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    Teenagers in discoteca



    Una ricerca per capire

    Giuliano Vettorato

    (NPG 1998-09-05)


    La discoteca affascina più di metà della popolazione giovanile italiana. Di fronte a questo molti si allarmano. I pericoli non paiono indifferenti: diffusione di droghe, consumo di alcool, prolungamento dell’orario di chiusura dei locali, lunghi spostamenti per raggiungere le discoteche più alla moda o ancora aperte, velocità sulle strade ed inevitabilmente incidenti o «stragi del sabato sera», risse e suicidi. Questo spiega le significative mobilitazioni di genitori, educatori, amministratori, mass-media e istituzioni per contenere e arginare il fenomeno. Ma pensare di risolvere la questione solo attraverso interventi repressivi o con generici richiami alla prudenza e al senso di responsabilità appare perlomeno patetico.
    Il problema va affrontato a monte, cercando di capire le motivazioni che spingono tanti giovani a cercare la discoteca, lo sballo. La discoteca va vista come una delle espressioni della mutazione culturale in corso tra le nuove generazioni. Una mutazione che sta privilegiando la libera comunicazione di sé, la ricerca di gratificazioni immediate.
    Il problema dunque non è tanto la discoteca, ma la realtà giovanile che la frequenta. È importante capire. Capire i bisogni di questa generazione, i malesseri da cui sono percorsi, i sogni e gli ideali che hanno nel cuore, le domande che pongono, implicitamente, agli adulti, alla società, agli educatori in particolare.
    In questo dossier non affronteremo il problema discoteca, bensì quello degli adolescenti, cercando di capire cosa li spinge in discoteca, cosa vi cerchino e quindi quali invocazioni salgano dalle loro vite. È un’articolata analisi dei bisogni giovanili, quali emergono da una ricerca condotta su adolescenti che frequentano discoteche, e insieme un tentativo di interpretare le domande educative che nascono da questi bisogni, indicando possibili vie di soluzione. Apparirà tra le righe una proposta di un modello di risposta ai bisogni espressivi che va in senso opposto a quello della discoteca.
    Ma su questi temi, più pedagogici, torneremo in un secondo dossier.


    1. Perché in discoteca?

    Fino agli inizi degli anni ‘90 non esisteva in Italia alcun studio serio sul fenomeno discoteca e poco anche all’estero. In questo ultimo decennio si sono sviluppati alcuni studi e ricerche di un certo spessore e l’argomento sta cominciando ad essere analizzato con serietà, di modo che si possono già ricavare delle indicazioni sicure. In questo articolo riferiremo dei risultati di una ricerca da me condotta, con riferimenti ai risultati di altre ricerche in quei punti dove è possibile istituire un confronto.
    L’indagine di cui riferiamo ha avuto come oggetto qualche centinaio di frequentatori di discoteche compresi tra i 14 e i 20 anni di tre grossi centri urbani (Roma, Torino e Milano).[1]
    Le domande avevano l’obiettivo di scoprire i motivi per cui si recavano in discoteca, ed evidenziare i loro comportamenti, atteggiamenti, valori ed anche i rischi.
    A tutto questo sottostava un sospetto: che i giovani in Italia stessero cambiando e che fosse necessaria una nuova attenzione da parte degli educatori ed operatori sociali. Sono stati scelti i frequentatori di discoteche come campo di indagine in quanto fatto emergente di una società che esprime bisogni e valori nuovi. In questo comportamenti e preferenze dei frequentatori della discoteca rappresentano alcune sfide che i giovani nel complesso lanciano al sistema educativo e sociale.[2] Il nostro pertanto ha voluto essere un tentativo di cogliere il nuovo che stava emergendo con l’intento di indicare nuove attenzioni di cui l’educazione dovrebbe farsi carico.
    Le ipotesi che ci hanno guidato erano fondamentalmente di due tipi:
    – che i giovani si dimostrassero particolarmente sensibili nei confronti delle attività espressive e comunicative;
    – che nei giovani frequentatori di discoteca ci fosse un forte desiderio di evasione sia dai compiti personali che sociali.
    Presentiamo i risultati più interessanti per capire le esigenze di sviluppo degli adolescenti e più stimolanti dal punto di vista educativo.
    Stando alle risposte dei ragazzi, i motivi per cui i si recano in discoteca sono, in ordine decrescente: ballare, compagnia degli amici, divertimento, corteggiamento amoroso, sentire musica, incontrare altre persone, evadere, passare il tempo, clima umano, motivi di servizio, biglietto gratis, un amico, un conoscente.
    Se si raggruppano questi motivi in unità tematiche, si possono ottenere queste grandi settori, che rappresentano i motivi per cui i ragazzi vanno in discoteca:
    aggregazione, corteggiamento amoroso, musica-ballo, divertimento-evasione, trasgressione.
    La raccolta dei motivi in «insiemi», tra loro omogenei, organizza in maniera unitaria i vari motivi che spingono i giovani ad entrare in discoteca e individua spiegazioni più pertinenti sia sul piano motivazionale che comportamentale.
    Questi campi di interesse rappresentano altrettanti bisogni avvertiti come importanti dagli adolescenti di oggi, e forse non solo da loro.
    Verranno perciò analizzati singolarmente per constatare in che modo essi vengono soddisfatti (o non soddisfatti) dalla discoteca, ed ovviamente come l’educatore può servirsene, come indicazione di una sensibilità giovanile emergente.

    PER STARE INSIEME

    Raggruppando le risposte che hanno attinenza con l’aggregazione (venire per la «compagnia di amici», per «incontrare persone», per il «clima umano» e «per un amico, conoscente»), si arriva – nel nostro «campione» – ad una percentuale molto alta di consensi (80,9%). Se ne deduce che uno dei motivi fondamentali per recarsi in discoteca è il fatto di ritrovarsi tra amici, coetanei, per stare insieme, per relazionarsi e comunicare. Lo «stare insieme», il «trovarsi insieme», che caratterizza questa generazione, sta anche alla base del ritrovarsi in discoteca. A questo motivo sono particolarmente sensibili le ragazze (+8,9%) e le fasce d’età più giovani: infatti esso decresce col passare degli anni.
    Un motivo, frequentemente citato dai nostri intervistati, è la possibilità di «incontrare persone», di conoscere persone nuove, parlare, chiacchierare con qualcuno (28%). Questo è più sentito dalle ragazze che dai ragazzi (+6,1%), ed aumenta verso i 19-20 anni.
    È un elemento assai interessante, che merita di essere indagato come indicatore di un atteggiamento globale della popolazione che frequenta le discoteche. Esso sembra manifestare il bisogno di stabilire rapporti nuovi, ad aprirsi ad una socialità più ampia, a conoscere altra gente oltre a quella solita.
    «Vengo con loro [indica il gruppo di amici] e poi anche perché ho tantissimi amici che vengono qui e di conseguenza qui incontro gli amici non solo della nostra comitiva ma anche di altre». (Federica, 17 anni)
    Anche se non si può escludere che tale ricerca vada prevalentemente nella direzione dell’approccio a persone di altro sesso, rimane pur sempre una ricerca di una relazione, aperta all’imprevisto, al nuovo. È un segno di apertura al mondo, alla società. È la capacità di intessere legami nuovi: situazione che potrebbe configurarsi come una specie di «stato nascente». C’è la percezione nei frequentatori di discoteca che, incontrando persone nuove, si stia formando la società del domani.
    Naturalmente questo richiede una disponibilità particolare a stabilire rapporti con persone nuove, mai viste, richiede una notevole dose di socievolezza, riscontrata di fatto in molti dei giovani, presenti in discoteca, come risulta anche da questa testimonianza:
    «Non ho difficoltà a comunicare con altri, affatto. Magari incontro una persona che neanche conosco: è capace che, parlandoci, una piccola parola, poi ci divento subito amica...». (Federica, 17 anni)
    Questo atteggiamento rivela un movimento tipico dell’adolescenza, che si muove dall’ambito familiare ad una cerchia più ampia di persone che per lui rappresentano l’orizzonte della società. È la ricerca di nuovi rapporti, di una socialità diffusa, allargata.
    Però, l’adolescente, in questa esplorazione extra-familiare, ha bisogno di trovare un ambiente protetto, dove ricreare il clima accogliente della famiglia, pur allargandola alla nuova società che va costituendo. Non riesce ad affrontare la società con tutte le sue problematiche ed incognite. Ha bisogno di coetanei, di persone che sente affini, con cui condividere esperienze, interessi, desideri, attese, e paure che caratterizzano la sua età. Ha bisogno di non sentirsi escluso da dinamiche e linguaggi incomprensibili, come gli succede invece nella vita sociale ordinaria.
    La discoteca offre in qualche modo una risposta a tutto questo: è un luogo dove potersi incontrare, scoprire la gioia di essere un popolo («il popolo della notte»), ossia incontrare persone della stessa età con gli stessi gusti ed interessi. Un luogo «giovane», sottratto al controllo degli adulti.
    La prossimità (essere tanti, vicini gli uni agli altri), la promiscuità (sentirsi liberi da convenzioni e regole costrittive), la condivisione di un medesimo territorio (insieme reale e immaginario) rafforzano la pulsione a stare insieme, permettono un’esperienza emotiva avvolgente ed unica. Perciò la discoteca costituisce un’esperienza di intensa socialità, un sentire comune, forte e gratificante. Lo stare insieme in discoteca permette soprattutto di «toccarsi» e di vivere nell’affollamento e nel caos, una forma di «com-unione» senza limiti, un solido amalgama, dove ogni distanza tra sé e gli altri tende ad affievolirsi. Una folla anonima eppure vicinissima, dove la singolarità, la particolarità e l’individualità sono, al contempo, esaltate e negate.
    In questo la discoteca non si discosta molto da altre esperienze collettive, di grande richiamo, come i concerti, gli stadi dove il bisogno di prossimità e di confusione del sé nella folla, trova i suoi modi e le sue forme espressive nell’adeguamento totale ai «canoni del momento».

