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    Giovani a Parigi: qualche riflessione «pastorale»



    Cesare Bissoli

    (NPG 1998-01-56)


    L’evento di Parigi 97, la Giornata Mondiale della Gioventù, è un dato che per l’ordine di grandezza impressiona fortemente e chiama di conseguenza ad una interpretazione o comprensione tanto necessaria quanto complessa.
    Questo compito ermeneutico si trova infatti esaltato da due fattori: la risonanza mondiale dell’evento riveste una singolarità inabituale a standard valutativi abituali, e il pluralismo interpretativo che ne è conseguito. È dunque in un atteggiamento di umiltà e di consapevole, inevitabile parzialità che può esprimersi un qualsiasi giudizio, anche il nostro, che si snoda come tragitto in tre punti: fatto, interpretazione, ripercussione in ordine alla pastorale e catechesi giovanile. Sul «fatto» di Parigi 97 c’è stata abbondante documentazione, per cui non ci soffermiamo. Rivolgiamo piuttosto l’attenzione a una sua valutazione che è di tipo pastorale. Su quattro elementi penso vi possa essere una comune condivisione di giudizi.

    UN AVVENIMENTO A PIÙ DIMENSIONI

    Parigi 97 rappresenta fatto complesso, ove affluiscono tante ragioni, di cui è difficile dire per ciascuna la percentuale di influenza, ma di cui è difficile negare la presenza. È più fondato non ridurre il fatto ad una sola dimensione: vederlo cioè o come diversivo eccezionale o come esplosione inattesa dell’anima cristiana dei giovani o come esaltazione dell’Uomo carismatico. Vi sono infatti altri indicatori che spingono oltre la risposta. Sono almeno tre.

    Segnali di una ricerca alternativa e di denuncia dell’esistente

    Un primo indicatore lo raduniamo nella categoria dell’inquietudine, intesa come insoddisfazione, «così non basta più».
    Con una coscienza più o meno lucida, ma con una spinta interiore reale, questi giovani, e l’universo giovanile nella misura che essi ne possono essere legittimamente rappresentativi, sembra che vanno dal Papa perché egli porta in sé (nella carne, quasi prima che nelle parole) un mondo di valori, certezze, orizzonti, esperienze di vita..., diverse dalle abituali: egli esprime qualità della vita che non si trovano più o non abbastanza nel consueto banchetto scolastico, familiare, sociale, anche talora parrocchiale, non di certo presenti sul mercato dei consumi di massa.
    Insomma questi giovani – annota un commentatore – paiono manifestare confusamente, talora contraddittoriamente, la ricerca di un pane diverso, come è diverso Colui, il Papa, da cui vanno a cercarlo: un Papa che afferma con coraggio, voce alta e in solitudine, posizioni, così umanamente «anacronistiche», di fraternità universale, di centralità dell’uomo, di solidarietà con gli ultimi, di relazione con il Dio di Gesù Cristo, di affermazione della trascendenza della vita, di vittoria sul dolore e sulla morte. Egli riesce diverso dalla società, anzi alternativo, e talora in termini radicali, e per questo sembra affascinare ed attirare i giovani perché converge sulle loro inquietudini confuse a loro stessi e le interpreta meglio...
    È stato rilevato il carattere di tacita, ma reale protesta giovanile di Parigi 97, che si fa denuncia della miopia dei grandi mezzi di comunicazione che omologano i giovani secondo un progetto decisamente sorpassato.
    Parigi 97 è dunque segnale a suo modo della massima evangelica che «non di solo pane vive l’uomo», esprime una vocazione all’esodo. Ripeto: non è che di questo i giovani fossero perfettamente coscienti, o così pronti a fare drastiche alternative, ma sono apparsi abbastanza chiari nel manifestare una nuova direzione di marcia rispetto alle aggregazioni giovanili degli anni ‘70 ed ‘80: dall’inquietudine in chiave sociale-politica all’inquietudine in chiave spirituale-religiosa.

