Campagna 
    abbonamenti

    QuartinoNPG2024


    Letti 
    & apprezzati

    articoli


    Il numero di NPG
    dicembre 2023
    NL DICEMBRE 23


    Il numero di NPG
    novembre 2023
    NL NOVEMBRE 23


    Newsletter
    dicembre 2023
    NL dicembre 23


    Newsletter
    novembre 2023
    NOVEMBRE 23


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Post it

    • On line il numero di DICEMBRE sulla PG degli ultimi 10 anni, e quello di NOVEMBRE, sull'educazione alla pace.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: dicembre e  novembre .
    • Attivate nel sito (colonna di destra) varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2019 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2019: 94 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2023 

    annateNPG


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 

    165 dossier


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     

    165 rubriche


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi

    165 autori


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2023 

    165 editoriali


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 

    165 voci npg 2


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

    165 libri 


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 

    165 vintage


    Animazione,
    animatori, sussidi

    animatori


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV

    webtvpic


    NPG Facebook

    facebook


    NPG Twitter

    twitter


    sitica1


    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    L'ermeneutica: un ponte per coprire le distanze



    Armido Rizzi

    (NPG 1989-06-49)


    Ermeneutica è una parola magica della filosofia e della teologia contemporanee. Ma la suggestione che essa esercita è inversamente proporzionale alla nettezza e precisione del suo significato, ormai carico di valenze ideali e ideologiche difficilmente riconducibili a unità.
    C'è tuttavia un'accezione originaria, su cui tutte le altre sono cresciute; ed è quella di ermeneutica come teoria dell'interpretazione di testi, soprattutto di quei testi che siano insieme ricchi di senso per l'esistenza dell'uomo ma lontani nel tempo, quindi rilevanti ma difficili, promettenti ma ardui. Sono, in generale, i grandi testi religiosi, filosofici e letterari, in cui si è depositata una enorme saggezza di vita che ha ancora molto da insegnarci, soprattutto in un tempo, il nostro, che di saggezze sembra così povero e così affamato.
    La Bibbia è uno di questi testi; è anzi, per l'Occidente, il «grande codice» (Frey), il libro per eccellenza, che ha segnato come nessun altro la storia che abbiamo alle spalle. Perciò è stato sempre anche il luogo privilegiato dell'interpretazione; ed è, di conseguenza, il banco di prova più idoneo per saggiare la teoria dell'interpretazione.
    Procederemo in tre momenti: dopo aver esaminato l'atto interpretativo nella sua struttura, fisseremo in particolare l'attenzione su alcuni suoi aspetti che sono insieme più vitali e più problematici; infine daremo alcune indicazioni propositive per una lettura attuale e ispiratrice della Bibbia.

    LA STRUTTURA DELL'ATTO INTERPRETATIVO

    Assumendo il linguaggio umano, Dio ha fissato la distanza ontologica tra sé e l'uomo; ma ha posto una nuova distanza, quella culturale.
    Quando diciamo che il Logos si è incarnato in un punto del tempo e dello spazio, dobbiamo intendere tempo e spazio nella loro accezione umana, non puramente cosmologica: in Gesù, Dio ha sentito, pensato, parlato da semita; e chi ha sentito, pensato, parlato di lui alla comunità primitiva, lo ha fatto ancora da semita o da greco, da alessandrino...
    In questo senso, non è vero che Cristo mi è contemporaneo; facendosi storia, egli si è fatto situazione culturale, puntualità di linguaggio, regione semantica.
    Per attingere Cristo nella parola che costituisce la sua rivelazione storica (il Nuovo Testamento), così come nella parola che l'ha preparato (l'Antico), bisogna dunque superare la distanza linguistica che la storia ha interposto. S'intenda bene: la lingua non è soltanto questione di fonemi, ma di immagini e concetti, di forme mentali e risvolti affettivi, di tutto il mondo umano.
    Il ponte che collega le diverse sponde del discorso umano è l'interpretazione, la comprensione del qualitativamente altro, la lettura del distante. La strada verso la parola umana di Dio passa attraverso l'ermeneutica.

