(NPG 1989-03-44)
Questo e gli articoli che compariranno di seguito nella medesima rubrica (già da tempo ormai annunciata e ora finalmente «matura»), vogliono essere un contributo al risveglio dell'oratorio.
Da più parti si notano segnali di rinnovato interesse per una istituzione che, almeno in diverse diocesi, ha profonde radici nella storia educativa e pastorale, ma che negli ultimi vent'anni ha anche conosciuto momenti d decadenza interna e di marginalizzazione sociale ed ecclesiale.
Parlare di «oratorio» può risultare improprio. Sembra difficile infatti far convivere sotto un'unica etichetta iniziative abbastanza diversificate.
Esistono numerose tradizioni (da quella milanese a quella salesiana, dal patronato veneto alla casa del fanciullo) e organizzazioni regionali e nazionali (come l 'Associazione Nazionale degli oratori e dei centri giovanili d 'Italia ANSPI, la Federazione Oratori Milanesi FOM, il Centro Oratori Romani COR). Ma soprattutto l'oratorio sembra un vestito che si modella sulle diverse realtà regionali e sulle idee dei dirigenti. Fino a trovar difficile individuare i confini tra ciò che è oratorio e ciò che non è, e descrivere i denominatori comuni.
Nel dare una mano al risveglio dell'oratorio vogliamo opporci ad operazioni di restauro, se con questo termine si intende il lasciare intatto un edificio e fare solo insignificanti modifiche.
Ma vogliamo anche opporci ad un rinnovamento dell'oratorio che assomiglia a certe tecniche di restauro odierne, in cui della vecchia costruzione rimane ben poco. Forse in questi anni, mossi dall'ansia si arrestarne a decadenza e di offrire un servizio significativo ai giovani, si è svenduto 'oratorio a nuovi occupanti che avevano da realizzare loro progetti.
Vogliamo invece dare una mano per riscoprire la memoria carismatica dell'oratorio e renderne attuale la sua forma evangelizzatrice.
Le riflessioni che seguiranno nascono da una paziente meditazione all'interno di un triangolo che comprende la storia dell'oratorio e la sua tradizione carismatica nella chiesa, il quadro della condizione e cultura giovanile, una lettura dell'azione pastorale della chiesa dopo il Concilio. L'oratorio ha una storia densa e affascinante, non facile da ripensare in quanto maturata in un'epoca di società cristiana in cui la vita di tutti i giovani ruotava attorno alla chiesa e, dove c'era, all'oratorio. C'è il rischio di dimenticare tale storia, come di far dire a tale storia quel che oggi pensiamo sull'oratorio.
Le attese odierne dei giovani sono simili e diverse da quelle delle generazioni precedenti. Se dal punto di vista psicologico si tratta sempre di giovani che attraversano ben conosciute fasi di sviluppo, dal punto di vista socioculturale e, dunque, a partire dalla loro collocazione in questa società e cultura, manifestano tratti e attese specifiche. (Del resto ci sono molti modi di leggere la condizione e la cultura giovanile oggi. Leggere è pur sempre dare rilevanza a certi fatti piuttosto che ad altri, interpretare in un modo soggettivo piuttosto che in un altro.)
L'unica azione pastorale della chiesa e la comprensione teologica della sua missione danno vita oggi ad un pluralismo teologico e metodologico dove le differenze non sono marginali.
Fare pastorale implica orientarsi nel pluralismo per scegliere un modello più capace di altri di far fronte alle attese giovanili e offrire loro la ricchezza dell'esperienza cristiana perché vi trovino la forza per credere nella vita e aprirsi in Cristo alla venuta del Regno di Dio.
Riflettere all'interno del triangolo indicato è impresa complessa, perché comporta di ripensare ogni punto a partire dagli altri due, ma rispettandone l'originalità, le intuizioni, i problemi e i nodi cruciali.
La riflessione viene condotta consapevoli delle potenzialità dell'oratorio, ma anche dei suoi limiti. L'oratorio non è tutta l'azione della chiesa tra i giovani. La pastorale giovanile è più vasta di quella oratoriana, anche se l'oratorio vi occupa un posto importante. Nel passato e ancor di più oggi, la Chiesa dà vita ad una pluralità di forme di pastorale giovanile, attraverso movimenti e associazioni, gruppi di vario genere, scuole di ispirazione cattolica.
Una parola soltanto sull'uso del termine «oratorio». Lo usiamo, per quel che è possibile, al di sopra di ogni tradizione carismatica (si pensi alla diversità tra oratori milanesi, bresciani, veneti, salesiani, romani...) e al di fuori delle distribuzioni tra oratorio maschile e femminile, parrocchiale e zonale («la parrocchia dei giovani senza parrocchia», diceva don Bosco), oratorio per i ragazzi e centro giovanile per i giovani.
L'unica restrizione è quella dei destinatari ai quali fanno riferimento queste pagine. Volutamente sono gli adolescenti e i giovani, piuttosto che i ragazzi della scuola media ed elementare.
Questo primo contributo offre uno sguardo d'insieme, attraverso la ricostruzione di una breve storia dell'oratorio dal Concilio, l'individuazione di alcuni segnali di risveglio e dei problemi odierni, alla luce di alcune precomprensioni esplicitamente dichiarate.
1. L'oratorio tradizionale e la sua crisi
Consideriamo «oratorio tradizionale» quello che si affaccia alle soglie del Concilio. L'espressione va intesa in senso positivo. L'oratorio è un'istituzione ecclesiale, quasi sempre parrocchiale, che si occupa della crescita globale delle nuove generazioni (formare il buon cristiano e l'onesto cittadino, per dirla con Don Bosco), con una attenzione sempre rinnovata per aprirsi a tutti i giovani, soprattutto dei ceti popolari.
CATECHISMO, GIOCO, DOPOSCUOLA
L'oratorio tradizionale, ispirato ad un grande amore per i giovani, può essere immaginato attraverso le sue tre attività specifiche: catechismo, gioco e doposcuola.
L'attività primaria è certamente l'istruzione religiosa, svolta in modo attivo, in un ambiente piacevole e accogliente, accompagnata da una assidua frequenza alla messa e alla preghiera. Sempre si insiste nel dire che l'oratorio è «luogo di preghiera».
A questa attività se ne affiancano altre due. Anzitutto il gioco, inteso come attività sportive e ricreative. L'oratorio è sempre anche «ricreatorio», luogo di divertimento e gioco, di serene amicizie. Non bisogna dimenticare la terza attività che comprende il doposcuola, ma anche l'insegnare a leggere e scrivere, il primo approccio ad attività artigianali, la creazione di piccoli laboratori, il collocamento occupazionale dei più poveri, l'esercizio della carità verso i bisognosi. L'oratorio è sempre anche un «laboratorio».
Nelle attività, oltre al sacerdote, collaborano dei laici, considerati anche loro responsabili dell'oratorio. La loro presenza non è saltuaria, ma continua, prevista e difesa da opportuni regolamenti che determinano la funzione del prete e dei laici.
La pedagogia oratoriana è sempre una pedagogia di ambiente e di gruppo.
Il catechismo, il gioco e il doposcuola favoriscono una vita associativa articolata per fasce di età e per interessi.
