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    Gioia Quattrini

    (NPG 1998-03-02) 


    Un uomo con un cerino in mano non spaventa nessuno, ma spaventa Marie.
    Le piccole dita di bimba si muovono veloci ma caute.
    Marie ha solo sei anni, lavora quindici ore al giorno in una fabbrica tessile. La prima cosa che ha cercato di imparare è stato non ferirsi.
    Il padrone, infatti, punisce chi si è tagliato e brucia la ferita con un fiammifero per timore che il sangue sporchi i tappeti.
    Sami ha dodici anni e lavora in una conceria, sette giorni a settimana, senza orario preciso, per due dollari al mese e qualche cucchiaio di minestra sporca.
    Duecentocinquantamilioni di bambini nel mondo si addormentano su giacigli sudici dopo aver ingoiato una scodella di brodaglia. Dormono per qualche ora e poi tornano a lavorare nelle miniere, a trasportare blocchi di argilla, ad estrarre vetro fuso dai forni con una temperatura di milleottocento gradi.
    In India i bambini producono un quarto del prodotto interno lordo.
    In Asia i lavoratori al di sotto dei sedici anni sono sessanta milioni.
    In Africa lavora un bambino su tre.
    L’ex segretario generale dell’Onu Boutros-Ghali diceva: «Nei paesi poveri se un bambino lavora muore di fatica, se non lavora muore di fame». Questo non cancella l’infamia.
    Molte sono le associazioni che hanno preso a cuore questa situazione, non tanto per risolvere un problema quanto per sradicare un orrore: lo schiavismo infantile.
    Una tra tutte: MANI TESE.
    Un bel nome per un’associazione fondata nel 1964 che cerca di realizzare progetti di sviluppo e di cooperazione internazionale nei Paesi del Terzo Mondo ma che, soprattutto, porta avanti con ostinazione una minuziosa attività di ricerca e di informazione sui temi che bruciano in questo nostro mondo di fatto così poco civile.
    Informare nella speranza che qualcuno o più di qualcuno si indigni.
    È il loro un dettagliatissimo dossier sul lavoro infantile. È loro l’intenzione che le cifre non restino astratte ma evochino davanti agli occhi di quanti le leggono bimbi minuscoli che mangiano briciole ai piedi della tavola dove siedono i loro padroni.
    Mani tese richiama un gesto preciso e particolarmente tenero che ognuno di noi ha fatto almeno una volta verso un suo bimbo caduto, lamentoso per un capriccio o nel pianto per una delusione. Tendere le mani per difenderlo.
    In Portogallo pare che il cinque per cento dei dodicenni lavorino nei cantieri edili. In Francia è diffuso lo sfruttamento di mano d’opera infantile addirittura d’importazione: bambini turchi o indiani. Come se fosse meno vergognoso.
    A New York, nelle aziende agricole tanti piccini respirano pesticidi.
    In Gran Bretagna lavora il quindici per cento dei bimbi sotto gli undici anni. In Italia almeno cinquantamila sono i bambini lavoratori al di sotto dei quattordici.
    La somma da tirare è che sulla questione del lavoro infantile non esistono paesi innocenti, che dovrebbero essere boicottati i prodotti di questo mercato infame.
    Un suggerimento per chi ama i tappeti e ha occasione di comprarne: badate a un’etichetta «il tappeto che sorride»; distingue i tappeti d’esportazione fabbricati da lavoratori che garantiscono di non usare mano d’opera infantile.
    Se volete anche voi tendere le mani:

    MANI TESE: via Cavenaghi 4, Milano, tel. 02-48008617.


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