    Accoglienza e appartenenza

    Tra i motivi per recarsi in discoteca non pochi dichiarano di farlo per «clima» (umano). Con questo termine si intende il fatto di trovarsi bene in una data discoteca, di sentirsi ben accolti, di provare piacere a frequentare la gente che vi si trova.
    «Vengo qui perché mi piace quest’ambiente. Io, infatti, vengo sempre qua, nelle altre non ci vado: mi piace la gente e la musica che c’è, le altre non mi piacciono». (Veronica, 18 anni)
    Il clima che si crea in discoteca è pieno di novità, di eccitazione, di effervescenza per gli incontri: ritrovarsi tra vecchi amici o conoscerne di nuovi. In genere l’atmosfera è molto accogliente. Il direttore, o il pierre (addetto alle pubbliche relazioni), all’ingresso incontra tutti, riconosce i frequentatori abituali con cui si ferma a fare due chiacchiere, saluta e fa conoscenza dei nuovi, li aiuta ad inserirsi, individua i turbolenti, che invita a star fuori. A tutti offre una cordiale parola di benvenuto, di accoglienza. I timidi sono invitati a superare l’impatto della novità e a buttarsi nella mischia, magari affidandoli a qualcuno più esperto. I clienti abituali vengono fatti sentire a casa propria, responsabilizzati sul buon andamento della serata. Si crea, soprattutto nelle discoteche più piccole, un rapporto di conoscenza e di relazione con tutti, che è molto caldo. La discoteca è vissuta come luogo di incontro con amici e conoscenti e di opportunità di nuovi rapporti; un luogo dove si possono coltivare amicizie, stabilire relazioni, progettare incontri futuri.
    Ogni discoteca ha un suo «clima» particolare, che la contraddistingue e costituisce un filtro che seleziona il tipo di pubblico. Il trovarsi a proprio agio, nelle condizioni desiderate, fa sì che uno ritenga quella discoteca rispondente alle proprie attese e vi ritorni altre volte, magari insieme a nuovi amici.
    Si è cercato di appurare, nel corso dell’inchiesta, se fosse possibile parlare di «appartenenza» alla discoteca. Se cioè gli adolescenti si affezionino ad una discoteca e vi ritornino frequentemente fino a costituire una comunità in quell’ambiente. Questo sospetto veniva dal fatto che vedevamo molta familiarità e calore in certe discoteche. Abbiamo provato allora a chiedere se frequentavano prevalentemente una o due discoteche oppure se migravano dall’una all’altra senza nessuno punto di riferimento preciso.
    La maggioranza (52%) ha detto che cambia sovente discoteca.
    Altri invece che vanno in una o due discoteche abituali.
    Analizzando l’andamento delle risposte divise per età, si ricava un altro dato interessante: il pellegrinaggio da una discoteca all’altra prevale nelle prime fasce d’età (14-16 anni: 55,7%), mentre diminuisce nelle successive (46%). Segno che la prima fase è di «esplorazione»: si va da una discoteca all’altra in cerca di quella che corrisponda meglio ai propri gusti. Esplorazioni fatte in gruppo, finché non si approda a quella che ha i requisiti voluti e diventa sovente il punto di ritrovo del gruppo. È verso i 17-18 anni che si tende a stabilirsi in una discoteca e a non cambiare più molto. I motivi sono la familiarità con l’ambiente, con i gestori o proprietari, con le persone che lo frequentano e la presenza di amici che si trovano abitualmente in quel posto. A questo punto si stabilisce una sorta di simbiosi con una certa discoteca, che viene sentita come «propria», fino ad identificarsi con essa.
    L’affezione verso una discoteca può essere l’elemento che determina l’arresto del nomadismo e la scelta di legare i propri destini a quelli di una determinata discoteca.
    Ma non per tutti è così: in alcuni rimane sempre il desiderio di conoscere realtà nuove. Per alcuni si tratta di curiosità da soddisfare ogni tanto, mentre per altri c’è proprio una specie di instabilità che spinge a cercare sempre nuove avventure, nuove soluzioni sia per il tipo di musica che per le persone o le situazioni.
    In seguito a queste analisi ci sembra di poter, a ragione, sostenere che la discoteca costituisca in alcuni casi un tentativo di riduzione della complessità, in altri un adattamento alla situazione di complessità. Vediamolo in particolare.
    Per un gruppo di persone la complessità è stata talmente interiorizzata da determinare un carattere nomade permanente. Esso di manifesta con la continua ricerca di opportunità attraverso un instancabile vagabondaggio tra diverse discoteche che possono offrire soluzioni diverse: musica nuova, amicizie e conoscenze varie, ambientazioni sceniche originali, opportunità economiche migliori. Questo carattere si manifesta maggiormente nelle età più basse, forse per la necessità di esplorare l’ambiente e potere scegliere con maggior competenza, e tende a diminuire con il passare degli anni. Ma, se capita che col procedere degli anni, questa tendenza al nomadismo si consolidi, possiamo pensare di trovarci di fronte ad una tipica personalità della nostra epoca, descritta da vari autori contemporanei come una «mente senza dimora» (Berger), un «migratore tra formazioni sociali diverse» (Montesperelli), caratterizzato da un atteggiamento strumentale, pragmatico, teso alla massimizzazione delle opportunità, senza farsi catturare da nessuna appartenenza stabile.
    In questo caso le discoteche rappresentano veramente, come diceva Frith, delle «comunità che non esistono», costituite da interessi occasionali e frammentari. Esse sono determinate dal comune interesse di passare il tempo libero insieme divertendosi. Ma, oltre questo interesse che accomuna i frequentatori occasionali di una discoteca, non esiste altro tipo di rapporto tra di loro. Prevale l’idea di aggregato su quella di gruppo o di comunità. La discoteca è solo un ambiente di consumo dove tanta gente si trova insieme per consumare uno stesso prodotto. Possono anche entrare in interazione tra di loro, ma, dei legami contratti, non rimane in genere nulla oltre lo spazio della serata.
    Al polo opposto ci sta chi, dopo un probabile periodo di «esplorazione», si trova bene in un certo ambiente, stabilisce un buon rapporto con le persone che gestiscono la discoteca o che ci vengono più frequentemente, perciò smette le sue peregrinazioni, stabilisce «la sua dimora» in una discoteca e sovente si identifica con essa, fino ad assumere talvolta ruoli di sorveglianza e controllo. Questo non gli impedisce di fare qualche sortita in altre discoteche, ma fondamentalmente non se ne allontana: è diventato un cliente affezionato di una discoteca. Ne fa parte e contribuisce, accanto all’organizzazione e con altri che ne condividono i gusti, a creare il «clima» di quella discoteca. Quel clima che, abbiamo visto, per qualcuno costituisce un motivo per preferire una discoteca all’altra. Motivi affettivi ed estetici contribuiscono a far preferire la cura per il miglioramento di un ambiente all’incessante vagabondaggio alla ricerca della situazione migliore.

    In gruppo e con la logica del gruppo

    Parlare di appartenenza ad una discoteca può sembrare un po’ esagerato. In effetti di vera appartenenza si può parlare per un gruppo di persone, investito perlopiù di compiti promozionali o di sorveglianza. Per il resto è difficile parlare di appartenenza, soprattutto negli ambenti di vaste dimensioni, dove è impossibile un rapporto personale con tutti. Per cui o si va per trovarsi in una «folla», con tutti i risvolti che questo termine comporta, oppure si va per gli amici.
    La maggioranza dei nostri intervistati (il 48%) ha indicato nel gruppo (‘compagnia degli amici’) il motivo per andare in discoteca. La discoteca è un’occasione di trovarsi insieme con amici, o per farsi degli amici nuovi. In discoteca non ci si va da soli, ma sempre con amici, con gente conosciuta. Se qualcuno va da solo è perché è un frequentatore abituale del locale e sa di trovarvi degli amici, una compagnia.
    «La discoteca è un posto dove si ritrovano tutti gli amici... Diciamo, più che altro, non per ballare, ma per ritrovarsi insieme agli amici. Così, farsi due risate...». (Paolo, 18 anni)
    Ma di che tipo è il gruppo con il quale si reca in discoteca l’adolescente?
    Alla domanda «con chi esci di solito?» il 63,7% risponde «con il gruppo solito di amici». I ragazzi che si recano in discoteca lo fanno con il gruppo, ed esso abitualmente è lo stesso che frequentano nei momenti di tempo libero.
    «Amici… solo questi qua. Fuori… solo qualcuno: girano tutti qui. Quelli di fuori li vedo solo qualche volta». (Paolo, 18 anni)
    Questa è la situazione della maggioranza di coloro che frequentano la discoteca. La discoteca è in fondo un «aggregato» di gruppi: la vera socialità viene esercitata nel gruppo. Ed è un gruppo di tipo informale, primario, senza impegni o riferimenti ulteriori. Ben pochi sono quelli che frequentano gruppi strutturati, che hanno riferimenti istituzionali, come associazioni, gruppi parrocchiali, o di impegno politico-sociale (7%). Un quarto fa attività sportiva, ma in genere senza troppa passione.
    Il «popolo della notte» è un insieme di «tribù», di tribù nomadi, basate sulle leggi della coesione interna e della fedeltà al capo. Il gruppo è il referente con cui si decide insieme cosa fare nel tempo libero, dove andare e quindi anche quale discoteca scegliere. Se il gruppo è affezionato ad una discoteca, vi trascina tutti i suoi componenti, altrimenti si va altrove. È la stessa esigenza di massimizzare le opportunità di tempo libero che li spinge ad organizzarsi per occupare al meglio il tempo libero, anche se sovente i tempi sono assai lunghi e laboriosi, per le infinite discussioni e trattative prima di approdare magari alla scelta più banale.
    L’andare in discoteca obbedisce sovente alle direttive del gruppo. Qualcuno ci va solo perché ci vanno gli amici; se fosse per conto proprio preferirebbe altre soluzioni. C’è in giro molta solitudine tra gli adolescente. La discoteca, il gruppo vengono cercati prima di tutto come antidoto alla solitudine.
    Per me vuol dire tutto, perché io odio la solitudine; cioè, c’ho proprio paura, non la accetterei. A me piace stare in mezzo a tanta gente, esse sempre allegra, ecco. (Lara, 18 anni)
    Queste prime battute sembrano accreditare l’idea del gruppo giovanile come una realtà compatta e precisa, dotata di un fortissimo potere di coesione. Tuttavia alcune interviste che hanno scandagliato l’argomento più in profondità, registrano situazioni variegate e complesse.
    «Siamo amiche e amici. Poi io non ho soltanto una comitiva, ne ho più. Ho amiche, amici anche in altre parti…» (Federica, 17 anni)
    Probabilmente esiste un gruppo «leader» nella vita dell’adolescente, che è quello che assorbe la maggior parte del suo tempo libero, ma difficilmente sarà l’unico.
    Sono tanti e tali gli ambienti in cui un adolescente dispiega la propria vita, gli interessi che nutre, le occasioni che gli si presentano, che con fatica accetterà di confinare la sua vita in un’unica appartenenza.
    Si è notato che in realtà è rarissimo che ci si riferisca ad un unico gruppo: molto più propriamente si potrebbe parlare di una «costellazione» di gruppi e di appartenenze, cui uno alternativamente partecipa a seconda degli interessi e delle opportunità. È la stessa situazione di complessità, componente dell’anima moderna, che impedisce di limitarsi ad un unico gruppo.
    C’è nell’animo giovanile il desiderio, la frenesia – si potrebbe dire –, di conoscere, fare nuovi approcci, non limitarsi ai gruppi che già si conoscono. Ecco allora il continuo vagare tra un gruppo e l’altro, tra un’occasione e l’altra, tra una situazione e l’altra. La discoteca, con le tante persone che riesce a mettere assieme, offre un’occasione per soddisfare questa esigenza, anche se non riesce a costruire una vera comunità.

    Gli stili di comunicazione

    Vista questa molteplicità di gruppi, c’è da chiedersi quale tipo di comunicazione caratterizzi i gruppi che frequentano la discoteca?
    C’è un certo numero di adolescenti che dichiarano di aver uno (17,8%) o più amici intimi (14%). L’esistenza di questi tipi di amicizia conferma l’esistenza di un bisogno elevato di comunicazione profonda ed autentica tra i nostri soggetti. L’amico del cuore, il confidente rappresenta colui al quale si riesce a dire praticamente tutto. Sono parecchi che confessano di confidarsi completamente con un amico/a. Ciò testimonia un buon livello di comunicazione in alcuni soggetti da noi intervistati, anche se con qualche tendenza all’intimismo.
    Ma questo dato non è molto diffuso e, comunque, non avviene né in discoteca né tra i gruppi che di solito la frequentano.
    Invece in discoteca sembra non esserci molta comunicazione verbale. Per quanto qualcuno osi affermare che si riesce a comunicare anche in discoteca, non c’è nessuno che arrivi a sostenere che si va in discoteca per chiacchierare.
    C’è difficoltà oggettiva a parlarsi in discoteca, per il frastuono e il baccano che c’è. Anche se in molte discoteche ci sono salette e luoghi appartati per incontri personali, è difficile che si possano svolgere discorsi lunghi e approfonditi.
    Invece la maggior parte degli intervistati ritiene che le amicizie in discoteca siano di «scarsa profondità» . Qualcuno, più maturo, ritiene proprio impossibile una vera amicizia in discoteca.
    «L’amico della discoteca è l’amico di una sera: la vera amicizia non nasce da un incontro così, di una sera. Nasce da una profonda conoscenza sia dell’uno che dell’altro, per cui una cosa così in discoteca non la si può fare». (Raffaella, 20 anni)
    Inoltre da quello che si è potuto controllare di persona risulta evidente che la comunicazione di questi gruppi segue moduli stereotipati. Gi argomenti sono sempre i soliti, le battute sono scontate, nel parlare prevalgono i luoghi comuni, le frasi fatte. Anche se nessuno ammette di subire la pressione di conformità del gruppo, questa è nei fatti: non solo le stesse frasi, ma anche lo stesso abbigliamento, la stessa musica, gli stessi gusti. Lo stesso andare in discoteca sembra obbedire ormai ad un fattore di omologazione.
    «Non c’è un motivo fondamentale per andare in discoteca; non è più un oggetto di divertimento, ma una cosa indispensabile. Oggi è un bisogno: tanti lo fanno per moda... come vestirsi, come ballare. C’è un modo di vestirsi, di ballare uguale...». (Andrea, 19 anni)
    L’omologazione e la conformità la si vede sia nel vestito che nelle parole: tutto rigorosamente uguale. Ogni città, ogni ambiente con le sue espressioni tipiche, gergali, incomprensibili al di fuori di quell’ambiente.
    A ciò si aggiunge il bisogno di conferma da parte degli altri ogni volta che si esprime un’opinione. Ogni battuta ha bisogno dell’approvazione del gruppo, o del leader.
    Questa conformità ha certamente delle ragioni che vanno cercate soprattutto nelle esigenze di coesione e di identificazione di gruppo. Tuttavia, se la cultura del gruppo è fatta solo di stereotipi e di luoghi comuni, questa uniformità impoverisce invece che arricchire i suoi membri. Diventa evidente quel rischio che Amerio chiama «trappola» del gruppo e che consiste in un impoverimento delle produzioni cognitive per effetto dell’eccessiva semplificazione e banalizzazione delle idee. Gli stereotipi possono aiutare a districarsi in una situazione di eccedenza di informazioni, ma se il processo di categorizzazione diventa un espediente per esimersi dalla ricerca della verità, esso uccide la libertà e la vivacità intellettuale e riduce la comunicazione ad un fatto banale.
    Perciò è forte la coesione di gruppo, ma basata più su elementi coercitivi o istintivi che razionali e liberi.
    Non abbiamo indagato sul rapporto tra vari gruppi: non si è indagato perché non sono emersi elementi per pensare che ci sia qualche tipo di comunicazione tra gruppi, se non quella violenta, come vedremo di seguito.

