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    Gioia Quattrini

    (NPG 1998-03-49)


    Non credo di dire nulla di nuovo ma penso valga la pena di ripeterlo: è veramente necessario usare cento occhi quando si abbia la responsabilità di partecipare al processo formativo della gioventù, come insegnante, educatore, catechista, genitore e via dicendo. Mille insidie, infatti, si nascondono ovunque. Ho condotto per qualche tempo una piccola indagine personale mettendo il naso nel luogo che, dopo il tubo catodico, lusinga di più i nostri giovani: l’edicola.
    Ecco le conclusioni di questa ricerca. Conclusioni, naturalmente, tutte personali.

    POCKETS

    C’è da rimaner perplessi nell’avvicinarsi al mondo dei settimanali per teen-agers, chiamati «pocket» nell’ambiente editoriale. C’è da rimaner perplessi nell’immaginare la propria figlia, di 12 anni o 14 o 16, sola nella propria camera o seduta sulla panchina del parco con le sue amiche, maneggiare simile carta stampata. Immaginarla formare le sue opinioni, neonate e malleabili, su questo «nulla» patinato. Pensare che il suo immaginario personale in via di arricchimento si nutra di tali insulsi stereotipi. Dico «la propria figlia» perché queste pubblicazioni sono tipicamente femminili e si presentano in edicola sempre con qualche ghiotto gadget avvolto nel cellophane: collanine, profumi, rossetti ai quali non si può resistere. Si presentano colorate e vivaci nelle immagini, tascabili nel formato, facili da maneggiare e soprattutto facili da nascondere tra i libri di scuola, quando la mamma dovesse irrompere di sorpresa nella cameretta. Da seri studi sull’argomento, infatti, emerge un’interessante notizia: leggere è per la maggioranza delle ragazze un atto solitario, individuale. Non avviene quasi mai a scuola o sul muretto. Soltanto in un secondo momento, dopo aver letto nella propria camera, se ne parla con le amiche.
    Come per una piccola sfida a me stessa e nel tentativo di uscire dal pregiudizio, per alcune settimane ho fatto incetta di tutto quanto fosse disponibile nella mia edicola e ho proceduto ad una analisi personale ma quanto più obiettiva.
    Cominciamo dal fondo: tutti terminano con un breve fotoromanzo dal titolo impegnativo che allude a un destino avverso e nemico o ad un cuore irrimediabilmente infranto e che finisce per non trovare alcun riscontro nel contenuto e nella trama. Coppie di adolescenti, belli e abbronzati, soffrono terribilmente o perché qualche amico cattivo tenta di mandare in crisi il loro amore o perché, nella coppia, uno dei due si innamora del migliore amico dell’altro. Rare e spente variazioni a questo cliché: l’amico buono che è da tempo innamorato di una lei libera ma distratta e che è pronto a morire pur di non rivelare questo segreto. Sia chiaro, non mi aspettavo di trovare, né sarebbe stato opportuno, chissà quali creazioni culturali, ma sono pronta a scommettere che la vita sentimentale delle giovani che dovrebbero commuoversi leggendo quelle storie si svolga più intensamente e con maggiori sorprese. Durante una piccola indagine, nipoti e figlie di amiche mi hanno confermato che nessuna di loro legge quelle banalità.
    La mia opinione, e sottolineo mia, è che dietro tutto questo ci sia una assoluta mancanza di indagine sul mondo giovanile, nessuna conoscenza delle problematiche o degli interessi, delle capacità e dei sentimenti, e quel che è peggio uno scarsissimo rispetto nei confronti di quello stesso mondo.
    La sensazione sgradevole è che il presunto interesse per gli adolescenti sia un ottimo business per case editrici e agenzie pubblicitarie.
    Neanche il sospetto di un’intenzione educativa nell’aria.
    Letto il fotoromanzo, torno all’inizio del giornalino: ogni numero si struttura in una serie di rubriche fisse dedicate agli argomenti dell’adolescenza. Decido di analizzarle separatamente e con ordine, dopo aver individuato tre grandi ambiti: divi del cinema, della musica, della TV; sesso e sentimenti; bellezza e salute. A parte le lettere e i test.
    La prima pagina è dedicata alla posta delle giovani lettrici. Lettere che in qualche modo anticipino gli argomenti che saranno trattati più esaurientemente in seguito.
    Lo stupore è di casa davanti a certe domande e soprattutto a certe risposte. Su Cioè Girl del mese di settembre una giovanetta di neanche 18 anni lamenta che il fidanzato, al quale si è concessa, sia andato a raccontare tutto deridendola nella loro comitiva di amici. L’illuminata risposta consiglia di dare un’altra possibilità a questo fidanzato forse un po’ sbruffone ma comunque innamorato, che ha fatto di certo male senza intenzione. Se poi la mala fede è invece comprovata allora lasciarlo senza pietà. Non aggiungo nessun commento personale. Giudicate voi.
    Ancora stupore: ad un giovane preoccupato per la sorella minore fidanzata con un ragazzo che lui ritiene poco affidabile viene consigliato di non confidarsi con i propri genitori perché la sorella non ancora quindicenne deve pur fare le proprie esperienze ed inoltre... non sarà piuttosto lui ad essere un po’ geloso?
    Penso con terrore che a recepire un simile consiglio avrebbero potuto essere i miei figli, e mi auguro con tutto il cuore che le voci di corridoio, secondo le quali la persona addetta a rispondere a queste lettere il più delle volte è incaricata anche di inventarle, siano vere.
    La domanda è una: cosa spinge le ragazze ad affidare le proprie domande più intime ad illustri sconosciuti, rendendo pubbliche le loro questioni riservate su una rivista letta da migliaia di persone?
    È il sintomo preciso di un disagio della comunicazione tra generazioni, in famiglia. Molte adolescenti considerano queste letture un semplice motivo di svago. Una discreta percentuale invece pensa al giornalino come ad una vera e propria guida per il comportamento. A muoverle è la ricerca di una compagnia accreditata durante la crescita, che elargisca a piene mani comprensione, sostegno per le incertezze, conforto ed approvazione.
    Lavorare per ottenere tutto questo in famiglia è di certo più duro e faticoso che pagare 4000 lire. Un equivoco che costa caro.
    Passiamo ai test: dovrebbero servire alle adolescenti per conoscersi meglio. Vi riporto alcuni titoli: Ti piace il tipo macho? Hai sesto senso? Con chi fai coppia? Giudicate voi. Vero è che in molti, sotto l’ombrellone, in spiaggia ci siamo spesso divertiti con gli amici a rispondere a insulsi interrogativi per sapere chi siamo o se amiamo l’uomo giusto. È certo però che la capacità critica, auspicabilmente presente in ogni adulto, è un ottimo filtro per simili sciocchezze, nei giovani ancora poco sviluppato.
    Mi consola, comunque, la convinzione che le nostre adolescenti siano tanto scaltre da non dare alcun credito a tali giochini.
    Passiamo all’analisi del primo ambito individuato.

