Coltivare la speranza


Incontro-intervista con Mons. Lorenzo Chiarinelli

a cura di Giancarlo De Nicolò

(NPG 1992-01-6)


Occorre anzitutto fare una costatazione previa: la vita delle comunità ecclesiali, soprattutto delle parrocchie, le esperienze associative o le iniziative di servizio e in genere la prassi pastorale italiana non è senza i giovani. Ma affermare questo non vuol ancora dire protagonismo, priorità, contestualizzazione. Sta solo ad indicare una presenza.
Da questa situazione, evidente e immediatamente verificabile, si è già in parte usciti e si sta comunque decisamente uscendo.

NON SENZA I GIOVANI

Quali i segni e i fattori del passaggio? L'analisi potrebbe e dovrebbe essere lunga. Enuncio solo alcuni elementi.
Il primo, particolarmente caro all'esperienza salesiana, è la simpatia per la figura e l'opera di don Bosco. Quella autoconsapevolezza della sua vocazione («il Signore mi ha mandato ai giovani») fa parte non solo della spiritualità salesiana, ma anche della sensibilità italiana.
Inoltre, la lunga e diffusa tradizione dell'Azione cattolica, soprattutto nei settori giovanili, ma anche nelle sue diverse articolazioni; e poi la cura per l'educazione vissuta all'interno delle scuole cattoliche, l'insegnamento della religione nelle scuole... hanno rappresentato contatti vivi e diuturni con il mondo giovanile.
C'è poi l'evento del Concilio Vaticano II e il Messaggio ai giovani. Forse non è stato tenuto sempre presente, ma quell'appello in cui si diceva «la Chiesa vi guarda con fiducia e con amore» e poi «guardatela», ha suscitato non poche risposte.
È seguito il periodo cosiddetto «della contestazione», circa il quale sarebbe lungo qui rivedere cause e tematiche, ma che in ogni caso evidenzia l'emergere di una nuova soggettività sociale ed ecclesiale.
Evidentemente la progettualità con cui si confronta è utopica, con tutte le sfasature che può comportare e, per di più, con due connotazioni fortemente limitative: lo sradicamento (è una presenza senza memoria) e la settorializzazione (perché distacca dal contesto).
A questi fattori che segnano una più attenta considerazione del mondo giovanile se ne unisce, in questi ultimi anni, un altro non secondario, anzi trainante: la persona e l'opera di Giovanni Paolo II. «Voi siete la speranza», egli afferma, rivolto ai giovani, agli inizi del suo pontificato. E poi ancora: «La speranza mia, la speranza della Chiesa, la speranza del mondo». Da qui l'incontro, il dialogo e il coinvolgimento che la celebrazione delle giornate mondiali della gioventù confermano chiaramente (basti ricordare le due ultime, quella di Compostela e di Czestochowa).
In questo orizzonte si colloca la scelta della Chiesa italiana: con una motivazione nuova e soprattutto con nuove prospettive. Ne ricordo tre.
La Chiesa italiana ha recentemente pubblicato gli «Orientamenti pastorali per gli anni Novanta: Evangelizzazione e testimonianza della carità». La terza parte del documento affronta il nodo delle vie per annunciare e testimoniare il Vangelo della carità: la prima di queste vie è «educare i giovani al vangelo della carità». È un grande segno e una scelta impegnativa.
Forse per la prima volta emerge la priorità del dato giovanile in un piano pastorale, e per di più all'interno di orientamenti che intendono innervare la pastorale italiana per un decennio, l'ultimo del secolo e preparatorio del terzo millennio.
Questa prospettiva di novità e di giovinezza richiamata dal Papa si colloca in un orizzonte non solo di contesto europeo ma mondiale, ed è un passaggio epocale che particolarmente chiama a protagonismo i giovani.
Un secondo segno lo vedo nella revisione dei catechismi: una revisione che, attraverso due volumi specifici, ha fatto identificare l'area giovanile con le fasce degli adolescenti e dei giovani propriamente detti. Già in questa configurazione si intravede un progetto educativo e un'area pastorale significativa.
Un terzo segno: la costituzione di un punto di riferimento per la pastorale giovanile presso la segreteria generale della CEI, con l'intento di conoscere la situazione giovanile in Italia e di offrire sussidi alle chiese locali. Per ora inizia, ma il suo compito si delineerà sempre meglio.
Piccoli fatti, che però indicano la positività di un progetto e di una proposta, e si propongono di superare tentazioni ricorrenti nella pastorale, che bloccano il cammino.
Che sono:
- la marginalizzazione dei giovani: la pastorale qualche volta usa verso i giovani un atteggiamento di tolleranza, di attesa, di sdrammatizzazione, quasi a dire: c'è un passaggio obbligato, che è la giovinezza; aspettiamo che passi e seguitiamo il cammino ordinario della vita. Una tentazione che va vinta;
- il messianismo giovanilistico: è la tentazione opposta, che consiste nel vedere l'arco di età giovanile come il mondo dell'autenticità, della libertà, della evangelicità.
Conosciamo i grandi valori che l'età giovanile racchiude, ma il messianismo giovanilistico evidentemente non educa i giovani e non fa crescere le realtà che i giovani portano dentro un determinato contesto;
- una terza tentazione è quella della separatezza: la separatezza dell'esperienza e della prassi giovanile dal contesto sociale ed ecclesiale, e la separatezza delle diverse esperienze tra di loro. Sul piano della prassi quotidiana questo snerva energie che evidentemente non si possono sciupare.