    Gruppo: violenza e soprusi

    La pressione di conformità del gruppo rivela il suo volto peggiore in occasione di risse o violenze. L’8,9% degli intervistati denuncia tra i disagi della discoteca le «risse»; se a questo aggiungiamo un altro 1,3% che denuncia la presenza di bande o di gruppi violenti, arriviamo ad un 10% che lamenta la presenza in discoteca di forme di violenza. Per quanto sembrino pochi coloro che denunciano questi fenomeni, il fatto che qualcuno ne parli, svela un aspetto inquietante della discoteca, sovente rimosso.
    Questi dati rivelano che nelle discoteche può svilupparsi un clima di forte conflittualità, di sfida continua, con propensione a scatenare le risse ad ogni momento. Probabilmente esistono delle aggregazioni giovanili che sono particolarmente predisposte alla violenza. Esse arrivano in discoteca già con l’intento di fare a botte. Così il minimo incidente diventa un pretesto sufficiente per scatenare la rissa.
    «Botte e baruffe succedono tra ragazzi chiamati tipicamente «coatti». Vogliono far vedere che loro sono i più forti e allora in cinque o sei fanno delle comitive e cercano di menarsi. Pensano così di essere loro quelli che comandano». (Paolo, 17 anni).
    Quali le ragioni di questi comportamenti, al di là di quelle immediatamente fornite dagli intervistati? Sembra che fondamentalmente vadano fatte risalire alle necessità di affermazione di certi gruppi giovanili nel territorio, oltre che alle provocazioni, magari di chi è già pieno di alcol o altri eccitanti.
    Da analisi sociologiche sul campo risulta che alcuni gruppi di adolescenti e giovani, prevalentemente maschi, fanno di alcuni luoghi pubblici (piazze, giardini, bar, o discoteca) il ritrovo del gruppo. La difesa di questi luoghi dall’intrusione di estranei, da bande rivali, la difesa dei propri interessi, la sottolineatura del potere, il considerare le ragazze del posto come le femmine del branco possono costituire i presupposti di un comportamento violento. Ma questi non sono altro che elementi dell’identità del gruppo. È questa che è perseguita inconsciamente dai membri di un gruppo. Si comprende perciò che la salvaguardia dell’integrità del gruppo richiede una difesa strenua contro le minacce esterne ma anche contro le forze disgregatrici. Infatti la violenza può funzionare anche come catalizzatore del gruppo, momento di coesione e d’azione comune contro provocazioni esterne.
    Si deve, a questo proposito, rilevare che, nella dinamica del gruppo, incitare alla violenza in certi momenti per qualcuno diventa un modo per affermare se stesso all’interno del gruppo. Obbedire a questo incitamento e partecipare in massa all’azione del gruppo diventa, a sua volta, prova di solidarietà e segno di fedeltà. Si ha così un elevato grado di conformismo ai codici ed ai valori del gruppo che possono differire dai codici morali personali.
    Ecco allora verificarsi una situazione tipica di questa generazione: «da soli ragionevoli, in gruppo incontrollabili», come è già stato rilevato (Baraldi-Battaglia 1988, 91). La stessa pressione di conformità li porta ad accettare altre forme di devianza, come il consumo esagerato di alcol, l’offerta di stupefacenti, o le sfide di velocità o di coraggio sulle strade.[3]
    Tuttavia la violenza non è agita come sistema, bensì come espressione del gruppo, del suo potere, della sua identità: identità che si esprime nel rapporto con un determinato territorio, nel suo controllo e nell’affermazione sociale al suo interno. Si spiega così il fatto che certi locali siano di fatto controllati da gruppi o bande giovanili e che essi usino tutto il loro potere per affermarsi e conservare il controllo di quell’ambiente.
    I processi attraverso cui si entra e si è accettati dal gruppo obbediscono prevalentemente ai codici di cooptazione sociale e alle pressione di conformità.
    Questa dinamica ha una funzione autopoietica per il gruppo. Però esso rivela nei soggetti che vi ricorrono una certa debolezza di carattere che impedisce loro di differenziarsi dall’identità del gruppo e di affermarsi come persone autonome. Il gruppo garantisce una certa solidarietà tra i membri ed una differenziazione dall’ambiente. Però tale differenziazione è culturalmente assai poco rilevante e non è tesa a produrre mutamento. Essa ha solo scopo conservativo e difensivo.
    Quindi possiamo concludere dicendo che i comportamenti violenti sono provocati dalla lotta per l’affermazione di una certa banda in un territorio, che può essere in questo caso la discoteca. Essa impone (o cerca di imporre) se stessa in una certa discoteca ponendo delle regole. Chi non le rispetta, sovverte l’ordine esistente e deve sobbarcarsi l’onere di sostenere la violenza che la sua infrazione scatena. La gente che va in discoteca, in genere, non lo fa per fare a botte, ma se c’è qualcuno che incomincia o fa il prepotente, gli altri membri del gruppo si sentono in dovere di intervenire in difesa dei compagni o per sostenere una norma condivisa.
    Il gruppo si manifesta allora come forma di potere, capace di controllare un certo territorio, di proteggere e difendere i suoi affiliati e di imporre di regole su un territorio, anche ricorrendo alla forza.

    Conclusioni: vantaggi e limiti dell’aggregazione in discoteca

    La discoteca pertanto costituisce una forte attrattiva perché è offre un’opportunità di stare assieme e comunicare tra giovani.
    La dimensione relazionale è l’aspetto più sentito da questa popolazione.
    Costruire rapporti, stabilire dei legami non è più scontato nella nostra società. È necessario costruire degli spazi di incontro, creare delle opportunità di allargare le conoscenze, di coltivare le relazioni. La discoteca sembra rispondere a questo bisogno giovanile, facilitando una ricerca altrimenti difficile.
    Essa offre una possibilità di rapporto, di contatto fisico, di prossimità, di comunicazione. L’eccitazione della musica, l’esaltazione della danza, l’immersione nella folla fanno vivere a masse di adolescenti un’esperienza gratificante di appartenenza dove il senso del vuoto e la disgregazione vengono momentaneamente risolti.
    Tuttavia, nonostante le apparenze e qualche ammirevole eccezione, questa soluzione non arriva a creare né una comunità, né una vera comunione tra le persone. Si risolve in contatti epidermici, in una celebrazione di uno «stare assieme» che non va oltre il rito, il tempo dello spettacolo. Il bisogno adolescenziale di rapporti non viene soddisfatto, ma solo momentaneamente tacitato da un «bagno di folla» che, alla fine, riconsegna l’individuo alla sua solitudine.
    E solo nel gruppo che avviene un rapporto più profondo e duraturo. Il gruppo per il nostro campione, risponde assai bene ai bisogni di adattamento in una società complessa e difficile, da cui tenta di difendersi con il ricorso alla micro-socialità, alle relazioni faccia-a-faccia, ad un linguaggio che esclude gli altri. Ma non risponde ad un tentativo di costruzione di un modello alternativo di società. L’unica possibilità sarebbe costituita dal potenziamento consapevole della comunicazione intensa. Tuttavia, le caratteristiche stesse della discoteca non favoriscono una comunicazione profonda ed intensa. Sono preferiti i veicoli segnici della società postindustriale, centrati su elementi simbolici, prevalentemente di tipo consumistico.
    Il gruppo è percepito come fonte di benessere ed aiuto alla soluzione dei problemi contingenti, ma non sembra rappresentare in tale contesto una soluzione solida e definitiva. L’attività del gruppo con cui l’adolescente va in discoteca non è volta ad eliminare le cause strutturali che rendono difficile l’inserimento giovanile nella società, o a creare una alternativa ad una società competitiva e funzionalista. Questo gruppo non introduce nell’intera società, né fa accettare l’adolescente da essa. Offre solo un rifugio momentaneo contro la spersonalizzazione e la non comunicazione. Ma l’identità, data la debolezza dei riferimenti e la provvisorietà delle soluzioni, non ricaverà un contributo sostanziale alla sua soluzione. L’identità verso cui tenderà quindi questo tipo di soluzione sarà provvisoria, debole, soggetta ai mutamenti dell’ambiente circostante, anche se, per questo, altamente flessibile e composita.
    Lo stesso problema della sicurezza, cui sembra che il gruppo risponda, non sarà risolto che momentaneamente, perché non aiutando ad affrontare in modo globale la crisi d’identità non riesce a fornire lo strumento fondamentale per trovare sicurezza in se stessi. Rischia invece di conservare le persone in uno stato di dipendenza: dipendenza che solo si sposta dalla famiglia al gruppo.
    Si può ripetere per questi ragazzi quello che dicevano un sociologo americano a proposito delle bande giovanili: «consegnano la libertà appena strappata ai genitori, al gruppo e al suo leader» (H. Bloch).
    L’aggregazione offerta in discoteca può costituire un segmento della socializzazione, di cui l’adolescente ha bisogno per prendere le distanze dall’ambiente familiare e per avviarsi verso una società più ampia. Però dovrà stare attento a non farsi incantare dalle sirene del sabato sera, perché il mondo di rapporti che esse offrono potrà essere alettante, ma fondamentalmente artificiale e precario. Lo stesso gruppo, con cui si riescono a stabilire rapporti più profondi, non sembra costituire una risorsa valida se non come rifugio provvisorio.

    PER FARSI LA RAGAZZA / IL RAGAZZO

    Abbiamo visto che il ragazzo (o la ragazza) va in discoteca per aprirsi al mondo, ma questa spinta all’apertura si conclude sovente in un gruppo. Dove invece questa tensione a trascendersi nell’altro sembra trovare una via d’uscita è nella ricerca del partner d’altro sesso.
    Questa è una tensione caratteristica dell’adolescenza, cui, fra i compiti, c’è quello di aprirsi all’alterità e stabilire un rapporto con un partner sessualmente complementare. Nel rapporto di coppia, l’incontro con l’altro non è più la ricerca indistinta di un volto anonimo nella folla, ma la possibilità concreta di riconoscersi in uno sguardo amante, di conoscere ed essere conosciuto, non come uno tra i tanti, ma nella propria unicità e singolarità.
    Il tema della ricerca di un partner viene segnalato come motivo che spinge a recarsi in discoteca dal 35% degli intervistati, ma stando alle rappresentazioni sociali più diffuse, per molti sarebbe il vero motivo per ritrovarsi in discoteca. Ciò è confermato anche da alcuni degli intervistati:
    «La maggior parte dei miei coetanei pensa che la discoteca sia un posto dove si può trovare la ragazza, e basta». (Massimo, 19 anni)
    Questa sensazione è più forte nei maschi: infatti dal 46% di loro è considerato il motivo principale contro il 21,6% delle femmine.[4]
    Il bisogno sessuale è sentito soprattutto in adolescenza perché lo sviluppo puberale invia al sistema nervoso una serie di stimoli che inducono la ricerca di un partner che costituisca una risposta a questo bisogno. Inoltre il nostro sistema culturale accentua la pressione di questi stimoli attraverso il richiamo precoce alla loro emersione e con la proposizione di modelli di comportamento che indicano il raggiungimento della felicità attraverso il completamento sessuale e la soddisfazione di questo bisogno.
    Anche se questo fenomeno lo si coglie più dall’osservazione del comportamento che dalle confessioni degli interessati, abbiamo comunque cercato di scoprire dalle risposte degli intervistati come avviene la dinamica dell’approccio all’altra persona, come è vissuto il rapporto tra sessi.

    Come «agganciare»

    Il primo movimento verso l’altro è costituito dalla curiosità che egli suscita, dall’attenzione e dal richiamo che provoca. Abbiamo chiamato questo primo movimento, prendendo a prestito termini prettamente giovanili, fase di «aggancio» o di «approccio». Dalle rare risposte, che forniscono indicazioni su come si svolge questa fase, risulta che il primo impatto è di tipo visivo-gestuale: si balla vicini, ci si nota, si ammicca, si allude, si attende la risposta dell’altro e ci si regola in base ad essa. È tutto un gioco di rappresentazione di sé e di interpretazione dell’immagine che l’altro rimanda. Attraverso questo si riesce ad inviare informazioni su se stessi, sulle proprie intenzioni ed ottenerne su quelle dell’altro.
    Il corpo, i gesti, il comportamento forniscono sempre una grande quantità di informazioni al solo impatto visivo. I giovani in discoteca, esprimono se stessi innanzitutto attraverso i gesti, il modo con cui «si atteggiano». Ciò rivela l’intenzione di violare quella «disattenzione civile» che, secondo E. Goffman, contraddistingue la nostra cultura. La discoteca è un momento in cui si presume che questa convenzione civile possa essere ignorata per tentare un rapporto più diretto, immediato. È uno spazio ed un tempo in cui vengono sospese alcune regole del vivere civile [5] per stabilire un rapporto che ancora non esiste.
    C’è una convinzione di fondo, talvolta espressa dagli intervistati, che in discoteca si venga tutti per lo stesso motivo: «sia ragazzi che ragazze cercano una sola cosa», dicono loro. Questa convinzione dà la forza per superare quella barriera di rispetto, timore, imbarazzo, cautela che contraddistingue i rapporti con gli sconosciuti. Ecco allora una delle risposte di questi giovani: «le ragazze in discoteca sono più facili». Ciò probabilmente non significa che le ragazze che vanno in discoteca siano più amorali delle altre, ma che in quel luogo cadono molte delle barriere che abitualmente ostacolano un rapporto nuovo.
    Anche l’espressione: andare in discoteca «per conoscere gente nuova» sarebbe, secondo alcuni, un modo per mascherare un interesse sessuale che si preferisce non confessare.