    Un segnale di promessa e di speranza

    Ma non si tratta soltanto di inquietudine e di denuncia. Parigi 97 va posto anche nel segno della promessa e della speranza. Questo appare dal versante positivo della polarizzazione giovani-Papa. Lo slogan «Giovanni Paolo II, tu sei la nostra giovinezza» non indica solo l’elemento alternativo rappresentato dal Papa e condiviso dai giovani, ma il contenuto stesso che fa l’alternanza, cioè valori, certezze, attese, stile di vita, insomma «il credo» proprio del Papa, specialmente in ciò che riguarda l’invito alla solidarietà, all’attenzione ai poveri, alla «non globalizzazione» dell’uomo, al superamento delle frontiere, al rifiuto della violenza e della guerra, al primato dell’amore, al ruolo di futuro attribuito ai giovani con l’incisività della formula di «chiesa giovane», di iniziatori del terzo millennio, resi finalmente responsabili di cose grandi rispetto alla meschinità fallimentare degli adulti e dei grandi della terra, fino alla plausibilità ed anzi bellezza della componente religiosa nella vita (preghiera, silenzio...), alla condivisione della visione cristiana della vita e della storia ed ultimamente – e centralmente – all’esperienza decisiva dell’incontro con Cristo, secondo quel «venite e vedrete» che faceva da leitmotiv a Parigi 97... Sono tutte tematiche toccate dal Papa e consentite largamente dai giovani.
    In questo senso si può situare Parigi 97 in una dinamica di speranza, a tre livelli: perché di speranza si sostanzia la proposta del Papa verso il terzo millennio, proposta raccolta dai giovani; i quali perciò – secondo livello dell’effetto speranza – ritrovano per se stessi questa nuova possibilità di futuro; ma questo loro rinascere alla speranza diventa fonte di consolazione e di speranza per il mondo di noi adulti, della chiesa come della società. Il seme della speranza è stato gettato e anche accolto. Di più non c’è di aspettarsi. Rimane tutta intera la stagione del cambio e della crescita.

    Che dire della componente cristiana di Parigi 97?

    Le tante domande
    Ma si può parlare di esperienza cristiana sufficientemente riscontrabile anzitutto a livello di gesti, e soprattutto nella mentalità dei giovani partecipanti? Chi è per loro il Papa? e la Chiesa? e Cristo? e Dio? La loro soggettività umanamente così pregna di protesta e di promessa è cristiana in termini accettabili? Non può essere una rifrazione clamorosa di un New Age strisciante? O prevale il paradosso «giovani tanto più credenti al papa e alla chiesa, quanto meno lo sono in Dio»? O è la corsa al supermarket della religiosità per riempire un vuoto? O anche l’affermazione forte dei tradizionalisti per una nuova civiltà cristiana? O emerge il segnale di una evangelizzazione intrinsecamente nuova che ha nei giovani le avanguardie?
    Concretamente, dal punto di vista di una comprensione cristiana, su parametri teologici, cristologici, sacramentali, ecclesiali, etici..., sembra si possa affermare quanto segue.

    L’irresistibile stare insieme
    Per tutti ha certamente funzionato e funziona la forza attraente dello stare insieme in termini di condivisione e di libera espressione soggettiva, gratuita, canora.
    Qui la qualità cristiana, nella misura che vi sia, è come schermata dalla mediazione di questo essere e vivere insieme.
    Questa mediazione della soggettività comune, aggregante facilmente la soggettività individuale, è stata ed è certamente un fattore mediatico endogeno di grande influenza per una corretta valutazione e una efficace pastorale.

