(NPG 91-10-6)
C'è un rischio oggi nell'iniziazione cristiana dei ragazzi difficile da sfuggire: quello dell'indottrinamento, cioè di una sovrapposizione o di una giustapposizione dei contenuti catechistici, magari ben confezionati, alla vita concreta dei preadolescenti, con i loro problemi di crescita, i loro bisogni, compreso quello di dare un significato, anzi una direzione (un «senso»), a tutta l'esperienza nuova che vivono. Il tutto però senza «agganciare», senza afferrare la vita.
Così il più delle volte la catechesi con i preadolescenti si riduce ad un tentativo di «iniziazione religiosa», piuttosto che divenire un vero «cammino di crescita nella fede», un itinerario progressivo che espliciti e potenzi (anche con l'aiuto della «parola») il vissuto di salvezza presente all'interno di quel grande «cambio» che è la loro crescita. Così l'età dell'esodo non riesce a condurre ad alcun incontro sorprendente, né alla costituzione di nuovi «patti» di liberazione.
INIZIAZIONE E CONTENUTO REALE DELL'ESPERIENZA Dl SALVEZZA
Ogni religione e ogni iniziazione religiosa possiede le proprie dottrine su Dio, il mondo, l'uomo, la comunità; ha i propri riti, una qualche legge più o meno sacralizzata, dei ruoli, dei compiti e delle tappe, e ciò sempre all'interno di una concreta comunità. Ciò che è assolutamente prioritario oggi, nel riflettere sull'esperienza cristiana e sulla sua comunicazione, è il ricupero del suo specifico rispetto ad una qualsiasi esperienza religiosa. Se non si tiene conto di questo, si rischia di cadere nel tentativo di far partecipare i preadolescenti a dei riti, di ottenere una adesione momentanea a delle pratiche comportamentali, di indurre all'osservanza di norme etico-religiose immediatamente rimesse in discussione nel corso della scoperta del mondo della vita. Ma questo è solo l'aspetto religioso, esterno della realtà di fede cristiana. Che cosa è specifico allora nell'esperienza di salvezza reale che scaturisce dal mistero cristiano?
La realtà dell'esperienza della salvezza cristiana
Salvezza reale significa che essa è presente ancora prima di prendere coscienza, o prima di saper esprimere i contenuti di questo vissuto entro figure simboliche e rituali. La realtà è sempre più vasta di ciò che la persona vive. Il vissuto è sempre più esteso di ciò che in un dato momento viene coscientizzato. Molto di ciò che noi viviamo resta subconscio o nell'inconscio, eppur tuttavia esso agisce ugualmente sulla persona, perché è qualcosa di «nostro». E quanto riusciamo a portare alla coscienza è sempre più vasto e più ricco di quanto riusciamo ad esprimere verbalmente nei giochi linguistici, sia discorsivamente che simbolicamente. Vi sono tante cose che emergono nella nostra coscienza in forma intuitiva, ma spesso non riusciamo a trovare i concetti, le parole adeguate, i simboli fedeli in grado di esprimerle salvandone il senso. Una parte di noi e della nostra esperienza rimane «indicibile». Ora, la realtà del «mistero cristiano» è realtà che precede il vissuto; e il vissuto di salvezza è qualcosa di più ampio di ciò che viene coscientizzato e che di conseguenza si esprime con parole e simboli.
Il centro del mistero cristiano
Il centro del mistero cristiano è il mistero pasquale. Cioè la pienezza di vita in umanità del Figlio di Dio, il Vivente, che è fonte e forma di ogni espressione veramente umana e del crescere della vita. Gesù il Signore è l'uomo pienamente e perfettamente realizzato; e quindi è la «forma», il «modello» su cui può essere costruita l'umanità di ogni uomo. Dove c'è il tutto ci stanno anche le parti, i frammenti di umanità. Nell'oceano che è l'umanità del Signore risorto ci stanno anche i rivoli che siamo noi con la nostra limitata umanità. Proprio in grazia dell'umanità del Cristo Risorto, ad ogni uomo è concesso il dono dello Spirito di Dio, che diviene presenza interiore, forza che sospinge ogni libertà umana alla realizzazione in pienezza. Questa presenza interiore, dono reale di vita, anche se spesso non ne prendiamo coscienza, informa anche la realtà più profonda della nostra vita, personale e collettiva. Se questo dono della vita in pienezza nello Spirito che ci è stato dato per mezzo del Risorto è reale, esso è all'opera nella libertà di ciascuno di noi, anche prima che noi ne prendiamo coscienza e tentiamo di leggerne la sua azione, per poter acconsentire con la libertà e responsabilità dilatate dalla consapevolezza soggettiva.
