Cesare Bissoli
(NPG 1994-06-45)
Per la Bibbia pregare è come celebrare un sacramento: dare forma, volto, senso ad una materia, ad un insieme di impulsi vitali; su un mondo di interessi che è il nostro, apportarvi la potenza trasformante della parola di Dio. Il mondo di interessi è coestensivo alla nostra vita, è la nostra vita; la parola di Dio che vi corrisponde e che ci avvolge è la benedizione, di lui verso di noi e di noi verso di lui.
LA VITA, LA TERRA DELLA PREGHIERA
Per la Bibbia è la vita il terreno della preghiera.
Uno che volesse vedere quale sia l'oggetto della preghiera biblica, vedrebbe che anche le preghiere più alte, più distaccate, più gratuite (lode, adorazione) hanno un aggancio con le situazioni della vita, ora tristi ora liete; ciò non è a caso, è in profonda simmetria con il fatto che quando Dio si rivela nella sua imperscrutabile libertà si mostra intimamente unito all'uomo: «Io sono Jahvè, colui che è» qui, per dare ascolto al vostro grido di dolore (cf Es 3, 23-25; 3, 7-15). L'uomo va a Dio sempre portando se stesso. Il pregare ne è l'espressione compiuta.
Osserviamo dunque come nell'uomo biblico sia la vita la materia prima della preghiera dell'uomo. Nel triplice senso della domanda che lamenta a Dio le carenze della vita, della fiducia che si fa grazie per la risposta ricevuta, della lode che riconosce ed attesta che la vita (ciò che è, avviene...) ultimamente è dono di Dio. I Salmi, pregati per millenni, in particolare da Gesù, da Maria e dagli apostoli, sono il microcosmo della preghiera biblica.
* Della vita anzitutto si coglie la domanda e la si esprime pregando: supplica di aiuto a causa di malattie, di persecutori e nemici, di carestia e siccità, di sofferenze, di peccato, di morte, di male. Sono i salmi di supplica o di lamentazione (es. Sal 55). Nei Vangeli vi corrispondono i lamenti dei poveri (malati, lebbrosi...) che chiedono aiuto a Cristo. Il lamento di Cristo stesso nella passione è la vita che si fa drammatico lamento.
* Al lamento fa seguito la fiducia e il ringraziamento per il bene conseguito: contro la siccità, per scampato pericolo (v. Sal 107) con i quattro ex-voto del viaggiatore (vv. 4-9), del prigioniero (vv. 10-16), del malato (vv. 17-22) e del marinaio (vv. 23-32), per il fatto che «Tu sei il mio pastore... non manco di nulla» (Sal 23). Nel Vangelo, ricordiamo l'atto di affidamento di Cristo al Padre (Lc 24, 46).
* L'inno non esprime a Dio le domande della vita, ma i doni che sono nella vita, riconosce che quest'area della vita che perlopiù vediamo sotto il versante del lamento, anzi della lamentela, insomma di qualcosa che manca, va anche vista in ciò che Dio vi ha posto di positivo: si loda e si ringrazia Dio per il solo fatto che c'è: «Quanto è grande il tuo nome» (Sal 8, 10), per le azioni da lui compiute: la creazione, cioè l'uomo (Sal 8) e le creature tutte (Sal 104); gli interventi di Dio nella trama della storia umana (Sal 136); l'esistenza di Sion, Gerusalemme (Sal 84); la persona del re (Sal 45). Nel Vangelo viene ricordato un inno di gioia di Gesù che ringrazia Dio perché Lui, il Padre, Dio infinito, si cura, si rivela ai più piccoli (Ml 11, 25).
Ancora più in profondità, la preghiera altro non è che la vita colta nella sua esistenzialità più intima, la quale si esprime nel desiderio. Il desiderio dell'uomo nella sua realtà di aspirazione verso un completamento di sé in termini radicale è la matrice sostanziale del pregare, perché - come vedremo - è anche il corrispettivo della benedizione: Dio benedice, viene incontro ai desideri sostanziali dell'uomo. Potremmo dire che il desiderio dell'uomo è come un sigillo lasciato sulla cera: è un'impronta preziosa, qualificata, che però rimanda ad altro (al sigillo) di cui non dispongono. È in-vocazione.