    Oltre l’emotività e segni di una coscienza credente
    A questo livello di uno stare insieme gratificante possono essersi fermati vari giovani. Ma sarebbe ingiusto ridurre le esperienza della maggioranza ad una sorta di carovana delle emozioni.
    I comportamenti di massa di grande attenzione durante le catechesi, la notevole frequenza al sacramento della confessione e comunione, il consenso non automatico, critico ai discorsi dei vescovi eppure ampio, anzi talora amplissimo, gli incontri con il Papa (così ferreamente legati a contenuti forti e fissi, come è stata la liturgia pasquale del sabato sera, resa peraltro con genialità creativa) mostrano che la fides ecclesiae non era estranea al mondo dei giovani, ma semmai si esprimeva a livelli differenziati.
    – Per primi vanno nominati quanti hanno fatto la scelta di fede. Vi rientrano, e con un’avvertibile visibilità esteriore, gli aderenti ai movimenti, e giovani delle comunità parrocchiali. Per questi giovani l’adesione a Cristo era ed è reale, dimostrando quanto meno che esistono giovani credenti o che essere cristiano si addice anche al giovane di oggi.
    – Vi è poi la larga fetta degli intermittenti, in cui l’adesione religiosa in certo modo rinnovata nelle mani del Papa appare cosparsa di elementi lacunosi, sostanzialmente in due direzioni: a riguardo di chi sia Dio, Gesù, la Chiesa, la fede cristiana, su cui vige un’amplissima, quasi ingenua, serena ignoranza; a riguardo di valori morali, in cui la soggettività diventa criterio di verità rispetto alle stesse cose dette dal Papa, per cui un sì alla solidarietà si accompagna ad un sì meno forte fino al rifiuto verso la posizione del Papa rispetto all’etica sessuale e familiare.
    – Un ultimo particolare, alquanto raggelante, a dire il vero, perché pare essere nella maggioranza dei giovani credenti o meno: l’ignoranza della storia, della storia della chiesa e civile, e quindi la sua non significatività e irrilevanza nel cammino di fede. Quanti dei giovani sapevano circa Teresa del Bambino Gesù e della sua «piccola via»? Di F. Ozanam beatificato negli stessi giorni? Della «strage di S. Bartolomeo» su cui il Papa prese la coraggiosa posizione? Della condizione della Chiesa di Francia e della cosiddetta «laicité»? Della stessa Parigi, luogo fondamentale della storia europea e mondiale? Tra Eurodisneyland e il Louvre chi si pensa abbia avuto più visite? Non è che i giovani potessero sapere tutto, ma gli animatori hanno fatto loro un ripasso culturale appropriato?

    Un sommario di risposte
    Che dire in conclusione circa la fede dei giovani a Parigi 97?
    Facendo ancora l’inventario delle interpretazioni avanzate si perviene ad uno spettro di risposte quanto mai variegato: si è trattato di un sì a proprie esigenze di liberazione interiore (trascendenza immanente) cui la presenza del Papa ha fatto più da volano che da motivazione radicale; è stato un sì al Papa più che alla Chiesa; o un sì al papa e alla Chiesa più che a Dio; o un sì al religioso e non alla confessione religiosa (cristiana); od anche un sì a Cristo, come gigantesca cifra dell’umano che ognuno vorrebbe essere, ma un glissare sul mistero di Dio (= ateismo cristiano); un sì globale alla confessione cattolica, ma con una riserva più o meno ampia sui singoli contenuti; si è avuto un approccio carismatico al cristianesimo e non la fondazione culturale...; è stata la rivincita di movimenti cattolici integristici...
    Sono giudizi detti un po’ tutti in questi giorni. E probabilmente ciascuno si ritrova in una qualche fetta di giovani o addirittura rispecchia un livello di presenza nella vita di ciascuno.
    Personalmente accolgo quello che ritengo più fondato e per altro ampiamente affermato con senso di responsabilità e realismo da ragguardevoli uomini di chiesa: Parigi 97 ha rappresentato per la larga maggioranza dei giovani un sostanziale sì al Cristo della Chiesa, secondo la proposta del Papa, semmai con richiamo forte ad una maggiore radicalità del vangelo, e dunque con una certa critica di proposte di fede di basso respiro e prive di testimonianza.

    QUALE PASTORALE GIOVANILE?

    L’esito che ritengo sostanzialmente positivo di Parigi 97 nei termini detti sopra stimola una riflessione pastorale articolata, che cerco di evidenziare nei passaggi seguenti.
    Partiamo dal principio che nell’azione pastorale della Chiesa è l’amore di Dio e non la situazione che motiva l’impegno di annunciare il vangelo, ma certamente lo modula secondo certi parametri. Globalmente direi di non farsi illusioni concludendo ad una inattesa «primavera giovanile cristiana felice» (stento ad identificare Parigi 97 con una Damasco 97), ma nemmeno chiuderei gli occhi sulle potenzialità dell’avvenimento, sui «gemiti dello Spirito» in esso operante.