    Il mondo del cinema, della musica e della TV

    Una galleria di artisti italiani e stranieri: Spice Girl, Massimo Di Cataldo, Raul Bova, Jovanotti. Interviste sulle loro tournée, sugli ultimi album, qualcosa sulla loro vita. Al tirar delle somme, comunque, le parole risultano pochissime e molte le immagini. Proseguendo su una strada, in qualche modo aperta dai video-clip, anche la musica non tende più soltanto all’ascolto ma anche alla propria immagine da mostrare. I giovani vengono così educati alla facilità del guardare piuttosto che alla complessità dell’ascoltare. Non è più importante confrontarsi parlando quanto piuttosto mostrarsi belli e alla moda ad amici concentrati nello stesso sforzo. Sulla famiglia, dove purtroppo capita spesso di vedersi di rado e quindi l’ascolto diventa fondamentale, questo cattivo insegnamento ha un effetto deflagrante. Gli adolescenti guardano ai loro genitori con i parametri estetici che la moda instilla, e il risultato è che adulti dignitosi nella loro semplicità, che tanto potrebbero dare, non vengono considerati attendibili e capaci di gestire il mondo. Ci si sente i figli sfortunati di trogloditi falliti. È gravissimo. È gravissimo anche restando ferme le responsabilità che pure i genitori è il caso si assumano di fronte a questo equivoco. La civiltà dell’immagine insegna alle adolescenti che i loro pensieri non valgono un aspetto il più possibile gradevole. E la musica, presentata da queste riviste come immagine e note e parole soltanto da vendere, non deve avere intelligenza. Non deve far pensare ma distrarre con le solite questioni melense. È questa la generazione più sottovalutata e svenduta che io ricordi.
    Guardiamo al secondo ambito.

