Una pastorale della speranza


Juan E. Vecchi

(NPG 1997-01-3)


La recente Nota pastorale dell’Episcopato italiano Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il convegno di Palermo porta una sottolineatura nuova riguardo alla pastorale: il suo carattere educativo. Nuova perché ribadita con insistenza insolita. E nuova perché collegata strettamente alle condizioni nelle quali oggi si svolge la pastorale.
Già al n. 13 afferma che in un «contesto di pluralismo religioso e culturale come il nostro bisogna conferire maggiore consapevolezza ed efficacia educativa a tutta la pastorale» e che, proprio a causa di tale contesto, «l’educazione alla fede è una necessità generale e permanente: riguarda i giovani e gli adulti non meno dei bambini e dei ragazzi». Educazione alla fede è dunque una espressione dottrinalmente corretta e operativamente adeguata.Inoltre è coestensiva alla pastorale e quasi il suo midollo.
La medesima istanza riappare con maggiore rilievo nei nn.38-40 riferita alla pastorale giovanile. Per attuarla «è indispensabile formare educatori e guide spirituali» e «risvegliare la passione educativa nelle varie figure di adulti» che vi intervengono (cf n. 40). Sono stati infatti soprattutto «i meravigliosi testimoni della carità totalmente consacrati all’educazione» coloro che hanno sollecitato le comunità cristiane con più efficacia a guardare verso i giovani e a dedicare ad essi le migliori risorse (cf n. 39).
Quale è il significato e quali le conseguenze pratiche di tali affermazioni? Se ne possono trarre molte.L’educazione, si sa, è un processo di crescita che ha luogo nel soggetto per le risposte positive che egli dà in forma consapevole e libera a determinate proposte portatrici di senso, di valori, di qualità di vita. A servizio di questo processo si collocano iniziative, operatori e contenuti.
Asserire l’universale dimensione educativa della pastorale comporta centrare lo sguardo sul soggetto e su quello che in esso va maturando, non per ritagliare verità ed esigenze sulla misura dei suoi gusti, ma perché i messaggi incrocino la sua vita reale, le parole trovino aggancio nella sua esperienza di ricerca, bisogno, invocazione o voto. C’è stato in merito e si osserva ancora un movimento pendolare che sposta alternativamente l’accento dall’attenzione alla condizione dei giovani alla fiducia incondizionata nelle proposte. L’esperienza e la saggezza orientano verso una congiunzione e sintesi delle due attenzioni.
La conoscenza del giovane non è quella che viene dalla psicologia e sociologia. Queste hanno il loro compito. Ma c‘è uno sguardo teologico che porta a vedere il loro significato nella comunità umana e cristiana e il progetto di Dio sulla loro vita. Così la Nota presenta i giovani come «il volto umano della speranza» (n. 38) e considera la loro genialità come «opportunità di grazia» (n. 39).
Il discorso del soggetto introduce il problema della comunicazione: arrivarci, svegliare l’attenzione su determinati aspetti dell’esistenza, stabilire un rapporto, animare un dialogo che progredisce, ordinare in processi le esperienze che ispirano, muovono e aiutano a maturare.
A ragione la Nota richiama alla consapevolezza educativa il rarefarsi, frantumarsi e svuotarsi dei rapporti educativi tradizionali che veicolavano in forma unitaria e sicura convinzioni, atteggiamenti e comportamenti.Nella giungla informativa, nella dispersione della gioventù in frange svariate e nell’atmosfera libertaria, la comunicazione diventa uno dei punti chiave della pastorale dei giovani, e a ragione le si sta dedicando un’attenzione particolare. Comprendere le sue leggi, imparare a gestirla fa parte dell’attrezzatura necessaria al singolo pastore, ma riguarda pure l’immagine e la capacità di azione della comunità cristiana come luogo di accoglienza e confronto, di iniziative e proposte (cf n.39).
L’urgenza di comunicare coi giovani introduce nella pastorale una pluralità di aree e modalità di intervento: verso il singolo, il gruppo, l’ambiente, la massa giovanile; verso quelli che vengono in chiesa e quelli che devono ascoltare il primo annuncio, verso quelli coinvolti già in qualche ambito di socializzazione e verso gli emarginati e poveri.
Ed è ancora la ricerca di comunicazione che porta alle diverse accentuazioni cui si affidano i risultati degli interventi: dialogo sulla vita, socialità, riflessione di fede, coinvolgimento nell’azione, esperienza di preghiera, critica della cultura, proposta «forte».
La pastorale appare così ricca di iniziative, ed è questa una delle caratteristiche del momento. Ma è intaccata anche, in particolare quella dei giovani, dalla complessità e dal rischio di frammentazione: alla radice ci sono le diverse situazioni dei giovani ma anche le preferenze che assumono, a volte sin dall’iniziazione, coloro che vi si dedicano.
Chi vi si inserisce si trova come spaesato. Non gli mancano istruzioni, né una descrizione previa della configurazione della realtà, fatta «sulla lavagna». È possibile anche che ci siano indicazioni di percorsi e di azioni da compiere. Se ci si limita a queste, le cose sono facili. È invece difficile combinare tutto verso obiettivi reali nel tempo di cui si dispone e secondo tutte le istruzioni ricevute.
Da qui la richiesta insistente – e questo appartiene pure alla natura educativa della pastorale – di organicità (cf n.38) e di ordinamento di contenuti e interventi in processi mirati, sebbene non rigidi.
Il bisogno di organicità viene espresso con queste parole: «Oggi però di fronte alla carenza di relazioni educative, che provoca disagio ed emarginazione» si avverte «l’urgenza di ripensare la pastorale giovanile conferendole organicità e coerenza in un progetto globale che sappia esaltare la genialità dei giovani e riconoscere in essa una opportunità di grazia» (n.39).
Il progetto organico riguarda la comunità. È la distribuzione conveniente e la convergenza degli sforzi per la copertura delle diverse situazioni giovanili. Non è bene fermarsi alla prima comunione o alla cresima e non avere una proposta per i giovani adulti. E nemmeno limitarsi a quelli che rispondono immediatamente e non badare al grande numero che ha bisogno del primo annuncio.
Ma il progetto organico riguarda anche la proposta che si porta al singolo secondo «la sua età e situazione» (cf n.40). Essa richiede una equilibrata integrazione delle divese esigenze.
Tale saggia integrazione delle accentuazioni è descritta nella presentazione degli itinerari. «Gli itinerari non si limitino a coltivare la dimensione intellettuale, ma introducano ad una vitale esperienza di fede; non siano solo operativi, ma diano spazi alla contemplazione; non accettino riduzioni fideistiche o devozionistiche, ma si misurino con le esigenze della cultura; non offrano solo modi di vivere ma ragioni di vita; sappiamo infondere la passione per il vero e il bene, conducano a scelte coscienti e responsabili; presentino la vita come vocazione all’amore che si concretizza nelle vocazioni specifiche...». La lista viene arricchita a continuazione. Si suggerisce di unire riflessione, incontro con testimoni, celebrazioni vive, preghiera personale, carità fraterna, servizio ai poveri; veglie, pellegrinaggi, esercizi spirituali, esperienze ricreative, incontri con altri gruppi, convegni, giornate nazionali e internazionali (cf n.40).
In sintesi tra le molte conseguenze che porta la dimensione educativa della pastorale come la più adeguata a un tempo di complessità e pluralismo emergono: l’attenzione al soggetto, l’urgenza di un progetto, la rilevanza della comunicazione, la necessità degli itinerari: quattro riferimenti che dovranno diventare familiari al Pastore-Educatore.