    Dio in Cristo vuol bene a questi giovani

    Sarebbe già un frutto enorme se dalla visione di fede dell’avvenimento parigino scaturisse ciò che è in sé ovvio, ma anche tanto trascurato: l’apriori della convinzione basilare che Dio in Cristo nel campo del mondo ama questi giovani, li ama per primo.
    Fosse Parigi 97 stato un fallimento, cionondimeno vale il principio apostolico che ci chiede di evangelizzare i giovani, siano essi stessi in movimento o meno verso Dio. Se poi si desse il fatto – come crediamo che sia – che moltissimi giovani si trovano in ricerca nella direzione di Colui che li sta cercando («venite e vedrete»), allora l’azione pastorale si intensifica con coraggio e fiducia come per un «segno dei tempi», «la chiesa giovane», come l’ha chiamata il Papa.
    Concretamente lo Spirito ci chiede di lasciarci guidare, questo sì, dal criterio del buon discernimento paolino del «tutto esaminate, ciò che è buono tenetelo»; il che ci impedisce di generalizzare le situazioni e di uniformare le proposte, come pure ci proibisce di pensare che basti uno shock di vangelo perché si possa rinunciare ad un processo di maturazione cui invece la fede giovanile, ogni fede di giovane, deve andare sottomessa. Ciò è intrinseco allo stesso comando di Gesù: «Venite e vedrete», un cammino per una visione che non si risolve certamente in un istante, se stiamo alla diuturna e paziente pedagogia di Gesù con i suoi discepoli.

    Una pastorale dell’intelligenza e del cuore

    Parigi 97, alla luce di quanto detto sopra, profila una pastorale intrisa di determinati accenti che semplicemente richiamo.

    Avvertire le dinamiche soggiacenti al mondo giovanile
    Tralasciata ogni superficiale sicurezza, globalmente ci si richiede attenzione per un mondo giovanile che è complesso e sfaccettato, percorso da dinamiche diverse, confuse, fragili, contraddittorie, ma reali, non alieno, anzi alla ricerca positiva di contatti – è fondamentale notarlo ed è la vera novità – con la dimensione spirituale, anzi religiosa della vita, dimensione per tantissimi di tipo cristiano-cattolico, sia come fatto (pratica religiosa) sia come visione di senso, di valori, di istituzioni.
    – Una prima è la dinamica dell’inquietudine nei confronti della abituale tavola di valori, quella che, straordinariamente «imposta» dai media, sta sul mercato dell’opinione pubblica occidentale, a sua volta ritenuto frutto del vuoto spirituale-religioso del 68 (questi giovani sono figli di quei padri). Potremmo chiamarla la dinamica dell’esodo verso altri territori alternativi («terra promessa») di vita.
    – Sotto muovono, sempre in termini confusi, ma reali e non in piccola percentuale, le altre due dinamiche della radicalità e della promessa-speranza. Vuol dire che non si tratta soltanto di trovare valori, ma di trovarli in autenticità, andando alla sorgente, andando cioè sia alla istituzione oggi così solitaria che ne parla (la Chiesa, il Papa), sia alla fonte-matrice che è il Vangelo di Gesù Cristo; ed ancora la ricerca e la radicalità vanno assunti come base promettente di progetto e di futuro, e dunque come cantiere di speranza.

    Riconoscere le differenze di posizione dei giovani verso la fede pur facendo magari stessi segni esteriori di fede
    Occorre avvertire che, religiosamente parlando, ossia in relazione alla scelta di fede, ci troviamo di fronte ad un pianeta dove vi sono giovani cristiani convinti, che la scelta di fede hanno fatta ed onorano in maniera incredibile, nei segni talora della santità alta; ma vi sono anche giovani cristiani incipienti e vagolanti, stretti tra il desiderio di decidere e la comodità del non decidere, pur andando a trovare il Papa ed inneggiando a Lui, piangendo se gli capitasse qualcosa di male; vi sono poi quelli in lista di attesa, sulla soglia come Cornelio negli Atti degli Apostoli (cc. 10-11), scossi da segni-presagi più inverosimili, che li spingono a cambiare, a provare altri valori, ma sono senza una guida e amico interprete che salga sul loro carro (cf At 8, 31s).