    L'ermeneutica: un ponte che collega le distanze

    E tutti i tradimenti a questa parola passano attraverso l'oblio dell'ermeneutica, il misconoscimento del giusto rapporto tra il segno linguistico e il suo significato. Ai due estremi: il letteralismo, che all'attenzione al significato sostituisce il culto del segno; il carismatismo, che eludendo il confronto severo con il segno manipola il significato.
    Lettera e spirito non solo alternativi; sono termini dialettici, che soltanto nella reciproca sintesi trovano il reciproco inveramento. Il miracolo delle lingue a Pentecoste non è la creazione di un esperanto ad uso dei credenti; è il dono dello Spirito come principio ermeneutico. Come la chiesa primitiva ha ri-capito l'Antico Testamento, così la chiesa di ogni generazione alla luce dello stesso Spirito comprende il testo biblico, in cui quella prima e fondamentale intelligenza si è sedimentata.
    Dal testo al lettore di ogni tempo c'è un cammino, un iter ermeneutico che bisogna ripercorrere a ogni lettura, e che noi dobbiamo ora esaminare nelle sue tappe.
    Una prima si preoccupa di cogliere la parola (e la Parola) nel suo ambito originario, di farla rivivere lì dove essa è nata: è l'esegesi.
    Una seconda la traduce nei modi di pensiero attuali, così che essa diventi risposta ai nostri interrogativi più essenziali e urgenti: è l'attualizzazione culturale.
    Una terza infine inserisce la parola nel quadro specifico di un uditorio, di una situazione individuale o comunitaria, perché vi operi come appello alla decisione: è l'attualizzazione esistenziale.

    L'esegesi

    Lungi dal limitarsi all'analisi filologica e alla ricostruzione del contesto storico, l'esegesi è la prima intelligenza del testo, che ne coglie il senso dentro il «suo» mondo. Si potrebbe dire: l'esegeta è l'uomo che, non trovando la parola di Dio contemporanea a sé, si porta nel mondo dove quella si è fatta parola umana. E se è vero che la parola divina è venuta al mondo in quanto è entrata in un mondo, in una determinata area culturale, allora l'esegesi è il luogo d'incontro obbligato con la Parola. Non un lusso, una super-erogazione; ma l'elementare atteggiamento dell'ascolto, la lealtà verso il Parlante, che vuol essere capito per ciò che effettivamente ha voluto dire.
    Perciò la Chiesa ha sempre praticato l'esegesi. La situazione di novità dell'esegeta consiste oggi nella più avvertita coscienza della distanza culturale della storicità del conoscere. Per la gnoseologia popolare (e per la Scolastica che l'aveva teorizzata) il concetto è un decalco mentale della cosa; quindi sempre uguale a se stesso, resistente al fluire del tempo. Capire un testo del passato è allora praticamente tradurre (nell'accezione letterale del termine): è trovare il segno che nella propria lingua corrisponde al segno straniero: da qui emerge l'unico identico permanente significato.
    La gnoseologia attuale ci avverte che il concetto è l'intelligenza che nasce dall'incontro del soggetto con un insieme di dati; è quindi una certa prospettiva sulla realtà, legata alla situazione del soggetto e da essa dipendente. Capire un testo del passato è allora rimettersi in quella prospettiva, situarsi in modo che da esso si sprigioni di nuovo quell'intelligenza. Facciamo un esempio. Quando ho tradotto la «dikaiosune theou» di Paolo con «giustizia di Dio», non ho ancora capito che cosa intendesse dire Paolo; perché la differenza essenziale non è qui tra due parole in lingue diverse, ma tra due «cose»: la giustizia di Dio nell'accezione a noi abituale, che la oppone alla sua misericordia, e la giustizia di Dio nell'intuizione di Paolo, che è proprio la misericordia divina manifestatasi in Gesù Cristo per «giustificare» il peccatore.
    Il rischio che si corre senza un'attenta ricostruzione del mondo spirituale di Paolo non è quello di non capire nulla, ma di capire altra cosa, cioè di falsare il suo pensiero e, dunque, il cuore stesso della rivelazione del Nuovo Testamento.
    Il caso indicato non è l'unico. Altrettanto importante è l'opposizione carne/spirito. Nella tradizione cristiano-cattolica essa equivale al binomio corpo/anima secondo il dualismo antropologico di estrazione neoplatonica, mentre Paolo pensa al dualismo teologico tra l'uomo chiuso nel suo egoismo (carne) e l'uomo aperto alla fede e all'amore fraterno (spirito).
    I casi si potrebbero moltiplicare: il mondo teologico è pieno di temi che pur conservando la terminologia biblica, ne hanno alterato il senso: si pensi a «mistero», «fede», «grazia», «rivelazione», «conoscenza», ecc. Come si vede, si tratta di temi fondamentali per l'autocomprensione cristiana; e non è esagerato affermare che buona parte del rinnovamento della teologia cattolica consiste nel ricuperare il senso biblico originario.
    Non si tratta di cancellare la tradizione, di cui vedremo più avanti l'importanza. Si tratta di correggere i punti di falsa identificazione fra la tradizione e la parola scritturistica, di risalire aldilà della tradizione per rinverdire la conoscenza diretta del senso depositato nel testo biblico.
    Ecco: chi vuol tradurre veramente il testo nel mondo d'oggi (che è il fine dell'ermeneutica) deve cominciare col tra-durre (cioè trasportare, trasferire) se stesso al mondo di ieri, a quel mondo dove il testo è cresciuto e dentro il quale si è configurato il suo significato. E questo il compito dell'esegesi.

