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    L'oratorio dei giovani /3. La partecipazione come percorso formativo



    (NPG 1989-05-41)


    1. Area uno: accoglienza e patto formativo

    La prima area inizia dall'approccio iniziale fra tre mondi diversi: il mondo dell'oratorio con una sua struttura e cultura, il mondo dei giovani con i loro bisogni e attese, il mondo ecclesiale e sociale circostante.
    Il punto di arrivo è la firma di un patto o contratto educativo, che ha per oggetto la accoglienza della diversità di ognuno, la disponibilità a comunicare, la voglia di apprendere.
    I giovani, per usare un'immagine, sono alla porta dell'oratorio e rivolgono una originale domanda formativa, intendendo non solo i bisogni espressi in modo implicito o esplicito, ma anche la lettura dei bisogni concreti e dei percorsi nel soddisfarli, così come li individuano gli educatori.

    L'oratorio: uno spazio «strutturato»

    Entrando all'oratorio i «nuovi» non trovano un ambiente spoglio o uno spiazzo erboso, ma un'istituzione con una storia condensata nella attuale struttura sociale e nel progetto formativo che ha già elaborato con i giovani che lo frequentano.
    L'oratorio esiste già e si «oppone» ai nuovi che vogliono entrare.
    Mentre li accoglie, resiste alle loro richieste, perché non può dimenticare la sua storia e neppure buttare all'aria la sua struttura e il suo progetto formativo.
    Del resto l'oratorio, pur essendo una struttura elastica, deve sempre rispettare dei fini istituzionali che superano le persone che ne fanno parte.
    Un oratorio fa sempre riferimento ad un ente o autorità ecclesiale di ordine superiore (parrocchia e diocesi e i loro progetti pastorali) e alle istituzioni sociali (in particolare la famiglia). I fini istituzionali, mentre configurano l'identità dell'oratorio, ne limitano il campo d'azione.
    L'incontro tra oratorio, con la sua particolare struttura e cultura, e i giovani con le loro domande, se ha buon esito, porta alla firma di un contratto o patto formativo.
    Esso viene firmato, anche se quasi sempre in modo implicito, da educatori e giovani, come affermazione della reciproca fiducia.
    Non si sottoscrivono regolamenti più o meno rigidi, ma si accetta di entrare in una relazione educativa il cui esito finale è in fondo sconosciuto ai giovani e agli animatori.
    Il patto formativo inserisce nella triplice relazione di cui si è già parlato: il rapporto con gli adulti responsabili e gli animatori, la relazione con l'ambiente oratoriano e la decisione di animarlo, la possibilità di organizzarsi in gruppi secondo gli interessi culturali, sociali, religiosi.
    Il patto formativo ha una contropartita.
    Non è l'adesione al progetto dell'oratorio e a tutti i suoi valori, ma l'impegno di acquisire con passione le competenze necessarie per animare l'oratorio.
    Mentre si affida ai giovani, l'oratorio chiede loro di rendersi competenti nell'animarlo, pena il distruggere un gran patrimonio sociale e culturale, senza costituirsi una identità e una fede.
    Dentro questo quadro generale della prima area ci limitiamo ad approfondire alcuni aspetti.

    L'ACCOGLIENZA DEI «NUOVI» GIOVANI

    Il primo passo spetta all'oratorio, il quale si rende conto in modo spesso traumatico della sua difficoltà a rapportarsi al mondo giovanile e più in generale alla cultura dell'ambiente in cui vive.
    Il mondo giovanile fuori dall'oratorio è cambiato, e l'oratorio guarda con una certa ansia quel che succede. I traumi sociali e culturali comportano infatti una nuova domanda formativa, l'evolversi dei bisogni e delle attese e delle procedure soggettive per darvi risposta.
    Nel nuovo contesto i giovani possono rivolgere la loro domanda all'oratorio, ma più facilmente lo ignorano come luogo in cui esse possono avere una risposta. Di qui l'incertezza dell'oratorio, il quale coglie che la sua cultura e la struttura non sono significative per entrare in contatto con una nuova generazione di giovani.
    L'incertezza tuttavia non lo blocca: si sente portatore di una scommessa educativa e religiosa che lo sollecita, dopo un primo momento di ansietà, a guardare ai giovani con un atteggiamento di empatia, disponibilità, accoglienza.
    Non c'è oratorio senza questa disponibilità empatica ed accogliente. Essa non è riducibile a una sorta di giovanilismo qualunquista, ma è la capacità di leggere la realtà con un'ottica educativa e di scommettere sui germi di bene presenti tra i giovani. Alla luce della fede evangelica, in essi riconosce l'azione dello Spirito che anima ogni uomo. L'accoglienza è il riconoscimento della dignità di ogni giovane e di ogni generazione giovanile come portatori di domande e di intuizioni sul futuro indispensabili per tutti.
    L'accoglienza si manifesta, oltre che in una convinta empatia, con la ricerca dei temi generatori, delle intuizioni positive che le generazioni elaborano per far fronte in modo creativo ai problemi delle generazioni precedenti. I giovani sono portatori di problemi, ma anche di intuizioni risolutive. Esse possono presentarsi in modo acritico e selvaggio, ma non per questo meno ricche di valori germinali e degne di attenzione educativa.

    IL CONFRONTO CON LA CULTURA DELL'ORATORIO

    Non esiste un oratorio senza confini, anche se non è facile intravvederli. L'oratorio, anche quando i confini sono segnati in modo fluido, è uno spazio recintato. I confini sono segnati dai diversi gruppi e dalle comunicazioni che al loro interno si verificano, ma soprattutto dai valori dell'oratorio.
    D'altra parte un oratorio senza confini non ha nulla da dire ai giovani. La sua continuità con l'ambiente circostante lo rende un'appendice della piazza o del bar.
    Il problema è la elasticità o impermeabilità dei confini e delle barriere. L'oratorio deve auto-osservare criticamente il proprio atteggiamento verso i nuovi giovani. Deve mettersi in ascolto.
    Non basta stare vicini ai giovani per intravvedere le loro domande. Non solo gli stessi giovani trovano difficile dire cosa vogliono e quali sono le loro attese e domande intime. E, soprattutto, è difficile dirle in modo serio se non vengono contestualizzate dentro l'attuale cultura e società. Le domande dei giovani, più che dal loro interno quasi acqua che sgorga da un pozzo, si formano nell'interazione con la cultura e la società. Quelle che l'oratorio incontra sono già espressione del gioco tra domande e risposte nella vita sociale, culturale, ecclesiale.
    Nel momento in cui si fa vicino ai giovani, l'oratorio non dimentica il suo bagaglio culturale, la sua tradizione, i suoi valori. Essi sono codificati nelle grandi finalità che lo legittimano, nella sua attuale organizzazione, nel progetto di animazione che persegue.
    L'oratorio non viene mai definito per intero da chi ne fa parte. Esso, di solito, preesiste agli attuali membri. Ha una sua storia, un suo stile, dei modi di procedere elaborati nel tempo e ora codificati in una sorta di memoria dell'oratorio.
    Le grandi finalità non possono essere messe in discussione né dai nuovi giovani né dalla singola comunità educativa, se non per aspetti secondari. Altrimenti esso tradisce la sua funzione sociale ed ecclesiale.
    Ma possono essere messi in discussione l'organizzazione, il progetto di animazione e, ancor di più, i suoi programmi operativi.
    La comunità educativa sente di dover difendere il patrimonio dell'oratorio e le sue grandi finalità. Sa che proprio nel difenderli si fa incontro ai giovani in modo significativo. Provoca uno scontro tra la loro cultura e quella dell'oratorio, per ricercare insieme una possibile area di intersezione tra i due mondi culturali.
    Inizia a questo punto un confronto serrato tra giovani e quanti rappresentano la cultura e le grandi finalità dell'oratorio. Ognuno cerca di tirare l'altro nel suo mondo. Non è errato parlare di lotta e di strategie difensive, di pressioni reciproche e di tattiche. In fondo l'oratorio non vuole presentarsi come uno spazio vuoto, del tutto disponibile ai loro valori, iniziative, modi di pensare e agire. Se questo accade, è la barbarie che si insedia senza che sia avvenuta una inculturazione.