* A. Rizzi con la solita profondità parla di «messianismo nella vita quotidiana» (titolo di un suo libro, Marietti, Torino 1981).
Egli pensa che la nostra esistenza è come la cera che ha in sé il sigillo della promessa messianica. Esaminando il nostro desiderare quotidiano attraverso il filtro delle nostre azioni, noi vediamo che siamo in interazione continua con il mondo, con gli altri, con noi stessi. Questa interazione ci fa vivere, ma ci fa anche soffrire notevoli frustrazioni, delusioni, per cui nasce profondo il desiderio che potremmo chiamare utopia, di un'armonia migliore con la natura, con gli altri, con noi stessi. Di qui sgorga il nostro pregare esistenziale, anche senza parole, il pregare per il compimento dei nostri desideri.
* Cosa c'entra il messianismo in questo? Ecco la suggestiva intuizione di Rizzi. Le profezie messianiche, quelle che leggiamo nei profeti (Amos, Osea, Isaia, ma anche Gesù...) altro non sono che il riscontro di Dio al desiderio dell'uomo, la sua utopia a riguardo della nostra. Ma mentre la nostra tanto è insistente altrettanto è fragile, è il brivido di un desiderio, l'utopia di Dio è imprevedibile e gagliarda come lo Spirito, il soffio stesso di Dio.
Notiamo che la sostanza del messianismo riguarda lo Shalom, la pace, l'armonia integrale e definitiva:
- dell'uomo con il cosmo (Is 11, 1-6: il lupo dimorerà con l'agnello; Os 2,20-23);
- dell'uomo con gli altri (Is 2, 4: forgeranno le loro spade in vomeri, 9, 6; Os 2, 20; Is 32, 18).
- dell'uomo con se stesso (assenza di malattia e difetti, Is 35, 5-6: allora si apriranno gli occhi dei ciechi...; abbondanza dei beni materiali; Is 35, 1-2.6-7: si rallegrino il deserto e la terra arida; Ez 34, 26-29: fioriranno opere di giustizia; Is 32, 16s: nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una sicurezza perenne; ciò grazie allo Spirito di Dio: Is 11, 2, al cuore nuovo: Ez 36, 26s).
* Dio dunque viene incontro con il suo messianismo di risposta e di dono al nostro messianismo di domanda e di invocazione.
Per noi pregare altro non è che far vibrare la potenza del nostro desiderio di integrità ed armonia in tutte le direzioni, far vibrare questa potenza incoercibile del desiderio verso il Tu di Dio e attendere da lui, e come vuole lui, la promessa dello Shalom.
* Prima, passando in rassegna i salmi, vedevamo come l'area della vita fosse piena di tanti desideri, spiccioli, categoriali; ora leggendo le promesse messianiche scopriamo che l'area della vita è l'area del desiderio come tale, è in se stessa un desiderio totale, trascendentale, decifrato come ricerca di comunione verso il cosmo, verso gli altri, verso noi stessi; anzi abbiamo scoperto che Dio promette la grandezza della sua liberazione messianica anticipandola in certo modo nella tensione del nostro desiderio. La nostra vita è l'impronta del sigillo di Dio, esso è radicalmente segnato in me eppure non ne dispongo. Noi siamo il nostro desiderio.
Ma non è del tutto vero il contrario: il nostro desiderio è commisurato su Dio, smisurato come lui, una sua risonanza ora lieta ora sofferta, sempre in attesa. Dio ci risponde con lo Shalom. Lo Shalom è la sostanza della sua benedizione!