    L'attualizzazione culturale

    Chi ha qualche pratica di traduzione sa che non è la stessa cosa capire ciò che dice l'originale e saperlo ridire nella propria lingua. Tradurre comporta ambedue le attitudini: la conoscenza della lingua in cui l'opera è scritta e la conoscenza esatta e ricca della propria lingua, in modo da trovare le corrispondenze il più possibile perfette per rendere lo stesso significato.
    Ciò che vale della traduzione nell'accezione letterale del termine vale pure di quel più ampio processo che è l'interpretazione. Se l'interprete leggesse esclusivamente per sé, per suo uso e diletto, gli potrebbe bastare l'intelligenza esegetica, che gli permette di farsi contemporaneo all'autore, di calarsi nel suo mondo e riviverlo da dentro. Ma se il testo e il messaggio personalmente accostati vogliono essere disponibili anche per altri, per la comunità di chi vive e crede oggi, è necessario un secondo passo: rifondere entro i modelli della cultura corrente l'intelligenza del testo acquisita facendosi affine alla sua cultura, cioè attualizzare quell'intelligenza.
    Non si tratta qui di trovare nuovi sussidi e metodi in funzione didattica; non si tratta di esprimere gli stessi concetti con parole (immagini, similitudini...) diverse. Questo lavoro è a volte necessario, ma successivo. L'attualizzazione culturale è una vera conversione intellettuale; non è un cambio di occhiali, è un cambio di occhi.
    La chiesa lo ha fatto in modo straordinariamente creativo nei primi decenni della sua esistenza. Per Gesù, l'escatologia è il mondo futuro (categorie temporali del tardo giudaismo); per la scuola di Paolo è il mondo celeste (categorie gnostiche); per Giovanni è il Cristo che chiama alla decisione radicale (escatologica attualizzata). In seguito, l'incontro con il mondo ellenico ha inalveato tutto l'impegno ermeneutico degli uomini di chiesa verso una ristrutturazione della rivelazione nei modi del pensiero classico: prima per un fissaggio di concetti e proposizioni in formule normative di fede (dogma trinitario e cristologico), poi per una elaborazione teologica coerente - intelligentia fidei - al di dentro del dogma (Scolastica, soprattutto san Tommaso). Il declino del mondo classico e l'irruzione del mondo moderno non hanno trovato una corrispondente attenzione e sensibilità ermeneutica in campo ecclesiale. (Qui si parla della teologia cattolica. A quella protestante si dovrebbero ascrivere meriti e demerit in parte affini, in parte opposti. )
    Grosso modo, il compito di attualizzazione culturale che attende la teologia potrebbe definirsi così: per l'Occidente, una trascrizione del verbo rivelato dalla prospettiva metafisica alla prospettiva antropologica; per le altre culture, il lavoro propedeutico di conoscenza della fisionomia interna di ognuna (miti, riti, ordinamenti morali, istituzioni sociali) mediante l'apporto delle scienze umane che vi concorrono (etnologia, storia e fenomenologia delle religioni, ecc.).
    Temere quest'avventura ermeneutica significherebbe, per la chiesa, rinunciare al proprio compito di mediazione; cioè rinunciare alla compiutezza della propria identità.