    IL PATTO FORMATIVO

    Il confronto tra cultura giovanile e cultura dell'oratorio ha per obiettivo l'individuazione di un'area di intersezione tra i due mondi, cioè di un insieme di valori, modi di vivere, concetti e linguaggi, in cui è possibile per entrambi ritrovarsi e comunicare.
    L'area di intersezione, per ricorrere ad una immagine, è il campo sportivo in cui giocare la partita. Se quest'area non viene individuata ci si separa, oppure si comunica senza reale interesse o per secondi fini, come disporre di un campo di calcio o vantarsi di avere molta gente all'oratorio.
    La disponibilità a comunicare non può essere solo empatia. Certamente il minimo richiesto è la conferma vicendevole come esistenti e dunque il rispetto reciproco; ma non basta. C'è l'accoglienza quando, attivando il confronto tra i due mondi culturali, c'è disponibilità reciproca a interessarsi del mondo dell'altro e si ritrova una base da cui cominciare il lavoro educativo.
    L'immediato terreno di scontro è il modo con cui l'oratorio è organizzato, le strutture di potere, la gestione delle attività, il modo di relazionarsi tra individui e gruppi. Il confronto, almeno agli inizi, più che su concetti astratti culturali e religiosi, avviene sullo stile di gestione della vita quotidiana dell'oratorio. Solo la disponibilità a fare spazio a livello dell'organizzazione convince i giovani che sono ben accolti.
    Inizia così un momento affascinante, ma di natura traumatica, per l'oratorio e per la sua organizzazione. La sua struttura e cultura vengono messe in crisi, in vista di una loro riformulazione o reinvenzione.
    Il punto d'arrivo di questo avvicinamento è il patto o contratto formativo. Lo si firma nel momento in cui i giovani sono disposti ad entrare all'oratorio e questi ad accoglierli. Senza rinunciare alla propria identità e cultura, sentono di avere qualcosa in comune e che comunicando ci si può arricchire reciprocamente.
    Dire patto e contratto è dire comunicazione secondo regole e finalità. Ognuno dei due accetta regole da osservare. Il termine non va inteso in senso riduttivo, quasi si riducesse al regolamento dell'oratorio, ma piuttosto di alcuni princìpi da rispettare per comunicare in modo chiaro e proficuo.
    L'oggetto del patto può essere ricondotto al rispetto della vita che è nell'altro e alla disponibilità ad arricchirla, e arricchirsi di quanto di positivo c'è nell'altro. L'oggetto del patto è proprio la disponibilità a comunicare, con tutti gli atteggiamenti e valori che questo comporta. Non sono ancora in gioco i valori di fondo dell'uno e dell'altro, ma solo quelli legati ad una corretta e seria comunicazione. Un giovane o un gruppo entrano all'oratorio non quando prendono parte a qualche attività, ma quando vivono un evento comunicativo, il cui nucleo è un germe di fiducia reciproca, che abbraccia il mondo dell'altro, capace di svilupparsi nel tempo. Nel germe è incluso l'esito finale del cammino formativo, ma lo è in modo globale e inconsapevole.

    LE COMPETENZE PER ANIMARE L'ORATORIO

    Il patto formativo ha come contropartita, oltre la condivisione di un germe reciproco di fiducia, l'apprendimento di alcune competenze di base. Hanno il compito di abilitare a essere protagonisti dei processi formativi.
    I giovani le apprendono facendo oratorio, ma soprattutto riflettendo in modo critico sulle esperienze che vengono fatte.
    Le competenze sono abilità procedurali, modalità corrette di procedere per dar vita a un oratorio e a se stessi. Senza di loro non è possibile attivare il confronto tra valori e modelli culturali e religiosi in circolazione, ritrovare valori comuni, passare da valori a progetti e attività, e apprendere dalle attività che si svolgono.
    Esse sono in stretto rapporto con l'elaborazione del progetto dell'oratorio e alla sua traduzione in atto. Fanno dunque i conti con problemi concreti e vengono esercitate in vista di azioni concrete. Mettono in gioco le abilità di ognuno nel fornire l'oratorio di un progetto e di programmi capaci di interazione critica con l'ambiente circostante.
    Un primo ambito di competenze sono quelle relative alla conoscenza della situazione e dei problemi in gioco. Implicano il possedere le informazioni, ma soprattutto l'essere in grado di procurarsele. Vanno segnalate prima di tutto le informazioni sull'ambiente in cui i giovani vivono e sulle risposte che essi danno nelle diverse situazioni.
    Non meno importanti sono le conoscenze che riguardano invece cosa è un oratorio, quali sono le sue grandi finalità, qual è la sua originale logica nel leggere i problemi e interpretarli, ma anche il suo modo particolare di rispondervi e intervenire.
    Un secondo ambito di competenze che l'oratorio propone ai giovani di acquisire sono alcune abilità o competenze operative, cioè la capacità di gestire le informazioni, discuterle con gli altri, individuare soluzioni e negoziarle interagendo con le varie forze presenti nell'oratorio e attorno ad esso.
    Va sottolineata la sensibilità e apertura agli eventi circostanti e dunque ai cambiamenti in atto. Per avere una buona conoscenza della realtà, non basta sapere, ma occorre essere sempre disposti ad apprendere. Chi vive all'oratorio fa della curiosità e dell'attenzione ai fatti una sua abitudine.
    Il lavoro di animazione chiede poi l'abilità di sopportare la sofferenza che comporta prendere decisioni in situazioni problematiche e realizzarle nel tempo con grande dispendio di energie, incerti sui risultati a breve e lungo termine.
    Animare un oratorio richiede di lavorare su tempi lunghi. Sui risultati possono influire molti fatti, compromettendone il successo rispetto alle intenzioni. Tra i vari gruppi e tra le varie figure dentro l'oratorio possono nascere conflitti, e magari è necessario farli esplodere.
    Altrettanto importante è abilitarsi a individuare gli obiettivi e i programmi d'azione. Molto complesso è individuare gli obiettivi che in un caso concreto si vogliono raggiungere alla luce del progetto e le strategie e tattiche per realizzare i singoli programmi. È facile abbandonarsi ad iniziative senza progetto, o che il modo di condurre l'iniziativa sconfessi proprio gli obiettivi che si vogliono raggiungere.
    Un terzo ambito di competenze sono quelle legate ad apprendimenti creativi per far fronte a nuovi problemi che rendono inefficaci gli interventi ordinari.
    La creatività non va vista come capacità astratta e spontanea. Essa, invece, è abilità nell'apprendere dall'esperienza vissuta, anche se negativa, e da questa salire a livelli di cambiamenti di ordine superiore.
    È necessario abilitarsi alla creatività e immaginazione, cioè alla competenza innovativa per generare nuovi punti di vista, nuove ipotesi di lavoro, nuovi programmi d'azione e strategie quando gli ostacoli hanno fatto saltare quelli precedenti. La creatività implica la capacità di mettere in discussione quanto finora si è dato per scontato e che nessuno vorrebbe mettere in discussione, perché sconvolge gli equilibri conoscitivi, operativi e affettivi finora raggiunti.
    La creatività, a sua volta, presuppone l'elasticità mentale, vista più che come una qualità soggettiva innata, come frutto di paziente esercizio e di libertà interiore progressivamente maturata, attraverso il distacco dalle situazioni concrete con cui si è in gioco personalmente o come gruppo. Implica anche, una volta prese le decisioni insieme, di riconoscersi nel parere della maggioranza e di collaborare a quei progetti che prima si ostacolavano.