LA BENEDIZIONE IL SIGILLO DI DIO
La vita, le aspirazioni, il desiderio che la costituiscono, formano l'area della nostra preghiera, che ora si lamenta, ora ringrazia, ora riconosce che Qualcuno opera e lo loda. Questa è la materia prima, informe, e soprattutto tanto ardente quanto fragile, su misura di noi stessi. Chi verrà incontro a noi? Chi darà forma alla nostra preghiera? Chi ci assicura che non è puramente protettivo e illusorio il guardare in su? Come Dio manifesta il suo messianismo di risposta al nostro di domanda? Riconosceremo finalmente il vigore del sigillo sull'incavo che esso stesso ha suscitato? Qui subentra il mistero della divina benedizione.
La benedizione è proprietà radicale di Dio, che l'uomo semmai è chiamato a ricevere per ricambiare. Infatti il bene è qualità ultimamente di Dio; il dire bene, se non vuole essere puro auspicio come sono le nostre parole, ma un fare ciò che si dice (dire bene = fare bene), anch'esso è prerogativa del solo Dio (l'unico che «disse e così avvenne», Gen 1). In effetti il verbo barakeuloghein è strettamente legato a Dio. 398 volte nel NT. E il suo senso originario pare voler dire «forza che produce salute». Unico ultimamente è il soggetto di benedizione, Dio, ma attraverso due atti: Dio come soggetto attivo, che benedice l'uomo (es. Abramo); Dio come soggetto passivo che viene benedetto dall'uomo in quanto viene riconosciuto come fonte originaria del benedire («Benedetto il Signore, Dio di Israele...», canta Zaccaria nel vangelo di Luca). L'uomo non può benedire un uomo se non come mediatore della benedizione di Dio (il sacerdote).
Nello sviluppo della nostra riflessione, la benedizione si colloca in un momento strategico, decisivo: è l'azione con cui Dio garantisce che il nostro pregare, che nasce dalla vita, l'ardore del nostro desiderio, viene accolto da Dio, anzi in se stesso ne è una risonanza, è il calco del sigillo della divina benedizione nella cera del desiderio.
Il benedire, spiega molto bene C. Westermann nella sua Teologia dell'AT (Paideia, Brescia 1983) è, con l'opera di salvezza, il pilastro dell'agire di Dio nel mondo. Egli è verso il mondo come Dio benedicente oltreché come salvatore.
Due sono gli interventi di Dio nel mondo: la benedizione e la salvezza. Questa è fatta di singoli atti storici (esodo, Giudici, ritorno dall'esilio, la morte e risurrezione di Cristo) e avviene in relazione a persone determinate (Israele); la benedizione è invece l'azione divina quieta e costante, che si incrocia sì con il progetto di salvezza, ma per renderlo stabile e aprirlo all'universalità. La benedizione biblica conosce uno sviluppo in tre tempi: alle origini del mondo, nel farsi della storia del popolo di Dio, nella nuova creazione finale.
* La benedizione è anzitutto legata alla creazione, alla costituzione del mondo, di cui afferma la bontà, la stabilità e la continuità, insomma il giusto ordine del mondo. Nel primo racconto di creazione, ma anche negli scritti sapienziali (Giobbe...) leggiamo che «Dio benedisse» ciò che ha creato, a partire dalla vita (per l'uomo biblico una cosa c'è veramente se è viva!): dunque benedisse gli esseri viventi (Gen 1, 22), benedisse l'uomo e la donna con le parole dell'abbondanza della vita e del suo gusto (1, 26-28; 9,1). L'effetto di questa benedizione solenne che fascia con il manto della tranquillità e dell'ordine il mondo è bene descritta da Westermann: la benedizione è l'azione con cui «Dio opera silenziosamente e inavvertibilmente, fa crescere e prosperare, fa sì che i bambini nascano e crescano, dà successo al lavoro. La benedizione rende possibile all'uomo riferire a Dio tutta la sua vita, nel suo scorrere di giorno in giorno, di anno in anno, e riceverla dalle sue mani, specialmente nell'oscurità degli avvenimenti quotidiani, in cui non avviene nulla di particolare. La benedizione non concerne solo gli avvenimenti importanti, ma il fluire della vita di ogni giorno» (Teologia dell'AT, 138).