Con naturalezza si passa da un'attività all'altra. Anche se il linguaggio teologico corrente spesso era di matrice spiritualistica (il primato dello spirituale sul materiale e dei sacramenti sulle altre attività) e anche giansenista (la svalutazione dell'umano perché impedisce la crescita dello spirito), l'oratorio è un ambiente in cui le tre attività si fondono in un tutto organico. Pur entro le concezioni teologiche del tempo si arriva ad un equilibrio tra crescita umana e crescita religiosa, mezzi umani e mezzi della grazia.
La crescita della fede avveniva secondo una duplice pedagogia. La prima è la partecipazione al catechismo (di tipo dottrinale) e ai sacramenti (con grande rilievo alla confessione). la pedagogia del contatto con la grazia.
Questa pedagogia religiosa è affiancata da un'altra pedagogia, spesso non codificata. L'oratorio è un ambiente di allegria e di gioco, di amicizia tra educatori e ragazzi di spontaneità e di attenzione alle vicende dei singoli.
Tutto questo è considerato «accompagnamento» per rendere gradevole la frequenza al catechismo e ai sacramenti. Il gioco è fatto per attirare al catechismo e per premiare chi va a messa.
Tuttavia, se si guarda alla vita concreta, si vede che l'oratorio persegue la crescita globale, con mezzi e attività formative che coinvolgono tutto il ragazzo.
Il lavoro formativo è sostenuto dal contesto sociale e culturale del tempo, almeno per quel che riguarda la cultura popolare.
L'oratorio è figlio di una società che ruota attorno a valori, pratiche, tradizioni cristiane. Agisce come cinghia di trasmissione di una società ancorata ad una concezione cristiana di vita, creando una forte continuità fra famiglia, scuola e oratorio.
LA MARGINALIZZAZIONE SOCIALE DELL'ORATORIO
La crisi della formula tradizionale comincia quando entrano in crisi i presupposti di una società cristiana e la Chiesa affronta nel Concilio il distacco dal mondo contemporaneo alla ricerca di nuove vie di evangelizzazione.
Il primo fenomeno è la fine della società cristiana con la progressiva presa di coscienza dell'autonomia del profano dal religioso a livello di concezione di vita, fondazione della morale, scala di valori, educazione, gestione della istituzioni pubbliche.
Persone e istituzioni sempre più progettano se stesse facendo riferimento alla ragione e ai dettami della scienza, piuttosto che ai criteri fissati dalla religione.
La vita personale è sempre più regolata dalla coscienza, mentre le istituzioni fanno riferimento al contratto sociale.
Le istituzioni ecclesiali vengono a perdere il ruolo di perno attorno a cui ruota la vita personale e sociale.
Ad esse viene chiesto soltanto di soddisfare un bisogno, quello religioso, attraverso servizi specificamente religiosi.
L'oratorio risente di questa trasformazione.
Da ambiente capace di aiutare a farsi una visione cristiana fino a pervadere tutto il vissuto, diventa ambiente di secondaria importanza nel soddisfacimento dei bisogni di aggregazione, gioco, cultura.
L'oratorio, da sempre forza propulsiva di vita sociale, si trova ora ai margini.
Sempre meno viene riconosciuto, anche perché i suoi servizi sociali sono di qualità inferiore a quelli che offrono le istituzioni specializzate nel tempo libero.
Finisce un'epoca, quella dell'oratorio popolare al centro di un paese.
Esso perde di rilievo in senso quantitativo (sempre meno giovani ne fanno parte) e qualitativo (sempre meno decisivo per le scelte personali).
Alcuni oratori subiscono la marginalità e si arroccano fino a diventare luoghi di difesa a oltranza di una cultura e una società che più non esistono. L'oratorio diventa un residuo storico. Rappresenta una minoranza sociale e perde contatto con i nuovi fermenti culturali a cui partecipano anche i giovani. A volte diventa un luogo di resistenza alla nuova cultura.
Altri invece, anche per la spinta del Concilio, cercano nuove strade. Ma per capire sia il rinnovamento che la ricerca dei nuovi sentieri, è necessario riflettere sulla difficoltà dell'oratorio nell'assorbire le grandi lezioni del Concilio.
LA DIFFICILE ASSIMILAZIONE E TRADUZIONE DEL CONCILIO
Il Concilio si interroga sulla identità della Chiesa e sulla sua missione nel mondo contemporaneo. La Chiesa vuole scrollarsi di dosso le incrostazioni del passato, dialogare con l'uomo moderno. Per fare questo torna alle «sorgenti», all'esperienza di Gesù, delle prime comunità cristiane, dei padri della Chiesa. Studi biblici, patristici e liturgici aiutano a riscoprire il «mistero» della Chiesa nel tempo come segno e strumento del Regno di Dio che faticosamente lo Spirito realizza nel mondo con l'aiuto di ogni uomo di buona volontà. Essere segno e strumento del Regno, depositaria della speranza per tutta l'umanità, porta la Chiesa a non sentirsi in concorrenza con l'uomo, con la ragione, con la scienza.
La Chiesa non si sente minacciata, anzi sostiene l'autonomia dei valori umani riconoscendo nella conquista della giustizia e della pace una crescita del Regno di Dio. Essa accetta di non essere al centro del villaggio, non si arroga compiti non suoi, rispetta le competenze dei vari centri culturali e sociali. Trova il suo spazio nel farsi serva dell'uomo e collaborare alla creazione di una società di giustizia e di pace e nel proclamare e celebrare la venuta del Regno.
La Chiesa ripensa anche il suo rapporto con la stessa religione naturale. Il cristianesimo, si afferma, non è una religione ma una fede.
Si prendono le distanze dal connubio per cui si era fuso insieme la fede evangelica con quelle forme religiose che Gesù aveva rifiutato.
Il linguaggio catechistico del passato (di tipo dogmatico-razionale) viene sostituito da un linguaggio di tipo biblico, liturgico, patristico. Tornando alle sorgenti, la Chiesa ha prodotto un radicale cambio di linguaggio teologico: «misterico» (mutuato dalla liturgia, dai padri, dalla bibbia) quando parla della identità e missione della Chiesa, «profetico» quando volge lo sguardo al mondo d'oggi e alle sfide verso cui si affaccia la rivoluzione culturale e politica in gestazione in quegli anni.
Il Concilio ha comportato una rivoluzione copernicana per ogni esperienza ecclesiale.
L'oratorio, forse più di altre istituzioni ecclesiali, trova difficile assimilare i nuovi contenuti e linguaggi, e ancora di più tradurli in forma significativa per i giovani che in quegli anni stanno vivendo la stagione del '68 e la progressiva secolarizzazione.
All'oratorio si apre una forbice distruttiva tra maggioranza e minoranza.
Si costituisce una minoranza, segnata da un sofferto vissuto culturale e religioso, che nel Concilio e nel suo linguaggio trova risposta alle nuove esigenze. La maggioranza invece, di tipo popolare e solcata da correnti secolarizzatrici, come trova vuoto il linguaggio tradizionale, così trova incomprensibile quello postconciliare, sia quando usa il linguaggio misterico della liturgia e della teologia, sia quando dà spazio alla profezia di una rigenerazione ottimistica dell'umanità.
Qui l'oratorio manifesta la sua crisi: l'incapacità di assimilare il Concilio e riformularlo in linguaggi giovanili significativi e comprensibili per le fasce popolari.
La forbice diventa pericolosa.