    2. Area due: partecipazione alle decisioni

    L'ingresso di nuovi gruppi comporta la loro partecipazione al potere decisionale e la riorganizzazione strutturale e culturale dell'oratorio. Vengono a incontrarsi e scontrarsi i diversi gruppi, la storia dell'oratorio e le nuove istanze giovanili. Non è facile accettare di vedere tramontare un certo modo di fare caro ai «vecchi».
    Il punto di arrivo è un insieme di nuove norme organizzative e un nucleo di valori che incarnano e attualizzano quelli fondamentali dell'oratorio.
    Far parte dell'oratorio è prendere decisioni sull'oratorio e dunque partecipare, in forme diversificate, al «centro decisionale» che lo anima e in cui interagiscono positivamente le diverse forme di potere in gioco all'oratorio.
    Giovani e educatori, che cominciano a condividere alcuni valori e si ritrovano al centro decisionale, si confrontano in modo appassionato e critico per rispondere a una domanda: cosa vogliamo da questo oratorio? Insieme, secondo modalità adeguata ad ogni persona e gruppo, si lavora per immaginare e dare un volto all'oratorio e per dare un volto a se stessi come uomini e cristiani.
    Tra i tanti aspetti da approfondire in questa area concentriamo l'attenzione sul problema del cambiamento e della riorganizzazione e sul problema della partecipazione al potere decisionale.

    IL CAMBIAMENTO TRA RESISTENZE E SLANCI

    Una volta che, anche se in modo implicito, è stato firmato il contratto formativo, si apre una nuova fase: da «padroni di casa» si partecipa all'animazione dell'oratorio. In questo lavoro i gruppi e i giovani, interagendo tra loro e con le proposte in circolazione nell'oratorio, si esercitano a progettare se stessi progettando l'oratorio.
    I nuovi gruppi all'oratorio portano attese e problemi, creando difficoltà e disfunzioni, propongono iniziative spesso in discontinuità con il passato. In questo modo essi stimolano l'oratorio, anche se in forma a volte caotica e contraddittoria, a un cambiamento dinamico.
    Di natura sua l'oratorio tende ad invecchiare. Come in ogni sistema, soprattutto se tende ad essere chiuso, l'energia interna si distribuisce in modo sempre più uniforme, fino ad un massimo di stabilità. Se non intervengono forze esterne anche l'oratorio tende alla morte.
    Per reagire l'oratorio deve assumere energie, materiali, informazioni dall'ambiente circostante. Il loro ingresso crea squilibri e rimette in movimento quanto tendeva a cristallizzarsi. L'oratorio è costretto a elaborare un suo nuovo modo di essere, un suo nuovo progetto. Tende al cambiamento.
    Che l'oratorio accetti di essere messo in discussione, anche se non scardinato, dai nuovi gruppi evidenzia che la partecipazione che offre non è puramente formale.
    L'oratorio non è un ambiente dove tutto è già prestabilito e dove le strutture sono immodificabili. In questo caso esso inviterebbe ad una partecipazione passiva.
    Chiede invece una partecipazione attiva, per inventare la vita di un ambiente complesso e vasto. Accetta di essere sempre una sorta di cantiere in costruzione. Le nuove generazioni trovano il cantiere aperto. Possono proseguire la costruzione seguendo i progetti esistenti, ma anche modificarli, fermo restando che si tratta di un oratorio e dunque di un ambiente dove la libertà progettuale è delimitata dai fini istituzionali.
    In un oratorio ci sono sempre forze che si oppongono al cambiamento. Cercano di impedire l'ingresso di forze e informazioni che disturbano la quiete o di fagocitarle a sostegno degli equilibri esistenti. Tuttavia l'oratorio contiene anche forze che, sollecitate dai nuovi problemi, tendono a combattere l'invecchiamento e a riprogettare l'oratorio e produrre quindi modificazioni e cambiamenti.