    Proporre un discorso della fede come dialogo, portarlo avanti come confronto e a partire dai fondamenti
    Tocca all’educatore scavare e parlare ai giovani non in modo certamente cattedratico, né tipo omelia, unidirezionale, senza possibilità di riscontro. Concretamente la parola deve poter andare nella direzione delle loro attese e in dialogo con loro. Questo comporta:
    – Accettare e stimolare le domande, che sono tantissime e per lo più assai serie, riconoscendole come la prima via della risposta.
    – Riconoscere pure che per tantissime volte si tratta non di domande pittoresche sulla religione o abbastanza estrinseche, ma di quesiti fondamentali su Dio, Cristo: se sono presenti ed operano o meno nella storia, se il vangelo ha possibilità di cambio, se l’umanità può avere futuro, perché la Chiesa ha una sua posizione così rigida in materia sessuale, perché le donne non possono diventare prete... Si avverte subito che il filo della risposta è necessariamente proprio di una teologia fondamentale, intesa come verità radicale fondante ed insieme illuminatrice dell’esistenza (quindi non una risposta carismatica o devota o fideistica, anche se questa via viene preferita, ma si capisce il perché, da diversi aderenti ai movimenti).
    Quello che conta è che possa emergere la visione, tanto essenzialmente concentrata quanto esistenzialmente tradotta, della religione cristiana secondo la gerarchia bene armonica delle componenti teologiche, cristologiche, ecclesiali, antropologiche, etiche, che invece vediamo frammentate e talora assenti nel quadro concettuale di tanti giovani.
    – Realizzare un confronto con sistemi di significato diversi. Si vive in un pluralismo, sentito con forza ed anzi legittimato da parte dei giovani per il fatto se non altro che vi nascono dentro, pluralismo fatto di culture, di istituzioni ed ora anche di religioni, soprattutto di sistemi etici con cui fare i conti. Si potrà vedere che diversi ragazzi di movimenti rifiutano il confronto per restare nel bozzolo; altri sono obbligati ad entrarvi perché fa parte del pane quotidiano. Tocca agli educatori realizzare questo confronto interculturale ed interreligioso nella stessa proposta della fede cristiana.
    Qui ci si colloca e si partecipa a quella scelta pastorale propria della Chiesa italiana che va sotto il nome di «progetto culturale orientato in senso cristiano» realizzato nel servizio ai giovani. Obiettivo quanto mai importante, trattandosi dei nostri prossimi adulti nella chiesa e nella società.

    Modulare la proposta secondo alcune esigenze peculiari
    Parigi 97 le ha evidenziate, per cui è saggezza valorizzarle:
    – Fare rifocillamento al pozzo del Vangelo, cioè realizzare il «venite e vedrete di Gesù» come pedagogia della proposta, intesa come via esistenziale di verità e di prassi.
    Il sostare sul vangelo (lectio divina), il rendere i giovani capaci di esegesi esistenziale dei testi evangelici dovrebbe essere la prima catechesi-catechismo dei giovani, un po’ nella linea che una volta era chiamata scoperta dei «misteri di Cristo» e così bene esemplificata da Il Signore di R. Guardini.
    – Riproporre la vocazione cristiana come vocazione all’amore secondo la pienezza di senso che è autenticità di lasciarsi amare e di amare gli altri perché Dio continui ad amare tutti, proclamata e vissuta da Teresa e proposta come «piccola (semplice ed universale) via».
    La proclamazione di Teresa dottore annunciata dal Papa nel cuore dell’incontro giovanile sembra tracciare una strada nuova di spiritualità quanto mai consona e gradita da questi giovani. È tutto un campo nuovo che si apre.
    – Rendere visibile e tangibile la «vocazione all’amore» nella dedizione al prossimo senza frontiere.
    È un discorso ormai divenuto abituale in Giovani Paolo II: alla luce del Cristo, mettere al centro la persona dell’uomo, di ogni uomo, con la sua dignità, i suoi diritti e doveri, a partire dai deboli, contro ogni globalizzazione dell’umano... Parigi 97 è stato in questo uno straordinario messaggio di fede sociale, tra le più forti del Papa.
    Occorre vedere fino a che punto la lezione è stata recepita dai giovani. I quali per altro ebbero l’occasione di approfondire l’argomento nei diversi festival dei giovani, nella bella testimonianza degli stessi «volontari» addetti alla GMG ed anche nel segno espressivo, ma forse troppo rapido, dell’«abbraccio di pace» alla città di Parigi.
    – Contrariamente all’immagine di un cristianesimo vero perché forte di numero (tale poté essere la prima impressione di Parigi 97 e penso sia stata anche quella di tanti giovani dimentichi che un milione è niente rispetto alle altre cifre della condizione giovanile), la verità vuole che si accetti di vivere la fede in situazione di minoranza, ma animata da due grossi fattori: l’esperienza di comunione in comunità (giovanile) e la testimonianza missionaria di giovani verso altri giovani, del «vieni anche tu». In fondo proprio questi due fattori sono stati nell’esperienza di tanti: poterono essere a Parigi in forza di appartenenza a comunità giovanili efficienti, esservi perché «me lo ha detto il mio amico, ed io sono venuto e mi trovo contento».
    – L’esperienza così stimolante dell’incontro con il Papa non può perdersi, ma deve restare una costante della comunicazione del messaggio, esprimendone l’incidenza in due direzioni: geografica, ossia mantenere con il Papa la sua visione universalista, oltre le frontiere e chiusure etniche e razziali, per un Dio, Cristo, Chiesa, uomo senza confini. Cosa che ai giovani non pare essere proprio difficile, vedendo lo stile di pronta fraternità di Parigi 97. La seconda direzione di comunione con il Papa, secondo i tantissimi accenni da lui fatti, sta nell’assumere un sentimento di responsabilità verso il futuro del pianeta : futuro anzitutto di trasmissione del Vangelo, ma in termini più ampi come garanzia di difesa dell’uomo e del creato.