Se si segue la minoranza, l'oratorio diventa elitario e abbandona la massa dei giovani ad una fede preconciliare o la consegna a linguaggi che nulla sembrano più evocare. Se si mette dalla parte delle fasce popolari non trova linguaggi ed esperienze di fede significative. (La distinzione tra fede e religione porta a guardare con sospetto la religiosità popolare e le sue espressioni.) Se persegue il rinnovamento del suo linguaggio teologico, l'oratorio perde contatto con il religioso popolare dei giovani.
Se rimane ancorato al passato, trova difficile dialogare con la società e con i giovani ormai figli della secolarizzazione.
Del resto da più parti i cristiani guardano all'oratorio (come alla scuola di ispirazione cristiana) con un'aria di sufficienza. È ora di finirla, si dice, con la supplenza della chiesa rispetto alla società.
Il trinomio catechesi-gioco-doposcuola (e il mondo educativo che si porta dentro) viene a cadere. In fondo alla Chiesa tocca il primo compito, mentre gli altri due vanno demandati alla società.
Inizia per gli oratori un periodo confuso e scoraggiante. A non poche parrocchie sembra di perdere tempo, e chiudono l'oratorio per dedicarsi all'evangelizzazione esplicita attraverso la catechesi, lo studio della bibbia, l'offerta di momenti di preghiera e direzione spirituale.
2. Nuovi sentieri dell'oratorio
Le sfide, mentre portano alla crisi, sono anche una spinta al rinnovamento dell'oratorio. Gli anni del dopo-concilio vedono in effetti coraggiosi tentativi di far fronte alle nuove sfide. Ogni oratorio sembra però percorrere la sua strada; la confusione è grande.
Dentro il proliferare di iniziative, sembra possibile individuare alcuni sentieri. Hanno origine in tempi successivi, anche se poi camminano uno a fianco dell'altro, al punto che oratori confinanti percorrono sentieri diversi.
Ogni sentiero amplifica un aspetto della crisi e cerca di darvi risposta, ma crea scompensi sul piano dei compiti complessivi dell'oratorio così come erano stati assegnati dalla sua storia. Sono tentativi coraggiosi, anche se non sempre consoni con la tradizione dell'oratorio.
IL SENTIERO CATECHISTICO
Il sentiero catechistico viene percorso dagli oratori che sentono l'urgenza di riformulare i propri linguaggi e offrire ai giovani una visione della vita ispirata al Concilio.
Dietro l'istanza catechistica sta spesso il rifiuto del vecchio trinomio dell'oratorio e il bisogno di «nuove idee» capaci di far fronte alle sfide del tempo.
Convinti che alla Chiesa spetti solo evangelizzare attraverso l'annuncio della fede e la sua celebrazione in una comunità, per poi ritrovarsi a fianco degli altri uomini a lottare per una società più giusta e realizzare il Regno di Dio, gli oratori abbandonano i campi di gioco e si trasformano in una grande aula di catechesi. Si punta sulla parola, sulle idee, sulle concezioni di vita. L'oratorio diventa luogo di corsi di catechesi biblica, di studio dei documenti del Concilio e dei suoi linguaggi.
Purtroppo, imbevuto di espressioni liturgiche, bibliche e patristiche, il linguaggio risulta da iniziati, significativo per minoranze. Per la maggioranza, invece, tale catechesi diventa incomprensibile. Mancano le opportune mediazioni che facciano i conti con la crescente secolarizzazione.
In alcuni casi il percorso è opposto. Si parte non più dalla Bibbia o dai testi del Concilio, ma dal vissuto giovanile e dalle loro domande.
L'oratorio si trasforma in luogo di discussione sui problemi della vita, dall'amicizia alla politica, dalla sessualità ai rapporti con i genitori e alla crisi della scuola. Siamo ai primi incerti passi di una catechesi esperienziale.
La discussione trova difficile incontrarsi con la proposta evangelica.
Viene a mancare il «percorso di collegamento» tra esperienze e messaggio evangelico.
Non mancano tentativi, invece, dove il dialogo tra esperienza e messaggio si fa serrato e avvincente, e la fede illumina l'umano e lo risignifica evangelicamente. Ma questi tentativi solo lentamente entrano a far parte del patrimonio degli oratori.
Al di là del tipo di catechesi, il vero punto problematico è il tentativo, perseguito in quegli anni e che anche oggi perdura, di rifondare l'oratorio unicamente sulla catechesi, o addirittura la scelta di considerare finita l'esperienza oratoriana per dedicarsi a cose più «serie».
IL SENTIERO SOCIALE E POLITICO
Alcuni oratori, sulla spinta del Concilio (soprattutto delle pagine «profetiche» della Gaudium et spes) e del rinnovato interesse alle ideologie politiche, riformulano l'oratorio a partire dall'attività sociale e dall'impegno politico e culturale. Il vangelo è visto come spinta umanizzante e, più da vicino, al «cambiamento» e alla «liberazione» delle coscienze e delle strutture sociali.
L'oratorio privilegia i gruppi che si impegnano nel sociale e nel politico, nella scuola e nel quartiere, nella gestione del dibattito politico e culturale. I loro pronunciamenti fanno notizia nell'ambiente sociale ed ecclesiale, come pure tra i giovani più attenti al cambiamento.
Con questi gruppi l'oratorio si apre con prepotenza verso l'esterno. Non vuol essere un giardino fuori dalla mischia dei problemi, ma luogo di partenza e di ritorno dalle attività nell'ambiente.
Non è semplice attivismo. Almeno in fase germinale, si intuiscono nuovi cammini di spiritualità centrati sull'esperienza di Dio nel servizio all'uomo, soprattutto al povero e all'emarginato e ai popoli del Terzo Mondo. Lo slogan di Taizè «lotta e contemplazione» diventa emblematico della nuova spiritualità.
Non mancano i problemi, ad incominciare dalla confusione tra scelta di fede ed enfasi delle ideologie, al punto che la fede diventa supporto all'ideologia ed essa stessa messianismo politico. Ma quel che più è importante, il sociale trascura il passato dell'oratorio e dimentica il patrimonio educativo centrato sulla paziente formazione della «struttura di base» delle persone. In questi anni l'oratorio svolge molte attività. ma trascura l'educazione delle persone a far fronte ai problemi esistenziali, etici, affettivi.
In questo sentiero sembra avventurarsi solo una minoranza movimentista, agguerrita e competente, che impone la sua legge alla maggioranza che vive nel clima dell'oratorio tradizionale, aggregata attorno a gruppi sportivi o ricreativi.
L'oratorio perde come ambiente.
Non viene curata la dinamica interna, ma la sua proiezione verso l'esterno.
Proliferano gruppi di grande vitalità, ma si fatica a farsi una mentalità comune.
Il sentiero del sociale e del politico non dura a lungo.
Termina con la crisi delle ideologie e con la delusione crescente per il lavoro politico in una società capace di trasformarsi purché niente si trasformi.
IL SENTIERO LUDICO-SPORTIVO
Il sentiero ludico sportivo viene percorso dall'oratorio in due tempi diversi.
In un primo tempo, parallelo al sentiero catechistico e politico, lo sport rimane un ambito in cui continua l'oratorio tradizionale, come un'isola estranea al rinnovamento.
In molti oratori un minimo di sport resiste e mantiene contatto con alcune fasce giovanili.
