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    Juan E. Vecchi

    (NPG 1998-03-03)


    L’unione sincera tra le persone ci impressiona sempre favorevolmente.
    Unità, concordia, solidarietà sono beni che l’uomo desidera. Ne ha bisogno: per la sua vita più ancora che per i suoi fini pratici. Questi beni hanno una sola fonte: la capacità di amare. Un’unione costruita sul male e sull’interesse non dura. La si riesce a mantenere esternamente solo con violenza o inganno. Mafia e regimi ne sono due esempi eloquenti. Ma se ne trovano anche abbondanti su scala minore.
    La divisione ci fa soffrire, ci obbliga a lavorare in condizioni difficili, quasi a remare controcorrente. Ma è sempre in agguato, quasi fosse una componente della nostra natura. La discordia lacera le famiglie; la disunione seminata e coltivata provoca nella società conflitti con alti costi di vite, di beni e di civiltà. Ne sono prova le guerre etniche e le lotte per il potere. Ci sono anche manifestazioni più quotidiane di cui sono vittima coloro che vivono intorno a noi, in particolare i più deboli ed esposti. Alla radice c’è sempre l’egoismo individuale e collettivo, un certo disprezzo per gli altri considerati come concorrenti e ostacoli per i nostri fini.
    L’unione tra le persone nei sentimenti, nelle intenzioni, nell’operare è una grazia; ma anche uno sforzo. Richiede l’educazione del cuore.
    Soprattutto se non la si considera solo come assenza di conflitto, pura coesistenza, ma la si vive nelle sue forme positive di rapporto, comunione e condivisione di beni. Anzi, richiede addirittura «conversione», un ri-orientamento della mentalità con profondo cambiamento di visioni, interessi e progetti.
    La Bibbia descrive magistralmente la divisione interiore dell’uomo e i suoi conflitti esterni. Sono risultato del suo voler essere come Dio, decidere per conto proprio il senso della propria vita... Le alleanze che costruisce con questo proposito sono fasulle. Saltano presto. Anzi provocano immediatamente la contrapposizione tra l’uomo e la donna che erano stati chiamati ad essere una «sola carne». Mette l’uomo contro la natura che era destinata ad essere il suo giardino; crea una lotta per la sopravvivenza tra l’uomo e gli altri esseri viventi, tra i quali egli viveva pacificamente e a cui aveva dato il nome. Tutto accade perché ha ascoltato la voce del diavolo, «colui che divide», secondo il significato della parola. La rottura con Dio penetra nell’interiore dell’uomo, si diffonde nei rapporti umani, avvelena il suo atteggiamento di fronte alla natura animata e inanimata.
    Una parabola ugualmente espressiva è quella della torre di Babele. Gli uomini vogliono costruire tra di loro una civiltà che possa prescindere da Dio, non prendere in considerazione le sue leggi né temere i suoi castighi. Fanno una alleanza e un progetto. Ma il loro progetto e il loro linguaggio perdono il punto d’intesa. Non si capiscono più. Debbono separarsi per vivere ciascuno per conto proprio, anzi in opposizione e concorrenza tra di loro.
    L’avvenimento contrario come immagine e realtà è la Pentecoste. I discepoli radunati in preghiera nel nome e nel ricordo di Gesù ricevono un unico Spirito. Esso viene distribuito ai singoli, ma all’interno della comunità.
    Non è lo spirito del successo o dell’ispirazione individuale. Rinsalda il gruppo, gli dà il senso della missione comune. Uscendo, in un unico movimento e con un unico proposito, dal cenacolo dove erano insieme, trovano gente di tutti i popoli convenuta attorno a loro. Pur essendo di lingue diverse, ciascuno capisce quello che gli apostoli dicono.
    L’unità, l’unione, la concordia, la solidarietà saranno distintivi dei credenti: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era comune» (At 4,32). «Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore» (At 2,46).