    Il mondo della salute e della bellezza

    Il discorso sull’esaltazione dell’immagine trova in queste rubriche il suo nido caldo. Consigli dal tono paternalistico su come smettere di fumare o di mangiarsi le unghie. Poi libera strada al modo per sconfiggere l’assalto dei brufoli, al miglior trucco da discoteca, al modello di occhiali più adatto al volto, all’abbigliamento studiato che renda «in». Insistendo su temi come moda, bellezza e corpo, le giovani imparano a nutrire profondi sentimenti di insicurezza che è possibile placare solo consumando certi prodotti o seguendo certe regole per tenersi dentro certi cliché. Fuori di questi schemi non si è nessuno. Non si incoraggiano le giovani ad inseguire uno stile personale ritagliato sulla propria personalità e sulle proprie esigenze. Non si insegna alle adolescenti che crescere significa avere la forza e le qualità di imporre i propri gusti al mondo e non di sacrificare le proprie voglie per timore che ci rendano «out». Queste riviste creano un prototipo di bellezza a basso costo e lo sventolano davanti alle giovani lettrici con la voglia smodata di affermare se stesse e il terrore smisurato di non esserne capaci. Il risultato è una folla di giovanette, probabilmente piene di talento, che seguendo cattivi maestri diventano le caricature tristi di un fantoccio vuoto di testa ma con un maquillage perfetto. Si vorrebbero piegare anche le donne di domani al luogo comune squallido e umiliante che dove non arriva l’acume arrivano un paio di belle gambe. È certamente così per chi si accontenta di inseguire e sognare gloria ottenuta in baracconi senza dignità. Le belle gambe non portano in nessun posto se la testa non funziona. Sembrerà un luogo comune, ma è fondamentale rassicurare le giovani che la bellezza non è solo nei lineamenti ma che un volto difficilmente risulterà sgradevole se illuminato da serenità interiori. Una giovane che cresce nello spirito, che cerca equilibrio e serenità, che gioca con i propri difetti e in ultimo intervenga anche con gli strumenti che la cosmesi offre, non potrà che essere piacevole. Sono del tutto consapevole della complessità della questione, ma proprio per questo la famiglia, gli educatori, quanti intendono stabilire un dialogo qualunque con le giovani generazioni, non devono nascondersi dietro facili discorsi e collaborare subito perché la gioventù affini le proprie armi e possa essere in grado di gestirsi senza troppi problemi. Non cresciamo giovani disadattati, illusi destinati a prendere schiaffi da chi non ha gettato via il tempo e si è costruito per bene. Il cammino è difficile e va detto. Come va detto che chiunque può farcela se è disposto a faticare.
    Il terzo ambito è il più delicato da affrontare. Proviamo.