    L'attualizzazione esistenziale

    Capire il testo biblico nel suo mondo è opera dell'esegeta; trasporlo nel mondo nostro, per l'uomo odierno, è compito del teologo «sistematico». Ma quando predico a quest'assemblea, a quel gruppo di giovani, a quella comunità di religiose, non ho davanti a me un generico «uomo odierno»; la mia parola si rivolge a un insieme di persone la cui situazione umana è più o meno differenziata, comunque ulteriormente specificata riguardo alla qualifica generale di attualità.
    Perché la Parola percorra tutto l'itinerario dal testo all'uditore, occorre una terza tappa: ricuperata come senso oggettivo e rifusa entro il modello culturale corrente, la Parola deve ora calarsi nella situazione concreta di chi ascolta, nel suo «ambiente vitale». Qui il mediatore non è più l'esegeta o il teologo; è il predicatore, o il direttore di coscienza, o tutta la comunità in ascolto.
    L'ambiente vitale è una realtà estremamente complessa. C'è la componente psicologica: ed è anzitutto la differenziazione sessuale; ma poi anche la distinzione di età, la gamma dei temperamenti, ecc. C'è la componente sociologica: l'ubicazione geografica (città, campagna), l'estrazione sociale la mentalità professionale. C'è la componente circostanziale: viaggio, tempo liturgico, occasione lieta o triste, ecc.
    Tutti questi, e altri ancora, sono gli elementi che danno configurazione concreta e puntuale all'ascolto, che lo trasformano da apprendimento ad appello, da recezione di un insegnamento generale a mordente sulla propria esistenza. I medievali distinguevano tra la explicatio del testo (spiegazione, illustrazione, commento) e la sua applicatio; e anche se il termine di «applicazione» può sembrarci debole e inadatto, la realtà che esso esprime è precisa e profonda.
    È nell'applicazione che un testo da lettera diventa vita. Come per le leggi: se spetta al professore di diritto spiegarle, spetta al giudice applicarle; ed è evidente che le leggi non esistono per essere studiare ma per essere applicate. L'esempio del diritto non è casuale: Bibbia e diritto sono stati, nella tradizione occidentale, i due campi di maggiore sviluppo di pratiche e di dottrine dell'interpretazione.
    Così la Parola di Dio: se esegesi e teologia ci aiutano a superarne la distanza culturale, a rendere quella parola vicina in quanto intelligibile, è soltanto l'applicazione che ne esalta la rilevanza, che ce la rende vicina in quanto capace di mordere sulla nostra esistenza, in quanto detta a noi nell'«oggi» della nostra chiamata a conversione.
    Quando Nathan narra a Davide la parabola del ricco possidente che ruba al pastore povero l'unica sua pecora, Davide si indigna con l'ipotetico usurpatore: ha capito il contenuto della parabola, e vi aderisce fremendo di sdegno ideale. Ma Nathan continua implacabile: «Tu sei quell'uomo!». Il fine dell'intervento di Nathan non è di educare la coscienza etica di Davide con sani princìpi generali, ma di scuotere quella coscienza portandola al pentimento per l'ingiustizia da lui commessa rubando la moglie a un suddito e provocando la morte di questi. Res tua agitur: si tratta di te, di ognuno di noi. Qui la Bibbia è veramente se stessa, è ciò che deve e vuole essere: spada che si immerge nel tessuto vivo dell'esistenza dell'uomo.

    PROBLEMI E PRECISAZIONI

    L'arco ermeneutico appena disegnato non viene riconosciuto da tutti nella sua necessità. Ascoltiamo alcune delle difficoltà più comuni e cerchiamo di rispondervi.

    Libro per i dotti o per i semplici?