* Nella vicenda di Israele conosciamo tre momenti di benedizione:
- le benedizioni ai Patriarchi (Gen 12ss) che inglobano il patriarca, la famiglia, i discendenti, la terra, generano come un senso di stabilità e sicurezza su Israele: tutto ciò che avviene anche di drammatico è nelle mani fedeli di Dio. Solo il rifiuto di Dio, dirà il Deuteronomio, ha a che fare ancora con la benedizione, ma alla rovescia: incontra la maledizione (Deut 28). È doveroso ricordare che l'alleanza che dovrebbe reggere per sempre il rapporto tra Dio e il popolo è sostenuta da benedizioni e anti-benedizioni, cioè maledizioni (cf Es 19-24);
- vanno poi nominate le benedizioni di Dio sulle istituzioni della vita sedentaria con la monarchia. Segnatamente Dio benedice il Regno (2 Sam 7) e il culto del tempio (Num 6). La benedizione divina assicura stabilità e protezione di Dio sul popolo, fino a quando almeno il popolo ribellandosi non si espone alla maledizione. I Salmi manifestano come questa benedizione fonte di sicurezza attraversa la vita del popolo, grazie alla benedizione dei sacerdoti (Sal 115, 14s; 118, 26): la benedizione tocca tutto il paese, le case, i campi, la famiglia, il bestiame, in sintesi l'area della vita nei suoi bisogni elementari;
- infine la benedizione si protende verso il futuro messianico. Appare nei profeti del dopo esilio per indicare l'azione futura di Dio che accompagna continuamente la vita degli uomini. Il linguaggio di benedizione si confonde con quello di salvezza, coincidendo con il dono di Shalom, i cui contenuti corrispondono ai grandi contenuti della benedizione: pace, totalità di beni, riconciliazione con il mondo, gli altri e se stessi. Il messianismo allora, di cui abbiamo fatto cenno, è un grande atto di benedizione salvatrice.
Westermann perviene ad una conclusione luminosa sul senso di benedizione nella Bibbia: «11 discorso sulla benedizione vuol significare che il rapporto con Dio abbraccia tutto l'arco dell'esistenza umana, dalla nascita fino alla morte. Esso include il crescere, il maturare, l'aumento e la diminuzione delle forze, il guarire e il riprendersi, l'aver fame e il saziarsi.
Si riferisce inoltre all'uomo nella società, dal matrimonio e dalla famiglia fino a tutte le differenziazioni della vita sociale, all'uomo nel suo lavoro, nella vita economica con tutti i suoi problemi. L'uomo quale membro del popolo di Dio è pur sempre inserito in questi più ampi campi dell'esistenza umana. La benedizione che ha la sua origine nella benevolenza dispensata dal creatore a tutte le creature, è concessa all'uomo quale essere convivente con gli altri esseri. La benedizione fa sì che il rapporto che lega l'uomo a Dio si estenda, in piena coscienza, al genere umano di cui fa parte a tutti gli esseri viventi» (Teologia dell'AT, 150). La salvezza che è diversa dalla benedizione però si compie, si estende attraverso la benedizione.
Il NT non apporta nulla di nuovo se non la novità che è Gesù, la potenza, l'universalità, la grandezza che è la benedizione di Dio tramite Gesù. Significativi sono i riferimenti della benedizione a Gesù: egli è sotto la benedizione di Dio come suo dono fin dagli inizi (Lc 2, 28) e poi nella conclusione («Benedetto colui che viene nel nome del Signore, Mt 23, 29); Gesù benedice lungo la sua vita i pani e i pesci (Mt 14, 19), il pane e il vino della Cena (Mt 26, 26), i bambini (Mc 10,16); Gesù benedice il futuro: «Li condusse fino a Betania, e levando le mani li benediceva» (Lc 24, 50); «Venite benedetti dal Padre mio» (Mt 25, 34).
