Una scuola di preghiera


Riccardo Tonelli

(NPG 1997-06-5)


Ci avevano sperato tanto. Avevano accettato l’invito di Gesù con entusiasmo. Avevano lasciato tutto per seguirlo, affascinati dalla sua persona e convinti della sua causa.
Ora però tutto sembrava finito. Nel peggiore dei modi.
I suoi nemici avevano catturato Gesù. L’avevano sottoposto ad un processo che era tutto una presa in giro. L’avevano condannato, come fosse un malfattore, lui che aveva solo fatto del bene a tutti quelli che aveva incontrato. Poi, dopo averlo torturato, l’avevano ucciso. Tutto era finito così. Gesù aveva promesso di vincere anche la morte. L’aveva fatto con quella degli altri. Con la sua però... nulla da fare. Gesù era stato cancellato dagli occhi e dal cuore dei suoi amici. Avevano vinto i suoi nemici. Tutto doveva ritornare come prima.
Pazienza... era stato un bel sogno, finito troppo presto e nel modo più tragico.
Adesso non c’era proprio più nulla da fare. Bisognava tornarsene a casa, con l’amarezza della nostalgia e con un pizzico di vergogna. Era necessario riprendere in mano gli attrezzi del lavoro, abbandonati con troppa foga qualche mese prima.
Ritornare... quelli di prima: come se nulla fosse accaduto, superando persino il sorriso beffardo degli amici di un tempo, che non avevano capito la strana voglia di mettersi dietro quel tipo di Nazareth, che stava facendosi un mucchio di nemici con le sue idee. Molti discepoli avevano già preso la strada del ritorno. Adesso toccava anche a loro. Buoni buoni, avevano deciso di ritornare ad Emmaus, a casa propria. Come se nulla fosse successo.
Camminavano senza scambiarsi una parola. Non ne avevano più: le ultime si erano spente in gola con il saluto triste agli amici che restavano a Gerusalemme.
All’improvviso, si avvicina un viandante, spuntato quasi dal nulla. Veniva come loro dalla direzione di Gerusalemme. Ma non l’avevano notato prima.
«Buongiorno». «Salve». «Dove andate?». «Veniamo da Gerusalemme e torniamo a casa nostra ad Emmaus. Manca ormai poco, per fortuna».
Insiste il pellegrino: «Posso unirmi a voi? Io vado oltre. La strada è lunga e, di questi tempi, anche un po’ pericolosa. Possiamo farci compagnia?».
«Ma... che facce tristi avete. Non l’avevo notato prima. Mi sembrate appena spuntati da un funerale. Mi sbaglio?».
La risposta è pronta. Le parole corrono come uno scroscio di pianto. «Veniamo davvero da un funerale. Ne parla tutta Gerusalemme. Come fai a non saperlo? Hanno ucciso Gesù di Nazareth. Era nostro amico e nostro maestro. Noi stavamo con lui, condividevamo la sua passione per la liberazione d’Israele e la sua speranza nel futuro di Dio. L’hanno ucciso, inchiodato sulla croce, dopo un processo che sembrava studiato apposta per condannarlo».
Una pausa per prendere fiato e per riandare agli ultimi bagliori di quella speranza che aveva loro infiammato il cuore.
«Aveva fatto solo del bene: guariva gli ammalati, trattava bene i poveri, aveva una parola buona anche per i peccatori. Ha resuscitato persino dei morti. Hai sentito parlare di sicuro di Lazzaro, quello di Betania. Gesù l’ha riportato in vita, tre giorni dopo che era morto. Purtroppo parlava con eccessiva libertà di Dio e della legge. Voleva troppo bene alla povera gente. L’hanno ucciso. Chi? Lo sai di sicuro... i romani, ma con la complicità dei nostri sacerdoti e dei dottori della legge...
Prima di morire, aveva promesso che sarebbe ritornato in vita, anche lui, come il suo amico Lazzaro. Ma ormai sono passati tre giorni... e non è capitato proprio nulla».
Il secondo incalza: «Beh, proprio nulla... non è vero. Sai, nel nostro giro c’erano anche delle donne. Stavano con noi per servire Gesù. Un paio di loro dicono di aver visto Gesù risorto. Nessuno ci crede. Sono donne fanatiche... Se lo sono immaginato, accecate dal dolore e dall’amore. I capi, Pietro e i dodici, non hanno visto nulla. Tutto è finito. Torniamo anche noi a casa».