    Una prima obiezione, molto diffusa, è che l'accento posto sull'esegesi e sulla teologia fa della Bibbia un libro per persone colte, mentre la Parola di Dio ha come suo interlocutore privilegiato i poveri, i semplici, i piccoli: come coloro a cui Gesù parlava e che lo capivano.
    L'obiezione contiene già la risposta. Ed è che Gesù non percorre più in carne e ossa le nostre strade e non parla più direttamente alle nostre orecchie. Le sue parole sono consegnate in testi, i vangeli, che già ne sono la traduzione, dall'aramaico al greco, e che a loro volta hanno bisogno di essere tradotti per giungere alla nostra comprensione.
    I semplici si sentono dunque della mediazione della scienza ogni volta che aprono il vangelo: questo libro resterebbe per loro un abracadabra se non venisse reso accessibile dall'intervento dell'esperto. Ma, come abbiamo visto, una vera traduzione non è soltanto un problema di parole, ma di immagini e concetti, di categorie e mentalità: è interpretazione.
    In realtà, i semplici non hanno mai avuto un accesso diretto alla Bibbia (neppure ai vangeli); la loro «lettura» è sempre passata attraverso un duplice filtro: l'autorità della chiesa e la prospettiva della tradizione (patristica, scolastica, ecc.).
    Le scienze bibliche e teologiche, nella più recente impostazione critica rispondente alla sensibilità ermeneutica, hanno dunque funzione di emancipazione da ipoteche autoritarie e da tradizioni di lettura spesso lacunose.
    La Parola di Dio nella forma di libro non è rivolta ai semplici come individui isolati, ma alla comunità dei credenti; e la comunità ha bisogno di carismi all'altezza dei tempi: oggi più di ieri, anche del carisma della criticità e del coraggio di pensare.

    Testo e vita: quale relazione?

    Una costellazione problematica grande importanza è quella che esprime nella formula «Bibbia e vita».
    Abbiamo detto che il senso ultimo della Bibbia è la vita del credente. Ma non è questa l'unica relazione che si istituisce tra le due; oltre che al termine del cammino ermeneutico, nell'attualizzazione, la vita si trova anche al suo inizio, essendo il presupposto di ogni lettura, soprattutto della lettura biblica. Non aprirei la Bibbia se non avessi un interesse previo nei suoi confronti; non la capirei se non fossi in certo modo sintonizzato già in partenza con ciò che essa dice.
    I teorici dell'ermeneutica chiamano questo interesse e questa sintonia «precomprensione»: che non è, ovviamente, la presunzione di sapere in anticipo ciò che il testo può o deve dire (in tal caso sarebbe un pregiudizio), ma l'apertura a cogliere ciò che esso vuol dire. Così che tra testo e vita si stabilisce un movimento di reciprocità: interpreto il testo alla luce della vita, comprendo e trasformo la vita alla luce del testo (circolo ermeneutico).
    Ma nel rapporto Bibbia-vita questo secondo termine copre una gamma di significati che sono più che semplici variazioni di uno stesso tema. Proviamo ad enuclearne alcuni, e a vedere come si rapportino al testo biblico e al suo senso.

    Cosa è «vita»?

    Anzitutto, la vita è l'insieme dei bisogni, dei desideri, delle attese che l'uomo porta in sé: bisogno di pane e di affetto, di lavoro e di bellezza, di riconoscimento e di affermazione. In una parola: bisogno di senso.
    Allora il rapporto vita-Bibbia è quello tra domanda e risposta, o meglio (poiché non si tratta di domanda teorica ma di richiesta esistenziale) tra domanda e dono: al bisogno di senso la Bibbia risponde affermando la sua esistenza («la tua vita ha senso») e indicando la strada su cui incontrarlo e promuoverlo.
    Ma la vita dell'uomo non è mai, o quasi mai, soltanto attesa e ricerca, è anche un insieme di certezze già acquisite, di convinzioni già maturate, di posizioni già raggiunte. E penso in particolare a tutto quel bagaglio di ideali e di princìpi che formano la coscienza morale di un uomo, e a quel patrimonio di umanità autentica che sono le amicizie vissute, le sofferenze accettate, le prove superate. Qui non c'è semplicemente domanda di senso: c'è già ricchezza di senso, che forse è addirittura cresciuta mediante il precedente contatto, diretto o respirato attraverso l'ambiente, con la vita.
    Qui il rapporto vita-Bibbia non può essere ricondotto integralmente allo schema domanda-risposta; posso avere in me risposte migliori di quelle che una determinata pagina biblica mi offre, posso avere un livello di coscienza etica che giudica l'insufficienza di soluzioni che pure il testo biblico ha accolto. Allora la reciprocità tra Bibbia e vita non è un dare e ricevere a senso unico, ma come uno scambio tra persone adulte; la mia esperienza può integrare il senso della Bibbia aldilà di quanto il suo testo esplicitamente contenga. Questo, perché la Bibbia non è la Parola di Dio e basta; è parola di Dio in parole umane, con i limiti che queste parole contengono ed esprimono: limiti non solo culturali, ma etici e spirituali.
    Una terza accezione di vita sono quelli che chiamiamo i «segni dei tempi». E qui convergono le due accezioni precedenti, dilatate alla misura dell'esistere storico e sociale. Segni dei tempi sono i bisogni del mondo attuale, ma anche le sue conquiste; le sue miserie, ma anche le sue altezze; le sue cadute, ma anche le sue provocazioni.
    Anche qui, lungi dal poter rifarsi alla Bibbia come a un toccasana, bisogna lasciare che tutto l'umano che è in lei venga giudicato dall'umano che è attorno a noi, perché questo umano del nostro tempo accetti di lasciarsi giudicare dal divino che è in lei.