L'esperienza di salvezza in germe nella vita del preadolescente
Da queste premesse si può capire che l'esperienza di salvezza, non ancora coscientizzata e incapace di esprimersi in figure religiose, è già presente in ogni preadolescente, ancora prima che noi lo aiutiamo, attraverso un cammino di fede esplicita, a prendere coscienza della realtà della salvezza operante in lui. L'umanità complessa e scombinata che sta per emergere nel corso della preadolescenza, è una realtà vitale che non è neutrale all'azione dello Spirito, ma è da essa sostenuta. Occorre leggere la realtà del preadolescente come quella realtà in difficile e faticosa crescita, dove lo Spirito è già all'opera là dove questa vita tenta di maturare, di aprirsi, di farsi coscienza e libertà, di entrare in relazione e di donare qualcosa di sé: questa «umanità in divenire» è un'umanità già informata dall'umanità del Cristo Risorto. Per questi motivi il vissuto concreto di crescita del preadolescente non è estraneo alla catechesi, anzi, è necessario collegarsi ad esso per qualsiasi cammino di evangelizzazione della stessa esperienza di vita. È un vissuto che può essere «compreso» all'interno di categorie di salvezza, anche se questo richiede tutta la strumentazione necessaria per conoscere «quella vita» nei suoi bisogni e dinamismi. Allora la catechesi non è più un indottrinamento, un sovraccaricare di risposte religiose domande che non ci sono nel preadolescente. Viceversa: poiché nel preadolescente vi è già una realtà di salvezza che va letta e scoperta, anche se in crescita faticosa, allora riusciamo a «collegare» l'esperienza reale della salvezza con la presa di coscienza e con l'esplicitazione di questo contenuto attraverso l'evangelizzazione e la catechesi nella comunità cristiana.
CATECHESI COME MOMENTO COSCIENZIALE-COMUNITARIO
La catechesi diviene così il momento coscienziale e di riespressione linguistica di questo vissuto di salvezza del preadolescente, soprattutto attraverso quei particolari linguaggi adeguati per dire l'indicibile, capaci di rinviare ad esso: i gesti e le parole carichi di vita che sono i simboli e i riti vitali. In questo momento coscienziale diventa essenziale il riferimento ad un contesto vitale comunitario: la comunità ecclesiale che si fa vicina, visibile, sperimentabile ai preadolescenti, custode e depositaria di una «parola preziosa», non soltanto sua, che la supera, la precede e la giudica, e che le consente di cogliere in profondità e in una verità sempre crescente e mai totalmente compiuta il senso profondo dell'esperienza di vita in quanto esperienza di salvezza: la Parola di Dio. Su questi due punti si deve innestare il vissuto salvifico da purificare e da far crescere, già presente nei preadolescenti.
Fare catechesi
Fare catechesi allora vuol dire «ricucire» continuamente, intessere come i tre fili di un tessuto, e mettere in circolo nel contesto di una comunicazione vitale, tre realtà: la Parola di Dio (in quanto vissuto normativamente espresso e coscientizzato dell'evento Incarnazione), il vissuto di testimonianza della comunità cristiana che ricomprende, riesprime e riattualizza l'esperienza originaria della salvezza, e il vissuto del preadolescente. Esso non è neutrale rispetto alla testimonianza di salvezza offerta dalla Parola di Dio e dalla comunità cristiana. La catechesi è così lo svelamento del senso profondo del vissuto di vita come vissuto di salvezza. Come attivare questo processo? È necessaria una ricomprensione seria della Parola di Dio. Non in forma moralistica, quasi un insieme di orientamenti, esortazioni, modelli, comportamenti da riproporre ai preadolescenti. Essi rifiutano questo che, del resto, non è rispettoso neppure di quella Parola scritta. La Parola di Dio è Gesù Cristo; solo per analogia lo è anche tutto il resto della Bibbia scritta. La prima Parola è l'umanità del Risorto, capace di essere in relazione con l'umanità di ognuno.