A volte sono le società sportive a continuare l'attività, quasi staccate dall'oratorio, altre volte è l'oratorio ad impegnarsi direttamente nello sport visto come «servizio di promozione umana» alla fasce disagiate.
L'oratorio considera lo sport un servizio sociale e politico, espressione della propria fede e militanza. Spesso sono i giovani più impegnati a fare da allenatori.
All'atto pratico il dialogo con i giovani attraverso lo sport si fa difficile, sia a livello di cultura che di fede. Mancano, come si è visto, linguaggi che permettano di creare connessioni tra interessi e bisogni umani (compreso lo sport) e messaggio evangelico.
Lo sport conosce un secondo sviluppo, all'indomani della crisi del politico e della riscoperta della dimensione ludica della vita, dentro una società che esalta il culto del corpo e del benessere fisico.
Consapevole della nuova domanda, l'oratorio riorganizza le società sportive, i campi da gioco e le palestre. L'intento è accogliere la nuova domanda di espressione ludica per farne un luogo di ripresa del dialogo e di educazione umana e cristiana.
Si assiste ad un forte investimento di energie nello sport. Raggiungere l'obiettivo in realtà è complicato a causa della scarsa esperienza educativa e pastorale degli animatori sportivi.
Solo raramente i frutti, a volte molto promettenti, si intravvedono. Lo sport fatica anche solo nel diventare luogo di aggregazione e di gruppo. Spesso ci si incontra per fare sport e si evita di fare gruppo o partecipare alle altre attività oratoriane.
Il vero nodo è la mancanza di un percorso che dai bisogni soggettivi (siano sportivi o aggregativi) arrivi all'incontro con il messaggio culturale e della fede.
Non è facile far maturare la domanda di sport in domanda di senso e in domanda religiosa. E la stessa proposta cristiana rimane sovrapposta all'esperienza sportiva.
Lo sport oratoriano, in ogni caso, sembra uno dei pochi punti di contatto educativo tra giovani poveri di domande di senso e religiose, e la comunità cristiana. Rimane un canale minimo di comunicazione. Forse gli ultimi all'oratorio sono coloro che praticano lo sport.
L'attività sportiva all'oratorio rimane un forte deterrente contro forme spiritualistiche o contro la riduzione dell'oratorio a scuola di catechesi. Lo sport sollecita un approccio educativo complessivo, possibile solo se si riscopre il trinomio catechesi, gioco e doposcuola.
IL SENTIERO ASSOCIAZIONISTICO
In certi contesti, alla crisi si reagisce dando spazio crescente, quando non tutto lo spazio, ad associazioni e movimenti ecclesiali, dall'Azione Cattolica allo Scoutismo (tradizionali ospiti) o anche a gruppi di Comunione e Liberazione, del movimento dei Focolari o del movimento neocatecumenale.
Essi vengono spesso ad occupare ambienti da tempo vuoti o occupati saltuariamente da gruppi che un giorno si formano e il giorno dopo si sciolgono.
L'associazione normalmente garantisce vivacità, forza propositiva e continuità.
E il moltiplicarsi delle associazioni permette di raggiungere sempre nuove fasce giovanili.
Si è assistito così, in questi anni, ad una sorta di affitto dell'oratorio alle associazioni.
Ma tutto questo pone numerosi interrogativi.
Se l'oratorio è dotato di ampia elasticità e plasticità, dove sta il confine tra allargamento dei suoi orizzonti e smarrimento del suo stile o carisma?
Per chi crede nel trinomio catechesi gioco doposcuola e nella creazione di un ambiente educativo ispirato alla fede, è difficile credere che tutto questo venga salvaguardato a sufficienza dalle associazioni.
Forse lo stile oratoriano viene a perdersi.
Solo materialmente i giovani vengono a far parte dell'oratorio. Si iscrivono ad una associazione e basta.
L'oratorio sembra ridotto ad un contenitore vuoto.
Il nodo problematico non è dato dalle associazioni, ma dalla mancanza di un progetto specifico di oratorio. Mancando questo progetto, le associazioni vengono a percorrere una loro strada, senza che questa incontri quella degli altri e si lavori insieme per costituire un ambiente oratoriano.
Si sovrappongono progetti pastorali che si ignorano reciprocamente, anche perché ogni associazione e movimento fa riferimento ai suoi centri di produzione culturale e religiosa, e si forma partecipando ai suoi incontri e convegni.
Scomparendo di fatto l'oratorio, spesso si indebolisce il legame tra giovani e chiesa locale, parrocchiale e diocesana.
Non si lavora attorno ad un progetto di chiesa locale, ma ai vari progetti delle associazioni.
Non per questo sembra negativa la presenza delle associazioni.
La loro presenza, distinguendo le associazioni a carattere educativo dalle altre, dove c'è volontà di costruire insieme oratorio, è arricchente, anche se può suscitare conflitti.
Come dimenticare il contributo prezioso degli Scout e dell'Azione Cattolica in tanti oratori?
Dando spazio alle associazioni, soprattutto a quelle che non credono al carisma oratoriano, viene a cambiare il destinatario stesso dell'oratorio.
Non si rivolge più alle fasce popolari, oggi a disagio e deboli sul piano delle domande religiose e culturali, ma alle élites sensibili e ricche di interrogativi
IL SENTIERO DELLA CASA DELLA COMUNITÀ
Va ricordato un ultimo sentiero che vuol fare dell'oratorio il luogo di riferimento per tutta la comunità cristiana.
Nell'oratorio tradizionale circolavano solo i giovani e i loro formatori. I genitori e le varie forze della comunità cristiana, anche se non venivano esclusi, di fatto rimanevano in posizione periferica. Al massimo gli adulti avevano una loro sala (con annesso bar), distinta dagli ambienti per i giovani.
Gli adulti non interferivano nelle vicende interne dell'oratorio. Tra giovani e adulti esisteva un filtro, costituito dal prete e dagli educatori laici. Erano loro a tenere i contatti con le famiglie, la scuola, la parrocchia. L'oratorio era uno spazio separato, perché doveva essere un ambiente educativo e quindi con una sua logica interna non comprensibile da tutti. Questo non creava gravi problemi, perché tra le istituzioni c'era una sostanziale convergenza formativa.
Questa separazione, giustificata come esigenza educativa, è diventata in alcuni casi opposizione o ignoranza della famiglia e della parrocchia o comunità cristiana. Si arriva all'opposizione e alla scomunica reciproca. L'oratorio lotta contro la pesantezza delle istituzioni sociali ed ecclesiali. Qualcuno teorizza questo come strategia per liberare le nuove generazioni dal condizionamento della tradizione (vedi comunità cristiana) e del consumismo (vedi famiglia).
La fase di contestazione non dura a lungo. Mentre i giovani non sentono più il bisogno di opporsi alle istituzioni (mondo della regola e della norma, ma anche del senso), queste sentono il bisogno di riguadagnare terreno nella direzione dei giovani.
Come nella famiglia prevale un'accoglienza con un intenso scambio affettivo, così nella comunità cristiana prevale il bisogno di interagire tra credenti di tutte le età. L'anonimato sociale, la solitudine crescente, l'affermazione della centralità del far comunione oltre le differenze generazionali, accentuano la ricerca di un oratorio comunitario.
A questo punto l'oratorio diventa «casa della comunità» cristiana.