    Esibirsi per attrarre e sedurre

    La comunicazione dei propri sentimenti si realizza in discoteca soprattutto attraverso un gioco di mimica facciale e gestuale, reso più facile dalla cornice di un ambiente che fornisce il codice interpretativo a queste comunicazioni. Tuttavia devono esistere dei segnali che indichino la disponibilità al gioco da parte delle persone presenti. In questo passaggio ulteriore riteniamo che l’abbigliamento svolga un ruolo determinante, quello di «medium comunicativo di grande efficacia simbolica» (U. Eco). Esso comunica le intenzioni ed i sentimenti di chi lo esibisce a prescindere dalla volontà stessa del soggetto. I nostri giovani poi, segnati dalla civiltà dell’immagine, riescono ad esprimersi e capirsi più attraverso questi segni che attraverso le parole. L’abbigliamento quindi fa da interfaccia tra l’immaginario collettivo e l’approccio diretto all’altro, ponendosi al centro di un sistema di rappresentazione di sé che è fondamentale in discoteca:
    «Motivi per cui la gente viene in discoteca sono due principalmente: uno per mettere se stesso al centro dell’attenzione, perché è un luogo comune dove si trova tanta altra gente. [L’altro è la musica]... Purtroppo la discoteca sta diventando soltanto un punto dove incontrarsi ed esporsi». (Alessandro, 20 anni)
    Il rappresentare se stessi è perciò uno dei motivi fondamentali per cui si viene in discoteca. Questo viene giocato sull’abbigliamento e sul modo di ballare.[6]
    Entrambe queste due forme esibizionistiche sono connesse con l’immagine di sé, specialmente quella corporea, e la formazione dell’identità. Per quest’impresa l’adolescente esplora tutte le possibilità del proprio corpo e dell’abbigliamento per definire il suo nuovo sé. La pista da ballo è il palco su cui esibire se stessi. È un imporre se stessi sulla scena sociale. È una ricerca di approvazione pubblica per essere confermati sulla propria immagine. La seduzione che viene esercitata da entrambi i sessi è la richiesta di accettazione e di conferma della raggiunta identità sessuale.

    Ma sarà vero amore?

    S. Frith aveva affermato che l’atmosfera della discoteca è fatta per celebrare «l’artificialità dei sentimenti sessuali», il provvisorio, il piacere fine a se stesso. Questa è un’opinione molto diffusa. Ciò introduce un sospetto sulla effettiva capacità della discoteca di rispondere alla domanda di amore che sgorga dal giovane che si affaccia alla ribalta della vita. Ci si domanda allora se l’incontro di due sguardi, di due corpi produce quella scintilla per cui l’individualità accetti di uscire dalla sua solitudine e affidarsi all’altro, fondere insieme le proprie vite in un progetto comune.
    Nella nostra indagine abbiamo voluto appurare l’esistenza di questo atteggiamento, chiedendo agli intervistati di esprimere il loro orientamento e comportamento nei riguardi del rapporto di coppia. Anche se si sono trovate espressioni che testimoniano una certa serietà nella concezione del rapporto uomo-donna e non si esclude che possa nascere anche un rapporto serio da un incontro in discoteca, l’atteggiamento dominante è quello del disimpegno, del provvisorio e del ludico in questo tipo di rapporti interpersonali.
    «Penso più a divertirmi, poi se capita... Penso che pure gli altri lo fanno. In discoteca si viene per pomiciare». (Alessio, 17 anni)
    In genere ci si diverte se si fa del sesso, o, almeno, se si usa la provocazione, lo scherzo con persone dell’altro sesso, fino anche al gioco sessuale vero e proprio. Non si vogliono contrarre dei rapporti vincolanti, seri, duraturi. Si cerca solo il divertimento, il proprio piacere senza pensare all’altro, alle conseguenze dei propri gesti sia affettivi che sessuali. Questo non toglie che si preveda più avanti nella vita di assumersi degli impegni più seri verso questo aspetto: infatti la maggioranza pensa che si sposerà, ma che comincerà a pensarci più tardi, verso i 25-27 anni. Per adesso preferiscono divertirsi e non assumere impegni precoci.
    «Io adesso devo ancora divertirmi; a sposarmi ci penserò in seguito». (Andrea, 20 anni)
    Sovente le ragazze si lamentano che i maschi allungano le mani, provocano con sguardi insistenti e provocanti, non sono seri nel rapporto, pensano «solo a quello». Però ci sono anche testimonianze di ragazzi che dicono che anche le ragazze provocano, sia con l’abbigliamento che con le mosse, ma soprattutto mettendosi in mostra e strumentalizzando sentimenti.
    È evidente, sia dalle risposte degli intervistati che dall’osservazione dei loro comportamenti, che le relazioni che si stabiliscono in discoteca sono di genere frivolo, provvisorio, occasionale, non impegnato, non tendenti soprattutto a prolungarsi nel futuro in un progetto di vita comune. L’incontro con l’altro si risolve nell’incontro con l’immagine dell’altro, con la promessa di appagamento che esso rappresenta, senza veramente incontrarlo in una dinamica di dono scambievole, di due alterità che si riconoscono e si apprezzano nella loro diversità e nella decisione di uno scambio comunionale.

    Un laboratorio per la sperimentazione dell’identità di genere

    Se l’approccio sessuale risulta tra i motivi più importanti per spiegare il successo della discoteca, esso modula la sua espressione nella naturale attrazione tra maschio e femmina. Bisogno di realizzarsi nel rapporto con la persona dell’altro sesso, bisogno di definirsi sessualmente, incitamento alla liberazione sessuale sono potenti impulsi a manifestare indiscriminatamente i propri desideri sessuali.
    La discoteca risulta funzionale a tale espressione. Innanzitutto perché esiste una rappresentazione sociale della discoteca come luogo di facili approcci sessuali e di maggior libertà di espressione sessuale. In secondo luogo perché chi si reca in discoteca sa di trovarsi in un luogo dove questa rappresentazione mentale è predominante, quindi, o ne condivide le finalità, o, se non le condivide, sa che deve misurarsi con esse. Infine la discoteca si presenta come un luogo circoscritto dove è possibile realizzare dei desideri che altrimenti sono proscritti da molte istituzioni sociali.
    Così essa funziona come un laboratorio dove è possibile condurre un esperimento in regime controllato, evitando che le conseguenze dei propri tentativi vadano oltre i limiti dell’esperimento.
    D’altra parte bisogna tener conto che il sistema sociale, se da una parte stimola potentemente l’espressione del proprio potenziale sessuale, dall’altra rende assai difficile la soddisfazione di questo bisogno con strumenti «istituzionali». Infatti viene sempre più dilazionato il momento in cui l’individuo può effettivamente costituire una propria famiglia e quindi dare una risposta costruttiva a questo bisogno. Aumenta pertanto lo spazio tra la percezione dello stimolo e la possibilità di soddisfazione di esso attraverso le vie convenzionali.[7] Pertanto l’adolescente si sente spinto ad esplorare altre possibilità di soddisfazione del bisogno sessuale che sente nascere prepotentemente dentro di sé. Ma questa sperimentazione, nonostante le apparenze, non avviene a cuor leggero. L’adolescente sente tutto il peso delle scelte che deve fare, sia per tutta la serie di dinamiche psicologiche e morali che la sessualità scatena, sia anche per il carico di attese che l’ambiente nutre verso l’adolescente. Tra queste vanno annoverate quelle prove che sono considerate fondamentali per esprimere la propria potenza sessuale. Questo in un momento in cui anche l’identità di genere sta strutturandosi, procedendo attraverso prova ed errore per le vie tortuose di differenziazione e riconoscimento del proprio genere. Tutto ciò comporta un aumento di timore nell’affrontare una prova il cui esito può essere fallimentare, e, con essa, la stessa idea di realizzazione di sé.
    Tutto questo vasto e delicato processo di sperimentazione e definizione di sé ha bisogno di tempi e luoghi adatti. Mancando dei riti di iniziazione che consentano di affrontare questo passo con l’aiuto delle istituzioni, gli adolescenti cercano degli ambienti dove poter sperimentare la propria identità sessuale. La discoteca si rivela funzionale a tale intento, per la forte concentrazione di persone di sessi diversi in un unico ambiente, il che rende la ricerca più ampia, aumentando le probabilità di riuscita.
    In secondo luogo è frequentata da gente della stessa età e con gli stessi intenti, il che circoscrive la ricerca entro un ambito più ristretto di individui potenzialmente disponibili ed adatti al tipo di ricerca. In terzo luogo, l’ambiente ludico della discoteca rende questa ricerca più spensierata e libera da impegni eccessivi. Si possono fare dei tentativi senza il problema di un impegno definitivo. Per questi motivi la discoteca dà una risposta, almeno embrionale, questo prepotente bisogno. Bisogno che però non viene soddisfatto nella sua tensione ultimativa, in quanto non produce un effettivo incontro con l’altro, ma solo con il suo simulacro. La discoteca può costituire una occasione di iniziazione sessuale, ma non di «educazione sessuale».

    PER ASCOLTARE MUSICA E BALLARE

    La musica ed il ballo costituiscono il nucleo fondamentale della passione per la discoteca (75,8%). La musica è il linguaggio al quali i giovani più ricorrono per vivere ed esprimere le loro emozioni.
    Difficile dire esattamente come vengano provocate queste emozioni dalla musica. Non è possibile stabilirlo dalle testimonianze dei ragazzi. Da studi scientifici sugli effetti della musica sul cervello e sul corpo umano sembra che questa musica colpisca direttamente i centri nervosi del «simpatico» con effetti sul sistema motorio e muscolare. Essi modificano lo stato psichico, la percezione di sé, le emozioni dell’individuo. Danno un senso di esaltazione e di onnipotenza. Analisi cliniche tendono ad accreditare l’opinione che favoriscano stati di regressione pre-edipica o addirittura prenatale, che la musica e la danza, come sono vissute in discoteca, creino degli stati di «fusione» e momentanee rotture con la realtà, che favoriscano fortemente la comunicazione «non-verbale». La musica rock (di cui la musica da discoteca è una variante) ha poi un particolare significato di rottura con il mondo degli adulti e con le convenzioni sociali, soprattutto di tipo sessuale. La musica disco si segnala poi per il particolare clima di disimpegno e di fatuità che riesce a creare.

    Significati della musica e del ballo

    Cercando tra i commenti fatti dai nostri intervistati sulla musica e sul ballo è emerso che essi attribuiscono alla musica che si suona in discoteca ed al ballo ad essa connesso questi significati:

    Autorealizzazione

    Un primo significato che ha il ballo per un certo numero di intervistati è di essere una forma di autorealizzazione. Sono persone che riescono molto bene nel ballo e quindi per loro ballare vuol dire realizzare se stessi, fare una cosa che per cui si sentono tagliati, che li soddisfa.
    «Per me il ballo è divertimento. Anche perché sono molto snodata per cui avrei voluto fare una scuola di ballo ma il mio lavoro non me lo permette perché lavoro molto, per cui non posso fare anche la scuola di ballo. Allora in discoteca sfogo tutte le mie doti». (Federica, 17 anni)
    Addirittura per qualcuno può verificarsi il caso che non riesca in altre attività di tipo fisico, ed invece si senta a proprio agio nel ballare, rivelando insospettabili capacità di gestire il proprio corpo. La testimonianza che riportata qui sotto va in questa direzione.
    «Mi piace ballare e ci metto tutte le mie energie: ha un valore catartico per me. Anche perché faccio poco sport, dove sono impacciato, non riesco, mi sento handicappato. Invece nel ballo mi scateno e mi realizzo. Ci può essere anche un po’ di esibizionismo...». (Igino, 19 anni)
    Questa capacità della musica di suscitare energie e potenzialità sopite va forse messa in relazione a quanto la terapia musicale su portatori di «handicap» ci ha insegnato. La musica realmente riesce a risvegliare potenzialità insospettabili. Può essere usata per curare malattie e ridare equilibrio a persone che sembrano averlo perso. Qualcuno dei nostri intervistati sembra aver colto, anche se in maniera confusa, tale importante verità.