    Il mondo dei sentimenti e del sesso

    Non credo di essere inibita o poco elastica, amo l’anima e il corpo con la stessa intensità e lo stesso rispetto. Per questo non sopporto che l’uno o l’altro si spoglino in una esibizione del tutto gratuita.
    Sul bimestrale Mini, numero 50/1997, un articolo attira la mia attenzione: «Appassionatamente in due. Se scatta la molla che ci fa innamorare e tutto intorno a noi sembra diverso, allora non c’è dubbio: abbiamo scoperto la passione!» A colpirmi è una foto: una giovane e bella adolescente abbracciata con passione da un coetaneo altrettanto bello e giovane che con la mano le scopre il seno. Sia chiaro non è l’atto in sé che scandalizza il mio senso della morale o turba il mio pudore di benpensante, è invece l’assoluta gratuità di questa immagine a farmi riflettere.
    La sensazione è di disagio come lo è ogni volta che la TV e i giornali di qualunque tipo e per qualunque età ci propinano immagini simili, del tutto senza motivo.
    Lontana da me l’intenzione di creare una polemica di misura superiore alla cosa in sé, ma il fatto che la televisione e la pubblicità e la carta stampata bombardino quotidianamente i nostri giovani con tali immagini non giustifica che si vendano a questo costume anche riviste con un target d’età tra i 13 e i 17 anni, a volte anche più basso. E tanto per non fare la figura della sprovveduta, so benissimo che molte adolescenti già conoscono l’intimità di quei gesti, tuttavia non ritengo questa una giustificazione per l’assoluta ineducazione del messaggio.
    Dirò di più, a leggere le domande e le risposte sul sesso vengono i brividi.
    Sono convinta che i curatori di queste rubriche ritengano di fare un compito socialmente utile dando risposte a quegli interrogativi che le adolescenti nutrono in silenzio e che difficilmente confidano a casa. Di certo la famiglia ha grandi responsabilità per questo mancato dialogo sull’argomento fondamentale per una giusta crescita sia sessuale che spirituale. Sarebbe importantissimo che i genitori accompagnassero i loro figli in questa crescita facendo della famiglia il luogo dove tutti i dubbi e le incertezze, anche quelle che sembrano inconfessabili, possano essere tranquillamente espresse nella ricerca comune di chiarezza senza traumi, inibizioni, ipocriti preconcetti. C’è qualcosa di straordinario nei primi turbamenti sul sesso o nei primi sentimenti appassionati, i primi desideri di un adolescente. C’è qualcosa di prezioso che non può essere svenduto in questo modo.
    Nella rubrica "Vero o falso", sul settimanale Cioè n. 38/1997, una giovanetta che si firma Disperata 84 chiede se sia possibile restare incinte anche senza un rapporto sessuale completo. È evidente dal modo di firmare che la ragazzina in questione ha 13 anni! Sia chiaro: la risposta non mente ma non tiene assolutamente conto dell’età di chi scrive e soprattutto non si assume la responsabilità di una scelta di linea morale. Le giovanette vengono trattate da adulte in un gioco assai pericoloso. Il dialogo stabilito con loro è preciso nella parte scientifica ma assolutamente carente per quello che riguarda le esigenze della sfera emotiva. Le questioni poste dalle adolescenti assecondano il gioco perverso di credersi «più grandi». Si interrogano sulla frequenza giusta con cui fare l’amore o si chiedono con vergogna se ci sanno fare. Il sesso viene ridotto a tecnica e genitalità. Poiché prima o poi certe esperienze comunque vanno fatte, l’importante è credersi pronte. Avere perplessità o esitazioni relega ai margini della vita che viene spacciata per vera. Le riviste sono abilissime e, sfruttando certamente la colpevole assenza della famiglia, chiamando brutalmente le cose con il loro nome, spesso scegliendo volutamente il termine più forte, creano un contatto che sembra il migliore possibile. Il loro tono è rassicurante e coinvolgente tanto da blandire le lettrici, comunicandogli l’idea artificiale di un caldo nido lì dove i genitori e i professori sono freddi e silenziosi.
    Per quanto mi riguarda, pretendo da chi si assume la responsabilità di risolvere certi quesiti, che si prenda anche quella di indicare che la sessualità ha le sue tappe e la sua dignità. L’idea che un giornale per giovanissime tratti il sesso senza per lo meno alludere all’importanza di un’età consapevole mi fa tremare le vene e i polsi. Perché il discorso dell’età non vuole essere solo un discorso di forma o di pregiudizio, non è solo una di quelle sciocche regole che la società inventa e impone tramite i genitori odiosi e idioti, forse gelosi. Non è così. L’età è importante perché la consapevolezza del proprio corpo e del proprio spirito, la conoscenza della sensibilità propria dell’uno e dell’altro, in apparenza così diversi, ma di fatto così indispensabili reciprocamente, potenziano il godimento.
    Suppongo che una tredicenne goffa e senza alcuna conoscenza del proprio corpo, assillata da mille paure, difficilmente potrà avere esperienze piacevoli con un compagno, solitamente altrettanto inconsapevole, forse un po’ più grande.
    Non sono una psicologa né una sessuologa, non sono madre ma non posso fare a meno di stupirmi quando leggo (sul numero 45/1997 del bimestrale Cleò) consigli per tattiche che permettano di tradire il proprio fidanzato senza che questo lo scopra. Qualcuno dirà che su certe cose è il caso di sorridere, io da parte mia inorridisco.
    Vera e propria indignazione poi davanti alle immancabili pagine di quelle che vengono chiamate «informazioni telefoniche d’attualità»: Come superare la delusione d’amore? Chiama il 166..., Sei attratta dalla divisa? Chiama il 166... telefonate che costano £ 2.540 al minuto + I.V.A., dalla durata massima di 8 minuti, ovvero £ 20.320 + I.V.A. Naturalmente le informazioni sul costo della telefonata sono scritte lateralmente e in caratteri microscopici. Il tutto, certamente, legge permettendo.
    Nonostante questo, il mercato di simili riviste è vastissimo e riceve un sostanziale aiuto dalle famiglie che non pensano di informarsi seppur con discrezione sulle letture dei loro figli e delegano volentieri a chicchessia questioni spesso ritenute vere e proprie «patate bollenti». Il costo delle riviste si aggira intorno alle 4000 lire; il valore acquistato con questa cifra, a mio modesto parere, è pressoché nullo.

