Jacques Piton
(NPG 1996-09-38)
Gli adolescenti e i giovani d'oggi sono nati in un mondo di suoni e di immagini. Sono figli del secolo dell'audiovisivo. Le nostre società occidentali li rimpinzano tanto da impedire loro spesso di assaporare un momento di calma e apprezzare il silenzio con naturalezza. Tre piccoli fatti illustrano questa constatazione. Mi riferisco a un'esperienza di ritiri scolastici per studenti dell'ultimo anno della media superiore in Belgio.
- I giovani hanno serie difficoltà a ritrovarsi da soli, in silenzio, per riflettere sulle piste proposte dall'animatore. Dicono che preferiscono avviare un dialogo subito l'uno con l'altro, senza un periodo di riflessione personale preliminare.
Una ragazza è dovuta tornare a casa il secondo giorno del ritiro: non riusciva a sopportare la tranquillità di un'abbazia cistercense. Il silenzio la nauseava.
- Ancora, sempre nell'ambito di un monastero dove un'esperienza prolungata e più intensa di raccoglimento era stata proposta a delle studentesse, una di loro si ferì volontariamente per poter uscire dal «gran silenzio». In questo modo incontrava regolarmente la suora infermiera per la medicazione. Aveva qualcuno con cui parlare. Questi tre «fatti di cronaca» mostrano che l'uomo è un essere sociale e perciò chiamato a comunicare per mezzo della parola scambiata. Ma possono anche interrogare sulla qualità di una parola che non sarebbe recepita e resa in un adeguato clima di ascolto e dunque di silenzio. Come iniziare i giovani ad apprezzare i benefici del silenzio e a farne così un compagno di riflessione, di vita e d'azione?
Insegnanti e futuri docenti di religione hanno tentato di raccogliere la sfida. Lo hanno fatto nella prima superiore (14-15 anni), durante la lezione di religione. Quest'ultima, nell'insegnamento cattolico in Belgio è obbligatoria ed è dunque offerta a un pubblico spesso molto eterogeneo. Ecco dunque alcune proposte metodologiche che saranno poi seguite da atteggiamenti pedagogici per abilitare i giovani a riscoprire il valore del silenzio nella loro vita.
PISTE METODOLOGICHE
Sono state sperimentate in classe All'ascolto dei giovani in occasione del tema previsto dal programma: l'interiorità.
Un primo approccio: perché il silenzio?
In ascolto dei giovani
Un minisondaggio è proposto agli alunni: come si collocano i giovani in rapporto al silenzio? (Doc. 1) Dopo la messa in comune e uno scambio con la classe, si presenta una sintesi dei pareri. Questa fa rimbalzare con molta naturalezza il dibattito attorno al silenzio (Doc. 2)
All'ascolto degli altri
Qui ci sono diverse modalità, in funzione delle classi e dei professori.
* Un testo da approfondire: Silenzio vietato? (Doc. 3).
Il documento è studiato a casa, sulla base delle seguenti disposizioni: Illustratelo per mezzo di foto, disegni oppure caricature, slogan, pubblicità... cercando di farne trasparire gli aspetti del «rumore» e del «silenzio». Spiegate pure la vostra scelta: cosa avete voluto esprimere?
Presentazione delle produzioni e scambio in classe.
* Un testimone da ascoltare: Guy Gilbert.
In un primo momento, gli studenti si sono espressi su ciò che sanno di G. Gilbert. Si sottolinea spesso con forza il suo impegnarsi presso i teppisti di periferia a Parigi. Per ora ciò è sufficiente...
Un testo «choc» di G. Gilbert: «Il mondo d'oggi ha un immenso bisogno di silenzio. Specialmente i giovani!».
Reazioni in seguito a questo messaggio. «Siete d'accordo? Se sì, perché? Se no, perché?». Ritorno a G. Gilbert, con una nuova testimonianza. (Doc. 4)
Nuove piste sono discusse in classe: il silenzio, perché? per cosa?
* Un altro testimone: Jacques Loew.
Si spende una parola su questo'prete che negli anni '50-60 è stato scaricatore nel porto di Marsiglia. Uomo d'azione per eccellenza!