    Il dispiegamento del senso

    Questo vuol dire che noi possiamo arricchire, leggendo e operando, il senso della Bibbia.
    «La Scrittura cresce con colui che la legge»: questa bella espressione di san Gregorio Magno accompagna per secoli la coscienza cristiana, così come aveva accompagnato, ante litteram, la coscienza ebraica.
    Si potrebbe dire che tutto l'Antico Testamento è una ripresa attualizzante dell'esodo: Israele si rifà a quell'evento fondatore e ne rivive la potenza di significato non soltanto nelle nuove situazioni storiche (come l'esilio a Babilonia), ma anche nell'oggi della celebrazione liturgica, nell'imperativo della legge («sii per il tuo fratello quello che sono stato per te in Egitto»), nell'attesa di cieli nuovi e terra nuova. E la comunità del Nuovo Testamento si vive, attraverso l'intelligenza spirituale del suoi teologi, come il compimento dell'Antico: è nel Nuovo Testamento, dirà Agostino, che si svela la verità che l'Antico contiene ma insieme occulta.
    Non si tratta dunque soltanto di un ritorno alle fonti, di un ricupero delle origini per giudicare alla loro luce il presente; si tratta di un dispiegamento di quel senso che era già, per così dire, annidato nelle fonti ma che non aveva ancora manifestato tutte le sue virtualità. È lungo questa linea che la tradizione cristiana sviluppa la pratica e la teoria dei «sensi biblici»: accanto o dentro il significato che un testo presenta immediatamente (senso letterale), ce n'è uno più profondo (senso spirituale), la cui comprensione esige una più matura intelligenza di fede. Questo senso spirituale trova più tardi una scansione più precisa nelle diverse modalità di applicazione: una verità da credere (senso allegorico), un bene da operare (senso antropologico), una felicità eterna da sperare (senso anagogico).
    Ma proprio questa lunga vicenda ermeneutica ci invita alla vigilanza nei processi di attualizzazione. Perché un presunto incremento di senso potrebbe anche essere una violenza sul senso. Credo che gli ebrei - per fare un esempio - sentano come violenta l'interpretazione che Paolo fa (Gal 4) di Agar e Sara rispettivamente come l'antica e la nuova alleanza; e sarebbe difficile dar loro torto.
    E non è forse violenta la catturazione dei salmi dentro l'ottica spiritualista di tanta tradizione cristiana, dove la sofferenza e la gioia dei poveri che pregavano i salmi viene trascritta nelle avventure interiori dell'anima? E, questo, un autentico incremento di senso? o non ne è un'indebita dislocazione o focalizzazione?
    Una tendenza ermeneutica oggi molto diffusa considera il destinatario dell'opera come «produttore di senso»: si tratti di opera letteraria, di spettacoli, di monumenti o altro. Personalmente credo che qui ci sia una confusione tra inesauribilità dell'interpretazione e sua creatività anarchica. Un grande testo ha sempre qualcosa di nuovo da dirmi; ma non per questo esso «vuol dire» tutto quello che gli faccio dire, tutto quello che la sua lettura mi «ispira». Nel caso della Bibbia, questa distinzione è condizione di verità della professione e della prassi cristiana.

    DUE INDICAZIONI

    La prima riguarda l'attualizzazione culturale; l'altra l'attualizzazione esistenziale.
    Come abbiamo accennato, il messaggio biblico è stato ripensato secondo la sensibilità del mondo culturale di volta in volta dominante: neoplatonismo, aristotelismo, metafisica moderna.

