Carolina Napoli
(NPG 1999-02-53)
L’inverno: la stagione più adatta perché ogni sera attorno al focolare domestico la famiglia si riunisca per scambiarsi le esperienze della giornata trascorsa. Peccato però che l’odierna immagine di focolare domestico si avvicini ben poco a quella tramandataci dalle nostre nonne. Oggi allo strumento attorno cui una famiglia italiana più frequentemente si riunisce – quando vi riesce – è sicuramente il televisore. E non a caso, è proprio la stagione autunno-inverno la più adatta nell’anno, visto che non solo le proposte, di vario spessore, ma anche le temperature invernali permettono ad ognuno di viaggiare a suo piacimento tra la moltitudine di canali televisive, a proprio rischio e pericolo di zapping e patologie televisive simili.
Ci chiediamo cosa mai i giovani sceglieranno sulla base delle loro esperienze, delle loro amicizie, dei loro gusti ed attitudini. Anche quest’anno ogni giovane ragazzo e ragazza vaglierà le tante proposte che qualsiasi rete televisiva che si rispetti ha già da tempo deciso di mettere sul mercato, e si appresterà come di consueto a cibarsi, come del pane quotidiano, del programma di turno.
Perché, ebbene sì, molto spesso si tratta proprio di turnazione, tra quelli che sono i programmi più in voga nel mondo giovanile: sovente, infatti, come per molti aspetti che costituiscono la loro vita, i giovani seguono le mode del momento per un ben definito processo di omologazione che li porta a farsi talmente partecipi della vita degli altri, intesi come amici, da assumerne molto spesso le caratteristiche, il modo di pensare, di parlare, di agire, così difficili da cogliere da parte degli adulti. I quali, il più delle volte, non hanno i mezzi e gli strumenti per capire o spesso si interrogano solo superficialmente sui giovani. Ma ce ne sono anche di quelli che si ritrovano quotidianamente alle prese con i ragazzi e che tentano di dare una risposta ai tanti «perché» del mondo giovanile. E tra questi, tanti ve ne sono ai quali i giovani pongono delle domande o, meglio, verso i quali i giovani dirigono la loro attenzione, la loro predilezione, il loro favore e che non sempre sono quelli da cui ricevono le risposte.
Torniamo ai programmi televisivi e proviamo ad immaginare un giovane di fronte al sacro schermo in un dialogo interiore con un pezzo grosso del mondo accademico, un «esperto» del mondo giovanile, che dà la sua risposta all’annuale domanda sul chi siano, cosa facciano, cosa indossino e dicano i giovani, con lo scopo, nobile, di spalancare una finestra su questo sconosciuto universo, o per tappare un buco in un telegiornale.
Ce lo immaginiamo questo giovane concorde e soddisfatto dei risultati finali dell’indagine?
Un talk-show fortunato
Ma andiamo ancora avanti e guardiamo il giovane impegnato in una lotta all’ultimo sangue per poter esprimere un suo pensiero, un suo giudizio su una qualsivoglia questione, e intento a sbracciarsi e sgolarsi per appropriarsi di un microfono! Siamo in collegamento diretto con il vasto pubblico di una famosissima trasmissione televisiva, che ha tra l’altro riscosso uno strepitoso successo e che sulla scia di altre ben affermate trasmissioni, ha come scopo quello di parlare di un caso umano, e di far sì che il pubblico in sala possa intervenire, mediato dall’intervento del conduttore che, imparziale, rende la discussione ora vivace ora pacata.
Stiamo parlando di un fortunatissimo talk-show che sicuramente, se ripetuto anche quest’anno, farà migliaia di adepti, uno spettacolo televisivo basato sulla conversazione che si intreccia tra i personaggi intervenuti e un conduttore, su temi di vario genere, ma che può anche avere come scopo quello di mettere a nudo la vita dell’ospite, una persona qualunque, con una storia triste e problematica alle spalle, il quale riceve consensi o dissensi a seconda del pensiero del pubblico invitato ad intervenire nella discussione. Pratica, questa del talk-show, che in Italia, sulla scia del successo statunitense, ha riscosso enorme credito in quanto dà la possibilità a chiunque di poter parlare dinanzi ad una telecamera e di ricevere talvolta dei consigli su come gestire la propria vita, i propri problemi. Questo tipo di spettacoli televisivi è destinato ad un pubblico vasto di telespettatori e ricopre varie fasce generazionali. Infatti c’è il talk-show per le coppie, per i genitori e naturalmente, c’è quello per i giovani, che non poteva avere, come titolo, se non «Amici».
E proprio Amici è tra i programmi più interessanti per la platea giovanile e, certamente anche per questa stagione, se riproposto, avrà forti indici di ascolto. Ai giovani viene data l’occasione, innanzitutto di presentarsi in televisione, come pubblico che interviene in sala e commenta, ed anche naturalmente come «caso» della puntata, e forse anche di esibirsi, utilizzando lo show come trampolino di lancio per una eventuale carriera televisiva. Da quando è apparso in tv molti giovani lo seguono fedelmente poiché è facile ritrovarsi nelle storie raccontate, immedesimarsi nelle situazioni che un altro ragazzo o ragazza racconta. Spesso è la sua storia, che può sembrare semplice, banale, all’orecchio attento di un adulto critico, ma che, al di là dello spazio riservato dalla scaletta del programma, rivela un universo nei confronti del quale non c’è ascolto. Ecco il motivo per il quale normalmente il giovane accetta di partecipare a questo programma: il suo bisogno di essere ascoltato, di ricevere una parola di conforto e sostegno. Tanti ragazzi lo seguono immedesimandosi nelle storie, o concordando con i giudizi, favorevoli e non, espressi dal pubblico in sala. I tanti spettatori domestici si apprestano a ricambiare o sostenere questa o quella opinione imbastendo, nel salone della loro casa, con qualche altro amico, la medesima discussione che sta avvenendo sul grande schermo.
