescita in umanità del ragazzo e del giovane.
La ricerca che qui per sommi capi presentiamo, a cura di Carlo Buzzi (sociologo della condizione giovanile tra i più noti in Italia) e dell’Istituto di Ricerca IARD, indaga «giovani, affettività, sessualità» (il Mulino 1998) con l’intento di coprire un vuoto conoscitivo e offrire ad operatori elementi anche per calibrare interventi pedagogici soprattutto relativamente alla prevenzione del rischio collegato a condotte sessuali: interventi derivabili non certo dall’analisi ma dall’orizzonte ideale di riferimento dell’educatore.
La ricerca si presenta come complementare a «Giovani verso il Duemila. IV ricerca IARD». I dati sono ricavati dall’analisi, iniziata nel 1996, su una parte rappresentativa secondo le usuali stratificazioni (1250) del campione globale di 2500 soggetti utilizzato per l’indagine sui giovani in generale. A tale campione ristretto (di età compresa tra i 18 e i 30 anni) è stato somministrato un duplice questionario, il secondo dei quali (su aspetti più specificamente personali) autocompilato.
Offriamo ai nostri lettori alcuni brani tratti dalle conclusioni dell’indagine: elementi forse non del tutto sconosciuti e comunque utili per chi non si sottrae al difficile compito di dialogo e attenzione al mondo giovanile.

Senza riferimenti etici?

Si è parlato – a riguardo dei giovani – di una generazione pragmatica e presentista che, facilitata dai processi di trasformazione culturale di questi ultimi anni, sta estrinsecando una eticità frammentata che fa riferimento a più canali di moralità, ciascuno dei quali è ritenuto valido limitatamente agli ambiti esperienziali nei quali trova applicazione. Nella fattispecie si è assistito ad un affrancamento della sfera sessuale dal campo della moralità sociale, con le sue rigide prescrizioni, e al suo confinamento all’interno dell’etica personale: il comportamento sessuale ha perso così gran parte della sua carica potenzialmente trasgressiva. La ricerca ha messo in evidenza la creazione di un’area eticamente neutrale dove non hanno più spazio i concetti di giusto o di sbagliato, dove nulla è particolarmente positivo o particolarmente negativo, dove il singolo rivendica la esclusiva capacità di giudizio; perfino i giovani che fanno riferimento all’etica cristiana esprimono, in materia di sesso, una forte autonomia nei confronti dell’orientamento ufficiale e degli insegnamenti della Chiesa.
Una tale impostazione valoriale, coniugata con una condizione esistenziale che favorisce il procrastinamento delle scelte connesse all’acquisizione di ruoli adulti, induce nei giovani comportamenti sessuali anticipati rispetto ad un matrimonio realizzato sempre più tardivamente.
Non stupisce come in questo contesto perdano d’importanza i valori tradizionali legati alla verginità e si affermino per converso stili di vita orientati alla libertà sessuale.
Inoltre se un tempo – almeno come ideale di vita socialmente condiviso – la sessualità veniva vista in stretta connessione con il rapporto d’amore, oggi questo assunto è sempre meno valido, o meglio ha perso il carattere della prescrittività.
Si può avere una relazione sessuale eticamente accettabile, a livello personale e a livello del gruppo degli amici, anche con un/una partner con cui è stato instaurato un legame a bassa intensità affettiva, dove è escluso qualsiasi tipo di progettualità futura reciprocamente condivisa.
Sarebbe tuttavia fuorviante sostenere che, contestualmente alla perdita di riferimenti etici collettivi, vi sia tra le nuove generazioni una crisi di valori morali.
Piuttosto tra i giovani si sta facendo strada un nuovo sistema di significati, caratterizzato da una notevole dose di pragmatico realismo e prodotto da forme adattive alle nuove condizioni sociali e culturali emergenti dalla nostra società.
Pur all’interno di una prospettiva fortemente tesa alla deregolamentazione, si evidenziano infatti alcuni capisaldi etici di non irrilevante importanza per il loro impatto sulle rappresentazioni sociali e sui comportamenti che da questi derivano. Se nei confronti di tutto ciò che riguarda il libero arbitrio del singolo individuo e le scelte tra soggetti consenzienti la tolleranza è massima (e in tal modo vengono ritenute personalmente ammissibili sia la promiscuità sessuale sia l’omosessualità), non così avviene per la pornografia e la prostituzione che si accompagnano ad una valutazione negativa in quanto espressione degradata di una sfera sessuale legata alla mercificazione e allo sfruttamento. In realtà in questo campo la ricerca ha messo in rilievo una certa discrepanza tra principi enunciati e condotte praticate, come del resto una certa contraddizione emerge tra i valori collegati alla relazione di coppia (all’interno dei quali primeggia la fedeltà e la confidenza quali condizioni di un rapporto sincero e leale, e ritenute doti più importanti di un buon accordo sessuale) e la frequenza con cui questi ideali vengono disattesi nei comportamenti concreti (la tensione giovanile alla monogamia di coppia è spesso vanificata da comportamenti in deroga ai principi perseguiti).