    Espressività

    Un altro significato che viene attribuito alla musica ed al ballo da parte dei nostri soggetti è collegabile al tema dell’espressività, dell’agire immediato, spontaneo.
    Questo concatenamento tra musica è ballo viene espresso intuitivamente dagli intervistati con espressioni molto semplici.
    «Quando sento la musica mi viene spontaneo ballare». (Raffaella, 19 anni)
    Qualcuno, anche se con notevole sforzo, riesce a descrivere con maggior ricchezza di particolari i fenomeni che si verificano nel momento in cui uno viene preso dalla musica ed invogliato a ballare.
    «Il divertimento consiste nell’ascoltare musica, ballare, ridere, scherzare... nel saper gustare quello che si sta facendo. Ascoltare la musica può sembrare una cosa banale... però bisogna farsi prendere. Se ti fai prendere dalla musica, che ti piace, balli, ti diverti». (Daniele, 18 anni; Massimo, 19)
    Questo «farsi prendere dalla musica» sembra l’aspetto fondamentale dell’esperienza danzante. Le espressioni usate dai nostri intervistati richiamano quanto diceva A. Maslow a riguardo dell’espressività. Egli indicava nell’agire senza inibizioni, senza atti volontari la caratteristica principale del comportamento espressivo. Questo da solo riuscirebbe a produrre gioia, felicità, benessere.
    Anche se abbiamo trovate rarissime espressioni da parte degli intervistati che descrivono lo stato d’animo di quando ballano riteniamo che sia proprio questa l’esperienza «apicale» della discoteca: la base del piacere di andarvi.
    D’altra parte abbiamo potuto constatare di persona quale potere di induzione al ballo abbiano certe musiche, abbinate al gioco di luci e all’atmosfera che si riesce ad instaurare in discoteca. Non c’è bisogno di essere portati per il ballo: certi accorgimenti scenografici e tecnici fanno venire la voglia anche a chi è negato.

    Sfogo, divertimento

    Un altro significato del ballo e della musica consiste nello sfogo che esso procura. Su questo ci diffonderemo meglio nel paragrafo sul divertimento. Qui si analizza questa caratteristica solo per il ballo. Probabilmente questo motivo è legato al precedente: la musica ha la capacità di permettere all’organismo di esprimersi. L’impossibilità di farlo nei momenti normali della vita crea uno stato di tensione che ad un certo punto può diventare insopportabile. La musica ed il ballo, riportando la persona a contatto con le proprie emozioni e permettendo all’organismo di esprimere se stesso, hanno una funzione omeostatica per l’organismo. Così le tensioni di sciolgono, i conflitti si appianano e la persona ritrova il suo equilibrio, la sua serenità, la pace, la tranquillità perché è tornata se stessa senza le forzature causate dallo stress quotidiano.
    «Ballo ore e ore di seguito, senza mai fermarmi: è molto bello, secondo me, perché mi sfogo». (Massimo, 19 anni)
    Nonostante queste testimonianze sembrino di scarso rilievo, sono sufficienti a far intravedere il valore che ha la musica ed il ballo per i nostri soggetti. La musica fa vivere sentimenti intensi, crea dei legami, dei rapporti, consente di esprimere stati d’animo.
    Gli intervistati, pure nella parsimonia di espressioni, riferiscono di un’esperienza piacevole e rilassante. Possiamo pensare che ciò sia dovuto a meccanismi di tipo bio-fisio-psicologico, descritti poco sopra. Tutto questo fa sì che l’individuo si senta mutato nello stato d’animo e spinto ad una intensa mobilità che si esprime nel ballo. Nello stesso tempo vive probabilmente una regressione a fasi infantili, subisce dei momentanei distacchi dalla realtà, se addirittura non fa un’esperienza estatica, di «trance». Ciò permette all’individuo di liberarsi dalle ansie, dagli assilli della vita quotidiana, soprattutto dallo stress. Ritorna momentaneamente bambino, si sente come cullato dalla musica, recupera stati d’animo piacevoli, di pace, di armonia. Sente in sé una notevole energia che gli dà vita e lo spinge ad una intensa attività motoria, che a sua volta libera energie represse ed elimina tossine accumulate nella settimana.
    Tutto questo, oltre sul piano individuale, ha una significato anche sociale. Il bisogno di pace, di calma, di tranquillità, espresso attraverso il ballo, pone una grave questione sui ritmi di vita che dominano la nostra società. Probabilmente il bisogno manifestato nell’andare in discoteca rivela che i ritmi sociali hanno dei costi soggettivi molto alti e non sempre funzionali al benessere individuale. C’è la necessità di recuperare ritmi di vita più consoni con le esigenze dei processi biologici e psicologici.
    La discoteca, attraverso la musica, il ballo ed il clima che riesce ad instaurare, si rivela funzionale alla soddisfazione di questi bisogni.

    Altri significati della musica per i giovani

    Oltre a questi significati della musica e del ballo, che riteniamo molto indicativi per la nostra ricerca, ne sono emersi altri, meno documentati, che rivelano quali ulteriori significati i giovani attribuiscano alla musica, anche al di fuori del contesto della discoteca. Sono temi tradizionalmente legati alla musica.

    Ricordo

    Un significato che può essere assunto dalla musica è quella di aiutare a rivivere un momento intenso della vita, il ricordo di una persona cara, il ricordo di un fatto importante.
    «Più che altro le musiche sono legate a ricordi, cose varie sempre dipendenti dal fatto che frequentiamo questi ambienti 175. (Lara, 16 anni)
    La musica può aiutare a rivivere ricordi piacevoli, intensi. Essa quindi, oltre che come oblio, si pone anche come memoria. In effetti i due movimenti della memoria e dell’oblio si pongono in forma complementare. La musica aiuta la memoria e ne facilità il compito, attraverso la stimolazione dei centri nervosi, contribuendo sia all’oblio che alla conservazione dei ricordi.

    Differenziazione generazionale

    Un altro motivo per cui i giovani prediligono un certo tipo di musica e vi si identificano è per il suo significato di contrapposizione agli adulti.
    «D. – I motivi per cui venite in discoteca?
    S – Per sentire un po’ di musica liberamente
    D. – Perché a casa non la senti?
    S – No, veramente no
    A – Io a tutto volume, ma i miei ogni tanto...
    S – Un po’ di trasgressione e basta!». (Silvia, 16 anni e Alessia, 15 anni)
    L’ascolto di un certo tipo di musica rappresenta quindi una specie di trasgressione. Apposta vengono accentuati certi elementi sonori di una musica che gli adulti non sopportano, per affermare la propria autonomia, la propria differenza da loro. La discoteca, per il fatto di essere un luogo dove si può ascoltare musica che piace ai giovani e non va agli adulti, diventa di per se stessa un luogo dove si afferma il potere e la cultura giovanile. Assume il significato di un luogo di trasgressione e di affermazione dell’alterità del giovane rispetto all’adulto.

    Tener compagnia

    Un altro significato che la musica assume per i giovani è quella di tenere compagnia (‘ruolo vicario’)
    «Ascolto musica, mentre studio, la sera, la mattina, prima di andare a scuola. Faccio tardi per sentire le canzoni, mi metto a cantare... mi piace... sì...». (Alessia, 15 anni)
    La musica accompagna abitualmente la vita del giovane nella sua giornata, suscita sentimenti, allevia il peso della quotidianità, fa superare difficoltà, momenti di solitudine, di angoscia. Essa può interpretare i sentimenti del giovane, dare parole, musica ai suoi stati d’animo, aiutare a sdrammatizzare momenti tragici della vita. La musica svolge veramente un ruolo importante, a volte sottovalutato. Soprattutto i conflitti profondi, intrapsichici o sentimentali dei giovani, sovente trovano la via di esternarsi e stemperarsi attraverso la musica, le canzoni.

    Conclusione: musica per divertirsi

    Nei soggetti da noi intervistati c’è pertanto la percezione che la musica ed il ballo costituiscano un’occasione di autorealizzazione, di espressione di sé, di sfogo e divertimento. Sembra che i giovani vadano in discoteca per stare assieme e usino il linguaggio della musica e del ballo (o del corpo in generale) per comunicare tra loro.
    Ciò attesta il forte bisogno di espressività di questa generazione e le difficoltà ad esprimersi nelle strutture che la società mette a loro disposizione.
    Però non sembra che questa espressività acquisti qualche rilevanza sul piano più squisitamente «culturale». Questa musica viene consumata sul momento per i benefici che essa produce sull’organismo, ma non è fatta oggetto di riflessione particolare. La maggior parte dei nostri soggetti ascolta musica da discoteca anche fuori della discoteca, per conto proprio. Ma sono rarissimi coloro che suonano qualche strumento o hanno una certa cultura musicale.[8] Pochi sono coloro che coltivano generi musicali non esclusivamente commerciali.
    Chi fa della musica un proprio motivo di impegno si rivolge ad altri filoni musicali più attenti alla realtà sociale, come a cantautori o a gruppi musicali, che si distinguono per il loro impegno civile e sociale, cui non sembra invece portare la musica da discoteca.
    Sembra quindi che i frequentatori di discoteche non abbiano una cultura musicale pari all’interesse che vi manifestano. Finiscono per essere solo dei consumatori passivi di musica senza attenzioni critiche nei suoi confronti né difese per immunizzarsi dalle seduzioni del mercato e della moda. Si limitano a consumare, avendo come unico criterio di valutazione il godimento che essa produce.
    Siamo quindi ad un livello di «cultura» primaria, immediata, viscerale, istintiva, cui manca la dimensione della riflessione e della rielaborazione culturale. Si potrebbe dire che questo tipo di musica costituisca una specie di paradigma della loro stessa vita. Come la musica da discoteca non passa più attraverso la mediazione cerebrale, ma investe direttamente il sistema neurovegetativo, così la loro cultura non passa più attraverso la mediazione della riflessione mentale, ma è solo risposta immediata ad uno stimolo.

    PER DIVERTIRSI E RILASSARSI

    Il motivo del divertimento-evasione è un motivo diverso da quelli finora considerati. Non consiste infatti in azioni o comportamenti particolari, ma nel modo di svolgere certe occupazioni e nella soddisfazione che ne viene. Anzi costituisce il criterio attraverso cui valutare tutto il resto. Pertanto l’adolescente va in discoteca con il proprio gruppo, per incontrare amici, fare nuove conoscenze, soprattutto dell’altro sesso; si esprime attraverso il corpo e la musica; ma è attento soprattutto che tutto ciò lo diverta: non ci andrebbe se non si divertisse.
    Il fattore divertimento-evasione proviene dalle risposte che indicavano scelte per la discoteca «per divertirsi», «per rilassarsi, scaricare le tensioni», «per passare il tempo». Mettendo insieme i vari items che compongono tale fattore si raggiunge un 77,7%, ma si può dire che quasi tutti lo fanno per divertirsi.

    Cos’è divertimento?

    È difficile dire in che cosa costituisca veramente il «divertimento». È un concetto di carattere intuitivo, che ha innanzitutto il significato di liberarsi dalla noia facendo ciò che piace. Non è una cosa, ma una dimensione presente (o non presente) in tutte le cose che si fanno: il contenuto è stabilito dai singoli soggetti per il significato che attribuiscono ad ogni attività. Queste possono essere le più disparate: stare con gli amici, cercare la ragazza o il ragazzo, ballare, ascoltare musica, ridere, scherzare, chiacchierare, disturbare, andare in giro, tutto questo costituisce il divertimento. Quello che importa è che ognuno possa sceglierle per ciò che esse rappresentano di gratificante per se stesso e non per un dovere, un obbligo, una necessità.
    La componente sessuale è una delle forme più frequenti del divertimento in discoteca.
    «Se vai a ballare hai voglia di stare con gli amici, fai bordello con gli amici... e non te ne frega niente. Certe volte... ogni tanto ti viene la voglia di andarti a cercare una ragazza, perché non puoi mica stare sempre senza. Ogni tanto c’è bisogno!». (Gino, 18 anni)
    Tante volte questo risvolto sessuale non si manifesta direttamente, ma nello stuzzicare, nel provocare. Inoltre è importante farlo in gruppo: ciò conferisce alla azioni, che di solito sarebbero disapprovate, un sostegno da parte degli amici che le rende socialmente possibili ed approvate.
    Il divertimento quindi si avvicina al concetto del gioco, all’agire espressivo, spontaneo e immotivato. Diverte ciò che uno fa spontaneamente, senza alcuna finalità, spinto solo dal desiderio di esprimere se stesso, le esigenze del proprio organismo. Senza una finalità precisa, senza mete o programmi, senza dover tenere presenti le conseguenze dei propri atti.
    È come un ritornare bambini, quando le cose di facevano spontaneamente senza preoccuparsi del futuro, delle conseguenze: ci si esprimeva seguendo gli impulsi del proprio organismo e nient’altro. Il carattere edonistico e ludico risulta la componente fondamentale del divertimento. La ricerca di uno stato di soddisfazione è l’unica motivazione del divertimento. Quando una cosa non procura la gioia, il piacere atteso, non c’è più divertimento: diventa noia.
    Divertimento ed evasione non hanno necessariamente una connotazione negativa, come forse una certa morale poteva far intendere. Oggi siamo di fronte alla riscoperta della dimensione ludica, edonistica della vita. È un nuovo modo di porsi di fronte alla vita, al tempo, che può aprire la via a nuovi valori, ad una cultura nuova. Può volere dire una vita scandita al di fuori della logica produttiva ed acquisitiva.
    Ma possono anche essere rivelatori di una certa difficoltà ad inserirsi nella società, a pensare con fiducia al futuro. L’esasperata ricerca di divertimento può anche essere, infatti, un segno di rinuncia a costruire qualcosa perché non si riesce più a dare un ordine, un proseguimento alle cose che si stanno facendo. Si punta sulla provvisorietà e sull’effimero perché sul futuro non si riesce più a far calcolo e non si ha più il coraggio di scommettere su di esso, di investirvi energie, risorse, tempo, progetti. Il divertimento può inoltre far emergere tutte le contraddizioni insite nel tempo libero: dal rischio di dicotomia, a quello della destrutturazione temporale, a quello della strumentalizzazione consumistica.