Le storie sono tante, diverse, più o meno serie: disagi economici, abbandoni, inquietudini giovanili, e poi problemi familiari, tanti, insormontabili. Si apre così il palco anche ai genitori, i quali, invitati dai loro figli a parlare pubblicamente dei loro problemi, generalmente accettano di partecipare, altrimenti vengono raggiunti telefonicamente dal conduttore, troppo ben intenzionato a risolvere il caso per permettere a una semplice distanza fisica di ostacolarne la soluzione. Si apre il dialogo fra generazioni. Per coloro che pensano che i panni sporchi vadano lavati in famiglia, non c’è speranza, il programma Amici non è per loro. Amici prevede il coinvolgimento totale della persona che vi partecipa, la quale accetta incondizionatamente che le vengano poste domande, in una sorta di interrogatorio, che la porti a svelarsi, a scoprirsi di fronte a migliaia di spettatori che in quel momento sono in attesa di una pubblica confessione. Generalmente il programma si conclude così come inizia: la conduttrice, trascorso il tempo a disposizione, saluta, ringrazia – specialmente per l’indice di ascolto – e prodiga una buona parola nei confronti dei «contendenti» con la speranza che i dissapori si appianino, col tempo. Perché questo programma, come tanti altri d’altronde, non prevede soluzioni, non ha la formula magica e, spesso, si ritorna a casa, problemi e divario generazionale nella valigia, fiduciosi che il tempo cambi le cose. Ma fin troppe volte allo scorrere inesorabile del tempo è affidata la soluzione di problemi che, altrimenti, per essere risolti, necessiterebbero semplicemente di una attenzione particolare, più profonda, di una analisi realistica del problema. Tutto ciò però implica una presa di coscienza, a quanto pare estremamente impegnativa, da parte di chi si trova coinvolto in situazioni problematiche, apparentemente insolubili.
E allora è molto più facile mettere in piazza i propri disagi, convinti che la massa possa sostenere le proprie ragioni o, in caso contrario, pronti a subirne attacchi.
Ma non c’è nessuno che ascolti?
Viene spontaneo chiedersi quale sia l’utilità di un certo tipo di programmi, ferma restando la buona intenzione e la possibilità che viene data al giovane di potersi esprimere. Se non altro programmi come questi ci illuminano su quanto grande sia per il giovane l’esigenza di raccontarsi, di parlare di sé; ciò appare come una sete insaziabile, che nessuno mai è riuscito a sanare. Ma veramente nessuno, tra famiglia, scuola, chiesa, amici, è stato in grado di ascoltare i giovani, di dar loro la possibilità di aprirsi, di – semplicemente – parlare? Deve essere veramente grande il disagio vissuto nel loro piccolo se, per potersi far ascoltare, ricorrono sempre più spesso ad un mezzo come la tv, che è pur sempre un’arma a doppio taglio. Devono vivere realmente un divario profondo con tutto ciò che li circonda nella loro vita, se sono disposti a far sapere, pubblicamente e, in realtà non proprio a scopo educativo, ad una platea così vasta di persone, quali problemi vivono con la loro madre, con il partner, con la droga, con il professore e se sono disposti persino a sentirsi osteggiati da opinioni avverse alle loro, spesso coincidenti con le voci del pubblico, dunque voci di coetanei. Sono fatti di una fibra estremamente forte, oppure altri sono i motivi che li portano ad esporsi con estrema facilità dinanzi ad una telecamera, ma magari non tra le quattro mura domestiche? È, la loro, voglia di uniformarsi, di assomigliarsi, di compartecipare ai problemi dei propri coetanei, per solidarietà? È il desiderio inconscio di esibirsi, di utilizzare lo show non solo per esprimersi ma anche per proporsi, ricercando un’affermazione che lo studio e il lavoro, evidentemente, negano? È il bisogno di sentirsi «diversi», di poter dire «sono stato in tv», e di essere riconosciuti per la strada, vedendo finalmente realizzato il sogno che qualcuno si occupi di loro, e dimostri interesse e compassione per i loro problemi?
Fenomeni come questi vanno allora controllati, quando giungono a creare nei giovani illusioni e vane speranze, poiché un programma televisivo non può sostituirsi ad un genitore, ad un educatore, alla scuola o ad un amico e al sostegno indispensabile che un orecchio attento e sensibile può elargire durante un dialogo privato, in questi casi invece opportunisticamente sbandierato.
Si deve riflettere su quali conseguenze negative provochino esperienze come queste, che fanno nascere nel giovane il desiderio di esprimersi utilizzando qualsiasi mezzo, superando ogni barriera, ad ogni costo, perfino arrivando a non rispettare più la propria privacy, a mettere in piazza i propri sentimenti, in balia di un pubblico vorace, sempre più abituato a cibarsi morbosamente di notizie lacrimevoli. È questa la domanda sulla quale opinionisti, psicologi, professori, ministri ed esperti del mestiere devono interrogarsi. Perché mai il giovane ricorra a mezzi di massa, se non sia un fenomeno puramente culturale, come il tatuaggio o la solidarietà estrema con il suo compagno di banco, o se nasconda il desiderio represso ma sincero di dar vita ad un dialogo, destinato però a tramutarsi in monologo in quanto per un giovane, nella prima fase del cammino della sua vita, è più importante che il suo interlocutore abbia un’ottima capacità di ascolto piuttosto che chilogrammi di consigli.