PASTORALE GIOVANILE IN ITALIA

Come le tentazioni descritte sono sempre ricorrenti e bisogna esserne costantemente avvertiti, così bisogna essere consapevoli del quadro socioculturale in cui il giovane vive.
L'analisi approfondita porterebbe molto lontano. Mi limito ad accennare ad alcuni elementi del quadro, quasi a slogan, ma il cui significato è già sufficientemente evidente.
Anzitutto la marginalità e la caduta di senso. Oggi lamentiamo molto la caduta di senso nel mondo giovanile; bisogna però metterla in stretta connessione con la marginalità. Quale e dove è lo spazio, i modi di impegno e le chiamate a protagonismo del mondo giovanile?
In secondo luogo la frammentarietà e la perdita del centro. Si parla oggi di disaggregazione, a tutti i livelli, e ne sono state fatte anche delle analisi molto puntuali.
Il giovane non ha più un centro: non solo sul piano propriamente psicologico e della identità personale, ma anche su quello culturale, sociale e religioso.
Ma come non vedere questa perdita del centro in correlazione con la frammentarietà del contesto in cui il giovane vive? Perché il mondo della scuola, il mondo sociale, la stessa realtà familiare, le esperienze di tempo libero, più che «ambienti» e proposte, sono frammenti, schegge di un universo che sembra saltato e che fa fatica a ricompattarsi.
Infine un altro elemento del quadro: la eccedenza di opportunità provvisorie e il pragmatismo strumentale.
Il giovane ha delle opportunità molto numerose e a tutto campo, però provvisorie e immediate, che generano in lui una mentalità di strumentalità pragmatica, che significa cogliere le diverse opportunità, vedere che cosa da esse si può ricavare, e poi passare oltre.
Tutto questo genera talora il senso di crisi morale, talaltra di irrazionalità, presente in alcune fasce giovanili, ma di cui il quadro socioculturale evidentemente porta i segni perché ne diventa contemporaneamente causa ed effetto.
Ne deriva la necessità di un salto qualitativo che vorrei indicare con l'espressione «coltivare la speranza». E non soltanto a livello di idealità, di valori, ma individuando direttrici di azione. Che potrebbero essere le seguenti.