    Discoteca come «relax», distensione

    Il concetto di divertimento viene a collimare con altro concetto affine e complementare, che è quello di «distensione» o «relax». Esso corrisponde a quello che Dumazedier chiamava délassement. Con questo termine intendeva sottolineare il riposo dalla fatica fisica e/o psichica. Un concetto analogo si ritrova nei nostri intervistati.
    Per i nostri ragazzi venire in discoteca vuol dire rilassarsi, liberarsi dalle fatiche della settimana, scatenarsi per recuperare le energie fisiche e psichiche compromesse dallo studio o dal lavoro, comunque da una tensione che logora.
    «Hai gli studi, stress, litigate con i genitori. Invece qui ti scateni, non pensi a niente non hai neanche in mente chi è tua madre? boh! Non lo so! Io non penso a niente quando ballo». (Arline, 16 anni)
    La liberazione sarebbe ottenuta attraverso il ballo, che, come abbiamo già visto, prende a tal punto da avvolgere totalmente nel suo movimento le persone che si lasciano andare, sciogliendole dal tormento del pensare. Ci sarebbe forse da approfondire meglio questa funzione della discoteca, di indurre una specie di «trance», di distacco totale e completo dalla realtà, dal quotidiano. È una specie di esperienza «estatica», ottenuto sia attraverso la musica ed il ballo, sia attraverso l’assunzione di sostanze psicotrope.
    Questa esperienza di distacco totale dalla realtà porta benefici effetti sullo stato psicofisico di chi la pratica ed è una cosa positiva. Gli psicologi affermano che momenti di regressione, di distacco momentaneo dalla realtà sono necessari e benefici per la vita dell’adolescente, che non è ancora riuscito ad assumere tutte le componenti della sua personalità ed ha difficoltà a compiere rapidamente il passaggio dal principio del piacere a quello della realtà. Temporanee sospensioni di tali compiti nella fase evolutiva sono necessarie per rompere l’accerchiamento e compiere tale passaggio gradualmente. Tuttavia gli psicologi mettono anche in guardia dal pericolo costituito dall’uso ripetuto o continuo di tali meccanismi di difesa: potrebbero prefigurare l’instaurazione di processi patologici.
    Il bisogno di evadere dalla realtà a tutti i costi può portare, per esempio, alla tossicodipendenza o a quelle forme di delirio collettivo che si realizzano nei «rave parties», dove appunto si ricerca deliberatamente lo «sballo», la «trance». Questo magari anche attraverso l’uso di sostanze stupefacenti come l’alcol, la cocaina, le anfetamine, l’hascisc e l’ecstasy. Questo stato di allucinazione mentale e di distacco dalla realtà può essere la causa di molti incidenti al ritorno dalle discoteche.

    Discoteca come passatempo

    La discoteca non sempre è solo fonte di divertimento, ma anche di noia e comunque diventa quasi un passaggio obbligato per i giovani nei giorni festivi o nei tempi liberi in cui non sanno cosa fare. Questo testimonia quanto il loro senso di inventiva e di creatività sia già stato compromesso o comunque come preferiscano la noia di un posto sicuro al rischio dell’esplorazione di qualcosa di diverso. Così si sente affermare che si va in discoteca «perché non si sa che fare».
    Alcune volte è perché non si trova niente di confortevole nel posto di residenza, oppure non ci sono alternative valide. Oppure si tratta di vincere la noia della domenica, in cui, non essendoci nulla di organizzato, si deve a tutti i costi trovare qualcosa da fare per occupare il tempo.
    «Ci vengo... la domenica spesso, perché è un giorno che non mi dice niente. O te ne vai a fare un giro da qualche parte, se no ti rifugi in discoteca. O, sei hai la ragazza, esci con la ragazza. Però alla discoteca ci vengo spesso. Cioè, la domenica quasi sempre e anche in mezzo alla settimana, se c’è qualche festa organizzata da qualche amico. Ci troviamo fra di noi con i miei amici. Spesso». (Gabriele, 20 anni)
    Queste testimonianze fanno da pendant alle espressioni entusiastiche sulla discoteca che avevamo raccolto in altre interviste: la discoteca non suscita solo entusiasmo!
    Questo va in parte attribuito alla incapacità di organizzarsi da parte dei giovani, ma anche alle abitudini che la discoteca ha contribuito a creare.
    La discoteca aiuta l’adolescente ad organizzare il suo divertimento, ma è anche il luogo dove il divertimento è già tutto organizzato. È bello trovarsi tutto pronto, divertirsi senza dovere pensare all’organizzazione. Tuttavia alla lunga questo sistema atrofizza le capacità di inventiva personale e crea delle persone assolutamente passive e condannate al puro consumo e alla noia. Esiste un forte pericolo di stereotipizzazione dalle attività e di ripetitività senza inventiva o iniziativa.
    Lo si vede anche nei comportamenti di questi ragazzi: si limitano a ripetere gesti, battute, azioni che una volta hanno fatto ridere, ma con l’andare del tempo diventano scontati. Si ride perché si è riso una volta, ma non ci si diverte più. Si fa solo finta di divertirsi, tanto per reggere la commedia, ma in realtà si è terribilmente annoiati e non si ha il coraggio di manifestarlo. Nascono così i «coatti del piacere»: si sentono obbligati a divertirsi, ma l’obbligo uccide il divertimento, perché non è più una cosa spontanea, bensì una moda. La discoteca, in quanto luogo del divertimento di massa, procura anche questo.

    La discoteca è una cosa, la vita un’altra

    Un altro tipo di rischio per il normale frequentatore di discoteca nel suo modo di concepire il divertimento è quello della dicotomia tra tempo libero e tempo occupato. Esso viene descritto magistralmente da questa testimonianza di una liceale:
    «D. Perché vieni in discoteca?
    – Perché ci trovo tanti amici con cui ridere e scherzare e poi quando esco da qui... niente, vado a casa e comincio la routine di tutta la settimana, a studiare.
    D. Quindi, se ho ben capito, c’è una divisone netta tra quello che succede qui in discoteca e la tua vita normale. Due persone diverse. Nessuna continuità tra i due momenti.
    – Si, sono diverse.
    D. E come spieghi tutto questo?
    – Perché le persone che stanno qua sono sì tutti dei bravi ragazzi, ti diverti, però non sono il sogno di una ragazza, quello che una vorrebbe realizzare nella vita. Mentre durante la settimana andando a scuola, studiando ci sono altri obiettivi. Ci sta la voglia di diventare qualcuno. Mentre quando stai qui c’è soltanto la voglia di divertirsi e scaricare tutto quello che hai accumulato durante la settimana, nello studio». (Luciana, 17 anni)
    Per quanto gli adolescenti tendano in genere ad avere una concezione unitaria della vita e del tempo, tuttavia rischiano di concepire la discoteca (e forse il tempo libero in generale) come un momento in cui fare follie, sciogliere ogni vincolo, librarsi da ogni freno inibitore. Approfittano di questi momenti per sfogare le energie represse, la rabbia per le limitazioni subite in famiglia o per i sacrifici affrontati per la scuola o il lavoro in balli sfrenati, corse in moto o in macchina fino ai limiti, attività vandaliche, violenze di gruppo, intemperanze sessuali ed alimentari. Poi, finito il week-end, ritornano i bravi ragazzi di prima, che nulla sembrano avere in comune con quello che hanno fatto in alcune ore di follia. Ma questo atteggiamento ha prezzi altissimi dal punto di vista formativo: si rischia uno sdoppiamento di personalità, con criteri di valore e di comportamento diversi a seconda delle circostanze e degli ambienti. Si impara a convivere con personalità diverse, a non sentirsi responsabili delle proprie scelte: una moderna riedizione di «Dr. Jeckyll e Mr. Hyde».
    Ne consegue che l’identità non matura o si forma un’identità plurima, debole, cangiante, poco attrezzata di fronte agli ammiccamenti del potente di turno.
    Questo rischio è presente in tutto il sistema sociale: secondo alcuni studiosi il sistema capitalista-industriale avrebbe contribuito a scindere i due momenti del tempo libero e del tempo del lavoro in due sfere di valore distinte e contrapposte, per poter gestire i tempi e dominare meglio le persone.[9] Infatti la logica acquisitiva e il contingentamento dei tempi servono soprattutto alla produzione.
    Mentre invece nel tempo libero prevale il codice espressivo, caratteristico delle persone.
    Ma se questa divisione indebolisce le capacità critiche delle persone e la loro volontà di resistenza, ecco allora che il sistema produttivo riprende il suo dominio sulle persone attraverso le strutture di divertimento e l’induzione al consumo.
    Così gli individui rimangono schiavi, nel momento dello studio e del lavoro della logica produttiva e competitiva, mentre il momento del tempo libero, concepito privatisticamente ed edonisticamente e ridotto all’evasione, si presterebbe facilmente alla manipolazione consumistica.
    La discoteca si pone su questa linea e favorisce implicitamente il controllo del sistema produttivo sulle attività espressive.
    Invece l’ideale sarebbe, come proposto da Dumazedier, di estendere progressivamente i valori del tempo libero (espressivi) a tutto il sistema sociale. Solo così si potrebbero avere persone felici.

    Conclusione: divertimento come evasione

    La discoteca come industria del divertimento motiva la sua esistenza ed il suo successo per il fatto di riuscire a divertire le persone, ad intrattenerle in qualcosa di piacevole e gradito.
    Proprio perché proveniente dall’organismo, il divertimento è una caratteristica dell’espressività. È in sé una cosa benefica per la salute fisica e psichica dell’individuo, è necessario per il buon funzionamento dell’organismo. Tuttavia tale dimensione, ha in sé dei rischi e delle ambiguità sia per la singola personalità che per la società. Uno è quello che ci sia un investimento così totalizzante da produrre un distacco completo dalla realtà. Alcuni degli inconvenienti più grossi della discoteca, traggono la loro origine proprio da una concezione del divertimento sganciata da ogni altro riferimento alla realtà.
    Inoltre, abbiamo visto che il divertimento può diventare anche noia ed abitudine. Questo sia per la carenza di strutture pubbliche ed educative nel settore del tempo libero, ma anche per una deformazione verso la passività e il consumismo, favoriti dalla discoteca.
    Dumazedier aveva individuato tre caratteristiche fondamentali del tempo libero: délassement, divertissement, dévelopement.
    Le prime due costituiscono una liberazione dai vincoli che impediscono la giusta fruizione del tempo e la realizzazione della persona («liberazione da»), la terza invece indica un cammino, un orientamento al futuro. Ci sembra che quest’ultima manchi nella discoteca, o almeno non sia presente nella coscienza dei suoi frequentatori. C’è ricerca di liberazione, di realizzazione, di divertimento; non abbiamo colto segni di tensione allo sviluppo ed alla crescita della persona, tantomeno della società.
    Perciò il divertimento è il criterio fondamentale tra i frequentatori di discoteca che serve a decidere se fare o non fare una cosa.
    Ma è un criterio asfittico, dominato da una logica miope, centrata su se stessi. L’obiettivo è la soddisfazione di bisogni immediati, senza obiettivi ulteriori, che indichino nell’uscita da se stessi la crescita della persona e della società. In questo la discoteca rimane una proposta povera, che necessità di altri interventi, per dare alla persona e alla società delle prospettive di futuro.