    Sarà quello che il mondo diviso per religioni, razze, lingue, nazionalità e interessi più ammirerà. Sarà il compimento della preghiera di Gesù: che siano uno affinché il mondo creda. I cristiani saranno uomini di concordia, unione, collaborazione, solidarietà, pace. E ciò non perché rinuncino alla proprie differenze ma perché le vivono come un ricchezza da condividere. Non perché manchino loro motivi per contrapporsi, ma perché hanno capito quali sono i beni superiori per i quali lottare insieme. Non perché non abbiamo problemi individuali da risolvere, ma perché hanno imparato ad assumerli in solidarietà. San Paolo indica la fonte di questo nuovo modo di vivere il rapporto sociale: «Noi siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo: giudei o greci, schiavi o liberi» (1 Cor 12,13).
    Questa forza unificante dello Spirito continua oggi nella Chiesa. L’ho visto dal vivo e da vicino in un momento singolare: il Sinodo per l’America. Sinodo non è una parola del nostro vocabolario quotidiano. I cristiani però dovranno includerla, come hanno fatto con altre che sembravano da addetti ai lavori. È l’adunanza dei vescovi convocata dal Papa per invocare lo Spirito Santo e orientare la Chiesa nel nostro tempo così pieno di sfide: una delle espressioni massime della corresponsabilità ecclesiale.
    In preparazione al Giubileo e in vista della nuova evangelizzazione del mondo che si affaccia al 2000 si realizzeranno cinque sinodi: uno per l’Africa, uno per l’America, uno per l’Asia, uno per l’Oceania; l’ultimo, nel 1999, sarà conclusivo per tutta la Chiesa. Va chiarito che il Sinodo non è paragonabile ad un parlamento, perché non si articola in partiti, coalizioni o rappresentanze di parti, anche se a volte qualche giornalista non riesce a vederlo se non in questi termini. È senza paragone: adunanza di famiglia perché la Chiesa è stata descritta come «Famiglia di Dio»; cenacolo perché vi si radunano i discepoli di Gesù in forza della sua memoria e in attesa dello Spirito; assemblea, «ecclesia» con volontà di confronto sincero e chiarificatore.
    Il Sinodo per l’America si è radunato in novembre a Roma: circa 300 persone. Era la quindicesima assemblea dopo la costituzione dell’organismo da parte del Papa Paolo VI nel 1965.
    C’era diversità di lingue: spagnolo, portoghese, inglese, francese, indigeno. Varie erano le componenti ecclesiali : vescovi, religiosi, sacerdoti, laici e laiche. Molteplici erano le nazionalità e diverse le situazioni di provenienza: alcune di estrema povertà e altre di grande benessere. C’erano pure diversi riti e persino rappresentanti di altre confessioni cristiane. Si sentiva la varietà di accenti, di sensibilità e di prospettive.
    Eppure la convinzione di essere un solo Corpo non è venuta mai meno, ma ne è uscita rinforzata. La fede nell’unica missione è divenuta più salda e condivisa.
    Si è ravvivato in tutti la speranza nella grazia di Cristo per la salvezza del mondo. L’amore da portare là dove l’uomo cerca, lotta e soffre ha ispirato un progetto comune. Si è rinsaldata la comunione tra i vescovi e il Papa, tra i pastori del Sud e quelli del Nord; è nata una maggiore solidarietà tra le loro chiese; c’è stata una condivisione di fede con altre confessioni religiose presenti nel continente americano.
    La varietà non divideva né contrapponeva ma arricchiva. Il punto di unità era l’incontro con Gesù Cristo vivo e lo sforzo di comprendere come egli può essere oggi cammino di conversione, comunione e solidarietà.
    La comunione che cercavano non era solo per loro ma per l’umanità. Le divisioni e lacerazioni la attraversano nella sua totalità: un mondo che proclama la globalità ma che appare diviso in molte direzioni. Nel Sinodo si sono trovati il Nord ricco e il Sud povero per costruire una nuova solidarietà. I nativi, gli emigranti delle diverse ondate, i discendenti di coloro che sono stati portati come schiavi cercano di formare una famiglia unica nel nome dell’unico Padre.
    Così la chiesa si unisce nello Spirito e diventa «segno e strumento» dell’unità del genere umano.
    L’unione dovunque la si veda è un dono perché suppone una combinazione non facile di orientamenti personali, interessi e disposizioni interiori. Ma è anche un compito. A percepirne le ragioni e i vantaggi si impara. La si costruisce con pazienza, con azioni quotidiane e con momenti straordinari.
    Oggi la sua esistenza e la sua costruzione, a livello immediato, medio e mondiale, fa parte dell’educazione dei giovani.
    Lo Spirito ci assiste con i suoi doni e con avvenimenti che segnano la direzione.


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