La «strada» della Parola
C'è una Parola di Dio che è più ampia della Bibbia, e dentro la quale la Parola di Dio scritta si colloca. La Bibbia allora, cioè la Parola scritta, è da rileggere come l'esperienza di vita e di senso che i primi credenti, le prime comunità cristiane, hanno colto e riespresso nel loro contatto più immediato con la realtà del Signore Gesù. È la codificazione del momento coscienziale comunitario della pienezza della vita che l'umanità del Risorto ha fatto scaturire nel vissuto di queste comunità. Bibbia allora non è un libro di dottrine e di morale, ma è la codificazione scritta, con il linguaggio umano del tempo, di un'esperienza vissuta e di significati nuovi per la vita, colti sotto l'azione dello Spirito, che la comunità ecclesiale riconosce come normativi per tutta l'esperienza successiva lungo la storia. Dire «norma» non significa dire «totalità», bensì «autostrada», cioè via percorribile attraverso cui è possibile accedere all'esperienza di salvezza della prima comunità e quindi del Signore Gesù nella piena verità.
Le tante «piccole strade»
Ma accanto a questa strada principale abbiamo tante altre piccole strade, non così esplicite e normative come quelle della Parola di Dio scritta. Il crescere nell'umanità del Risorto avviene anche attraverso queste piccole strade, in altre forme che non sono quelle testimoniate dalla Parola scritta. Il vissuto salvifico è più ampio di quello testimoniato ed espresso dai primi cristiani e dai cristiani stessi. Questa ampiezza allora è l'ottica da cui rileggere ancora oggi quella Parola e con la quale confrontarsi. L'orizzonte da cui si legge quella esperienza normativa è proprio l'esperienza che ancora oggi la comunità ecclesiale fa della salvezza e l'esperienza che faticosamente, con luci e ombre, stanno facendo anche i preadolescenti. L'orizzonte di rilettura della Parola di Dio scritta allora è il vissuto, la testimonianza, l'esplicitazione, anche dentro le differenti categorie culturali del tempo, del vissuto della chiesa e insieme l'orizzonte di comprensione dell'esperienza della crescita che vengono costruendo i preadolescenti, nei quali l'azione di Cristo risorto e del suo Spirito è sempre presente. La catechesi dovrà operare quindi una rilettura della Parola di Dio che passi attraverso l'esperienza concreta e vissuta della comunità cristiana e anche del preadolescente. Ma anche donare una nuova interpretazione del vissuto dei ragazzi a partire sulla provocazione della Parola che dischiude un «nuovo senso». Rileggere la Parola di Dio dal vissuto della chiesa e dal vissuto dei preadolescenti vuol dire far scaturire dalla Parola di Dio significati sempre nuovi (Gv 16,13).
LA DOMANDA DEL PREADOLESCENTE NEI CONFRONTI DELLA PAROLA
La domanda che ci poniamo ora è la seguente: come sorge nei preadolescenti la domanda nei confronti dei significati normativi per la comunità cristiana? Al preadolescente di oggi infatti sembra non interessare direttamente o in forma immediata e urgente la domanda intorno alla Parola, né lo tocca più di tanto il bisogno di leggere il vangelo, di avviare un discorso su Dio. Nel preadolescente ancora non affiora con urgenza l'esigenza di una consapevolezza religiosa cristiana, o credente in genere, intorno alla propria esperienza di vita e di crescita. La domanda non sorge spontanea, al di fuori di una determinata esperienza di identificazione o di «incontro» significativo. Essa sorge quando il preadolescente viene a contatto con la testimonianza concreta e sperimentata di una comunità che lo accoglie ed è disposta a mettersi in comunicazione con lui; che si interessa di lui, dei suoi bisogni e della loro elaborazione, delle sue domande di vita che cercano percorsi autonomi di risposta, senza alcuna pretesa manipolatrice. Solo a questa fondamentale condizione il preadolescente comincia ad interrogarsi su ciò che sta dietro a questo vissuto testimoniale che gli giunge come dono gratuito e disinteressato e che diventa per lui altamente significativo, un momento identificatorio. Allora soltanto nascono le domande: «Perché mi si offre vita cosi abbondante e gratuita? Che cosa li spinge? Chi hanno incontrato e cosa hanno mai vissuto?». È essenziale che il preadolescente intuisca, colga in qualche modo, i significati di vita che scaturiscono dalla testimonianza di una comunità accogliente che si interessa di lui e lo ama tangibilmente, facendosi carico dei suoi bisogni di vita. Quello che la comunità vive e gli fa vivere allora diviene rilevante anche per lui e per la sua ricerca di vita e di ragioni per vivere e sperare.