Si comprende che come Dio è soggetto attivo di benedizione sia anche colui che è il massimo ricevente la benedizione. Egli è il «Baruk» per eccellenza. I Salmi testimoniano questo riconoscimento del supremo benedicente: Dan 3 (il cantico delle benedizioni, vera sinfonia cosmica della benedizione); Sal 103 (Benedici Signore anima mia); Sal 134 (Benedite il Signore, voi servi del Signore); Sal 96 (Cantate il Signore, benedite il suo nome). Nel NT Dio il Padre è benedetto per eccellenza tramite il Signore Gesù, il sigillo del Dio vivente (2 Cor 1, 34: Efes 1, 3; l Pt 1, 34).
QUALCHE CONCLUSIONE
In sintesi, diciamo che per l'uomo biblico, vita (= realtà) e benedizione di Dio si richiamano intrinsecamente a vicenda. La vita ha bisogno di benedizione per essere, per continuare ad essere. La benedizione di Dio non ha altro oggetto che la vita: Dio vuole una vita buona del mondo, delle persone: Dio benedice.
«I bambini che nascono sono la benedizione di Dio in corso».
Non c'è un prima e un dopo, tra vita dell'uomo e benedizione di Dio, ma un insieme di fattori, di valore asimmetrico, strettamente correlati e da mantenere tali.
La preghiera è l'espressione privilegiata di tale rapporto, è il circuito vita e benedizione diventato voce cosciente. Non sono vivo se non so di esserlo; e so di esserlo pienamente, soltanto se arrivo alla benedizione di Dio che mi fa essere vivo. La preghiera è questa consapevolezza che sceglie di pronunciarsi apertamente: nei termini di lamento, di ringraziamento, di confessione gioiosa, laudativa (l'inno).
Ancora più in profondità, dobbiamo dire che se la vita è sigillata dalla benedizione, avviene che questa precede in ordine di valore la mia vita, precede la mia preghiera, rende possibile lo stesso mio lamento. Perché sono benedetto, vivo e dunque prego, come anche prego per essere benedetto e dunque vivere (per continuare a partecipare alla benedizione di Dio). Noi viventi, tutto ciò che è positivo nel mondo, siamo sotto la benedizione di Dio.
La divina benedizione appare così come l'atto di semina di Dio nel mondo, ed ora ne conosciamo il tragitto. Essa suscita e mantiene la vita, ne stimola il desiderio, ne orienta la domanda, l'apre al riconoscimento della benedizione di Dio e la trasforma essa stessa in benedizione. «La Parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero, e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (Is 55,11).
La preghiera è dunque il ricamo rovesciato del disegno di Dio verso di noi, l'impronta del suo sigillo. Non potremmo pregare se non sapessimo che Lui è rivolto a noi benedicente, che Egli va suscitando la nostra domanda per farci dono della sua risposta e secondo la sua risposta. Nel pregare è più importante la certezza della sua benedizione che la rievocazione puntigliosa delle nostre domande.
Una vera preghiera non può che essere attenta alla vita, e dunque non può che essere allacciata alla benedizione, non può che diventare benedizione. La preghiera è un risonare benedizione a proposito della vita. La preghiera più alta è la benedizione: lasciarsi benedire e voler benedire. Cristo dirà come culmine della identità cristiana: «Amate i vostri nemici... benedite coloro che vi maledicono» (Lc 6, 28), e Paolo ai Romani: «Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite» (Rom 12,14).
Ricordiamo infine che è proprio del benedire di Dio farsi generoso dono di sé a noi. Dio non solo parla bene, ma offre dei beni. Si intuisce come una preghiera che voglia legare vita e benedizione non può che diventare dono, prolungamento del dono di amore con cui il Padre ci dice cose buone e ce le dona. La preghiera si fa carità.
Ed infatti ai tempi di Gesù avveniva che quando lui benediceva il pane e i pesci, o donava lo Shalom di Dio ai malati che gli esprimevano il loro desiderio di vita, allora sorgeva la preghiera di benedizione: «Ha fatto bene ogni cosa: ha fatto udire i sordi e parlare i muti» (Mc 7, 37).
«Benedetto il Signore Dio dell'universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell'uomo, lo presentiamo a te perché diventi per noi cibo di vita eterna».