Sempre più si identifica con la comunità cristiana. Non solo è una sua emanazione, ma è la comunità, punto di incontro per tutti nella fraternità e nella catechesi, nella preghiera e nel servizio.
I vantaggi di questo sentiero sono comprensibili, ma le ombre superano le luci.
Intanto la casa della comunità sembra riprendere i difetti di comunicazione della famiglia, dove, in nome dello scambio affettivo, raramente si ha il coraggio di problematizzare e confrontare le diverse concezioni di vita. I problemi etici ed esistenziali vengono lasciati ai margini.
Alcuni sentono oggi l'urgenza di ritrovare l'autonomia educativa dell'oratorio rispetto alla famiglia e alla comunità cristiana. Da sempre l'oratorio ha voluto essere un ambiente qualificato come educativo in senso stretto, richiedendo fiducia e autonomia dalla comunità cristiana e civile. Educare chiede tempi lunghi, presenza di educatori specifici e diversi da genitori e insegnanti, assenza all'interno di fonti di disturbo e confusione. Come ogni processo informativo, sembra richiedere uno spazio protetto, ma non impermeabile agli influssi esterni.
L'autonomia sembra oggi esigita anche dalla situazione religiosa dei giovani. Molti sono ancora in stato di ricerca religiosa oppure, anche se credenti, trovano difficile appartenere alla Chiesa-istituzione in tutta la sua complessità.
Del resto la stessa comunità cristiana, nel momento in cui soffoca l'autonomia dell'oratorio, rischia di soffocare uno dei laboratori del suo futuro.
La compresenza di giovani e adulti non favorisce l'esercizio della responsabilità. Un oratorio casa della comunità rischia di favorire una integrazione passiva, ma non produce nuovi stili di vita.
Non per questo l'impegno di avvicinare oratorio e comunità cristiana va disatteso. I giovani hanno bisogno di vedere una chiesa visibile, fatta di persone concrete, percependo che ci si inserisce in un cambio che ha una profondità storica, un presente vivace, un avvenire per cui lavorare insieme.
3. Alcuni segnali di risveglio
Quanto detto finora aveva l'intento, oltre che problematizzare la situazione dell'oratorio oggi, di far vedere come la Chiesa ha cercato, anche se confusamente, di ridargli vitalità. Eppure solo in questi anni si può parlare di risveglio di interesse. Lo si osserva nelle parole del magistero ecclesiale e nelle direttive di numerosi vescovi e centri di pastorale giovanile diocesana, nella domanda crescente di genitori e di forze sociali che insistono per una politica giovanile in termini di prevenzione e non di recupero, negli stessi adolescenti meno prevenuti rispetto ad esperienze come l'oratorio, se intuiscono che li si accetta e valorizza come protagonisti.
Al di là delle singole voci, ci sembra importante trovare alcuni denominatori comuni, soprattutto per quel che riguarda il punto di vista ecclesiale.
IL DIALOGO CON LA MASSA DEGLI ADOLESCENTI E DEI GIOVANI
L'azione ecclesiale in mezzo ai giovani sta uscendo da un periodo confuso e difficile (peraltro ricco di decisive conquiste) e sta ritrovando fiducia nelle sue possibilità.
Gli anni difficili avevano forse portato ad una sorta di accondiscendenza verso i giovani, quasi per paura di perderli, al punto che spesso li si inseguiva nei meandri dei loro interessi e angosce e si rinunciava a far proposte impegnative, chiare, capaci di portare a scelte decisive. Spesso poi le proposte sono state fatte privilegiando quelle selettive su quelle capaci di coinvolgere ampie fasce di giovani.
Oggi si è preso coscienza che i giovani che frequentano gli ambienti ecclesiali sono ormai una minoranza, appartenenti a gruppi elitari, carichi di precise e sofferte domande. La maggioranza sembra non avere domande, né soffrire alcun anelito religioso. Non si è lavorato a sufficienza per «immaginare» una proposta significativa per la fasce giovanili che, almeno a prima vista, non evidenziano domande religiose.
Si prende anche coscienza dell'insufficienza della catechesi di preparazione ai sacramenti, pur in mezzo a tentativi stimolanti. La catechesi nelle parrocchie non genera appartenenza né inserisce in un tessuto ecclesiale vivo. Celebrata la prima comunione o la cresima, i gruppi si sfaldano.
Infine, proprio di fronte a questi adolescenti, si è presa coscienza che aver paura di far proposte è tradirli, perché vivono in una società complessa dove la mancanza di proposte chiare e coinvolgenti abbandona alla confusione. Dalla accondiscendenza passiva si vuol arrivare a far proposte, evitando però l'aggressività e l'atteggiamento totalizzante di alcuni.
In questo contesto l'oratorio sembra avere qualche risposta a due problemi: la ripresa di dialogo con le fasce popolari e un modo originale di far proposte.
L'oratorio ha un pubblico privilegiato, che non sono né i gruppi elitari né le fasce a forte emarginazione. Sono gli adolescenti del dopo-cresima che in massa abbandonano la vita ecclesiale e la pratica cristiana. Sono un pubblico che le associazioni e i movimenti a identità cristiana forte non riescono ad avvicinare. Gli «ultimi» stanno diventando i «vicini» di cui pochi si interessano.
L'oratorio può dare una mano per inventare una nuova fede popolare, diversa da quella sacrale del passato, ma anche da una fede ridotta a astratta visione della vita, incapace di dare corpo a nuovi gesti e simboli. La fede ha bisogno di nuovi simboli e linguaggi, e l'oratorio può aiutare, alla luce della sua tradizione popolare, a trovarli.
L'oratorio sembra avere delle carte da giocare anche rispetto al modo di fare proposte.
Contrariamente alla catechesi che privilegia la parola, l'oratorio procede attraverso l'identificazione in un ambiente in cui molti messaggi vengono trasmessi ed accolti per altre vie che non quelle dell'assenso ad un discorso.
Il modo di far proposte all'oratorio sembra evitare gli eccessi di aggressività, spiritualismo, integrismo che di volta in volta manifestano movimenti e associazioni, incomprensibili alla maggioranza dei giovani e discutibili sul piano teologico ed ecclesiale. E sembra anche andar oltre il disagio iniziale di molti giovani verso proposte che fin dal primo momento chiedono la frequenza alle pratiche religiose e un'appartenenza dichiarata alla Chiesa.
LA CRESCITA DELLA CHIESA LOCALE E DELLE SUE ISTITUZIONI
Un secondo motivo di attenzione all'oratorio sembra da ricercare nel rischio di svuotamento della Chiesa locale e, in particolare, delle parrocchie.
Questa preoccupazione fa guardare con diffidenza il diffondersi di associazioni e movimenti che si insediano in una Chiesa locale ma quasi non ne fanno parte, come pure ai gruppi spontanei che spesso risultano effimeri, incapaci di maturare il senso delle istituzioni e di abilitare ad una attiva appartenenza ecclesiale.
Alcuni, preoccupati della vitalità della Chiesa locale, reagiscono all'impressione, forse esagerata, che movimenti e associazioni cerchino luoghi in cui collocarsi, senza chiarire il proprio ruolo e appartenenza alla Chiesa locale e senza l'accoglienza del sensus ecclesiae nelle singole parrocchie e diocesi. La Chiesa locale sembra ridursi a somma di associazioni e a piccoli parlamenti di associazioni e movimenti. Le loro attività sono orientate da un'appartenenza che va oltre la chiesa diocesana.