    LA PARTECIPAZIONE AL POTERE DECISIONALE

    L'invito a partecipare all'animazione dell'oratorio implica partecipare al potere che decide gli orientamenti che ne regolano la vita. Non c'è partecipazione se non si può concorrere a determinare, su un piano di relativa uguaglianza, gli obiettivi principali, l'uso delle risorse, la programmazione di attività piuttosto che altre, il modello di convivenza tra individui e tra gruppi.
    Partecipare alle decisioni è un aspetto essenziale del processo educativo. Implica un lavoro impegnativo che non va ridotto al momento fatidico del votare in segreto o per alzata di mano.
    Ogni presa di decisione suscita, anzitutto, un coinvolgimento nelle dinamiche relazionali e nelle regole organizzative dell'oratorio. In questo modo i giovani apprendono a sentirsi parte e sperimentare la democraticità del decidere ascoltando tutti, facendo spazio al dissenziente, sciogliendo i gruppi nascosti di pressione, accettando il contributo degli oppositori.
    Ma la sequenza stessa del decidere è arricchente. Una decisione richiede anzitutto un accordo tra persone e gruppi sulla interpretazione del problema su cui decidere. Ora questo comporta una faticosa decodifica degli avvenimenti, la separazione di alcuni fatti da altri per non creare falsi rapporti di causa/ effetto, la ricerca di cause reali. Emergono i diversi modi di pensare, le di verse precomprensioni e pregiudizi. Prendere parte ad una decisione è mettere in discussione i propri modi di leggere la realtà, disposti ad accettare il contributo critico degli altri.
    Il decidere porta sempre alla concretezza, al che fare, ma prima di arrivarci, man mano che le diverse proposte risolutive vengono avanzate e si coglie la loro discordanza o concorrenza, si è sollecitati a cercare criteri e valori comuni a partire dai quali valutare. Non si può decidere seriamente se non si ritrova un insieme di criteri e valori. La battaglia e la competizione dai fatti e dalla loro interpretazione sale al livello dei valori di base personali e dell'oratorio.
    Tuttavia prendere una decisione non è una discussione accademica, ma un'attività che nasce sotto la spinta di urgenze e situazioni di incertezza, e sollecita a una risposta operativa. Ma questo neppure basta, perché si decide veramente solo quando si è in grado di mobilitare le risorse appropriate e tradurre le intenzioni e i desideri in un progetto complessivo o in programmi d'azione.
    Ogni decisione rimanda pertanto al problema del potere, di chi comanda e in nome di chi.
    Il potere è la capacità di una relazione di influenzare i suoi membri. Tra due persone che si amano è la capacità della relazione di chiedere al singolo di modificarsi. È facile intuire che cosa sia il cattivo uso del potere quando in una coppia si crea una dipendenza tale che uno diventa succube o viene plagiato.
    L'esempio permette di chiarire come nasce il potere. Esso è frutto dell'interazione tra le persone, del legame tra loro. In un gruppo è dato dall'interazione dei membri, i quali sono disposti a riconoscergli di poter comandare su di loro in quanto esso è capace di aiutarli a raggiungere obiettivi soggettivamente significativi, ma che da soli non potrebbero soddisfare.
    In un oratorio il potere è la capacità di influenzare i singoli e i gruppi, e nasce dall'offrire esperienze che i gruppi e i singoli reputano significative e decisive per loro. Il potere dell'oratorio nasce dalla volontà dei partecipanti che si associano per condividere rapporti, attività, esperienze significative per tutti.
    Tipico dell'oratorio è voler restituire all'esercizio di tutti i partecipanti l'uso del potere che al suo interno si genera e rigenera. Esso tende a distribuire il potere, a decentrarlo, invitando, secondo regole da tutti condivise, a prendere parte alle decisioni. Far parte di un oratorio è allora prendere parte alle sue decisioni, poter decidere e avere il potere di influenzare il corso dei fatti.

    LE DIVERSE FORME Dl POTERE E LA FORMAZIONE Dl COALIZIONI

    Nell'oratorio, anche se tutti sono chiamati ad esercitare il potere e a prendere decisioni che influenzano il corso degli avvenimenti, il potere è distribuito in vario modo.
    Ci sono anzitutto diversi modi di accedere al potere.
    Distinguiamo tra potere per accettazione e potere per nomina.
    Il potere per accettazione è il potere dei leaders nei gruppi e il potere dei gruppi che esercitano una leadership dentro l'oratorio.
    Nei singoli gruppi vengono ad acquisire potere quei giovani che meglio degli altri sanno cogliere i momenti di incertezza e sanno individuare delle risposte risolutive ai problemi. In quanto migliori interpreti del gruppo e capaci di individuare il cammino da percorrere, il gruppo si riconosce in loro e se ne lascia influenzare. Il potere dei leaders è per accettazione, in quanto nasce dal basso per una sorta di investitura più o meno ufficiale.
    Allo stesso modo, nell'oratorio emergono dei gruppi-leader, capaci di interpretare il momento che esso vive e di guidarlo verso sentieri di animazione soddisfacenti per tutti. Anche il potere di questi gruppi è per accettazione. Tale infatti viene riconosciuto dagli altri gruppi e dall'oratorio nel suo insieme.
    Tuttavia un oratorio ha anche un'altra forma di potere, quello acquisito per nomina dall'alto, da parte di un'autorità di ordine superiore all'organizzazione oratoriana. Si pensi al responsabile dell'oratorio nominato dal parroco o dai suoi superiori religiosi. In questo caso siamo ad un potere per autorizzazione o potere legittimo.
    In un oratorio c'è l'incontro, con tutti i possibili conflitti, tra il potere per accettazione e il potere per autorizzazione dall'alto.
    Nessuno dei due può dimenticare l'altro. I due poteri, nel momento in cui si riconoscono reciprocamente, aumentano il grado della propria legittimità. Un originale punto di fusione tra potere per accettazione e per autorizzazione è quello degli animatori, cioè di quelli educatori che vengono investiti di potere sia dal basso, perché sono riconosciuti dai giovani come interpreti delle attese del gruppo e competenti nell'aiutare a soddisfarle, e anche per nomina dall'alto, in quanto associati al potere che l'autorità di ordine superiore riconosce ai responsabili dell'oratorio.
    Il potere dell'oratorio risulta quindi un potere distribuito, ed assume la forma di coalizioni fra diverse forme di potere e fra diversi soggetti e gruppi. All'atto pratico alcuni uomini e gruppi concentrano in se stessi il potere dell'oratorio. È un potere di coalizione.
    Prendere decisioni in queste circostanze richiede un paziente lavoro di contrattazione e negoziazione.
    Quando poi una coalizione è incapace di affrontare le incertezze del momento, il potere tende a concentrarsi ulteriormente nelle mani di poche persone o di un personaggio carismatico. Ma in questo caso si esce dalla logica dell'esercizio democratico del potere tipico dell'oratorio.

    IL CENTRO DECISIONALE

    Il potere tende a generare una struttura stabile che ne permette l'esercizio: il centro decisionale.
    Con questo termine si intendono i vari luoghi in cui il potere si concentra e viene di fatto e per diritto esercitato. Non c'è vero oratorio dove non emerge un centro decisionale, capace di dargli un indirizzo e elaborare progetti.
    L'oratorio non è gestito dall'anarchia organizzata, ma da un centro decisionale consapevole e attivo, capace di rappresentare, in modo democratico, i singoli e i gruppi, l'autorità legittima e l'autorità del basso.
    Al centro decisionale partecipano tutte le forze che animano l'oratorio attraverso i loro rappresentanti, in modo da garantire un equilibrio nell'uso del potere. Il centro decisionale funziona sulla base di un regolamento che in parte è concordato tra i presenti e in parte dato dall'autorità di ordine superiore, che indica i fini istituzionali dell'oratorio e si fa garante della qualità formativa dell'oratorio.
    Il vertice o cuore del centro decisionale è il consiglio dell'oratorio. Vi prendono parte i responsabili dell'oratorio e gli animatori dei gruppi, i giovani eletti dagli stessi giovani, i rappresentanti delle forze sociali ed ecclesiali (in particolare della famiglia).
    Le strutture attraverso cui il centro decisionale si organizza possono essere, e di fatto sono, molto diverse: dalle riunioni del consiglio dell'oratorio alle assemblee degli animatori, dalla riunione dei responsabili alla assemblea generale con tutti i giovani, dalle commissioni di studio alle équipes dei tecnici che prestano servizio all'oratorio.


    3. Area tre: elaborazione del progetto

    L'aggregazione in gruppi, la riorganizzazione strutturale, la concreta partecipazione alla invenzione dell'oratorio e alla gestione democratica delle attività tramite un centro decisionale rappresentativo, aumentano la identificazione dei giovani nell'oratorio. Si può passare allora ad una fase successiva: l'elaborazione del progetto.
    Interagendo tra persone e con le proposte culturale e religiose in circolazione, ci si esercita a progettare se stessi progettando l'oratorio. Si apprende a progettarsi progettando l'oratorio.
    Il progetto diventa il luogo dello scontro intergenerazionale (tra adulti e giovani, tra vecchi e nuovi), associativo (i diversi gruppi con diversi interessi modi di progettarsi dentro un unico alveo), culturale e religioso. Diventa, in particolare, il luogo dove la proposta culturale e di fede incontra i giovani e la loro domanda di senso.