    Rileggere la Bibbia alla luce dell'«altro»

    L'irruzione della coscienza moderna sta mettendo a soqquadro, nella teologia, le prospettive e le categorie del passato, e impone la ricerca di nuove: la storia invece dell'essere, la persona invece della sostanza, il linguaggio invece della causalità, ecc.
    Io credo che la categoria della «alterità» sia quella che meglio di tutte risponda alle istanze fondamentali di un pensare teologico contemporaneo.
    Anzitutto, essa può far emergere a chiarezza concettuale la logica che sottende la rivelazione, e che nel testo biblico è espressa nelle forme del linguaggio simbolico e narrativo.
    Se è vero che l'alleanza è l'evento che struttura tutta l'autocomprensione di Israele e poi della comunità cristiana, non è meno vero che soltanto la categoria di «alterità» permette di pensarla coerentemente: l'alterità radicale tra Dio e l'uomo (alterità che, per esempio, la dottrina platonica e medievale della partecipazione non può non compromettere) è il presupposto e insieme il contenuto dell'amore; di quell'amore che costituisce, appunto, l'alleanza, e che non è l'effusione di sé, come l'eros platonico, ma la volontà di promozione dell'altro in ragione di lui stesso. Soltanto mediante l'alterità si può dire quella gratuità di dono e di perdono che si è rivelata nella storia di Israele e di Gesù Cristo.

    Alterità e senso

    In secondo luogo, il principio d'alterità è anche l'unica possibilità di pensare il senso (e dunque di leggere la Bibbia come parola che afferma il senso) dentro l'attuale crisi di senso dell'Occidente.
    Questa è infatti crisi del principio di identità (comunque si chiami tale principio: l'Essere o la Ragione, il Soggetto o la Storia) su cui era stata imbastita per secoli l'affermazione del senso; così che la caduta di quel principio determina l'eclissi del senso o almeno la sua non-dicibilità.
    Ora, tra un senso che tutto unifica ed egemonizza e la dichiarazione del nonsenso del tutto, si apre una terza possibilità (pensava a questo Walter Benjamin quando scriveva della piccola porta attraverso cui entrerà il Messia?): il senso che fiorisce puntualmente nell'incontro, nell'amore donato nella solidarietà offerta; il senso come messianismo che si fa vita quotidiana, trama di rapporti che continuamente si ritessono nel «farsi prossimo» come il buon samaritano.
    Infine, questa stessa figura di senso che si inarca sul motivo dell'alterità acquista attualità anche e soprattutto in relazione alla «irruzione dei poveri» sulla ribalta della storia, cioè all'emergere di quell'immenso continente di bisogno e di miseria che chiamiamo il Terzo Mondo.
    La teologia della liberazione non è in fondo, che l'interpretazione della Bibbia alla luce del principio di alterità: ogni povero e tutti i poveri sono oggetto dell'amore di Dio e destinatari dei beni della sua creazione.
    Un Dio la cui gloria è appagare il bisogno di ogni povero diavolo («la gloria di Dio è il povero che vive» diceva Oscar Romero) è pensabile soltanto nell'ottica dell'alterità, è anzi il gesto che costituisce l'alterità come principio e possibilità di ogni nostro giusto operare.

    Predicazione e «confessione»

    Diverse comunità, soprattutto giovanili, praticano l'«omelia dialogata». Pratica che va senz'altro promossa come un carisma di arricchimento ecclesiale; ma sulla cui corretta impostazione è il caso di spendere una parola.
    Come sappiamo, la parola di Dio è interpellazione; essa si rivolge alla «coscienza» (al «cuore» nell'accezione biblica), dove l'uomo decide di sé e segna la direzione fondamentale della propria esistenza.
    Ora, il predicatore si ferma alla soglia della coscienza. Le parole che egli pronuncia veicolano una forza che le trascende e di cui esse ignorano gli sbocchi. Tra il significato oggettivo, anche filtrato attraverso le attualizzazioni più sottili e le applicazioni più sagaci, e l'evento della Parola nella irrepetibilità della situazione personale c'è un salto di qualità: dal livello delle mediazioni storiche a quello del mistero della persona.
    Il principio ermeneutico risolutivo è la coscienza, come ha visto bene Ebeling. La potenza creatrice della Parola evangelica si sprigiona in questo «luogo».
    Non è metaforico l'uso della voce creare. Quando Paolo vuole esprimere l'efficacia della predicazione dell'evangelo, non trova richiamo più pertinente che le prime pagine della Genesi: «Dio che disse: dalle tenebre spunti la luce, ha pure illuminato con il suo splendore i nostri cuori per farci conoscere la sua gloria sul volto di Cristo» (2 Cor 4,6). E la tradizione cristiana ha interpretato le «meraviglie» operate da Dio nella storia di Israele come le figure vistose, la parabola cosmica delle «meraviglie» che la Parola opera nel silenzio della coscienza credente.
    Ma chi è il testimonio di questa luce interiore, di questa potenza creatrice? Direttamente il singolo. Perché la Parola, se nel fissaggio testuale e ancora nel percorso ermeneutico conserva uno statuto di universalità, un significato generale, nella coscienza risuona come evento singolarissimo, unico per ogni ascoltatore. Una stessa pagina del testo sacro, passata attraverso uno stesso itinerario interpretativo, portata dalla stessa predicazione «tocca» diversi cuori come istanza diversamente efficace, come appello variamente esigente. Davanti a lei, ognuno è un apax, ognuno sa soltanto di sé.
    Di questa azione della Parola in me io sono il solo testimonio; in quella «giuntura dell'anima» (Eb 4,12) dove essa penetra, io sono l'unico a sentire il taglio tremendo e stupendo; in quel tribunale che essa instaura, io, e nessun altro per me, sto seduto sul banco degli imputati.