Lettura di una parabola di J. Loew (Doc. 5).
Studio del testo applicandolo al silenzio. Riflessioni e conclusioni nuove sul rapporto tra vita rivolta verso l'esterno e vita interiore: due facce di una stessa realtà.
Ritorno ai giovani
Con un documento di appropriazione dell'approccio del silenzio: i silenzi veri e falsi (Doc. 6).
A questo punto i giovani riprendono i loro pareri di partenza e le testimonianze ascoltate per fare il punto, ognuno per conto suo - in silenzio - e in seguito, con tutta la classe.
Un secondo approccio: fare silenzio, perché no?
Qui, sono stati tentati due tipi di esperimenti.
Fare l'esperienza del silenzio nella classe stessa
* Ascoltare il proprio corpo nel silenzio.
Il professore ha l'intento di far percepire agli alunni che «ascoltare il proprio corpo è prenderne coscienza, dalla testa ai piedi, è permettere al proprio spirito di visitare questo corpo, è così pensare all'unità della persona».
Egli propone un esercizio a tutta la classe. Gli alunni sono seduti, le braccia incrociate sul banco, gli occhi chiusi. Una musica dolce può accompagnare il tutto.
Allora lentamente dà le seguenti istruzioni: «Respirate profondamente. Prendete coscienza del vostro respiro, del percorso dell'aria dalle narici fino al torace che si gonfia. Prendete coscienza della vita dentro voi e del vostro ritmo respiratorio: l'inspirazione, l'espirazione; l'espirazione, l'inspirazione. Ascoltate il vostro cuore che batte e che continua a funzionare, lo vogliate o no. Prendete coscienza del vostro corpo: la testa, la nuca, le spalle, le dita, i piedi».
Per concludere, si giunge ad una valutazione di ciò che gli alunni hanno vissuto, percepito, provato.
Ciò si è spesso rivelato ricco e fecondo.
* Riflettere sulla propria vita nel silenzio.
Il professore dopo il week-end, molto denso per i giovani di quella età, aveva previsto il seguente esercizio: «Rilassatevi, chiudete gli occhi... Imparerete a ritrovare voi stessi. Allora, respirate profondamente; prendete coscienza del vostro corpo. Ora vi propongo di riflettere sul presente e sul passato così da prevedere meglio l'avvenire.
Riflettete sull'esito del vostro week-end in famiglia... Con gli altri, i compagni, gli amici... sono stato abbastanza accogliente? Ho spiegato le mie antenne per ascoltare meglio, per andare incontro per davvero, dare aiuto in caso di necessità?
Continuate a riflettere sulla vostra giornata fin dal mattino. Chi avete incontrato? Incontrato per davvero? Oppure semplicemente incrociato? Ho davvero ascoltato quello che mi è stato detto?
Infine, cosa posso fare per vivere il seguito dela giornata? Devo migliorare in qualcosa? Devo stare più attento al mio prossimo?».
Dopo questo esercizio, gli alunni hanno tratto delle conclusioni sulla loro riflessione condotta in silenzio. Cosa ha prodotto? Ognuno sarebbe potuto giungere allo stesso risultato se le domande fossero state subito discusse in classe, senza un necessario distacco personale?
Il silenzio, il cammino o un cammino tra gli altri per riflettere sulla propria vita.
In un primo momento, sulla base delle domande rimaste aperte (ad esempio quelle precedenti), gli alunni riflettono con una musica di sottofondo. Ne segue una valutazione: in cosa la musica è stata d'aiuto per riflettere? (calma; fa astrazione dai rumori esterni; rilassa, ecc.) Cosa avete provato? (si sogna; si è tentati di fare altro; aspiro alla conclusione; volevo parlare col mio vicino, ecc.).
In un secondo momento, sulla base delle mie domande gli alunni riflettono in assoluto silenzio.
Dopo viene il condividere le loro reazioni: cosa avete provato di diverso? (è molto difficile; molto lungo; non mi piace, mi sento disagio; mi è piaciuto; è rilassante; permette di riflettere; è noioso; mi veniva da ridere, ecc.).