    AL Dl LÀ DELLA CRISI Dl PROGETTUALITÀ

    L'oratorio, prima che un confronto diretto tra domande-proposte in termini concettuali, propone di ritrovarsi insieme per organizzare attività e delineare un progetto complessivo di animazione. Il terreno di gioco, più che le idee astratte, è il progetto di animazione dell'oratorio. Su quel campo interagiscono i gruppi, le generazioni, le culture e i modelli di spiritualità.

    Un progetto per l'oratorio

    Man mano che il progetto oratoriano viene elaborato (e realizzato), i singoli e i gruppi trovano proposte, valori, modelli di vita per elaborare e realizzare un personale progetto di vita come uomo e cristiano.
    Lavorare al progetto non significa che fin dal primo istante si accettano i valori e il modello di vita alla base dell'oratorio. Del resto più che di accettare un progetto esistente si tratta di rielaborarlo creativamente. La finalità è che tutti si esercitino a progettare e a trasformare l'oratorio, l'ambiente, il gruppo, se stessi. Man mano che questa abilitazione procede, i singoli e i gruppi possono scegliere i valori in cui riconoscersi.
    La progettualità oratoriana diventa pertanto palestra dove apprendere a fare scelte progettuali libere, frutto di un serrato confronto. Il progetto è uno strumento e l'oratorio è un laboratorio sociale ed ecclesiale dove i giovani trovano l'aiuto e gli strumenti per abilitarsi alla progettualità.
    L'oratorio non ha un suo modello definito di uomo e di cristiano da proporre. In quanto istituzione educativa si pone in mezzo, tra i giovani con le loro attese e domande e la società e la chiesa con le loro proposte, affinché l'incontro avvenga in modo rispettoso della dignità del giovane, il quale è chiamato a lasciarsi misurare dai loro valori e a elaborare un progetto di vita in cui personalmente si riconosce.
    Quel che l'oratorio offre ai giovani è un luogo in cui esercitarsi a progettare, animando l'ambiente e le attività al suo interno. Ma non offre solo questo. Offre insieme e con coraggio alcune intuizioni che orientano a riconoscersi in alcuni valori culturali e spirituali piuttosto che in altri. Pur non avendo un suo progetto da proporre o difendere, l'oratorio aiuta in questo modo ad orientarsi fra i progetti.
    Di conseguenza per apprendere a progettare l'oratorio e insieme se stessi, è necessario che i giovani e i gruppi entrino in contatto con le varie proposte culturali e religiose. Non c'è progetto nel momento in cui l'oratorio tende a chiudere i giovani al suo interno, ma quando li pone a contatto con le informazioni, le energie, i materiali in circolazione nell'ambiente circostante.

    IL PROGETTO COME MEDIAZIONE TRA VALORI E SITUAZIONI

    Le varie forze dell'oratorio sono impegnate per arrivare alla codificazione di un progetto sufficientemente stabile. Esso, tuttavia, è sempre un punto di arrivo e un punto di partenza. In fondo il progetto è la stesura organica della riflessione che l'oratorio fa sulla sua esperienza in evoluzione.
    Esso si modifica man mano che l'oratorio si evolve, meglio ancora ne precede l'evoluzione perché guarda sempre al futuro.
    Non bisogna considerare il progetto e la sua stesura con una mentalità efficientista, quasi che l'azione concreta sia un'applicazione nell'oratorio. Facilmente l'azione concreta va oltre il progetto.
    Questo non lo rende inutile, anzi. Arrivare alla stesura del progetto, oltre che offrire un orientamento all'azione, ha un valore simbolico per l'insieme delle attività che abbiamo appena descritto, in quanto diventa punto di riferimento normativo, rappresenta l'unità dell'oratorio, educa le nuove generazioni.

    Cosa è un progetto

    Il progetto non è il «che fare», qui ora, la prescrizione efficiente o ansiosa di norme e regole organizzative, e neppure un operativo programma d'azione, pensato in modo pragmatico.
    Il progetto si àncora all'orizzonte spirituale e pastorale e ai valori espliciti e orientamenti all'azione che caratterizzano l'oratorio, ma non è un'applicazione ad una situazione concreta di tali valori.
    La sua funzione è invece di mediazione tra i valori irrinunciabili e la situazione sociale e culturale in cui vivono i giovani e lo stesso oratorio. Il progetto nasce nella presa di coscienza della forte discrepanza tra ciò che si dovrebbe fare e ciò che effettivamente si può fare.
    Esso è un ponte teso tra due mondi: quello della fedeltà a ciò che si dovrebbe fare e ai valori ispiratori (dimensione ideale), e quello della debita considerazione delle situazioni (dimensione operativa).
    La dimensione ideale comprende i princìpi che determinano gli obiettivi finali, gli scopi per raggiungere i quali l'oratorio agisce, la visione di ciò che dovrebbe essere fatto. La dimensione ideale giustifica i mezzi usati per raggiungere gli obiettivi immediati e praticabili.
    Il bisogno di efficienza e la necessità di ricorrere a compromessi fanno sì che le prescrizioni operative siano prioritarie rispetto a quelle ideali. Ciò che può essere fatto diventa più importante di ciò che dovrebbe essere fatto.

    I NUCLEI DEL PROGETTO

    Impegnare i giovani, soprattutto ai primi passi dentro l'oratorio, a lavorare attorno al progetto, non viene inteso in senso rigidamente tecnico, quasi che a loro toccasse scrivere il progetto dell'oratorio. Il progetto in senso stretto va invece preparato a cura del consiglio oratoriano, il quale vi assume il contributo anche dei giovani.
    Compito dei giovani è invece esercitarsi di volta in volta a qualche nucleo del progetto. Solo verso il termine dell'esperienza formativa si è in grado di padroneggiare uno strumento di lavoro complesso come un progetto di animazione dell'oratorio.
    I nuclei fondamentali a cui applicarsi li raccogliamo in uno schema.