    MAGAZINES

    A questo punto della mia piccola indagine personale senza pretese, sarebbe ingiusto non precisare che la produzione editoriale offre anche altre realtà di intrattenimento giovanile. Infatti, allo stesso prezzo delle riviste pocket, giovani di una fascia d’età tra i 15 e i 28 anni possono acquistare settimanali colmi di notizie sul mondo dello spettacolo, del cinema e soprattutto musicale, riviste che vengono genericamente indicate come «magazine». Faccio qualche nome: TV stelle, Beautiful Magazine, Tutto. Anche in questo caso, per un discreto periodo di tempo, ne ho acquistati e letti parecchi numeri, e rispetto alle precedente esperienza, mi sono sentita per un attimo sollevata: apparentemente la qualità sembra migliore.
    Ricominciamo dai tre ambiti individuati, dalla posta e dai test.
    Beautiful Magazine (n. 38-18 settembre 1997) ci regala un test per rispondere a questo pressante interrogativo, tornati dalle vacanze: Ti è stato fedele?
    TV stelle (settembre 1997) propone un test su una questione ancora più scottante: Che Spice sei? con evidente allusione alle Spice Girl.
    Tutto alza il tiro: Ti senti solo?
    Mi sono poi imbattuta (TV stelle di settembre 1997) in una rubrica di consigli dati ai giovani lettori da due loro coetanei, probabilmente nel tentativo di ridurre al minimo l’imbarazzo e le eventuali inibizioni. Lodevole come intenzione. A lasciare un po’ perplessi è che due ragazzi debbano consigliare dei coetanei su come gestire, per esempio, un padre che si ubriaca. Con il massimo rispetto per le capacità giovanili di critica e analisi, il tutto sembra alquanto approssimativo.
    Lo spazio riservato alle domande giovanili è assai ristretto nei magazine rispetto ai pocket, tuttavia nel tono, nelle risposte e anche negli argomenti affrontati c’è un seppur vago tentativo di sembrare più credibili e attenti. I risultati sono quelli che sono.

    Il mondo del cinema, della musica e della TV

    Tra pagine di pubblicità di motorini e scarpe da ginnastica, orologi e linee di abiti giovanili si rincorrono articoli sui divi musicali del momento, attori, qualche campione dello sport. Classifiche, informazioni su album e tournée. Il linguaggio ricalca perfettamente quello usato dai giovani per comunicare. Sintetico, a frammenti. Nell’insieme, niente di nuovo.
    L’unica eccezione è Tutto. Il panorama musicale di questa rivista è sostanzialmente più vasto. Accanto a Massimo Di Cataldo e agli Oasis appaiono articoli sul mondo dell’hip hop e sui 99 Posse: musica certamente più di tendenza. Inoltre la rivista ha avuto la simpatica idea di pubblicare recensioni fatte dagli stessi lettori: un modo per coinvolgerli e stimolarli.
    Nella rubrica I vostri racconti, un altro libero spazio per la creatività dei giovani che tentano di raccontare e raccontarsi. Pagine per internet, poi musica, musica e ancora musica.