«Calma. Non correte troppo nelle conclusioni», riprende la parola lo strano compagno di viaggio. «State facendo una lettura scorretta degli avvenimenti. Vi fermate a quello che avete visto con gli occhi. Mi spiace per voi: siete un po’ ciechi. Non sapete leggere dentro gli avvenimenti».
«Aiutaci tu... se ci riesci». «Volentieri. Ascoltate».
Un passo dopo l’altro si avvicinano a casa. Un passo dopo l’altro, il compagno di strada aiuta a rileggere gli avvenimenti dal mistero che si portano dentro. Cita brani della Scrittura. Ricorda profezie antiche e nuove. Rende attuali lontani ricordi.
Neppure nei tempi in cui stavano con Gesù avevano vissuto un’esperienza simile. Allora erano tutti proiettati verso il futuro. Si erano quasi dimenticati del passato. Il presente e i progetti su esso erano troppo importanti per pensare ancora al passato.
Adesso, invece, dal presente vanno verso il passato. Lo ricomprendono, immergendolo nel mistero di Dio. Le cose meravigliose che Dio ha compiuto per il suo popolo diventano una specie di nuova lettura del presente. Anche il buio, l’incertezza e il dolore cambiano tono. Brillano di qualcosa che non avevano mai scoperto.
Si guardano negli occhi. «Strano... ma allora non hanno ucciso la nostra speranza. Ce l’avevano spenta. Avevano tentato di spegnerla ed eravamo caduti nella trappola. Senza passato il nostro presente diventava disperato. Tornavamo a casa perché eravamo senza futuro. Invece... c’è speranza. Aveva ragione Gesù quando ci parlava del chicco di grano che deve morire per diventare spiga».
«L’hanno ucciso... ma non hanno vinto. Dio vince la morte. Era tutto programmato nei piani misteriosi di Dio».
Spontaneamente sulle labbra affiorano le parole dei Salmi. Hanno un sapore nuovo. Non se n’erano mai accorti prima.
«E se tornassimo a Gerusalemme?». «Domani. Oggi è tardi. Non possiamo rifare il cammino di notte. È troppo pericolo. Domani».
Poi, ormai, ecco le prime case di Emmaus. Sono arrivati a destinazione: domani mattina, alle prime luci, si torna a Gerusalemme.
Il compagno di viaggio fa finta di salutarli per rimettersi in cammino. «Prosegui? A quest’ora?». Insistono: «Fermati con noi. Nella nostra casa, un posto per te lo troviamo senza problemi. Dai... fermati».
Erano rassegnati a tornare alla vita di prima. Avevano tirato i remi in barca, scoraggiati e delusi. Ma l’esperienza di Gesù li aveva segnati dentro. Respiravano l’esigenza dell’ospitalità, quella vera. Le loro parole non erano di circostanza. Venivano dal cuore. «Sta’ con noi. Sei ospite nostro».
Il viandante misterioso si ferma. Qualche resistenza, forse per saggiare l’autenticità dell’invito. Poi si ferma. Accetta l’atto di ospitalità.
Si mettono a tavola. Ad un certo punto... si aprono gli occhi.
Gesù ha fatto strada con loro. Ha pregato lungo la via con loro, aiutandoli a rileggere gli avvenimenti dal mistero che essi si portavano dentro. Li ha aiutati a pregare contemplando.
Ora la preghiera esplode nella celebrazione. Gesù prende il pane e la coppa del vino. Li benedice e li condivide.
Un grido: «È lui, il crocefisso è risorto. Possibile che non ce ne siamo accorti prima? Eravamo proprio ciechi, di dolore e di rassegnazione».
Non c’è più. È tornato nel silenzio da cui è venuto.
Le poche ore trascorse con loro hanno lasciato il segno. Li ha guidati per mano in un’intensa esperienza di preghiera, che li ha cambiati profondamente.
La speranza e la passione ritorna prepotente nei loro cuori intorpiditi. La preghiera e la celebrazione si spalancano verso la vita.
Adesso non è più tardi per tornare a Gerusalemme. Non ci sono più i pericoli del viaggio notturno. Partono, di corsa: l’esperienza vissuta va comunicata agli altri.
Ritornano a Gerusalemme, per gridare a tutti: Gesù è risorto, la sua avventura per la vita e la speranza di tutti... continua. Anzi: ricomincia.