    1989-05-54

    Progettare è anzitutto chiedersi: «Che cosa crediamo?».
    Ogni progetto è il tentativo di muoversi oltre ostacoli e problemi sospinti da una fede, da una utopia, da un sogno. Non c'è progettualità dove non si sogna qualcosa e non si fonda il sogno su un qualche scommessa esistenziale e religiosa. Dal «credo» in cui ci si riconosce derivano i valori irrinunciabili che si vogliono mettere alla base della vita oratoriana. Oggi tra i giovani, ma anche negli oratori, la dimensione di utopia e di sogno è debole e viene scarsamente coltivata. Solo una ripresa di utopia, sostenuta da adeguate esperienze, può invece ridare fiato alla progettualità personale e dell'oratorio.
    Il sogno che insieme si elabora non porta a chiudersi in se stessi ma a guardarsi attorno e chiedersi: «Che cosa osserviamo?».
    Non sempre ha senso chiedere ai giovani analisi approfondite, ma si può aiutarli a riconoscere bisogni personali, come pure alcune attese diffuse nella società Il «che cosa osserviamo?» può essere espresso sotto forma di domande che i giovani rivolgono all'oratorio. Attorno a una analisi della realtà i giovani vengono impegnati in molti modi, non necessariamente sotto forma di lezioni.
    Ci sono esperienze e attività che permettono di immedesimarsi nel vivo della sofferenza umana.
    Cogliere domande e interrogativi non è sufficiente. È importante abilitare a fare diagnosi: «Che cosa diagnostichiamo?».
    La diagnosi incrocia i valori su cui si scommette con la realtà per cogliere la distanza. Ma intravvede anche alcuni nessi tra effetti e cause (ad esempio tra emarginazione sociale e disagio soggettivo dei giovani), senza cadere nel moralismo.
    Diagnosticare è dare giudizi, esprimersi su quel che succede a partire dai propri valori. Solo in questo modo si apprende a chiamare i mali dell'oratorio con i loro nomi e a distinguere tra i vari problemi senza schiacciarli su un fondo indistinto che ne sfuma i contorni e porta a non pronunciarsi su niente.
    La diagnosi introduce alla terapia, alle prescrizioni correttive, rispondendo alla domanda: «Che cosa si dovrebbe fare?».
    È il momento della ricerca degli obiettivi verso cui muoversi e dei sentieri da percorrere per arrivarci. L'utopia e la scommessa che anima il cuore delle persone ora sollecitano a inventare delle risposte, ad avere fantasia, a non arrendersi.
    È una fase delicata a cui si tenta di sfuggire indicando attività da fare, iniziative da svolgere, mezzi da utilizzare. Prima di parlare di attività occorre parlare di fini e di obiettivi, di valori che in questa situazione l'oratorio deve perseguire.
    Mentre risponde alla domanda «Che cosa si dovrebbe fare?», per sfuggire al criticismo utopico di chi sottolinea sempre le deficienze rispetto agli obiettivi sognati ma non muove un dito per animare l'oratorio, se ne affronta un'altra: «Che cosa si può fare?». Non basta sognare compiti gravosi che si è incapaci di mantenere.
    Il progetto chiede una mediazione tra ideale e possibile. L'esaltare troppo il dover essere non genera progettualità, ma inedia e apatia.
    Pur cogliendo la discrepanza tra ideale e possibile, i giovani apprendono che quando si realizza tutto ciò che è realisticamente possibile si può abbandonarsi alla felicità. Un oratorio non può fare tutto, deve accettare i suoi limiti, senza scatenare troppo il sogno giovanile. Ogni progetto è sempre il coraggio dei passi possibili alla luce dei valori in cui si crede.
    Il ciò che si può fare introduce al «che cosa si fa?». Non si comincia un oratorio da capo. Esso è già in azione e al suo interno si susseguono attività finalizzate ai diversi obiettivi. Prima che dar vita a nuove attività, progettare è prendere atto di quanto esiste in modo empatico, anche se sono altre persone e gruppi a farlo. L'oratorio rischia di buttar via l'esperienza che accumula, solo perché cede alla tentazione di cominciare sempre da capo. Anche se in certe occasioni questo può rivelarsi utile, normalmente ragionare in termini di progetto richiede di inserirsi in attività esistenti e modificarle dal di dentro.
    È da attendersi un atteggiamento di apertura al rinnovamento. Alcune attività possono cadere, altre nascere. L'interrogativo precedente diventa: «Cosa altro fare?».
    C'è un ultimo interrogativo a cui l'elaborazione del progetto rimanda man mano che prende forma: «Ciò che noi non siamo». L'oratorio è uno spazio aperto, ma non senza confini. Quali sono i criteri per delimitare chi è dentro e chi è fuori?
    L'interrogativo chiede anche di riflettere sulla differenza tra l'oratorio e gli altri ambiti sociali ed ecclesiali. Ci sono alcuni atteggiamenti che non rientrano nello stile dell'oratorio, anche se sono plausibili in altri gruppi e associazioni. Introdotti all'oratorio, sarebbero forieri di morte e non di vitalità. Non si può cadere nello sciovinismo a buon mercato o cercarsi a tutti i costi nemici da combattere. Eppure come i giovani con le loro mode si separano dagli adulti per riconoscersi come mondo giovanile, così l'oratorio sente il bisogno di «separarsi-da» per poter sempre più «riconoscersi» nel suo progetto di uomo e di cristiano.

    IL PROGETTO Dl GRUPPO

    Mentre partecipa all'elaborazione del progetto dell'oratorio, ogni gruppo elabora il suo progetto. Nello scambio tra i due livelli i giovani apprendono a non fare del gruppo un luogo di consumo di bisogni senza alcuna progettualità e a realizzare in modo originale l'unico progetto dell'oratorio.
    Il progetto del gruppo riprende le domande appena proposte ma le orienta alla sua vita. Ci sono valori da chiarire (quali sono i valori che veramente si condividono?). Bisogna individuare le attività che meglio rispondono ai bisogni e agli interessi del gruppo e come realizzarle in modo efficiente. Ci sono problemi di natura relazionale e di gestione del potere.
    Il progetto del gruppo viene scritto dentro l'alveo del grande progetto dell'oratorio.
    Ma proprio tale progetto prevede che possa essere realizzato in modi diversi. L'oratorio è luogo di reale pluralismo associativo.
    L'oratorio aiuta i diversi gruppi a condividere un unico progetto, ma insieme a realizzarlo valorizzando le peculiarità del proprio gruppo.
    Non è sempre facile accettare questo. È facile che alcuni vogliano una convergenza non solo sui valori ma anche sui programmi delle attività. Tutti dovrebbero fare le stesse cose e tutti i gruppi non potrebbero essere che delle fotocopie.
    L'oratorio invece vuole educare ad una società democratica e ancor di più ad una visione corretta della vita cristiana e del pluralismo nella chiesa. Crede in una comunità che converge su un unico progetto e sui valori, ma lascia che i singoli gruppi (e le singole persone) realizzino valori e progetto secondo la propria vocazione.
    Il pluralismo associativo, fondato sulla condivisione di un progetto elaborato insieme, all'oratorio è fondamentale. Dove viene a cadere c'è solo impoverimento.

    4. Area quattro: apprendimento nelle attività formative

    La quarta area è quella della routine quotidiana, che vede un susseguirsi di attività formative coordinate da programmi d'azione a breve e medio termine a partire dal progetto. Qui l'oratorio si apre ritmicamente all'ambiente circostante da cui attinge le informazioni ed energie vitali che permettono di creare un ambiente formativo per i giovani e per la loro libertà e responsabilità.
    Mentre si esercitano nel progettare l'oratorio, i gruppi lavorano con intensità alla programmazione delle concrete attività, in risposta ai diversi interessi. Se il progetto è un disegno di vasto respiro, il programma è relativo alle attività qui-ora o a breve termine. Il progetto risponde ad una strategia generale, il programma alla messa in atto di singole azioni tattiche. Proprio perché a breve o medio termine, i programmi si susseguono velocemente nei singoli gruppi e nel complesso dell'oratorio. Se tutti i gruppi si ritrovano nello stesso progetto d'oratorio, ampia libertà è data nella elaborazione di suoi programmi d'azione.