Preferite riflettere con la musica oppure in silenzio assoluto? (con la musica tutto è più vivo; la musica ci aiuta a riflettere meglio, invece nel silenzio ci si distrae più facilmente; si è tentati di fare tutt'altro, ecc.).
La messa in comune delle esperienze risultò molto fruttuosa. Lo scopo era stato raggiunto: pensare, riflettere sulla propria vita. A questo punto i mezzi potevano essere diversi: nel silenzio assoluto oppure in un silenzio accompagnato da musica.
Quest'ultima, invece di distrarre, spesso permette ai giovani di concentrarsi, di fissare la loro attenzione, di sottrarsi ai rumori esterni. Quanti giovani studiano con la radio accesa?
Fare l'esperienza del silenzio fuori dalla classe
Questa esperienza è stata occasione di riappropriazione del valore del silenzio al termine di tutto un percorso sull'interiorità e la preghiera. Gli alunni si sono trovati in una grande stanza della scuola (oppure nella cappella). Il professore li ha invitati a un tempo forte di interiorità in silenzio.
Ecco le istruzioni: per 20', ognuno è invitato a riflettere, a meditare, a pregare... da solo o con supporto (alcuni testi profani o religiosi erano a disposizione degli alunni), nella posizione che ognuno sceglie di assumere (seduto, coricato, in posizione yoga, in ginocchio, ecc.), in silenzio assoluto.
Questa esperienza si è sempre svolta bene, con molta serietà. Una breve valutazione ha ancora una volta mostrato che il silenzio non era cosa evidente per gli alunni.
Avrebbero preferito scambiare le proprie opinioni sul testo scelto con l'uno o con l'altro. Hanno comunque ammesso il fatto che sia una esperienza da rifare. Poiché il silenzio, come un amico, è sempre da «addomesticare».
ATTEGGIAMENTI DA PARTE DEGLI EDUCATORI
Come potranno i nostri giovani ritrovare l'amicizia del silenzio se i loro animatori non ne hanno fatto essi stessi precedentemente l'esperienza? Sempre dall'osservazione del vissuto scolastico, ecco alcuni atteggiamenti suscettibili di creare un autentico clima di silenzio favorevole alla riflessione e alla comunicazione.
Quando un alunno vuole incontrare un professore per parlargli dei suoi problemi, come comportarsi? Il professore o ha la risposta sempre pronta, senza prendere per davvero il tempo di ascoltare il giovane fino in fondo, oppure accetta che egli si esprima a proprio ritmo. Ci saranno inevitabilmente delle pause, silenzi, tempi morti come si suol dire (ma lo sono davvero?). Il silenzio, tra gli interventi dell'uno e dell'altro, non indica forse che il giovane è in verità riconosciuto e incontrato per come è, e che in ultima analisi è sempre rinviato a se stesso come essere libero e responsabile?
Durante l'ora di religione, si utilizza in genere la tecnica della «valanga di parole». Se si osservano le direttive, possono verificarsi alcuni minuti di silenzio, soprattutto all'inizio dell'esercizio. Come si comporta l'insegnante? Può ricordare le regole, incoraggiare gli alunni ad esprimersi (senza costrizioni), e riempirà il silenzio con una chiacchierata senza importanza. O può, al contrario, lasciare che la classe cerchi in silenzio anche se sembra lungo e pesante. Ad esperienza fatta, ciò risulterà fonte di riflessione feconda.
Durante un lavoro individuale che precedé ad esempio una messa in comune in sottogruppi o con la classe, cosa fare? Lasciar lavorare in silenzio? Intervenire a tempo debito e fuori tempo su questo o quello (a volte senza alcun rapporto con l'oggetto del corso)?
Quando un alunno legge ad alta voce un testo profano o religioso, cosa fa il professore? Ascolta davvero ciò che viene letto, coinvolto lui stesso assieme agli alunni in ciò che viene detto, oppure rovista nel suo raccoglitore, cancella la lavagna, aggiorna la sua agenda o distribuisce fogli. Come insegnare ai giovani ad essere attenti a una parola diversa dalla loro, se l'insegnante per primo non entra nell'ascolto reso più favorevole dal silenzio?