    PER «SBALLARE»

    Sovente i ragazzi nella discoteca cercano lo «sballo», la situazione che li fa uscire di testa, perdere il controllo di se stessi, compiere gesti e azioni che normalmente non compirebbero. In ciò, per molti, sta la felicità ed il motivo per andare in discoteca.
    Questo ha probabilmente a che fare con la ricerca di uno stato di «trance», di cui abbiamo parlato precedentemente, ottenuto sia dalla musica, dal ballo, dalle luci ma anche dall’assunzione di sostanze allucinogene o psicotrope.
    Sul bisogno psicologico di ottenere uno stato di oblio dalla realtà e di fusione con tutti gli altri abbiamo già parlato, qui invece ci fermiamo sui gesti che più turbano gli adulti, quelli che hanno a che fare con la trasgressione e la devianza. Un sospetto che circonda sovente le rappresentazioni sociali della discoteca è il suo rapporto con la trasgressione: dalla droga alla delinquenza, dall’alcolismo alla prostituzione.
    Le risposte ottenute nella nostra inchiesta tendono ad ridimensionare l’idea che la discoteca sia un luogo di perdizione. Da ciò che affermano i nostri intervistati non risulta che ci siano forme particolarmente diffuse di devianza.
    La trasgressione più diffusa, per ammissione degli stessi intervistati, è l’uso della droga leggera (14,7%); al secondo posto ci sono le liti, la violenza (8,9%); al terzo l’ammissione che qualcuno usa anche droga pesante (6,3%).
    Ovviamente si può dubitare della completa sincerità di risposte che rischiano di dare una cattiva idea su di sé e l’ambiente che si frequenta. In altre ricerche risultano percentuali maggiori di trasgressione,[10] però bisogna stare attenti a non fare di ogni erba un fascio e non pensare che tutte le discoteca siano dei distributori automatici di ecstasy.
    È vero che in alcune discoteche la trasgressione è regola, però sono discoteche abbastanza caratteristiche, come quelle di «tendenza», dove si suono «rock progressivo», quelle delle riviere dell’Alto Adriatico o di altri luoghi turistici, oppure quelle dove si consumano i rave-parties. Qui si danno comportamenti veramente devianti come il consumo quasi obbligato di stupefacenti, la provocazione sessuale estrema, la violenza dei comportamenti, fino al prosperare di organizzazioni delinquenziali attorno (e qualche volta anche dentro) la discoteca. Contro queste situazioni degenerative è rivolta soprattutto la lettera dei vescovi dell’Emilia Romagna «A proposito di discoteche: giovani fra disagio ed evasione». In altre discoteche invece la situazione è molto più contenuta e la possibilità di assunzione di droghe o di altri comportamenti devianti non è maggiore di quella che si ha normalmente a scuola, all’oratorio, o camminando per strada.
    In queste ultime discoteche le trasgressioni avvengono più a livello simbolico che reale. Sovente è solo l’ebbrezza dello star fuori la notte, essere sottratti al controllo degli adulti, l’idea di avere chissà quali avventure, l’ubriacarsi o consumare qualcosa di eccitante che costituisce tutta la trasgressione possibile. In pratica la trasgressione non si consuma o rimane a livello di accenno. Anche perché in molte discoteche c’è un servizio d’ordine efficientissimo e inflessibile, che non permette di deviare facilmente. Sapere con quale tipo di discoteca si ha a che fare è molto importante sia per conoscere a quali conseguenze può andare incontro chi le frequenta (e quindi quali limiti porre), sia per sfruttare le eventuali disponibilità del gestore o direttore della discoteca per collaborare nel contenere i fenomeni trasgressivi o nel creare alternative allo «sballo». È interesse anche dei gestori dei locali mantenere un buon rapporto con le forze dell’ordine e amministrative e godere di una certa credibilità nel territorio e con le famiglie.
    Per intraprendere interventi preventivi ci si deve interrogare sul perché gli adolescenti abbiano bisogni dello «sballo»,» di questo stato di esaltazione e di uscita fuori di sé. Abbiamo già avanzato delle critiche sui ritmi sociali che affaticano moltissimo le persone. Bisognerebbe interrogarsi forse anche su un «bisogno di trascendenza» che queste forme estreme sembrano indicare.
    Una parola va anche spesa sulla tendenza alla trasgressione in sé, che si nota negli adolescenti. Essa si collega con il processo di autonomizzazione che attraversa quest’età. L’infrazione della norma costituisce per l’adolescente un percorso obbligato nella strada della maturazione e dell’emancipazione dalla dipendenza genitoriale. La norma non potrà mai essere interiorizzata e fatta propria se non attraverso un cammino personale di sperimentazione, di negazione ed affermazione. La discoteca offre perciò un luogo dove sperimentare uno stile di vita autonomo.
    «Attraverso gli stili spettacolari elaborati in discoteca i giovani sembrano esprimere l’esigenza di avere spazi autonomi nei quali possano sfuggire ai meccanismi di de-individuazione e alle pressioni conformistiche e omologanti esercitate dalla società contemporanea, sembrano comunicare la loro intenzione di non aderire ai comportamenti di ruolo socialmente prescritti e avanzano, indirettamente, una domanda di senso» (Chiarello 1991, 129).
    Inoltre una certa trasgressione può essere vista come una denuncia della società e proposta di alternative. La devianza non ha solo un valore negativo, di turbamento dell’ordine, ma rappresenta anche la possibilità che, attraverso la proposizione di nuovi valori, di nuovi modelli di condotta si operi un rinnovamento della società.
    Tuttavia è difficile comprendere una trasgressione che diventa stile di vita, soprattutto quando è immotivata, gratuita e senza un obiettivo definito. Più che la elaborazione di una proposta alternativa sembra il ritagliarsi uno spazio dove poter agire senza vincoli e controlli, senza responsabilità né progetti. Invece della utopia (= luogo che non esiste), prefigurativa e preformativa di una realtà ideale, modello per la costruzione di una società diversa (v. «La Repubblica» di Platone, la «Città del Sole» di Campanella, o più vicino a noi e più banalmente «L’isola che non c’è» di Bennato) questi giovani sembrano cercare la «a-topia», il «non-luogo», rifugiarsi in uno spazio e tempo in cui non c’è alcun rapporto con lo spazio ed il tempo reali. Sembrano vivere in una specie di realtà virtuale, in cui tutto è possibile e permesso, ma che risulta funzionale solo al benessere individuale e del momento, senza alcuna ricaduta su quello futuro, personale o sociale che sia. Anzi risulta una fuga dal reale, dal quotidiano, dalle incombenze della vita. Fuga che distrae dalla realtà, che fa vivere in una mondo irreale, fatto di suoni, luci, spazi dilatati (interni ed esterni) in cui vivere come in un utero artificiale per evitare la sofferenza di vivere. Un estraniamento che distoglie talmente dalla realtà da creare serie difficoltà a reinserirsi (le stragi del sabato sera sarebbero la testimonianza estrema di questa difficoltà).
    Per dirla in termini freudiani, avviene una espansione dell’Es a scapito del super-io, che viene annullato. Ma anche l’io viene ignorato. Non ha più una funzione di mediazione. C’è soltanto l’Es che travalica su tutto, con evidenti scompensi nella personalità, come i rischi di narcisismo o di schizofrenia.
    Forse le forme di trasgressione che si manifestano in discoteca vanno lette solo come espressioni del disagio degli adolescenti in questa società. Disagio che però va risolto non con la fuga, ma affrontando i problemi reali che si presentano a quest’età.


    2. Espressività come evasione

    Quelle descritte nell’articolo precedente sono le caratteristiche principali che abbiamo rilevato tra i nostri frequentatori di discoteca. Come si vede non sono pratiche tanto eccezionali e nemmeno necessariamente legate alla frequenza di una discoteca. Quello che sembra specifico dei frequentatori della discoteca è l’accentuazione di alcune caratteristiche e la messa in ombra di altre. In particolare i frequentatori di discoteca accentuano la propensione al divertimento, l’importanza dei valori affettivi, l’ambiguità dei rapporti di coppia; anticipano il momento di allontanamento dalla famiglia, avendo genitori più permissivi; avvertono in maniera particolare le disfunzioni della società (scuola, lavoro, politica) e vi rispondono con il ritiro della fiducia e dell’interesse, oltre che dell’impegno. Sono particolarmente affetti da «presentismo», gusto per l’effimero, rinuncia al sacrificio, fino a far intravedere segni di «destrutturazione temporale», pur senza esserne del tutto affetti. Tendono a prolungare opportunisticamente la loro situazione di «moratoria sociale» e a godere il più a lungo dei vantaggi dell’adolescenza.
    Quello che ha stupito in questa ricerca è stata l’impossibilità di trovare che la frequenza alla discoteca fosse discriminante in maniera decisiva su qualche tema. Invece anche il solo confronto tra «alta» e «bassa frequenza» o tra i vari livelli di «adesione alla discoteca» non ha rivelato differenze significative in nessun atteggiamento particolare. Vi sono stati certo dei fattori influenzati di più da una o dall’altra variabile, ma quando si voleva raccogliere insieme un gruppo di fattori omogenei, risultava che in tutti entrava sia una modalità che l’altra di stare in discoteca, impedendo di trarre delle conclusioni definitive.

    Il ruolo della discoteca per la formazione dell’identità

    L’espressività sembra segnare gran parte dei comportamenti del giovane in discoteca. La musica, la danza, le espressioni affettive e sessuali, l’allegria, la distensione, il divertimento, i comportamenti disinibiti e dirompenti costituiscono i motivi fondamentali per cui i giovani si recano in discoteca. Queste espressioni sono fonti di gioia e di gratificazione. Inoltre molte di queste aiutano l’adolescente ad affrontare la vita in maniera più tranquilla e distesa, a provare la sua identità soprattutto sessuale e ad elaborare una qualche forma di cultura. Tuttavia queste esperienze non sembrano assumere un ruolo decisivo nella sua esperienza di maturazione, sono invece viste come evasione. In effetti gli adolescenti sembrano ricercare la discoteca obbedendo ad una spinta tipica dell’età: quella di uscire dalla famiglia e di aprirsi al mondo. Cercano in discoteca nuove relazioni. Ma questa ricerca non approda ad aperture significative, sovente ci si limita a rapporti superficiali, ad una comunicazione più simbolica che reale. Prevale la ricerca del piacere immediato senza prospettive di futuro o sostanziali modificazione delle proprie attitudini alla comunicazione.
    Nonostante questa provvisorietà, la discoteca assolve un qualche ruolo nell’elaborazione dell’identità: soddisfa in parte sia al bisogno di appartenenza che di differenziazione.
    La pratica dell’aggregazione appare come forma di partecipazione ad un popolo («il popolo della notte»), mediata dal gruppo, che è luogo di rapporti primari. Attraverso essa assolve ai bisogni di appartenenza. Con il gruppo ci si identifica e da esso vengono mutuati modelli di comportamento e stili di vita. Inoltre la musica ed il ballo, i variopinti riti dalla discoteca, dell’ingresso e dell’uscita, costituiscono altrettanti simboli di riferimento ai quali viene socializzato e con i quali soddisfa il bisogno di identificazioni simboliche.
    La discoteca assolve in parte anche bisogni di differenziazione. Questa avviene innanzitutto nei confronti dell’epoca infantile e pre-adolescenziale, per cui si abbandonano i modelli e le dipendenze del passato, soprattutto nei riguardi dell’ambiente familiare. Inoltre questa differenziazione si gioca nella ricerca ed esplorazione delle proprie capacità e potenzialità, nella scoperta e valorizzazione del corpo come mezzo di comunicazione e di espressione di sé e luogo della identificazione sessuale o di genere. In questo contesto vanno tenute in debita considerazione anche la ricerca di divertimento come manifestazione di una propria autonomia e di una elaborazione del proprio sé attraverso la definizione di gusti ed esperienze uniche e personali. Infine non va trascurata la ricerca di ruolo che si attua sia attraverso i compiti e i ruoli che si definiscono nel gruppo che in quelli che vanno delineandosi nelle relazioni con gli altri frequentatori di discoteca.
    Questi elaborati e complessi processi di ricerca dell’identità ricevono una qualche risposta dalla discoteca e questo può costituire un’ulteriore spiegazione della sua affermazione tra gli adolescenti.

    Identità spettacolare

    Questa identità sarebbe però prevalentemente di tipo «spettacolare»,[11] come qualche sociologo ha autorevolmente affermato. I frequentatori di discoteca tenderebbero ad affermare la propria diversità facendo ricorso alle forme simboliche della comunicazione non-verbale e comportamentale. Attraverso media simbolici, quali abiti, acconciature, gadgets, ma soprattutto la musica ed i ballo, i comportamenti in discoteca si caricherebbero di valenze alternative alla società adulta.
    La discoteca rappresenterebbe per loro il «territorio dell’apparenza», dove verrebbero stimolati a rappresentare se stessi e a comunicare attraverso linguaggi non verbali.
    L’identità diventa, a questo punto, più un problema di immagine che di realtà. L’autorealizzazione passa dal fare (il lavoro), all’apparire (l’immagine). Questa sembra la filosofia di vita vincente di questi ultimi anni, soprattutto nei settori d’avanguardia della società. E si sta imponendo sempre più anche a livello giovanile. «Curare l’immagine», fare attenzione alla propria presentazione sembrano essere gli imperativi categorici di questi anni. L’etichetta è un must.
    Questa modalità di affrontare il problema dell’identità è una risposta conforme alle esigenze del sistema sociale dominante. La società in cui stiamo vivendo appare in così rapido movimento che qualsiasi tentativo di definirsi attraverso una ricerca lunga e profonda risulta impossibile. La vita sta assumendo ritmi vertiginosi, costringendo tutti ad adeguarvisi. Il cambio delle mode, dei gusti musicali, dei programmi, lo stesso zapping tra canali televisivi determina una abitudine al cambiamento veramente elevata. Tutto si consuma in fretta, nel giro di brevissimo tempo: le mode cambiano rapidamente, bisogna essere sempre sulla cresta dell’onda. I nuovi giovani stanno crescendo con il mito della velocità. Se non sei abbastanza rapido a cogliere i mutamenti e ad adeguarti, sei «out».
    Abituati dal linguaggio dei media, la comunicazione gestuale prende il sopravvento su quella verbale, razionale. La discoteca offre un luogo dove tutto ciò può accadere, anzi è un luogo dove il linguaggio non verbale prevale su quello verbale. I giovani sembrano privilegiare la presentazione di sé sulla scena pubblica a scapito della costruzione di quegli aspetti della personalità che li renderebbero più adatti ad affrontare il futuro attraverso una professione, conquistata con lo sviluppo della capacità professionali ed i valori della resistenza alla fatica, della capacità di impegno, della cura nell’esecuzione, ecc. In questa situazione valori come l’introspezione, la progettualità, la coerenza, il sacrificio vengono posti in secondo piano a scapito della cura della presentazione di sé, del look, del successo sociale a qualunque costo. Non c’è tempo per gli approfondimenti, per ciò che richiede tempo, dedizione, calma, pazienza.
    «Il continuo susseguirsi di mode e di stili di consumo che favorisce nei giovani il consolidarsi di una cultura dell’immediatezza» (Battellini).