Alcune direttrici d'azione

La prima è «la pastorale del contesto». In un mondo frammentato in situazioni marginali, nella orgia della provvisorietà che sembra oggi avvincere i giovani (e non solo i giovani), occorre recuperare il rapporto fra il tutto e il frammento. Qualche anno fa si diceva «tutto e subito», mentre oggi si corre il rischio di passare all'altro eccesso, del «niente e mai», o di fermarsi nel provvisorio. Bisogna riaiutare o aiutare in maniera seria i giovani a cogliere nel frammento il tutto e a vivere il tutto nel frammento, cioè nella loro realtà quotidiana. Ecco il senso del discorso sulla pastorale della famiglia, sulla pastorale della scuola, sulla pastorale del tempo libero, dello sport, ecc., che non possono più essere visti come mondi a sé, ma come spazi in cui la vita, le risorse, i bisogni e il protagonismo dei giovani trovino delle risposte adeguate.
Le realtà vanno ,allora coordinate e non ci può essere se non una pastorale di osmosi, di organicità sia nella proposta che nella realizzazione.
Una seconda direttrice lungo cui camminare la definirei «la pastorale del significato», proprio adeguata per un tempo caratterizzato dalla frammentarietà, provvisorietà, molteplicità degli stimoli. Il cammino da proporre non può non partire dal reale, ma dal reale che va verso l'ideale. La «pastorale del significato» diventa allora «ermeneutica dell'esistenza». Ciò che il giovane vive, le realtà che esperimenta, le domande che pone o che gli vengono poste, devono trovare il modo di svelarsi nel loro significato, e questo è compito grandemente educativo. Pur non ritornando alla maieutica socratica, credo che lo sforzo di rivelazione dei significati del reale debba risultare compito primario della pastorale.
Siamo poi a una terza direttrice: «la pastorale della compagnia». Ma questo non ha soltanto il grande significato liturgico dello spezzare il pane, bensì anche il significato che mutuiamo dal racconto di Luca 24 «i discepoli di Emmaus», cioè del fare strada insieme, del reinterrogare e lasciarsi interrogare, del tentativo di cogliere i significati e del saper anche sostare insieme. Tutto questo, espresso soltanto come immagine e nel suo orizzonte allusivo, può essere un programma, uno sfondo di pastorale quanto mai impegnativo.
Quanto detto si traduce poi anche in interventi concreti, fatti di organizzazione, di strutture, di «preoccupazioni».
Posso dire quello che matura in questa direzione nella Chiesa in cui svolgo il mio ministero di vescovo, cioè nella Chiesa di Sora, Aquino e Pontecorvo.
Vorrei ricordare alcuni dati di carattere strutturale e organizzativo e altri di carattere contenutistico e pedagogico. Nella prima fascia ricordo «la consulta giovanile», dentro al Consiglio diocesano dei laici. Il laico è chiamato ad una presenza, un protagonismo, come ricorda il Sinodo su «la vocazione e la missione dei laici», che però non può disattendere la realtà giovanile, e non come oggetto di attenzione, bensì come soggetto di azione dentro una realtà ecclesiale.
Il secondo gradino è la promozione di esperienze associative diverse. In un mondo frammentato non si può dare una risposta di omologazione, bensì bisogna offrire varietà di esperienze secondo situazioni, carismi, sensibilità: e non parlo solo delle tradizionali associazioni giovanili, mi riferisco anche alla sfida e alla chance del volontariato, inteso come conoscenza dei bisogni e abilitazione operativa alle risposte.
E i giovani, in questo sforzo del conoscere e del rispondere sono particolarmente non solo sensibili, ma capaci, e con notevole capacità di fantasia e di risultati .
Per arrivare al piano dei contenuti, a tutto questo faccio seguire delle mete ideali che diventano anche impegni concreti. Nel mio caso le ho mutuate dai tre patroni delle sedi vescovili che ora compongono la mia diocesi: San Giovanni Battista, San Tommaso d'Aquino e Santa Restituta.
E così ai giovani, facendo riscoprire anche alcune radici, ho proposto queste tre mete: alla luce del Battista scoprire Cristo; alla luce di Tommaso d'Aquino pensare in grande; e, alla luce di Santa Restituta, martire sorana, testimoniare con la vita.
Sul piano dei referenti ideali possono essere delle indicazioni non solo suggestive, ma anche fortemente provocatorie.

