Senso e spiritualità dello studio


Presidenza nazionale FUCI

(NPG 1999-04-43)


«Gli studi sono come il campo che racchiude una perla: per averla, vale la pena di vendere tutti i beni, nessuno eccettuato, al fine di poter acquistare quel campo [...] Bisogna studiare senza desiderare di ottenere buoni voti, di passare gli esami... ma applicandosi con la stessa intensità a tutti gli esercizi, considerando che tutti servono a sviluppare l’attenzione...» (Simone Weil).

Sembrano stonare queste parole di Simone Weil rivolte proprio allo studio. Poter iniziare l’università con questo spirito è certo un grande privilegio: significa considerare lo studio come un tesoro.
Spesso il rischio è quello di ragionare troppo sul post-università, sulla professione a cui prepararsi, concentrandosi meno sul senso che possiede il tempo dello studio.
Occorre invece restituire la propria autonoma dignità a questo momento della vita che, pur essendo temporalmente limitato, è in grado di formarla profondamente.
L’attenzione di cui parla la Weil, infatti, è la disponibilità del pensiero. La conoscenza non si cerca, ma si attende e si anticipa con il desiderio, non si ottiene con uno sforzo volontaristico. Così l’umiltà è la prima dote dello studente: ascoltare, leggere, senza cercare immediatamente la sintesi, senza la presunzione di capire e acquisire tutto e subito. Ciò che però dà la forza di questa umiltà, insieme all’entusiasmo della ricerca, è il desiderio di ciò che si vuole conoscere, la gioia dello studio. Ogni scelta fatta per obbligo, perché «tutti» lo fanno o perché «così domani avrò successo», non paga. Potrà alla fine consentire di prendere la laurea tanto agognata, ma certo non fa crescere persone mature, perché è a questo che si deve aspirare, non certo all’identificazione con una professione o con uno status sociale. Se ogni nostra azione e ogni pensiero è tormentato da un’unica domanda: «A cosa mi serve?», si rischia di perdere il senso degli aspetti più importanti della vita, della natura, dell’arte, della ricerca, della verità.
Il rischio è quello di diventare economisti, ingegneri, informatici, medici, tecnicamente preparatissimi, ma incapaci di far interagire le proprie competenze col resto della realtà, manifestando difficoltà nell’avere una maturità allo stesso livello in tutte le altre sfere dell’essere.
Si tratta perciò di riscoprire questo periodo della vita non tanto in funzione del «dopo», o dei vantaggi economici e sociali che possono risultarne, quanto in relazione alla crescita di se stessi e del proprio rapporto con la realtà. Essa, infatti, non è primariamente da usare, ma da conoscere, da leggere, da osservare. In quest’ottica viene rispettata anche la realtà della persona: essa non è strumento da impiegare per qualche scopo, ma creatura con un valore intrinseco, indipendente da ciò che produce.
Il rapporto con questa realtà è anche lo strumento che permette di prendere coscienza delle proprie capacità di fronte agli altri, e meglio interpretare la propria vocazione.

Vocazione studente

L’avventura di un’esperienza universitaria autentica nasce da una necessaria premessa: lo studio, il lavoro intellettuale è una vocazione, è sentirsi chiamati perché si sono ricevute in dono doti e disposizioni che, se prese seriamente in considerazione, ci indicano come essere docili a Dio.
Bisogna scegliere di continuare o meno gli studi e poi il corso di laurea, non trascurando i propri gusti e propensioni: non si tratta di egoistico ripiegamento su se stessi e nemmeno di capriccio o arbitrio, ma di risposta sincera alla verità di sé.
Il tempo, la gioia, la capacità di conoscere e la competenza raggiunta acquistano densità e concretezza spendendosi per chi ci sta accanto. Lo studio, anzi, diviene un modo significativo per servire il nostro prossimo: chi studia lo fa anche per chi non può. Non poter studiare è una grave povertà e non è un caso che da qualche tempo si parli del servizio reso dagli studiosi in termini di «carità intellettuale».
Se ci si accorge di non riuscire a rinchiudere entro i limiti angusti dello studio quanto viene appreso e si è proiettati oltre se stessi e le proprie competenze, allora si stanno sfruttando tutte le potenzialità offerte degli anni vissuti in Università.