Se c'è la preghiera del mattino prima di iniziare la lezione, come fare? Invece che recitare meccanicamente il «Padre Nostro», non potrebbe il professore proporre uno spazio d'interiorità in silenzio, con un testo di riflessione ad intervalli abbastanza regolari, scelto da lui o proposto dagli alunni? Al termine di questo momento di raccoglimento, tenuto conto del pubblico eterogeneo delle scuole oggi, egli introdurrebbe la preghiera come segreto: «Mentre alcuni di noi faranno silenzio, un silenzio il cui segreto gli appartiene, altri, nello Spirito di Gesù, diranno: Padre Nostro...».
Se i giovani incontrano degli adulti che non hanno paura del silenzio, ma ne fanno un loro alleato, allora potranno anche loro prenderlo come comagno di vita. Esso porta a «dare la parola», nei due significati del termine, e cioè, dare all'altro la mia parola, esprimermi, ma pure dare la parola all'altro, lasciarlo esprimersi. Dal silenzio nasce così uno scambio di parole nel campo della comunicazione.
DOCUMENTI
Documento 1.
Inchiesta: Come si collocano i giovani in rapporto al silenzio?
Minisondaggio: per rispondere a questa domanda può essere d'aiuto esaminare attentamente il questionario..
1. Vivo dei momenti di silenzio
di rado
spesso
qualche volta
2. II silenzio e per me un bisogno:
vero
falso
3. Faccio silenzio quando:
una situazione lo impone
ne sento il bisogno
4. Il silenzio è sinonimo di:
paura
assenza di rumore, di agitazione
interruzione, pausa
riflessione
raccoglimento
ritiro dal mondo
5. Il silenzio e una merce molto rara in questo mondo:
totalmente d'accordo
d'accordo
niente affatto d'accordo
6. Il silenzio mi aiuta a riflettere:
spesso
a volte
mai
7. Preferisco momenti di silenzio:
individuali
collettivi
8. Un momento di silenzio è per me positivo:
sempre
talvolta
mai
9. Quando mi prendo un momento di silenzio, lo vivo:
in camera mia
per strada
in un bosco
in un altro luogo
10. Può davvero aiutarmi durante i momenti di silenzio:
una testimonianza
una poesia
una preghiera
un'immagine
un oggetto che mi piace
11. La posizione che assumo più frequente per vivere il silenzio:
in piedi
sdraiato
seduto
in ginocchio
12. Nel silenzio mi rivolgo:
a me stesso
al «Totalmente Altro»
13. In me, il silenzio può innestarsi una preghiera:
mai
a volte
spesso
Documento 2.
Sintesi
I giovani si impongono dei tempi di silenzio. Alcuni lo fanno anche più frequentemente d'altri. La maggior parte ha bisogno di silenzio. Una piccolissima parte di giovani fa silenzio solo quando la situazione lo impone.
Molti adolescenti danno come «sinonimo» di silenzio la parola «riflessione», e ciò perché la associano all'assenza di rumore, di agitazione. Ce ne sono altri che alla parola silenzio associano i termini: interruzione, pausa, ritiro dal mondo e raccoglimento. Nessuno di loro afferma di aver paura del silenzio; secondo loro, si tratta piuttosto di disgusto.
Se in seguito si parla loro di silenzio nel mondo d'oggi, buona parte dei giovani dicono che è rarissimo. Molti ammettono anche che il silenzio è spesso un aiuto durante la loro riflessione. Soltanto alcuni di loro non provano quel «qualcosa in più».
Documento 3.
Testo per la meditazione: Silenzio vietato?
Pedoni frenetici
Incroci che pullulano
Agenzia France-Presse
Echi di guerra
Dov'è il silenzio?
Squilli di telefono
Torrenti d'informazione
Crepitio di macchine
Musica ovunque
Esistenza trepidante
Dov'è il silenzio?
Un bimbo che piange
La madre che grida
Il vicino che picchia
dov'è il silenzio?
Troppo caldo
Troppa luce
Troppo fumo
Troppo da mangiare
Dov'è il silenzio?