La preoccupazione dei «contenuti intoccabili»
Se questo è il metodo, allora sorge un interrogativo nuovo: i cosiddetti «contenuti» della catechesi devono essere fissati in precedenza oppure sorgono dal preadolescente stesso, man mano che egli incomincia ad intuire qualcosa nel contatto con la testimonianza vissuta e presentata dalla comunità cristiana? Se non si è attenti a questo fatto e a questo interrogativo, ci può essere il rischio di sovrapporre contenuti e risposte prefabbricate, magari anche catechistiche, a domande che nel preadolescente non si sono ancora destate. Allora diventa fondamentale interrogarsi su quali siano i bisogni più visibili, le domande in via di elaborazione del preadolescente, in quella sua esperienza di crescita e di cambio. Come una comunità può farsi attenta a questi bisogni e come può rinarrare la storia e l'evento di Gesù Cristo come qualcosa di significativo in tutto questo? E perciò come la comunità ecclesiale diviene capace di far crescere queste domande del preadolescente, mentre si impegna a cercare insieme a lui percorsi di elaborazione, fino a far incontrare la domanda sulla vita e sul senso con la storia di Gesù?
CONTENUTI: TRA ESPERIENZE VISSUTE ED ELABORAZIONE LINGUISTICA
Indichiamo qui di seguito alcuni avvenimenti intorno alla storia di Gesù per far vedere come la catechesi può diventare la fonte dell'iniziazione non solo a percepire significati e modi nuovi di vivere nell'orizzonte della fede cristiana, ma anche momento di iniziazione alla preghiera e ai sacramenti, che non possono essere visti solo come dei «riti», ma dei «segni di vita».
Accettarsi e sentirsi accolto
Nel preadolescente c'è un bisogno di conoscenza e di accettazione di se stesso, dei propri limiti e possibilità, della propria storia passata.
La risposta a questo bisogno viene elaborata attraverso una comunità che in concreto lo accetta nella sua realtà, lo accoglie e ne riconosce e promuove il valore e la dignità. La comunità diviene il luogo dove può essere narrato oggi come il Figlio di Dio, uomo vero, ha accettato la diversità di ogni persona; come ha accolto le diverse persone nella loro singolarità, con la loro storia e mentalità: i discepoli, la peccatrice (da notare il silenzio accogliente di Gesù come forma massima di accettazione), i ragazzi e ragazze che egli ha incontrato e gli hanno affidato i loro bisogni urgenti di vita e di affetto, o la loro voglia di contare e di poter mettere a disposizione qualcosa per Gesù e, attraverso di Lui, per tutti. Il preadolescente ha bisogno di sentirsi rinarrare questa storia di Gesù che accoglie tutti e che, attraverso la mediazione della comunità cristiana, lo raggiunge e gli permette di accettare se stesso, i limiti e la propria storia.