    Parola e confessione

    Qui inizia la funzione propria della «confessione». Di fronte alla Parola che mi incalza, perseguitandomi o consolandomi, rinnovando in me le sue opere di salvezza, io ho qualcosa da dire, ho una testimonianza da rendere; qualcosa che nessuno può dire al posto mio. La gioia che essa mi comunica, la paura che mi incute, la decisione che mi domanda, lo sconcerto in cui mi getta; una situazione finalmente capita, una sofferenza finalmente accettata; insomma, il maturare preciso e puntuale della mia storia di salvezza sotto il segno della Parola: tutto questo è oggetto possibile della mia testimonianza davanti ai fratelli nella fede.
    È, se vogliamo, un nuovo momento ermeneutico (di un'ermeneutica che chiamerei «performativa»), non più di pertinenza dell'esegeta, del teologo, del predicatore, ma del credente come tale. È stato detto che tutta la vita cristiana è un'esegesi della Scrittura; bisogna aggiungere che la matrice di questa esegesi è la coscienza cristiana, teatro dell'interpellazione divina.
    La «confessione» nell'assemblea liturgica è la prima epifania storica della parola attualizzata, verificata. Confessione è, come nel celebre libro di Agostino, rivelazione del mio segreto e insieme riconoscimento pubblico di ciò che Dio ha compiuto in me.
    Non si tratta dunque di infilare una serie di mini-prediche, come appendice alla predica principale; non si tratta di aprire una discussione teologica od operativa; non Si tratta di suggerire iniziative o denunce. Tutte cose che devono trovare il loro tempo e spazio, ma dopo una lunga sedimentazione della Parola; e che nel quadro liturgico diventano perlopiù occasione di esibizionismo o alibi per schivare l'urto personale della Parola stessa.
    La comunità ha poco bisogno dei bei pensieri e delle brillanti proposte di cui siamo tanto generosi; ciò che la «edifica» è la testimonianza di quanto in noi non è nostro: sia il Magnificat della santità che il Miserere dello squallore spirituale e morale.


    NOVITÀ

    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo
    chiara massimo


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


    Pensieri, parole
    ed emozioni
    articoli


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca
    Rivista "Testimonianze"

    fiori albero


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI
    fiori albero


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi
    lettura


    rubriche

    I sogni dei giovani per
    una Chiesa sinodale
    articoli


    Strumenti e metodi
    per formare ancora
    articoli


    Per una
    "buona" politica
    politica


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù
    articoli


    Dove incontrare
    oggi il Signore
    articoli


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana
    articoli


    Evoluzione della
    pedagogia salesiana
     alt=


    Il filo di Arianna
    della politica
    edu civica


    Europa, giovani, PG
    Interviste ai responsabili
    articoli


    Vescovi e giovani
    Un dialogo "sinodale"
    articoli


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI
    articoli


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte
    articoli


    Maestro di
    vita spirituale
    Francesco di Sales e i giovani
    patto educazione


    Passeggiate nel 
    mondo contemporaneo
    200 citta


    Santi giovani
    e giovinezza dei Santi
    200 cop santi

    Iscriviti alla newsletter

    Powered by BreezingForms

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


     

    Main Menu