    DAL PROGETTO AI PROGRAMMI D'AZIONE

    I programmi d'azione si muovono nell'ambito dei tre grandi nuclei delle attività specifiche o distintive dell'oratorio. Per organizzarle, i giovani entrano in contatto con le informazioni, i materiali tecnici e le energie dell'ambiente circostante. L'oratorio non ha i suoi contenuti antagonisti rispetto a quelli dell'ambiente. Si collega perciò a fonti privilegiate di queste energie, mentre controbilancia l'influsso di fonti di informazioni contrarie e concorrenti con i suoi valori. Ogni attività oratoriana può essere considerata un processo di assunzione, trasformazione, restituzione di quanto l'ambiente culturale e religioso produce. Perché questo accada, utilizza un modello di apprendimento esperienziale.
    Non basta progettare e programmare. Occorre apprendere a controllare in modo critico e responsabile come si svolge la vita all'oratorio e lo scarto tra valori ideali, così come vengono enunciati nel progetto, e situazione reale con le sue ambivalenze. L'esercizio del controllo è la presa d'atto della forbice o discrepanza in modo da apprendere a ridurla sempre più, utilizzando le esperienze positive e anche gli errori. In questa attività di controllo e di ripensamento i giovani si rendono conto del cammino, e possono appropriarsi in modo consapevole dei significati insieme elaborati.
    L'attenzione si concentra sulla programmazione e gestione delle attività formative.
    Le attività sono quel che maggiormente appare dall'esterno per chi osserva un oratorio. Ad alcuni sembrano attivismo che poco ha a che fare con la formazione. Ad altri sembrano attività puramente culturali inutili rispetto all'educazione religiosa cristiana.
    Il rischio di un attivismo fine a se stesso, che ripete gli schemi della società del consumo e dello spettacolo, è grande. Tuttavia non si può giudicare il significato di tali attività a partire dai suoi lati peggiori o dai suoi rischi formativi.
    Dal punto di vista culturale e religioso, le attività per se stesse non sono né positive né negative. Sono possibilità offerte ai giovani perché con il loro agire intenzionale le riempiano di senso, di contenuti che aggiungano valore all'azione. Tutto dipende dai valori che attraverso di esse i giovani apprendono e vi iscrivono. Non basta che i giovani esprimano se stessi, i loro interessi e bisogni, dando sfogo alla loro vitalità.
    Non c'è attività educativa se questa non è collegata al progetto dell'oratorio. Devono esprimere ed incarnare concretamente il progetto, che offre l'orizzonte essenziale nel mediare l'incontro tra i giovani e i diversi contenuti culturali e religiosi. Allo stesso tempo, lo svolgersi delle attività e l'accumulo di esperienza che queste comportano viene a rifluire sul progetto favorendo la sua progressiva rielaborazione. C'è sempre un feedback dal fare concreto al ripensamento e arricchimento del progetto stesso. Senza questo feedback l'oratorio non corregge i suoi errori e non apprende dall'esperienza; aumenta la discrepanza tra progetto ideale e vita reale all'oratorio, e i giovani non apprendono a individuare quali mattoni le attività offrono per la costruzione della propria identità come anche della società e della chiesa.

    TRE AREE Dl ATTIVITÀ

    All'oratorio si fanno attività molto diverse, ma tutti realizzano lo stesso progetto. In questo sta l'unità e il pluralismo tipico degli ambienti oratoriani, dove la convergenza è sui valori di fondo e non sul fare tutti le stesse attività. Il «fare insieme» è invece specifico di ogni gruppo.
    La pluralità delle attività è riscontrabile anche nell'incrociarsi di attività puramente culturali e di attività specificamente religiose. In quanto ambiente in cui educazione umana e educazione alla fede formano un unico processo, il passaggio dalle une alle altre è abbastanza naturale. Pur restando attività distinte in quanto i modi di procedere, oltre che i contenuti, sono diversi, trovano la loro unità nell'abilitazione complessiva dei giovani a dare un senso alla loro vita, radicato nella tradizione culturale e religiosa.
    La proposta oratoriana abilita ad articolare l'attività entro tre cerchi che vengono a distinguersi e sovrapporsi, all'interno dell'area più vasta delle attività che regolano tutta la vita dell'oratorio.
    Ogni gruppo viene aiutato a praticare le attività dei tre cerchi e a trovare la loro unità. Ne va di mezzo la globalità del processo di crescita.
    Il primo cerchio è rappresentato dal gioco e dalla festa.
    L'oratorio è anzitutto un luogo in cui i giovani possono incontrarsi, aggregarsi in forme molteplici, fare gruppo liberamente. Più che sugli stessi interessi e compiti, spesso ci si aggrega sull'amicizia. Prevale il gusto di riconoscersi e scegliersi, di confermare gli altri come esistenti. Tutto questo viene a confluire in un'attività distintiva: il gioco inteso come insieme delle attività spontanee che non hanno alcun fine utile. Il gioco è fine e non mezzo. È momento di estrema gratuità e libertà. Vicino al gioco è la festa. L'oratorio educa a vivere la festa come atteggiamento e come giorno di festa, come domenica.
    L'oratorio non esprime il suo potenziale formativo in tutta la sua ricchezza se non si passa la domenica insieme.
    Il secondo cerchio è quello delle attività di promozione culturale e sociale, a partire da specifici bisogni e interessi giovanili o da situazioni di povertà che sfidano gli stessi giovani ad intervenire con un servizio volontario. Da sempre l'oratorio conosce al suo interno attività culturali tese a mettere i giovani a contatto con l'esperienza culturale e circostante, e attività di promozione sociale tese ad inserirli attivamente nei più vasti ambiti della vita sociale.
    Sono attività culturali il cineforum e le tavole rotonde su vari problemi, come anche i campiscuola centrati sulla maturazione affettiva o sull'impegno politico.
    Sono attività di promozione sociale quelle che conducono a interagire con le istituzioni sociali ed ecclesiali e ad assumersi compiti nel servizio ai più piccoli o agli emarginati, nel sostenere le attività culturali del paese o gestire una società sportiva; offrire ai più giovani la possibilità di fare sport è servizio sociale, non meno dell'aiuto agli handicappati.
    Un terzo gruppo di attività sono quelle più da vicino legate alla trasmissione della fede e alla scelta personale della causa del Regno. In questo ambito l'oratorio prevede momenti di catechesi in cui vengono ad intrecciarsi la domanda di senso dei giovani, la fede che permea l'oratorio, i grandi eventi di Gesù e dei primi cristiani. Allo stesso modo l'oratorio conosce momenti e tempi di preghiera e di celebrazione comunitaria. La partecipazione all'eucaristia e alla penitenza sono attività centrali nella vita di un oratorio.