A livello di parrocchie il problema sembra maggiore, perché non appare più una chiesa ma diverse piccole chiese che spesso si ignorano, dove non si combattono. Per molte associazioni la parrocchia ha perso di attualità e va tenuta in piedi come un vuoto contenitore.
Sembra tuttavia insufficiente anche il moltiplicarsi dei gruppi a cui si è assistito in questi anni. La loro vitalità è innegabile. In molti casi i gruppi sono rimasti l'unica cellula ecclesiale significativa per i giovani.
Ai gruppi si rimprovera una certa discontinuità. Troppi nascono, crescono e muoiono nel volgere di poco tempo. Sono poi insufficienti nel maturare un sensus ecclesiale e un'appartenenza alle istituzioni.
L'oratorio sembra in grado di dare risposta sia all'eccesso dei movimenti che mettono in crisi la vitalità della Chiesa locale, sia agli scompensi dei gruppi, se viene pensato come tessuto connettivo e ambiente, in cui gruppi e associazioni (almeno quelle che ne condividono lo stile spirituale e pastorale) possono dare vita ad una istituzione ancorata alla Chiesa locale e alla parrocchia.
La partecipazione alla vita oratoriana, inoltre, sembra in grado di alimentare la vitalità dei gruppi, che ancor oggi sono luogo pastorale privilegiato. In particolare permette ai gruppi di entrare in contatto con una istituzione che possiede una storia, un modo di vivere e organizzarsi diverso dal gruppo, un'appartenenza ecclesiale più dichiarata.
L'oratorio sembra in grado di far da ponte tra gruppo e senso dell'istituzione sul versante ecclesiale, ma anche su quello sociale e culturale.
LA PREVENZIONE E LA FORMAZIONE DEL CITTADINO
Una terza serie di motivi è la preoccupazione per la formazione di una coscienza civile nelle nuove generazioni. La Chiesa ha a cuore il disagio e il rischio in cui si trova la maggioranza degli adolescenti.
Se all'emarginazione grave possono dare risposta strutture terapeutiche agili e specializzate, al crescente disagio e sradicamento sembra che si possa dare risposta con un'azione preventiva attraverso strutture come gli oratori.
Si assiste oggi ad una forte riscoperta della prevenzione. Non è solo un discorso strategico (meglio usare le energie per prevenire che nel ricuperare), ma anche formativo, che punta al coinvolgimento dei giovani in una nuova partecipazione sociale e politica.
La prevenzione può aiutare le nuove generazioni a tener aperti i canali di comunicazione con l'universo culturale, per ritrovarvi stimoli per riconoscere e dare un senso alla vita e per partecipare alla costruzione di una nuova società.
Rispetto a questo compito la Chiesa non sente più di svolgere un'opera di supplenza, quasi rubasse spazio alla società civile e alle sue istituzioni formative, dalla scuola alla famiglia. Educare le nuove generazioni è per la Chiesa un compito connesso alla sua vocazione irrinunciabile: portare la salvezza ai giovani attraverso una evangelizzazione che è insieme testimonianza e annunzio esplicito.
Educare è già far gustare quella salvezza che Gesù realizzava guarendo i malati, e far accogliere la parola di speranza che egli offriva a chi era triste e afflitto. Educare per la Chiesa oggi è un modo originale di vivere la testimonianza evangelica, da cui può nascere una domanda nei giovani di annunzio esplicito del vangelo.
In questa opera di prevenzione si assiste oggi ad un vasto movimento, sostenuto essenzialmente da laici che sentono la vocazione di educatori.
L'educazione del cittadino sembra uno degli sbocchi più sentiti ai laici al momento della scelta della loro vocazione sociale ed ecclesiale. La loro disponibilità concreta e la loro competenza sono un segno di speranza per la società e la Chiesa.
LA RICERCA Dl NUOVE VIE ALLA FEDE
Un quarto ordine di motivi nel risveglio è la ricerca di nuovi itinerari di educazione alla fede significativi e praticabili dalle nuove generazioni.
Si è di fronte ad alcune impasse.
È impraticabile anzitutto la via alla fede ridotta alla sola risorsa della catechesi e di una proposta veritativa della fede. La fede non è riducibile a sistema di verità, anche se in essa affonda le radici. La fede è un modo di vivere che non è facile dedurre da verità astratte, e che è di difficile apprendimento senza un adeguato contesto vitale che da sola la catechesi non può offrire.
Mentre si sente il bisogno di riscoprire la dimensione veritativa della fede, ancor di più si sente l'urgenza di ambienti ecclesiali in cui sia possibile un vero «apprendistato» alla vita cristiana.
Sembra impraticabile, in secondo luogo, la via dell'adesione a movimenti che propongono alle nuove generazioni una identità forte. Al di là del giudizio sui contenuti di fede proposti, sembra una via praticabile da una minoranza. La maggioranza dei giovani non manifesta specifiche domande religiose, e si trova a disagio di fronte a proposte in cui la fede totalizza la vita, escludendo la relativa autonomia della ragione e del profano.
Diventa urgente individuare nuovi percorsi. L'oratorio sembra in grado di dare una mano in questa direzione.
L'oratorio fa proposte secondo una logica di tipo globale: inserisce in un ambiente vivo e propone uno stile di vita attraverso la partecipazione alla sua animazione. Al suo interno trovano spazio la parola e la celebrazione, ma anche una comunicazione silenziosa decisiva per arricchirsi sul piano di una fede nella vita ispirata al vangelo.
Sembra poi in grado di organizzare itinerari formativi organici secondo ritmi e processi in cui la tradizione cristiana si incontra con l'esperienza umana raccolta nelle scienze educative moderne. In questo incontro tra tradizione cristiana e scienze umane, l'oratorio diventa sostenitore della collaborazione tra umano e divino nella maturazione della fede. La fede è sempre e solo dono dello Spirito, il quale tuttavia utilizza mediazioni e mezzi umani per far proposte ai giovani. Contro tendenze spiritualistiche che oppongono logica della fede e logica dell'uomo, si ritrova la sinergia tra umano e divino, tra dono dello Spirito e impegno dei credenti nella crescita della fede.
Nella stessa direzione l'oratorio, che sempre ha cercato di conciliare la figura del cittadino e del credente, sembra in grado di abilitare ad una fede giovanile capace di incarnarsi nella vita concreta, quotidiana e nelle responsabilità che chiede. Quella oratoriana è una fede che viene esercitata nel concreto e incarnata nella vita quotidiana.
4. Il nostro contributo: le scommesse
Non si può parlare di oratorio in modo neutrale. Fin dalle prime pagine sono emerse, in forma implicita ma non troppo, alcune precomprensioni. È giunto il momento di dichiarare tali precomprensioni (o scommesse) a monte di ogni riflessione. Affondano le radici nella storia, e dunque hanno un fondamento oggettivo, ma sono insieme una ricerca soggettiva, a partire dalla consapevolezza che l'oratorio è un grande dono dello Spirito alla Chiesa e non ha esaurito il suo potenziale formativo.
Riconduciamo queste scommesse o precomprensioni a quattro.
LA SPIRITUALITÀ DELLA VITA QUOTIDIANA
Dietro il moltiplicarsi di iniziative di carità, catechesi, preghiera, l'oratorio persegue l'obiettivo di aiutare i giovani a ritrovare, sostenuti dalla fede cristiana, il gusto della vita nella sua quotidianità. L'oratorio porta ad avere una grande fede nella vita, ad accettarla e viverla con coraggio in tutte le sue dimensioni.