    Bellezza, salute, sentimenti e sesso

    La rubrica di bellezza è presente soltanto sulla rivista Beautiful Magazine. Come ho avuto già modo di scrivere: se non si ha niente da dire, meglio tacere.
    Colpisce come neanche in queste riviste, dove il target copre una fascia d’età più ampia, abbiano diritto di parola i grandi temi sociali dibattuti sulle pagine dei giornali, nelle trasmissioni televisive e radiofoniche, tra la gente comune sugli autobus. Volontariato, tolleranza, solidarietà, immigrazione e discriminazione, droga e disoccupazione: i problemi del mondo reale non hanno spazio alcuno.
    Al contrario le stranezze sentite o sognate dai giovani sono incoraggiate e approvate senza alcun criterio.
    La nota più dolente continua ad essere il modo approssimativo di trattare il sesso, a volte rischiosamente superficiale. Il modo è simile a quello usato dai pocket. Le mie obiezioni sono quindi le stesse.
    Tutto prova ad alzare la media con un angolo affidato ad un sacerdote: don Gino Rigoldi, perché li intrattenga su argomenti centrati e intricati come la pena di morte. Niente di straordinario. Comunque è un tentativo.
    Altre pagine sono dedicate ad inchieste-verità: un viaggio nel mondo giovanile per comprendere gli aspetti più indecifrabili di alcune scelte estreme. Esempio: il piercing, come viene chiamata la moda di mettere l’orecchino sulla lingua oppure sull’ombelico o in qualunque altro posto che la fantasia suggerisca e la soglia del dolore consenta. Solo desiderio di stupire a qualunque costo oppure profondo disagio?
    Ancora: 5 storie vere di figli e genitori... Noi di Tutto abbiamo provato a capirci di più. La rivista riesce ad essere imparziale, a non schierarsi e a dare un discreto panorama delle varie situazioni.
    La sensazione è quella di una rivista che, senza strafare, cerca di entrare nel mondo dei giovani, cercando la propria strada, la meno invadente, per scoprire e capire. È già molto, vista la compagnia.