    L'ATTIVITÀ COME ASSUNZIONE E TRASFORMAZIONE Dl CULTURA

    La qualità formativa di un'attività non è data dalla sua vivacità o dal fatto che «riesce» in modo efficiente e spettacolare, ma dai contenuti culturali e religiosi che veicola e pone innanzi ai giovani perché li assumano e li trasformino per dare un volto a se stessi.
    L'oratorio in quanto sistema aperto, considera indispensabile assumere sempre nuove informazioni, energie, materiali dall'ambiente circostante per vincere la naturale tendenza all'invecchiamento. Solo assumendo dall'ambiente, l'oratorio si rigenera e trova la possibilità di educare le nuove generazioni. L'oratorio assume queste energie, informazioni e materiali in modi molteplici.
    Qui si è di fonte a un preciso modo di entrare in contatto con l'ambiente, in particolare con i «centri» sociali ed ecclesiali di produzione di contenuti significativi per la formazione dei giovani.
    Il compito dell'oratorio è favorire l'entrata dei contenuti, ma anche selezionarli, e di abilitare i giovani e i gruppi ad entrare in contatto con loro assumendo i filtri comunicativi della criticità, significatività, responsabilizzazione.
    Attraverso questi filtri l'oratorio diventa un ambiente che offre una prima selezione preventiva dei contenuti, per non correre il rischio che il giovane sia sommerso dalla quantità dei messaggi senza essere in grado di padroneggiarli.
    Non tutte le informazioni, del resto, possono essere assunte dal momento iniziale della formazione. Il loro sovrapporsi finirebbe per creare confusione. Invece man mano che la capacità di scelta cresce, si abilita a fare i conti con il pluralismo sociale ed ecclesiale e con le loro differenze.
    La selezione dei contenuti viene svolta con due precise attenzioni. Da una parte vanno selezionati a partire dalla loro importanza oggettiva, così come vengono riconosciuti nella vita sociale e culturale e valutati dalla sensibilità oratoriana. Ma vanno anche selezionati avendo presenti i giovani nella loro concretezza. Di qui l'importanza di procedere nella logica dei temi generatori.
    Non è necessario presentare tutto, basta offrire quei nuclei valoriali a cui i giovani sono sensibili, e aiutare a svilupparli conquistando gli altri valori che si dispongono a ragnatela attorno a loro fino ad intrecciare un quadro complessivo culturale e religioso.
    Entrare in contatto con i contenuti non è ancora farli propri. Per arrivare a questo è necessario un processo di trasformazione in cui entrano in contatto tre ordini di fattori: i contenuti nella loro originalità e forza, le domande profonde ed autentiche dei giovani, i temi generatori e i valori culturali e spirituali dell'oratorio come catalizzatori.
    Questi tre fattori vengono ad incontrarsi in una singola attività in cui i giovani sono chiamati a confrontarsi con i contenuti e danno una risposta personale creativa. Ogni attività implica una risposta soggettiva che, mentre assume, ricrea i contenuti appresi. Essi vengono digeriti e trasformati in alimento personale. Diventa patrimonio soggettivo.
    Diventa comprensibile perché un oratorio-sistema chiuso non riesce ad educare. Al suo interno i giovani, anche se magari partecipano ad attività molteplici e spettacolari, non incontrano quel che l'umanità ha elaborato e intende trasmettere perché essi creativamente li rielaborino, arricchiscano e conservino per trasmetterli alle nuove generazioni.

    L'USCITA DALL'ORATORIO

    Come esiste un'entrata, così, ovviamente, esiste una uscita dei giovani dall'oratorio. Fin dal primo incontro l'oratorio non fa che preparare i giovani a questa uscita.
    L'oratorio non dimentica la sua natura formativa e quindi, una volta terminato il lavoro formativo, aiuta a vivere in modo corretto la delicata fase che porta fuori dall'oratorio.
    L'oratorio è attento a cogliere il momento in cui è importante che i più grandi lascino l'oratorio, perché ormai nuovi problemi e compiti si affacciano per ognuno, e per lasciare spazio a nuove generazioni che così possono plasmarlo in modo creativo. Senza questa uscita a tempo opportuno c'è un duplice rischio. Se non riesce a far interagire generazioni di adolescenti e di giovani adulti, l'oratorio fatica a crearsi una tradizione e ad accumulare competenza formativa. sempre costretto ad iniziare da capo. Se invece i giovani più maturi rimangono oltre il dovuto, si impedisce ai «nuovi» di prendere in mano l'oratorio ed animarlo come modo per formare se stessi.
    Questa fase di passaggio non viene ridotta ad un problema che ognuno deve affrontare per conto suo o nel suo gruppo. L'oratorio lo considera invece un problema che lo coinvolge direttamente.
    L'oratorio si preoccupa che i giovani arrivino ad una sintesi del cammino fatto, esplicitando la loro visione della vita e i tratti caratteristici della spiritualità in cui ora si riconoscono consapevolmente. Ha cura che essi lascino in eredità l'esperienza accumulata nel volgere degli anni. Del passaggio di una generazione deve rimanere una qualche traccia e insegnamento nella memoria dell'oratorio, in modo che altre generazioni possano utilizzarli.
    L'uscita dall'oratorio non può essere un ritorno nell'anonimato sociale ed ecclesiale. una uscita da un'esperienza comunitaria che apre ad altre forme aggregative, facilmente organizzate come luoghi di riferimento, dove si punta sulla qualità del rapporto e sulla verifica dei valori di fondo, più che sulla quantità di tempo trascorso insieme e sullo svolgere insieme delle attività.
    Per facilitare questa riaggregazione, l'oratorio aiuta i giovani ad entrare in contatto con altre aggregazioni, e valorizza il confronto con quelle esperienze ecclesiali e sociali.
    A livello ecclesiale, l'uscita dall'oratorio orienta in particolare ad una appartenenza più attiva al mondo parrocchiale adulto. Si partecipa della vita parrocchiale e se ne animano le istituzioni. Il radicamento nell'ambiente in cui si vive appreso all'oratorio diventa ora fedeltà alla chiesa locale e ai suoi progetti di evangelizzazione come laici adulti.
    Inserirsi nella chiesa locale non è integrarsi in modo passivo.
    L'oratorio non è un rodaggio per entrare nella comunità parrocchiale, ma un modo di intendere la chiesa, una specifica spiritualità, uno stile nel gestire i rapporti tra le persone e nel prendere parte al potere e alle decisioni che riguardano tutti. Entrare nella comunità ecclesiale è allora diventare fermento di un nuovo modo di fare chiesa. Ne possono nascere conflitti ed incomprensioni, ma anche preziosi suggerimenti perché quanto si è sperimentato nel laboratorio dell'oratorio, ripensato in forma adeguata (la parrocchia non è un oratorio) possa servire a tutta la comunità.
    Con la stessa mentalità l'oratorio spinge i giovani a inserirsi nelle diverse attività di promozione sociale e culturale nell'ambiente.
    Fin dal primo momento l'oratorio ha abilitato a un rapporto positivo e costruttivo con l'ambiente e con le varie forze sociali, superando mentalità difensive, reattive, integriste a partire dalla consapevolezza di lavorare per il Regno di Dio che, mentre trova nella comunità ecclesiale il suo simbolo più esaltante, cresce silenziosamente nel mondo intero.


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