UNO STRUMENTO E UN SERVIZIO PROVVIDENZIALI

Circa NPG, personalmente ritengo che sia stato e sia uno strumento provvidenziale di promozione: una specie di enciclopedia pedagogica, perché al di là degli interventi immediati, della provvisorietà di alcuni approcci o delle immediate risposte che una rivista deve cogliere e dare, certamente c'è un patrimonio che diventa una ricchezza non eliminabile nel cammino della pastorale giovanile italiana.
Io ritengo anche che alcuni esiti del nostro oggi abbiano la loro radice in «Note di pastorale giovanile». Ne vorrei ricordare tre: il Dipartimento di pastorale giovanile presso la Pontificia Università Salesiana, che è un grande segno e un fatto emblematico. Poi, la lettera «Juvenum Patris» di Giovanni Paolo II, del 31 gennaio dell'88, che riletta, non solo aiuta a cogliere la proposta pedagogica di san Giovanni Bosco, ma diventa una proposta di pedagogia giovanile. Infine, il Dizionario di pastorale giovanile pubblicato nell'89. Sono esiti felici, una fioritura che affonda le sue radici in questi venticinque anni della rivista.
Vorrei a questo punto precisare degli obiettivi da perseguire ancora con grande costanza e perseveranza. Anzitutto continuare la proposta di una pastorale giovanile intesa come l'andare oltre il «ricettario» (un rischio molto frequente), oltre il «folklore» (basta guardarsi intorno per vedere che spesso pastorale giovanile e folklore sembrano coincidere), e oltre l'«isola pedonale», cioè una pastorale giovanile che diventa l'isola in cui non risuona la vita sociale, culturale, politica. Vedo che è un lavoro di sensibilizzazione sociale e di abilitazione sul piano politico, già avviato ma certamente da riprendere e rilanciare.
Un secondo obiettivo lo vedo nel perseguire ancora la serietà di studi, ricerche e analisi. Sul mondo giovanile proprio perché mondo fluido, sempre nuovo, le ricerche sono molte, ma si corre il rischio della superficialità da un lato e della banalizzazione dall'altro. Questa serietà di ricerca e di analisi non è solo una caratteristica, ma una eredità da custodire e da far crescere di continuo.
Un altro obiettivo, che diventa anche una richiesta pressante, è la proposta di contenuti e di esperienze educative. Si nota, in genere, quando si affronta la pastorale giovanile, una prevalenza dell'aspetto metodologico. «Note di pastorale giovanile» può invece continuare ad offrire un preziosissimo contributo sul piano contenutistico ed esperienziale, anche perché la domanda dei giovani è una domanda «consumistica», che brucia le proposte, le attese, ed esige allora grande disponibilità e attenzione alle novità, non come svendita di contenuti e di impegni, ma una novità che è fare appello alle stesse energie sempre nuove e alle stesse domande sempre aperte dei giovani.
E da ultimo penso che occorre favorire il raccordo di progettualità con le chiese locali.
Si deve guardare come referente di pastorale giovanile la Chiesa locale, il cui cammino di questi anni è stato certamente notevole, ma che non sempre trova una adeguata progettualità, bensì vive nell'improvvisazione, spinta dalle emergenze, sollecitata da sensibilità che variano da luogo a luogo, da persona a persona, e che rendono smagliato un tessuto che invece dovrebbe essere organico e articolato.
E tutto questo «raccordato»: un raccordo tra i progetti e le realizzazioni, tra le chiese locali diverse, tra la pastorale giovanile e il contesto sociale ed ecclesiale italiano. Su questo NPG, con la competenza di cui è ricca, può aiutare, sollecitare, arricchire.
Venticinque anni sono un traguardo degno di tutto rispetto per una rivista, ma diventano anche la carta di credito per il cammino ulteriore in un momento in cui la pastorale giovanile, nel cuore della nostra chiesa, e il fatto educativo in genere nell'orizzonte culturale e sociale in Europa e nel mondo, trovano una loro priorità singolarissima.