La fede nella vita, in realtà, è obiettivo di molte spiritualità cristiane che rifiutano di banalizzare la vita o proclamarne l'assurdità rifugiandosi in visioni spiritualistiche, da fuga mundi più o meno millenariste.
Quella oratoriana si specifica come fede nella vita quotidiana, la vita di ogni giorno, con le sue azioni di routine, come farsi degli amici e giocare, studiare e ascoltare musica, innamorarsi e provare a camminare in coppia.
L'oratorio vuol essere una esperienza condivisa da educatori e giovani, in cui gli educatori dimostrano fede nella vita con la loro presenza a fianco dei giovani nelle azioni quotidiane, dal gioco all'amicizia, dai piccoli conflitti al parlare di niente.
Non siamo di fronte ad una ingenuità, quasi un prendere le distanze dai problemi seri della vita e quasi un proteggere i giovani e isolarli dalla realtà. Ritrovare valore alla vita quotidiana è piuttosto un sentiero per dare senso al presente e così porre le premesse per una sua crescita nel futuro. Il quotidiano infatti è la culla del senso della vita. Al suo interno il senso nasce e si irrobustisce fino ad affrontare gli altri aspetti, quelli più legati alla sfera pubblica, politica e culturale come pure religiosa e spirituale.
Molti giovani sembrano aver perso il senso delle cose di ogni giorno.
Ora l'oratorio si trova a suo agio proprio con i giovani che faticano a dare senso alle azioni nella loro quotidianità. Accogliere e dare un senso alle azioni della vita quotidiana, attraverso il dono di sé, come ha testimoniato e proclamato il Signore Gesù fin sulla croce, è costituire il tessuto connettivo di ogni altra esperienza spirituale, sociale, culturale, politica.
L'oratorio è luogo di gioco, di libera amicizia, di espressione di interessi soggettivi, tipici del tempo libero. Il suo intento è abilitare a dar valore da cristiani a queste esperienze: viverle in modo sensato, riempiendole del dono di sé secondo la propria età, è rispondere sì al Dio della vita. Si può fare un passo ulteriore affermando che quella oratoriana è una spiritualità dell'azione quotidiana. L'oratorio insegna ai giovani a vivere le azioni della vita quotidiana come «appello» di aiuto che li coinvolgono personalmente, e come «risposta» in cui si è chiamati a donarsi gratuitamente per redimere l'altro che invoca aiuto e se stessi.
Così facendo si vive una esperienza spirituale di comunione con il Dio di Gesù, anche se in forma implicita, perché sia realizzato qui ora un pezzo di Regno di Dio.
La spiritualità dell'oratorio è definibile anche come spiritualità dell'azione educativa. All'oratorio non si dà un'azione vissuta dal giovane da solo a confronto con le attese e bisogni dell'altro. Ha per soggetto la relazione educativa fra adulto e giovane. Mentre si apprende a donarsi nel rispondere all'appello dell'altro, si vive una profonda «compagnia» che affonda le radici nella compagna di Gesù all'uomo.
Diventa comprensibile perché si possa usare il termine spiritualità, così severo e impegnativo, per quanto si vive all'oratorio. Se la spiritualità viene liberata da residui di disinteresse per le vicende umane, da residui sacrali che la relegano in momenti come la preghiera o la liturgia, da concezioni che la riservano agli adulti e alle persone consacrate, si intuisce l'ardire di un don Bosco che propone una santità allegra, e individua in un quindicenne, Domenico Savio, un vero testimone della santità.
LA VIA EDUCATIVA ALLA FEDE
Se sul piano dell'obiettivo l'oratorio abilita ad una spiritualità della vita quotidiana, sul piano del metodo persegue una originale via educativa alla fede, in quanto fa del processo educativo nel suo insieme il luogo in cui i giovani maturano una consapevole e responsabile scelta di fede evangelica.
Le vie che solitamente si indicano per arrivare alla fede sono tre: la via veritativa (la via della catechesi), la via sacramentale (la via della liturgia e della preghiera) e la via caritativa (l'esercizio della carità verso i poveri). Esse vengono vissute dentro una consapevole appartenenza ad una comunità ecclesiale (la via ecclesiale che comprende le altre).
L'oratorio si riconosce in queste vie, ma le riformula dentro la sua via educativa. Intende educare alla fede attraverso l'inserimento degli adolescenti in un ambiente permeato di valori culturali e di fede, animato dalla relazione tra educatori e giovani nello svolgimento di attività di catechesi e preghiera, di gioco e di aggregazione amichevole, di promozione ecclesiale, sociale e culturale.
Il clima e la relazione educativa attivano un'osmosi profonda tra adulti e giovani, che porta alla maturazione di una fede nella vita in cui valori culturali ed evangelici vengono a fondersi in un tutto.
La crescita umana e di fede diventano una stessa ed unica crescita.
L'oratorio non conosce la separazione fra educazione umana e educazione alla fede, quasi fossero due cammini affiancati. Quella oratoriana è un'esperienza formativa che educa alla fede nella vita fino a farla maturare come fede nel Signore della vita.
Non per questo si mette in dubbio che la fede sia essenzialmente dono dall'alto. La fede è sempre dono dello Spirito, offerto ad ogni uomo sulla terra nell'intimo del suo cuore e che ogni uomo accetta o rifiuta attraverso il modo complessivo con cui affronta la vita.
Ma la sua maturazione, fino a vivere la fede nella vita come accoglienza gioiosa e responsabile dentro la Chiesa del Signore della vita, è un compito affidato ai cristiani, alla loro fantasia, intelligenza, passione. Si realizza in forma implicita in ogni istante dell'azione pastorale, e in modo esplicito nell'annunzio del vangelo, nella celebrazione e nella preghiera.
Nel proporre la fede, attraverso processi impliciti ed espliciti, l'oratorio vede la crescita della fede come crescita di un seme che progressivamente si sviluppa, ma che fin dal primo momento contiene il suo futuro di pianta. Per questo motivo l'oratorio non misura i giovani solo sulla fede esplicita, ma anche su quella implicita che si manifesta nei vari atteggiamenti di vita. Questi atteggiamenti, se in sintonia con il vangelo, sono già fede silenziosa, radicata in Cristo. Sono il seme di una fede che tutta l'azione oratoriana vuole aiutare a maturare come gioiosa ed ecclesiale fede in Gesù e nella sua causa del Regno.
Proprio perché considera la fede un seme che cresce, l'oratorio misura con coraggio e pazienza le proposte esplicite cristiane sul cammino percorso fino a quel momento. Non propone il vangelo e le sue verità, le celebrazioni e l'appartenenza alla Chiesa, come un tutto da prendere o lasciare nel suo insieme. Di volta in volta aiuta a compiere i passi significativi e possibili in quel momento, verso una scoperta progressiva dell'universo della fede e della Chiesa. Quello dell'oratorio è il coraggio del contadino, che non semina senza aver ben preparato il terreno, attende con grande speranza di raccogliere al termine di una lunga stagione, segue con pazienza e premura la crescita del seme, e di volta in volta gli offre il necessario per vincere le difficoltà e crescere in forma robusta.