    Attendere ad uno stile di comunicazione pastorale adatto e atteso dai giovani
    Si intende dire non l’avvallo di ogni spontaneismo giovanile, ma di educarlo così come si manifesta, tanto più se fa parte del gradimento e del costume giovanile.
    Da tener presente ed educare sono ad esempio:
    – la intensa dimensione di soggettività giovanile nella comprensione e decisione circa questioni di fede e di etica;
    – il gusto irrefrenabile dello stare insieme dei giovani tra loro, l’adesione totalizzante ad un movimento (l’ho potuto constatare presso giovani carismatici), la predilezione per l’espressione rituale vistosa, gratificante, cantata, anzi ritmata ed espressa in un contesto di rumori (batteria, batter le mani) in misura super.
    Da qui prende assoluto valore il fare silenzio, meditazione, preghiera, compagnia con Gesù...
    L’ha sottolineato il Card. Martini, quando ha valutato insufficienti le GMG per se stesse, data l’attrattiva della vacanza e di altri fattori socio-affettivi naturali tra i giovani di oggi. Ha definito necessario un tempo di maturazione di ogni GMG nel silenzio e nella preghiera.

    Conclusione: «Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano»

    La fede può dire con semplicità e assoluta certezza che Dio in Cristo va incontro ai giovani i quali lo stanno ricercando. Situarsi in questo cammino di mutua ricerca definisce la nostra condizione e compito pastorale.
    Alla semplicità della fede d’altra parte, per il mistero dell’incarnazione ed insieme, come suo opposto, per il «mistero operante dell’iniquità» (2 Tess 2,7), chiede di accompagnarsi un forte senso di serietà e responsabilità come chi si trova davanti a un problema complesso, che include punti diversi di attenzione, di valutazione e di impegno. Né illusione né delusione ci confanno, ma l’ascolto del vento dello Spirito (cf Gv 3,8).
    Per esprimere Parigi 97, mi viene in mente una situazione rilevata da Gesù in un detto famoso, quando duemila anni fa nella congiuntura del grande cambiamento di allora di cui egli stava diventando protagonista vide la sua patria, anzi l’umanità come un immenso campo di grano pronto alla raccolta messianica: «Ecco io vi dico: levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» (Gv 4, 35).
    Mt 13, le parabole del Regno diventano oggi manifesto necessario della pastorale giovanile.
    Forse Parigi 97 non ci mostra un milione di cristiani, ma ci pone sulla strada perché lo possano essere. Bisogna accettarli come giovani che non sanno tutto, anzi mostrano ignoranza in cose sostanziali, ma mostrano di sapere ciò che conta, poter essere uomini e donne diversi, nuovi, al seguito del Vangelo, manifestando anzi la disponibilità ad apprendere, se al posto di maestri trovano testimoni, e al posto di burocrati, anche del sacro, trovano degli amici... «Mes amis, mes chers amis»: quante volte lo ha detto il Papa a loro, e con accenti di intima sofferta verità. E gli hanno dato ragione, aprendosi e accogliendo le sue ragioni.


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