Il rischio dell'avventura
Il preadolescente avverte inoltre che la vita dentro di lui sta crescendo, anche se ancora «seme» e non pianta robusta e frondosa, rifugio sicuro per tutti; avverte che la sua vita è veramente un'avventura sconosciuta da scoprire e in cui vale la pena coinvolgersi. Mentre la comunità oggi lo chiama all'avventura insieme e a costruire avventure di vita capaci di liberare quanto di buono ognuno porta dentro, ecco allora che della storia di Gesù offre le varie «chiamate», che sono come i momenti germinali di nuove storie e di nuove avventure, in cui sono racchiuse tutte le esperienze di discepolato, le difficoltà, i contatti che seguiranno. Il preadolescente poi ha bisogno di sentire che i suoi problemi ed esigenze sono accolti dalla comunità come esigenze ed attese importanti: la corporeità, la sessualità, l'amicizia, lo stare insieme. Mentre tutto questo viene accolto, valorizzato e liberato, la catechesi diviene il momento in cui si dischiude il velo sul «segreto nascosto» dentro tutte queste esperienze in quanto dono di vita. E qui è da attivare la correlazione con l'esperienza di Gesù che è stato attento, ha accolto, e ha riletto i bisogni e i problemi delle persone che incontrava: i malati, Zaccheo, il paralitico; di tutti intuisce i problemi e i bisogni profondi, rispondendo con una profondità di dono che neppure loro si attendevano. Il preadolescente avverte un forte bisogno di amicizia. Mentre si costruisce amicizia nel gruppo e ci si interroga su di essa, si tratta di narrare la storia di Gesù come una storia di relazioni nuove con le persone. Si tratta di approfondire la «qualità» dello stare insieme. Gesù stimola ad aprirsi ad un nuovo rapporto con le persone, ad una nuova libertà di relazione sconosciuta. Egli svela «l'altra faccia» della realtà dell'amicizia, cui ogni amicizia rinvia e di cui è simbolo. Il preadolescente poi avverte i limiti e le regressioni presenti nella sua crescita e che sono per lui motivo di sofferenza. Gesù allora si rivela come colui che ha incontrato le chiusure e i limiti dell'uomo e nel perdono di Dio è continuamente capace di riaprire. Il bisogno di protagonismo afferra infine il preadolescente che vuole esprimersi ed emergere per divenire soggetto. Si tratta allora di aiutarlo a capire come diventare protagonisti sul serio non significa porsi al centro della realtà circostante, ma essere capaci di aprirsi agli altri in forme di comunicazione e di servizio. Gesù è diventato in questo senso il vero protagonista della storia umana e aiuta a diventare protagonisti indicando e aprendo la strada di una libertà che non è ripiegamento su se stessi, ma è apertura, servizio. Gesù diviene il «servo» della vita di tutti. Propone un servizio che non vuol dire schiacciarsi perché gli altri emergano, ma «preparare la mensa» per la vita di tutti gli altri, perché la vita cresca.
Il «segreto trovato» celebrato nella festa
La preghiera, la celebrazione comunitaria, il rito, la festa, diventano il momento in cui si passa dalla narrazione della vita di tutti (del preadolescente e dell'uomo di oggi, di quella di Gesù intrecciata con la vita dei testimoni), alla invocazione; i frammenti di vita riunificati attorno al grande senso donato dal Signore Gesù non vengono più solo narrati, ma vengono espressi in forma di invocazione, di lode, di ringraziamento. Il simbolico-rituale contiene qualcosa della totalità che nella narrazione è contenuto solo in forma implicita, in frammento. Ad esempio: il pianto di un bambino, che è un'invocazione, contiene qualcosa di più di ciò che può esprimere quando dice: «Ho fame... mi sono fatto male...». La preghiera più banale, se è vera invocazione, tende ad esprimere la totalità del significato di vita che ci si dispone ad accogliere. Qualsiasi preghiera semplice può diventare espressione, intuizione di significato globale della propria vita che si vuole accogliere ora e in futuro. «Signore, fammi star bene...»: questa preghiera può voler dire: «Io accetto che tutta la mia vita, in fondo, è dono tuo e mi dispongo ad accoglierla così! ». Ciò che la narrazione racconta come dono di senso riconosciuto, la preghiera lo invoca, lo richiede e lo accoglie nella totalità, non più solo come ricupero del tempo passato e vissuto della vita, ma come apertura a quel tempo della vita di cui non si può disporre: il futuro. Catechesi come educazione alla preghiera e alla celebrazione è aiutare a far diventare invocazione, e quindi come senso globale, ciò che la narrazione ha presentato come frammento. È aiutare a riesprimere il senso narrato nelle figure nuove del simbolico e del rito. Aiutare il preadolescente ad esprimere attraverso i simboli, che non siano banali, il senso donato non è cosa facile. Forse si tratta di creare forme simboliche e celebrative che riescano veramente, con gusto e con clima di festosità, ad esprimere quei nuovi significati e quel senso che comincia ad affiorare.
(Libera trascrizione e rielaborazione di un intervento di A. Barbi, non rivista dall'autore).