    L’espressività come pratica di vita, non come scelta

    Tolto questo uso dell’espressività per il suo ruolo simbolico nella elaborazione dell’identità, l’espressività non sembra assumere altre funzioni nella elaborazione della personalità dell’adolescente. Non risulta infatti nei soggetti da noi presi in considerazione, una consapevolezza riflessa del valore dell’esperienza che stanno vivendo. Non c’è confronto, scambio di idee, consapevolezza culturale dei valori che possono emergere dalla pratica della discoteca. Mancano pertanto tutti quegli elementi che di solito caratterizzano i movimenti culturali di avanguardia. E quindi mancano quelle caratteristiche che portano all’affermazione sociale di un’idea, di un movimento.
    I nostri soggetti, non avendo consapevolezza del valore di ciò che stanno facendo, non avvertono nemmeno l’importanza di vivere con continuità e coerenza ciò che sperimentano in discoteca. Quando si arriva ad ambiti quali la scuola, la famiglia, il lavoro, il matrimonio (futuro), la società, la politica si comincia a prendere coscienza degli obblighi derivanti da queste realtà e lo spirito ludico lascia il posto allo spirito della realtà. Tutto questo porta a tradire i valori espressivi della discoteca, a ridurre la sua frequenza ad una pura evasione, ad accontentarsi di una notte di follie. Non si parla di trasformare la società, fare del mondo una grande discoteca, di rimettere sul piedistallo il principio del piacere. Non siamo in presenza di un movimento come quello hippy o come quello punk. Quella della discoteca è gente molto pragmatica, che riesce a far convivere aspetti diversi e contrastanti, senza immolarsi su l’altare di nessuno.
    In effetti la tendenza al pragmatismo, a fare scelte in linea con le possibilità concrete, senza arroccarsi in difesa di questioni di principio, costituisce una delle costanti più rilevanti dei nostri soggetti. Sembrano, in generale, dotati di una buona capacità di mediazione tra esigenze soggettive e vincoli strutturali. Essi risultano assai lontani dagli slanci ideali di qualche decennio fa; come pure dagli estremi di una vita sregolata e dissipata, come a volte le rappresentazioni sociali della discoteca ci rimandano. Dimostrano di saper abilmente conciliare esigenze espressive ed obblighi sociali, vita di gruppo e norme familiari, divertimento e dovere, spensieratezza ed attenzione al futuro. Il tutto per vivere in maniera non conflittuale il rapporto con quella fetta di società con cui si ritrovano a contatto giorno dopo giorno.
    Ma questo porta anche ad una scissione interiore, ad una visione dicotomica della vita.

    Evasione o alternativa?

    Pertanto, l’espressività di cui è carico l’adolescente e che trova modo di sfogare in discoteca non sembra costituire un elemento caratterizzante un gruppo particolare, né dare luogo ad attività alternative.
    La discoteca appare, nella coscienza e nella pratica di vita dei soggetti da noi intervistati, più come una sospensione dei tempi e degli obblighi sociali che una pratica di vita scelta in contrapposizione alla società attuale.
    Ne viene fuori una certa debolezza dei soggetti da noi intervistati, incapaci di imporsi sulla scena sociale con una proposta elaborata, con un progetto. Questo anche perché essi stessi sono tesi alla composizione di tempi e logiche diverse pur di non scontrarsi con il sistema sociale. Ne risulta che la loro vita è caratterizzata da frantumazione dei tempi, per cui in certe attività si agisce secondo logiche autoespressive e in altre secondo logiche strumentali. Il criterio-guida diventa quello del fare ciò che più conviene sul momento: è un tipo di risposta alla complessità. Risposta funzionale per certi versi ed insufficiente per altri. I processi di socializzazione e simbolizzazione di cui abbiamo trattato poco sopra, soddisfano una domanda iniziale di identità, ma non sono sufficienti a coprire le esigenze di una formazione completa dell’identità. Necessita una socializzazione che superi i limiti dell’ambiente vitale ed apra all’intera società e ad un futuro più grande.
    Tutto ciò, se fa diminuire la consistenza ed il valore dei frequentatori della discoteca dal punto di vista culturale o politico, come gruppo alternativo, è invece molto interessante dal punto di vista sociologico e antropologico per capire la possibile evoluzione della società
    F. Ferrarotti in un suo recente saggio sui giovani e la musica, osserva che certe rivoluzioni, che toccano la sfera espressiva e che rifiutano, per loro stessa natura, i codici della razionalità occidentale, non possono essere analizzati con le categorie tradizionali.[12] Si rischia di non trovare quello che si cerca, non perché non c’è ma perché si usa uno strumento non adeguato. Pertanto, nonostante questa ricerca non rilevi delle caratteristiche particolarmente forti tra i frequentatori di discoteca, nondimeno fa emergere delle esigenze, che possono essere ritenute indicatori di una tendenza diffusa tra le giovani generazioni. Di queste va tenuto conto per l’azione pastorale. Con esse l’educazione ed i piani pastorali dovranno fare i conti se vorranno dare una risposta ai giovani che si stanno affacciando alla ribalta del nuovo millennio.


    RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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    * Pollo M., I giovani e la notte, Ed. Milella, Lecce 1997.
    * Torti M.T., Abitare la notte. Attori e processi nei mondi delle discoteche, Costa & Nolan, Genova 1997.
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    * Vettorato G., Mion R., Giovani in discoteca tra espressività ed evasione, in «Tuttogiovani notizie» X (1995) n. 38, pp. 5-21.


    NOTE

    [1] Una relazione più ampia della medesima si trova in «Tuttogiovani notizie» X (1995): Vettorato G., Mion R., Giovani in discoteca tra espressività ed evasione, n. 38, pp. 5-21.
    [2] Dalle indagini IARD risulta che la frequenza alla discoteca è stata sempre in crescendo a cominciare dal 1984 (anno della prima ricerca Iard). Nel 1996 erano passati almeno una volta in discoteca circa il 70% dei giovani (Buzzi, Cavalli, De Lillo, Giovani verso il duemila, Il Mulino, Bologna 1997, p. 402). Le discoteche censite in Italia sono circa 7.000, più degli Stati Uniti e pari a Francia e Germania messe assieme. In totale sono 15 milioni circa le persone che le frequentano con una frequenza di 2,5 mensili per persona.
    [3] Questo fatto, oltre che da osservazioni personali, viene attestato direttamente dai giovani nella ricerca Pollo (cf M. Pollo, I giovani e la notte, Ed. Milella, Lecce 1997, pp. 228-239).
    [4] Questo stesso item (singolarmente uguale a quello della nostra ricerca), trova minor consenso nella ricerca Cravero (21,5%), però conserva una significativa differenza tra maschi (27,3%) e femmine (17,4%), (D. Cravero, Se tuo figlio in discoteca..., EDB, Bologna 1998, p. 55).
    [5] Questa affermazione, di convinzione comune di parecchi autori, viene documentata come percezione dei frequentatori di discoteca dalla ricerca Pollo (cf M. Pollo, o. c., pp. 208-212).
    [6] Nella ricerca Cravero è riportata una testimonianza significativa di questo atteggiamento: «Muovo il corpo in modo sensuale perché mi piace apparire, anche se è più corretto essere quello che veramente sei. Lo faccio per essere più libero ed è molto importante per me farmi vedere come ballo e come mi muovo. Quando gli altri ballano mi trasmettono un’aria di seduzione, insomma i corpi mi trasmettono erotismo» (p. 54).
    [7] È stato osservato che l’età della prima manifestazione sessuale (menarca per la donna, prima polluzione per il maschio) da cent’anni a questa parte sta subendo un progressivo anticipo; in compenso l’età del matrimonio viene sempre più posticipata. Ne consegue che la distanza tra menarca e matrimonio era di 7,2 anni nel 1890; di 11,8 nel 1988. Per il maschio la distanza diventa di 12,5 anni (cf Bassoli-Benelli, I nuovi adolescenti. Radiografia di un’età dimenticata, Editori Riuniti 1995, p. 28).
    [8] Medesima osservazione viene fatta anche da Cravero. Anzi egli aggiunge un altro motivo: la facilità di «costruire» musica da discoteca favorirebbe ulteriormente questa propensione alla «povertà» musicale (p. 28, n. 11).
    [9] «Tempo di lavoro e tempo libero vengono rappresentati come aventi due nature diverse. [...] L’illusione di compensarsi attraverso il tempo libero dalle frustrazioni del tempo di lavoro, di affidare al tempo libero lo sviluppo di una personalità che il tempo di lavoro umilia e rende mutilata e deforme, è una delle illusioni sociali più diffuse... In realtà il tempo della vita e la personalità dell’individuo tendono ad essere coerenti» (S. Tabboni, La rappresentazione sociale del tempo, Angeli, Milano 1984, p. 106).
    [10] Dalla ricerca Cravero risulta che il 50,6% conosce giovani che fanno uso di droghe in discoteca, ed il 14% ammette di averne assunte (p. 118). In quella di Pollo sono invece riportate interessanti testimonianze sul fenomeno (M. Pollo, o. c., pp. 225-230). Altre indicazioni interessanti appaiono in DeLuca M. N., Le tribù dell’ecstasy; musica, riti, simboli, linguaggio, abbigliamento, Theoria, Roma-Napoli, 1996 e in Bagozzi F., Generazione in ecstasy. Droghe, miti e musica della generazione techno, EGA, Torino 1996. Riguardo alle aree di maggior consumo, una testimonianza importante ci viene da M.T. Torti: «una percentuale di consumatori di ecstasy del 40-45 per cento nel bresciano fino al 58-65 per cento di alcune provincie venete» (M.T. Torti, Abitare la notte, Costa & Nolan, Genova 1997, p. 252).
    [11] Il termine è stato elaborato in Italia da un gruppo di studiosi che, negli anni ‘80, ha analizzato alcuni gruppi giovanili piuttosto «pittoreschi», come i «mods», i «rockabillies», i «punks». Questi studiosi giunsero alla conclusione che, tolto il caso dei «punk anarchici», si trattava di «gruppi spettacolari» o a «identità spettacolare». Gruppi, cioè, che facevano consistere la soluzione del problema dell’identità adottando alcuni segni di riconoscimento esteriore (abbigliamento, gadgets, trucco, gergo, oggetti d’uso specifici, ecc.) come elementi di identificazione e appartenenza. Tutto il problema dell’identità (di gruppo) si risolveva in queste forme esteriori, senza comportare una vera cultura e quindi un atteggiamento profondamente diverso dalla società circostante (v. Caioli L. et alii, Bande: un modo di dire. Rockabillies, Mods, Punks, Unicopli, Milano 1986).
    [12] «Così nasce la rivoluzione dell’a-progettualità, la rivoluzione come rifiuto del mondo organizzato, delle sue pompe e delle sue regole, non per una ricompensa trascendente, come nei testi e nella pratica dalla teologia cristiana, ma solo per un vivere alla giornata, o al minuto, senza progetti, senza tensioni competitive, nella serenità primordiale... È la rivoluzione di coloro che non credono all’assalto della Bastiglia e tanto meno a quella del Palazzo d’Inverno. È una rivoluzione senza rivoluzionari di professione... Ma è, pur tuttavia, una rivoluzione vera perché non postula, non marmorizza al di fuori di sé la meta rivoluzionaria da raggiungere, ma è essa stessa, nel suo vivo procedere di giorno in giorno, un processo rivoluzionario...» (Ferrarotti F., Homo sentiens. Giovani e musica. La rinascita della musica dallo spirito della nuova musica, Liguori Ed., Napoli 1995, p. 99).


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