Uguali ai loro genitori?

Alla luce dei comportamenti evidenziati dalla ricerca ci si potrebbe chiedere se il modo con cui i giovani si rapportano alla sessualità sia poi così diverso da quello dei loro genitori, e se alla fine non prevalgano anche tra essi istanze caratterizzate da una buona dose di strumentalità. Alcuni elementi, quali l’affermata indipendenza della morale sessuale dalla sfera etica generale, segnalano tuttavia come le differenze siano di gran lunga superiori alle omogeneità.
L’aspetto più eclatante riguarda la parità tra i generi: l’aspirazione ad una maggiore libertà sessuale coinvolge sia i maschi che le femmine – ed è riconosciuta legittima sia ai maschi che alle femmine – senza alcuna differenza significativa. Da questo punto di vista, l’asimmetria e la diseguaglianza tra i generi sembra essere stata, almeno sul piano ideale, definitivamente superata rientrando, donne e uomini, all’interno della stessa sfera di giudizio. In altre parole, se un comportamento è tollerato (ad esempio l’avere nello stesso periodo più partner in assenza di un legame stabile) oppure se invece è stigmatizzato (ad esempio l’infedeltà nelle relazioni di coppia), lo è tale sia se riferito ad un ragazzo che ad una ragazza.
Un altro dato che testimonia la separazione tra le generazioni è la neutralizzazione della sfera sessuale all’interno delle famiglie italiane: tra genitori e figli la comunicazione su questi argomenti è assente; i primi non trasmettono informazioni ai secondi delegando non si sa bene a chi (non certo alla scuola, il cui apporto sembra essere stato, almeno per le coorti di età dei giovani intervistati, piuttosto modesto) la funzione di educare i figli alla sessualità; questi ultimi, d’altro canto, evitano di confidarsi o di chiedere consiglio ai loro genitori, preferendo di gran lunga il confronto con i pari.

Uguali tra di loro?