I passi da fare

Uno studio così interpretato richiede un impegno che può essere affrontato più facilmente una volta compiuti alcuni passi.
Il primo è quello di non vivere l’università in solitudine: la forza degli ideali tende a spegnersi di fronte alle difficoltà inevitabili che si incontrano agli inizi di un nuovo cammino. Si tratta allora di cercare altre persone che li condividano e che aiutino a farne memoria. Cercare una compagnia non deve essere solo motivato da una tensione amicale, dall’ansia di placare un giusto bisogno umano, ma anche dal desiderio di aiutarsi a condividere un’esperienza culturale.
Il secondo è quello di darsi come obiettivo comune uno studio critico: significa porsi di fronte a ciò che si studia con tutti quegli interrogativi che nascono dalla nostra identità. La mia umanità esige, di fronte a ogni nuova conoscenza, un confronto. Può darsi che lo studio metta in crisi, che spinga a rimettere in discussione le proprie convinzioni, oppure a difenderle. Ciò che conta è essere convinti che in qualità di esseri dotati di ragione non è possibile rimanere indifferenti e assorbire come spugne insiemi di nozioni.
Il terzo passo è quello di riconoscere una vocazione particolare per il cristiano: quella a una fede intelligente. Credere e pensare sono davvero atteggiamenti mentali inconciliabili? Quali possibilità di dialogo esistono tra una concezione cristiana e una non cristiana del mondo? Solo cercando le risposte a questi interrogativi si scopre il tipo di testimonianza che siamo chiamati a dare in ateneo: una vicinanza all’altro capace di dare ragione della speranza che la ispira.

Oltre la logica del 30

Proprio perché ci consente di coniugare la creatività con una seria ricerca della verità, l’Università si configura come un’esperienza ricca di potenzialità irrinunciabili per la formazione dell’individuo. Ma per non rischiare di dimenticarlo, nell’imminenza degli esami, cerchiamo di chiarire quale dovrebbe essere la qualità dello studio universitario.
Si tratta, innanzitutto, di acquisire contenuti in modo critico e personale: solo così quanto abbiamo letto e studiato può diventare realmente proprio. La persona diventa il principio di riorganizzazione e sintesi del sapere, nella sua duplice tensione a essere, da una parte, prospettiva limitata e parziale sul mondo, e dall’altra, capace di superarsi con la ricerca, l’approfondimento, il confronto.
È insomma importante avere coscienza dell’originalità del proprio pensiero, senza per questo pretendere che sia l’unico e il «più giusto». Allo stesso tempo occorre non prescindere dal riferimento all’altro: l’autentica cultura è «comunitaria». Questo perché essa si alimenta della comunità, contribuisce a fondarla e ha in essa il suo scopo.
Quella dell’universitario è una vocazione che vive in continua dialettica tra idealità e realtà, senza poter mai smettere di tendere verso ciò in cui spera e crede, ma accettando le manifestazioni concrete che l’esperienza gli pone di fronte (per esempio… un esame!).

UNA SPIRITUALITÀ PER LO STUDIO

Può sembrare strano ma anche lo studio esige una sua spiritualità. Qui non vogliamo parlare di un vago sentimento religioso, ma dell’atteggiamento che, caratterizza lo studio di una persona che, attraverso l’azione dello Spirito Santo nei sacramenti, appartiene ormai a Gesù. Per quanto il fatto di studiare non si connoti come vocazione stabile, si vuole dare qualche semplice indicazione affinché lo studiare sia visto come un modo concreto (e nulla di più) per vivere secondo lo Spirito di Gesù. Oppure – con un altro tipo di linguaggio – si vuole capire perché e come mai lo studio può entrare come componente della propria santità, cioè come una attività che ha a che fare con l’amore di Dio e del prossimo.

Lo studio è amore

Si conosce con l’amore; prima ancora che attività dell’intelligenza e della ragione, lo studio è attività del «cuore». Cosa significa?
* Bisogna amare quel che si studia. È ben difficile pensare che si possano affrontare senza passione per ciò che si deve studiare vari anni di impegno; molti fallimenti nello studio prendono avvio proprio da qua.
Nella nostra società gli anni dell’Università sono insieme facili e difficili; facili perché non ci sono vere e proprie responsabilità da affrontare, difficili perché solo una vera maturità umana e una solida serietà nello studio impediscono di «mettere insieme» un grappolo di anni che passano tra la paura di un esame e l’altro, tra l’indecisione se smettere o continuare.
Una vita così è senza amore; e senza amore è brutto vivere e – l’esperienza lo conferma ogni volta – a poco vale anche una vita sentimentalmente intensa se il contesto è demotivato.
In questo senso deve prendere corpo, più che l’attività dello «studiare», la realtà stessa che si studia.
* Lo studio è libertà. Se è attività del «cuore», lo studio inevitabilmente si trova a dover fare i conti con la libertà, perché essa è la condizione di possibilità per amare.
Dunque studiare è esercizio di libertà; e questo almeno in due sensi.
– Come libertà dallo studio. Neppure nei momenti più difficili in cui incombe un esame a lungo preparato (e magari ripetuto per più di una volta), si può cadere in balia dello studio con stati d’ansia e di angoscia.
Perciò l’universitario che vuole vivere bene l’università deve avere un «sano distacco» dallo studio: non è possibile che questa attività da sola determini «il clima» della propria esistenza. Lo studio perde il suo valore e il suo significato quando «sequestra» la vita e il cuore di uno studente. In questo caso si ha la caricatura dello studio, come la possessività ossessiva è la caricatura dell’amore.
– Come libertà di studiare. Bisogna andare verso lo studio con un libero entusiasmo interiore. Sono io che scelgo di studiare, dunque programmo, scelgo metodi e scadenze, assimilo ciò che studio e quasi «mi identifico» in quello che studio.
Tutto questo mi fa diventare un vero protagonista in università con tanta umiltà nel desiderio di conoscere, ma anche con tanta autonomia e «disinvoltura» di fronte ai docenti e al «sistema-Università».
* L’esigenza di un metodo e di una regola. Sovente c’è una grossa contraddizione in chi frequenta l’università: da una parte si vivono gli esami con grande angoscia, dall’altra il tempo dell’università è vissuto come una «quasi-vacanza», con periodi «folli e demenziali» sotto esame e grandi periodi di attività ridotta senza impegni fissi e chiari. Nella vita universitaria, invece, sono essenziali queste tre cose: l’orario della giornata e della settimana, un impegno di servizio extra-universitario e la capacità di riposarsi. L’equilibrio tra tutti questi elementi è essenziale per evitare ogni forma di «stress»; infatti una mente «stressata» non capisce, ma semplicemente impara; non conosce, ma semplicemente ricorda.