Davanti a me, rumore
Dietro di me, rumore
Intorno a me,
ancora rumore
Dov'è il silenzio?
Mondo consumato
Uomo stanco
Bambino prigioniero
Silenzio vietato?
(Pierre Imberdis)
Documento 4.
Testimonianza
Un uomo d'affari m'interpella un giorno: «Sei fortunato, Guy, di poter prendere quarant'otto ore ogni quindici giorni per far silenzio. Io con il mio lavoro, mia moglie e i miei tre bambini, non ho mai potuto!».
La mia risposta venne fuori subito: «Perché fai l'errore di non fermarti mai prendendo come scusa il tuo lavoro, tua moglie e i tuoi bambini? La mia vita è altrettanto piena, se non di più.
Se non avessi come ascesi quelle ore consacrate in assoluto a me stesso e a Dio, mi perderei l'essenziale di ciò che voglio vivere. Non avrei mai udito le chiamate di Dio nella mia vita concreta. Non avrei mai potuto indovinare che dietro agli avvenimenti c'era Dio che mi faceva segno. Soltanto il silenzio e la preghiera hanno potuto farmelo capire.
Il silenzio ha il dono sia di relativizzare che di dinamizzare le mie azioni, a volte in modo stupefacente. Infatti esso ci costringe a volgere lo sguardo a Dio. Questa immobilità è sorgente delle più ricche raccolte. Per di più, ci spinge a non crederci indispensabili, e questa è una delle più potenti tentazioni tanto orgogliose quanto distruttive.
Ho spesso constatato che la mia capacità di lavoro era accresciuta dopo ore di silenzio che mi impongo, a volte al punto di rimandare un mucchio di appuntamenti quando mi accorgo che lavoro invano e che l'ascolto mi risulta penoso. Il silenzio libera «gli essenziali» della mia vita. La preghiera mi dà la forza di viverli (Guy Gilbert).
Documento 5.
Una parabola
«Era d'inverno. Seduto in uno scompartimento ben illuminato, guardavo dalla finestra e, a causa della luce interna, non vedevo niente di ciò che c'era fuori. Vedevo solo me stesso e le altre persone riflesse sul vetro dello scompartimento. Ad un certo punto, le luci dello scompartimento sono state spente. Allora, fuori si è illuminato tutto; la neve, i campi, le case con la luce accesa, la notte stellata. Ci voleva la notte su di me e intorno a me per scoprire tante meraviglie» (J. Loew).
Documento 6.
Testo di riappropriazione
Il silenzio non è quotato! I primi contatti con esso sono spesso difficoltosi: silenzio dell'isolamento.
Eppure il silenzio ha valore solo grazie a ciò che se ne fa. Infatti il silenzio non è automaticamente migliore della parola, del rumore.
La parola permette di esprimersi: in quanto al rumore, può derivare dalla gioia di stare insieme. Il valore del silenzio dipende dall'uso che ne facciamo.
Ci sono anche due falsi silenzi: il silenzio sopportato per timore di sanzioni; il silenzio di colui che tiene il broncio. Oppure il silenzio di colui che si rinchiude su se stesso; il silenzio della testa vuota: siamo nelle nuvole, senza nemmeno sognare! «Noi» non pensiamo a niente!
Però ci sono anche dei buoni silenzi: il silenzio che rispetta il lavoro altrui, il silenzio di colui che ascolta, il silenzio di riflessione: ci può essere rumore intorno a noi, facciamo uno sforzo per staccarci, per non lasciarci distrarre, e riflettiamo; il silenzio che permette un equilibrio personale. Infatti il rumore stanca: il silenzio permette il riposo, il rilassamento.
Il silenzio è la strada da percorrere per una vita di qualità.
Niente più tranquillità, niente più silenzio... allora come rendersi conto di ciò che si fa?
Colui che sa «fermarsi», fare un po' di silenzio dentro di sé e intorno a sé e riflettere, questi mette degli assi nella manica nel gioco della sua vita. Si rende conto di ciò che egli è e di ciò che fa; si può correggere, può dare un senso alle sue azioni.