    COMICS

    Ho lasciato per ultima la migliore delle sorprese che l’editoria per giovani regala al suo pubblico. Un pubblico, vedremo, anche di «falsi» giovani.
    Comincerò con un breve preambolo.
    Che sul comodino di molti italiani non più giovanissimi, tra la sveglia e gli occhiali da lettura, trovi posto sempre e puntualmente il numero mensile del fumetto preferito, è cosa nota. Che questa passione si trasmetta di padre in figlio ignorando completamente qualunque delle difficoltà tipiche dei salti generazionali, è pure cosa nota.
    Ciò che invece nessuno avrebbe potuto immaginare è che in questo mare calmo, in questo rito domestico non proprio diffusissimo e gelosamente difeso dagli iniziati, facesse irruzione una nuova ondata di fumetti, capaci di far parlare moltissimo di sé, subito adorati dai figli ma guardati con qualche iniziale resistenza dai padri, solitamente più cauti dei figli verso le novità.
    L’artefice audace di questa rivoluzione è la Sergio Bonelli Editore che, dopo aver individuato con acume i cinque ambiti di maggior interesse giovanile: mistero, avventura, giallo, fantascienza ed orrore, con la collaborazione di grandi disegnatori e autori di testi, ha creato i cinque sovrani degni di tanti regni: Martin Mystère, Mister No, Nick Raider, Nathan Never e Dylan Dog.
    Il successo è stato immediato. Ognuno di questi fumetti è ricco di aneddoti curiosi, analisi dettagliate, suggerimenti sui migliori films e libri naturalmente sul genere trattato, invitando i giovani lettori alla riflessione e al confronto.
    Nell’almanacco della Fantascienza si parla con semplicità di futuri alternativi e dimensioni parallele; in quello del Mistero incuriosiscono gli enigmi sulle piogge di rame in Australia o scoops storici come la falsa morte dell’Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando o una nuova interpretazione dell’affondamento del Titanic. Un ottimo modo per iniziare anche i più profani senza traumi e per incuriosire anche i più restii in modo costruttivo.
    Dopo qualche tempo, i padri cauti ma curiosi sono entrati di soppiatto nelle camerette dei loro figli sottraendo qualche vecchio numero e questa volta nascondendolo nel cassetto del comodino. Oggi, capita sempre più spesso di vedere austeri signori in doppiopetto, seduti negli scompartimenti dei treni, tirare fuori da una serissima valigetta ventiquattrore l’ultimo numero di uno di questi fumetti.
    Ciò che è innegabile, per quanto molti fatichino ad ammetterlo, è l’azione educativa, svolta con intelligenza garbata e senza prediche vischiose.
    La svolta sta in questo: gli eroi stessi non sono più personaggi monolitici e interiormente rocciosi, giganti dalla moralità senza esitazioni, per i quali la giustizia è divenuta un’ossessione, che non s’innamorano, non leggono, non ascoltano mai la musica.
    Jerry Drake, vero nome di Mister No, è un ex pilota militare statunitense che dopo la guerra si è trasferito in Brasile e vive accompagnando i turisti con il suo Piper. Trascorre il suo tempo libero bevendo con gli amici e non disprezza affatto la compagnia femminile. Un modo di vivere che esula dai canoni tradizionali, ma la gerarchia di valori di Jerry Drake è ben definita e senza debolezze.
    Martin Mystère, grande amico di Dylan Dog, vive la sua storia d’amore con Diana Lombard con le passioni di un uomo qualunque, senza rincorrere estremi sacrifici ma con onesto coraggio.
    Nathan Never, pur vivendo proiettato nel futuro, combatte battaglie straordinariamente vicine a noi contro problemi che già oggi ci assillano ma che qualcuno nell’avvenire sperava risolti. Il deposito clandestino di rifiuti, la disoccupazione, le dittature non scompaiono nella dimensione di Nathan Never, ma sono anzi inaspriti da secoli di indifferenza e rimandi. Esso è l’educativa proiezione di ciò che il mondo diventerà e di ciò che noi diventeremo se a guidarci sarà sempre la rapacità delle ricchezze e l’egoismo insaziabile.
    Tra tutti si distingue la figura evanescente, eterea, di Dylan Dog, un po’ uomo e un po’ bambino, il più contestato ed amato dei fumetti.
    Dylan è vegetariano, soffre di mal di mare e di claustrofobia, fa parte dell’Associazione degli Alcolisti Anonimi, quando ha bisogno di riflettere suona il clarino, e passa gran parte del suo tempo libero a costruire un galeone in miniatura, che probabilmente non finirà mai. In poche parole l’anti-eroe per eccellenza. Il risultato è l’immagine di un uomo a tutto tondo, con debolezze e desiderio di superarle.
    Nel suo passato, errori ai quali il presente si impone con fatica di rimediare. Per questo i lettori lo amano tanto, nonostante la crociata portata avanti per molto tempo contro di lui, accusato di essere violento ed ossessivo, dalle immagini forti e devianti: donne nude, laghi di sangue, occhi che schizzano fuori dalle orbite, torture fantasiose, cervelli e cuori e budella in bellavista. Il termine tecnico è: splatter. Qualcuno teme che la forza di queste strisce possa turbare le menti dei più giovani e spingerli all’imitazione.
    La risposta a queste accuse è nel magistrale fumetto Caccia alle streghe: come ci si può indignare contro le immagini di nudo in un fumetto quando di nudi è piena la nostra produzione pubblicitaria e televisiva e cinematografica, il più delle volte in modo assolutamente gratuito, senza alcun rispetto per la dignità del corpo umano; «quando alla TV o sui quotidiani appaiono foto orribili di soldati morti o gente uccisa dalla mafia» cercando il particolare macabro che faccia vendere più copie. Come si può pensare che un giovane uccida in modo efferato un coetaneo soltanto per imitare il suo fumetto preferito senza pensare ad una forma di disagio profonda che vada oltre il semplice meccanismo di mimesis.