La religione del vero

L’espressione è passata di moda, ma certamente il suo significato ha tutt’ora un grosso valore.
La verità (anche quella con la «v» minuscola) è sacra; poter dedicare ad essa molto tempo ed essere aiutati a conoscerla è una grazia e un privilegio enorme: di questo è necessario prendere coscienza. Studiare non è imparare un mestiere o coltivare una passione interessante, ma è essere presi e quasi «posseduti» dalla passione per la verità.
Prima di ogni altra cosa l’Università è una avventura intellettuale, ed è un grosso tradimento sovraccaricarla di altri significati e di altri valori che, pur non essendo da trascurare (amicizia, imparare un mestiere...), tuttavia non giustificano il lavoro universitario.
La verità, infatti, è forte e si impone, ma nello stesso tempo è fragile perché ogni stupido la può offendere e ... l’università è piena anche di stupidi, sia tra gli studenti che tra i docenti. Ne viene che per poter studiare è necessaria un’altissima moralità. Val la pena di ricordare almeno tre cose:
* l’onestà intellettuale. È una virtù certamente più difficile (e più preziosa) dell’onestà del non rubare, dal momento che il clima culturale in cui oggi viviamo non è favorevole alla verità; in realtà molto spesso alla ricerca del vero si oppongono solo delle opinioni (che non sono la verità, per quanto possano essere convinte) e il trionfo dell’utile e del fungibile. La verità non si concede se non a coloro che la amano più di se stessi e che sono disposti a perdersi per essa;
* l’ascesi dello studio. Chi intraprende la via dello studio deve possedere una buona riserva di quello che, una volta, si chiamava «spirito di sacrificio»; non solo perché studiare è molto più faticoso che lavorare, ma perché lo studio esige metodo, precisione, umiltà, distacco, pazienza e costanza. Ogni accomodamento può portare (meno di quanto si possa pensare) anche a un successo «scolastico», ma è un tradimento della verità;
* unità di pensiero. La dispersione è il nemico per eccellenza dello studio; una vita dispersa con un ritmo agitato e con troppe preoccupazioni «frivole» non è adatta allo spirito dello studio vero.
La parola stessa «Università» è nata per indicare «l’universalità» del sapere; oggi questo sarebbe impossibile perché l’università non è un «universo» ma insegna «brandelli» sempre più limitati e specializzati.
Resta tuttavia il fatto che la «sintesi» è indispensabile; anzi, per molti aspetti sempre più necessaria perché il «sapere» non disintegri se stesso.
Ne viene che il periodo universitario deve essere un periodo di grande «raccoglimento».

Studio e preghiera

Se quanto detto finora viene riletto in una prospettiva di fede, esso assume una luce del tutto particolare perché l’amore diventa l’amore verso Dio e il prossimo, la verità è la Verità del Verbo pronunciato dal Padre in ogni cosa fin dalla creazione del mondo, la libertà è quella dei figli di Dio e dunque dono e presenza dello Spirito Santo, e infine la fatica dello studio diventa – nella prospettiva della Croce di Gesù – forza che redime il mondo dal peccato e dall’errore.
In questo modo lo studente cristiano scopre nell’essere «proprietà» di Gesù una visione più profonda dello studio ed è in grado di coglierne il senso pieno non staccato dalla vita quotidiana
L’amore per le realtà che si studiano è illuminato dalla bellezza della Verità e sostenuto nella ricerca che fa conoscere sempre meglio Colui nel quale si crede e che è principio di ogni cosa.
Allo stesso modo l’orientamento all’amore del prossimo, che è alla base di ogni solida professionalità, diventa segno e presenza dell’affrettarsi del Regno di Dio; così la fatica della ricerca permette di scoprire e praticare l’essenziale della vita cristiana, e cioè che il mondo nuovo nasce dalla Croce di Gesù.