LE FUNZIONE DI ANIMAZIONE
In una società complessa come quella attuale, a contatto con giovani che faticano a inserirsi attivamente in una cultura dai mille volti per individuare il nucleo essenziale, l'oratorio si propone di essere un piccolo laboratorio dove, quasi sotto controllo, avviene l'incontro dei giovani con l'esperienza culturale e cristiana.
L'oratorio oggi deve fare i conti con la crisi di socializzazione e educazione di base delle nuove generazioni. La socializzazione, relativa al processo di scambio quotidiano tra giovani e ambiente, trasmette i valori e le norme di una società e cultura. Essa avviene quotidianamente, ma è anche affidata ad istituzioni come la famiglia, la scuola, la parrocchia.
Siamo di fronte ad una crisi di socializzazione, dunque di trasmissione.
Ma siamo anche di fronte ad una crisi di educazione di base che dovrebbe abilitare a dare un senso personale alla vita utilizzando l'esperienza del passato. Anche questo è oggi in crisi, per la crisi di trasmissione, ma soprattutto per la mancanza di aiuto specifico a formulare in termini critici e creativi il senso della vita.
L'oratorio vuol dare una mano nel rispondere a complessi problemi come quelli enunciati, riconoscendosi una funzione di «animazione», di aiuto intenzionale ai giovani per ripensare i processi della loro formazione e accogliere e costruire un senso alla vita.
L'oratorio pensa il suo compito come risocializzazione e rieducazione e, alla luce della sua tradizione educativa ispirata alla prevenzione, trova i suoi destinatari privilegiati negli adolescenti che vivono un certo qual disagio, ma senza gravi problemi di identità. Non lavora con chi soffre gravi forme di emarginazione fino a perdere il controllo della propria libertà e richiedere intensivi cammini terapeutici, ma con chi prova disagio nel delineare la propria identità e dare un senso alla vita.
È una prevenzione che non tende a difendere dai messaggi negativi, come qualche volta essa è stata praticata nel passato, creando ambienti protetti per accentuare la pressione alla conformità.
Tende invece a far entrare i giovani in contatto con la complessità del mondo in cui vivono, nella convinzione che in esso possono trovare nutrimento per la loro ricerca di identità.
Dell'identità l'oratorio ha un concetto ricco e denso, capace di abbracciare le diverse dimensioni della vita, quella corporea, fisica, affettiva e intellettiva, fino a fare sentire il giovane un centro personale, per lo più relazionato in forma stabile con una cultura e una società da cui trae energie e informazioni vitali.
Per fare questo l'oratorio si fa vicino ai giovani nel tempo libero, che non considera vuoto ma formativo, perché permette questa esperienza di animazione, legata alla libera scelta e alla decisione personale di prendervi parte, a diversità del rapporto che si vive nella famiglia e nella scuola.
Il tempo libero è tempo di animazione per eccellenza, fondato su un libero «contratto» tra giovani e oratorio e sulla decisione di vivere un'esperienza in cui apprendere ad essere soggetti e avere il controllo della propria formazione.
In tutto questo emerge una caratteristica irrinunciabile dell'oratorio e dell'animazione: la relazione libera e spontanea, anche se sofferta e impegnativa, tra giovani e adulti animatori. L'animazione non è un insieme di attività più o meno divertenti, ma una relazione educativa che si evolve nel tempo, dentro la quale adulti e giovani interagiscono, offrendosi le energie per apprendere in modo critico e sensato, confrontandosi con le varie proposte in circolazione, per dare un senso alla vita, fino a riconoscere che Gesù è il Signore della vita.
UN LABORATORIO DELLA CHIESA DEL FUTURO
L'oratorio è sempre espressione di una comunità cristiana. Esso è un'originale esperienza di Chiesa, segnata dalla sua vocazione educativa.
Ma l'oratorio non può essere identificato e sovrapposto del tutto con la comunità cristiana. uno spazio ecclesiale che gode di una relativa autonomia. Lo esige la sua funzione di animazione.
Spazio autonomo non vuol dire indipendenza dalla comunità cristiana, ma solo che questa gli riconosce uno statuto particolare.
L'oratorio è Chiesa in una situazione di frontiera, e al suo interno circolano giovani che stanno cercando di varcare la frontiera. Con un'altra immagine, l'oratorio è la Chiesa che pone la tenda in mezzo alle nuove tribù giovanili e lì svolge il suo servizio di evangelizzazione.
La tenda non è piantata solo in mezzo ai giovani come persone, ma anche come esperienze di nuove forme culturali, spesso (per stare al paragone) ancora «barbare» rispetto all'esperienza ecclesiale.
A fianco dei nuovi giovani e dentro nuove culture l'oratorio è Chiesa che evangelizza ed impianta se stessa.
Il lavoro di evangelizzazione è complesso, perché non basta ripetere processi sperimentati altrove, ma occorre dare vita a qualcosa di creativo, di inedito. Da inventare o riformulare sono l'immagine di cristiano radicata nella nuova cultura, i contenuti della fede arricchiti e ripensati criticamente dentro le nuove domande e attese, i processi formativi pensati in modo che i giovani sempre più diventino soggetti della loro formazione.
L'oratorio è anche Chiesa che impianta se stessa. Non è semplicemente il trasferimento di modi di fare Chiesa in un altro contesto. Si tratta di apprendere e inventare il modo di fare Chiesa.
Questa Chiesa che nasce all'oratorio alimenta un'originale comprensione dell'intera Chiesa. Del resto essa ha già assorbito alcune intuizioni degli oratori del secolo scorso.
L'oratorio evidenzia una Chiesa che fa della fraternità, dell'amicizia tra le persone, della festa e della gratuità, il modo di vivere la comunione all'interno; e del servizio ai giovani, il modo di vivere la grande missione di serva dell'umanità, segno e strumento della venuta nel mondo del Regno di Dio, come Regno della pienezza di vita.
Nel rapportarsi con le varie forze ecclesiali e culturali, l'oratorio si manifesta come chiesa del dialogo. Non è una chiesa arroccata, tesa solo a difendere i suoi diritti e spazi d'azione, ma una chiesa preoccupata di tutti i giovani, animatrice di una politica giovanile capace di dare risposta al disagio giovanile.
Della comunione ecclesiale l'oratorio pone in rilievo la partecipazione, proprio perché è un'esperienza gestita dai giovani insieme ai loro educatori. All'oratorio si apprende una Chiesa in cui tutti sono soggetti, pur con diverse competenze e specifici compiti. Si apprende a far circolare le informazioni fra tutti e a distribuire il potere, a decidere insieme nel rispetto delle competenze di ognuno, a sentirsi responsabili attivi in prima persona nella vita interna della comunità e nel suo servizio verso l'esterno.
L'oratorio inoltre, che da sempre vive per l'azione insostituibile di laici, è luogo in cui la Chiesa apprende a vivere la sua dimensione laicale.
Al suo interno i laici incontrano una proposta spirituale capace di farsi carico del loro vissuto nella vita quotidiana e negli impegni sociali e familiari che li attendono. Molti laici percepiscono l'urgenza di una formazione complessiva dei giovani, e credono che fare l'educatore o l'animatore è una originale vocazione laicale dentro la Chiesa e dentro la stessa società.
In fondo l'oratorio del futuro, come già qualcuno al presente, sarà gestito tutto o in gran parte da laici.