    Il problema finisce per essere Dylan Dog e «non un sistema che non dà lavoro ai giovani ma li educa ai miti del denaro, delle macchine lussuose e degli abiti firmati».
    Magistrale è stata la creazione del personaggio cui spetta in qualche modo il compito di dare la giusta fisionomia a quelle immagini: l’ispettore Bloch e il suo puntuale ed immancabile appuntamento con un antiemetico.
    Qualcuno ha detto che il sonno della ragione genera mostri. Quei mostri nel fumetto sono mostrati nel loro orrore ma anche nella loro fragilità davanti alla volontà dell’uomo che insegue il giusto.
    Per chi vi scrive, alcuni numeri di questo fumetto sembrano vere opere di poesia: Johnny Freak è la storia di un quotato chirurgo che asporta dal primo figlio nato sordomuto e tenuto segregato in cantina, gli organi e gli arti utili da trapiantare nell’altro figlio, bello e prediletto ma afflitto da un morbo molto raro che gli rode il corpo cominciando dalle gambe e passando agli organi interni.
    Sembra una banale storia di horror. In realtà è un vero e proprio capolavoro sui «diversi» e sull’intolleranza e la ferocia che spesso li investe. Dylan Dog non perde occasione per insegnare che l’apparire non conta nulla rispetto all’essere e che « il mondo della luce dove è l’immagine il valore più importante» deve essere cambiato. Solidarietà e tolleranza e amore, non ottuso perbenismo e stupide convenzioni sociali, sono l’unica possibilità di salvezza in un mondo che non si riesce a comprendere.
    L’acerrimo nemico di Dylan, Xabras ci dà una bella lezione: «Non sono io che creo mostri. Basta aggirarsi per una città in un’ora di punta per vedere a volontà mostri chiusi nelle loro automobili pronti a scannarti se non parti appena scatta il verde. Chiunque conquista un poco di potere diventa un mostro: l’impiegato che ti tratta male solo perché è dietro uno sportello...».
    C’è poi un fumetto che io farei leggere nelle scuole, a sostegno delle lezioni di storia contemporanea perché il messaggio di non dimenticare, giungendo da più di un canale, risulti ancora più efficace. Il titolo è Doktor Terror, racconta di un medico nazista, nascosto in Inghilterra, oramai vecchio ma ancora nostalgico del nazismo, intento a reclutare i più violenti naziskin e ad organizzarli in nuove SS alla caccia di extracomunitari e ogni tipo di «diversi».
    La storia è raccontata in modo magistrale e non aggiungo niente di più augurandomi che la leggiate al più presto.
    Il fumetto conclude con un invito ai giovani perché non dimentichino le atrocità della storia e siano i nemici dello spirito dell’intolleranza che ammorba l’aria di questi nostri anni.
    Nel fumetto numero 50, Il cervello di Killex, un celebre scienziato, divenuto folle improvvisamente e in modo inspiegabile, rapiva e sezionava poveri anonimi malcapitati alla ricerca dell’essenza vitale forse in una ghiandola ancora non scoperta o in un frammento di DNA oppure in una singola cellula. Dylan Dog, incontrandolo, candidamente gli rivela la chiave che rende vana tanta ferocia: l’unico modo in cui due esseri possono cercarsi l’anima a vicenda è l’amore, niente altro.
    La luce della verità, sempre ovvia, scaccia il buio dell’incubo e la violenza si ricompone in un’unica realtà: la solidarietà tra uomo e uomo.
    Non esistono mezze parole, in questo e negli altri fumetti trattati: i valori che è necessario accompagnino la vita sono indicati chiaramente e spesso. Non ci sono possibilità d’equivoco: l’amore, la tolleranza, la capacità di affrontare i propri errori, la solidarietà, l’essere e non l’avere o l’apparire. Sembra la saga delle banalità trite e ritrite. Difficilmente la verità è originale o stupefacente.
    Più spesso invece debbono esserlo le trovate per distogliere da questa. Nessuno spazio alla demagogia, come accade ai cattivi maestri. I giovani hanno bisogno di parole semplici che vengano da fonti credibili, qualunque esse siano, che abbiano guadagnato sul campo i titoli per meritare la loro fiducia. Chi ha le carte per decidere che il fumetto non sia una fonte degna di questo compito, quando quanti dovrebbero esserlo, per natura o per incarico ricevuto, spesso vengono meno ai loro obblighi? Quando, come credo di aver sufficientemente illustrato e motivato, l’editoria giovanile troppo spesso elude qualunque coinvolgimento magari in nome di una specificità di argomenti trattati che non lascia spazio ad altro, finanche al peggior tipo di disimpegno e d’intrattenimento.
    Quando qualcuno, e non voglio dire che sia solo il caso dei fumetti, cerca di remare controcorrente, perché tentare immediatamente di affossarlo? Rischierebbe forse di creare un precedente pericoloso. Un precedente che costringerebbe molti a mettersi davanti alle proprie responsabilità e renderebbe più difficile a troppi continuare un facile guadagno nella vendita di aria fritta.
    Dylan Dog indagatore dell’incubo insegna che dall’incubo non serve fuggire, bisogna riconoscerlo e risalire all’origine per poi risolverlo.
    È necessario indagare prima di tutto dentro se stessi, cercando ciò che realmente si è e ciò che realmente vogliamo; lottare per affermarsi autenticamente e per realizzare i propri desideri. L’incubo finisce quando l’indagine su se stessi è finita. A restare sono solo i sogni.
    Per ultimo vorrei lasciare un inciso: non appare su questi fumetti una sola pagina di pubblicità a favore di qualsivoglia articolo per giovani e neppure uno di quei così chiamati «numeri telefonici d’attualità» a L. 2540 min. + I.V.A. che infestano altri tipi di letture giovanili.
    Gli unici richiami sono quelli per le imminenti uscite dei fumetti delle collane «sorelle» di cui abbiamo parlato in precedenza. Pubblicità che di certo non paga direttamente, in quanto non richiesta da «esterni» ma fatta in casa.


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