Accanto ad un processo di omologazione che accomuna i giovani indipendentemente dal sesso, dalle condizioni sociali e dall’area geografica di residenza, l’indagine mette anche in evidenza come permangano, soprattutto se l’analisi è spostata dagli atteggiamenti ai comportamenti, alcune differenze rilevanti. I giovani del meridione in molti casi mostrano maggiori difficoltà a superare i vincoli della tradizione rispetto ai coetanei residenti nelle regioni centro-settentrionali; il background culturale della famiglia di origine sembra influire sulla disponibilità giovanile a porsi in modo palesemente difforme alle attese del mondo adulto (una estrazione sociale elevata facilita orientamenti maggiormente permissivi). È però tra i sessi che emergono talvolta diversità sia sul piano culturale che su quello psicologico. Se per molti versi, come si è detto, si sono ridotte le distanze tra ragazze (soprattutto del Centro-Nord) e ragazzi, per altri queste rimangono consistenti. È il caso ad esempio del maggior investimento emotivo femminile nel rapporto di coppia, della più accentuata tensione delle giovani donne verso una progettualità comune nei legami sentimentali, della loro minore disponibilità all’infedeltà o all’esperienza sessuale in assenza di una qualche motivazione affettiva, del minor numero di partner sessuali presenti nelle biografie personali, della loro maggiore problematicità nei rapporti sessuali (le difficoltà psico-fisiche denunciate sono più numerose che tra i maschi). Sotto tutti questi aspetti le ragazze si dimostrano molto più orientate a valorizzare gli elementi romantici della relazione amorosa a differenza dei maschi, nei quali la valenza sentimentale si ritrova frequentemente convergente con una certa strumentalità del rapporto (che può anche essere meramente finalizzato all’appagamento della pulsione sessuale).

Di fronte al rischio

Un ultimo ambito problematico che emerge dai risultati riguarda la contiguità del mondo giovanile con il rischio veicolato attraverso comportamenti sessuali imprudenti. Molti indicatori convergono nel dimostrare che l’esposizione al rischio non è affatto trascurabile, sia se ci si riferisce alla possibilità di contrarre malattie a trasmissione sessuale, sia se ci si riferisce alla possibilità di incorrere in gravidanze indesiderate. L’ipotesi più probabile è che oggi le giovani generazioni siano portate ad una sottovalutazione culturale del rischio. Con questo concetto si intende sostenere che la presenza di comportamenti pericolosi in campo sessuale non dipende che in minima parte da scarse o errate informazioni – come forse poteva succedere qualche decennio fa – ma che piuttosto trova origine dall’imporsi di tratti culturali generalizzati che contemplano forme di accettazione consapevole del rischio.
Sembrerebbero allora le credenze e gli stereotipi gli agenti principali della struttura cognitiva che favorisce l’assunzione del rischio.
Su tutti si impone comunque il principio della reversibilità delle scelte che si traduce nella convinzione che l’assumersi qualche volta dei rischi non implica una presa di posizione definitiva: è sempre possibile retroagire con un semplice atto di volontà; anzi, il fatto che qualche volta si è prudenti rende giustificabile, o più accettabile, il fatto che qualche altra volta non lo si è. Oltretutto non è irrilevante considerare che le eventuali conseguenze negative, essendo lontane nel tempo dalla scelta comportamentale rischiosa, hanno scarse capacità inibitorie; se infatti in altri campi, come in quello dell’abuso dell’alcol o delle droghe, gli effetti e i rischi connessi sono immediatamente conseguenti all’assunzione della sostanza, nei rapporti sessuali non esiste questa manifesta istantaneità tra cause ed effetti.
Oltre ai fattori culturali, concorrono alla determinazione del rischio anche la presenza o meno di competenze attivabili nel momento in cui un giovane dovesse trovarsi in una situazione di potenziale pericolo. Alcune di queste competenze sembrano essere deboli, inadeguate alla capacità di far ricorso a strategie sicure. Per esempio le competenze comunicative (la capacità di razionalizzare in un momento di alta densità emotiva) e le competenze di controllo (per non subire passivamente le situazioni): esse necessitano di abilità di base che possono essere acquisite – al pari di una struttura cognitiva appropriata – attraverso un processo di presa di coscienza e di responsabilizzazione personale. Un tale processo, che potrebbe essere attivato da nuove metodologie preventive, dovrebbe comunque fare i conti con una certa riluttanza con cui i giovani si pongono nei confronti del futuro. Vivere nel presente in modo esasperato, infatti, non facilita l’acquisizione del concetto di salute come investimento per il futuro: l’idea non sembra del tutto commisurata alle nuove sensibilità che si stanno facendo strada nella cultura giovanile.