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    Scoprire con i giovani il Concilio Vaticano II come parola di Dio



    Cesare Bissoli

    (NPG 1987-09-21)


    Il popolo di Dio è in marcia verso il terzo millennio. Consapevoli di qua­le periodo storico stiamo vivendo, attenti per vocazione di famiglia agli ele­menti giovani e fragili della nostra caro­vana, ai loro turbamenti ed inquietudini, chi ci aiuterà a non avere paura? Nella logica del linguaggio della nostra fede, ci darà una Parola di Dio per noi oggi come in altri momenti drammatici della nostra lunga storia? I giovani di oggi avranno capacità di ricevere tale Parola come av­venimento decisivo della loro storia? Per quali vie siamo chiamati noi, gli anziani del nuovo Israele, a riconoscere e a tra­smettere l’eredità di tale Parola, ridicen­dola nella modulazione a seconda della lunghezza d’onda degli uomini del no­stro tempo? Crediamo fondamentale in­trodurre i giovani al Concilio Vaticano II, come maniera affascinante di essere cristiani oggi, e specificamente nella sco­perta del Concilio, anzitutto e radical­mente, come Parola decisiva di Dio.

    IL PROBLEMA DI FONDO: PAROLA PER L’OGGI?

    Ma ecco un fatto paradossale. Proprio ciò che nella nostra fede è la chiave riso­lutrice del problema-uomo sembra non funzionare più, o con vistosa difficoltà, per il giovane-uomo dei nostri tempi.
    Da una parte sta la verità assoluta per un credente che l’uomo si realizza com­piutamente, arriva cioè alla salvezza, ac­cogliendo e lasciandosi guidare dalla Pa­rola di Dio, ossia da una comunicazione oggettiva e vitale che Dio in Cristo inten­de avere con l’uomo, in un intreccio in­telligente e libero di domanda e risposta.
    D’altra parte, di fronte ad un Dio di­sposto alla Parola, pur nella concretezza storica ed attraente della figura di Cristo, il giovane degli anni ‘80 trova una sua peculiare difficoltà: o non ne comprende più l’alfabeto (è un linguaggio sorpassa­to, un geroglifico sacro da studi specia­lizzati), o non sente la Parola come rile­vante ed incisiva e la lascia cadere nel­l’indifferenza, più che rifiutarla per osti­lità come farebbe un adulto, o crede di non saperla più sopportare perché è inti­mamente sfiduciato, si sente debole, ca­pace solo di pensieri deboli, di tragitti brevi, di pesi leggeri...
    Che senso potrà avere la proposta di un Concilio, a prima vista incontrato in testi dalle molte parole e di un suono tec­nico, come canale di Parola di Dio per una generazione siffatta?

    Quale Parola di Dio è il Concilio

    Vien dato da pensare talvolta che gli operatori pastorali condividendo, come è giusto, le domande e le difficoltà dei gio­vani, non siano veramente capaci di una proposta, che sa più di scommessa che di anticipata e ben descritta certezza, ma che non rinuncia facilmente a dare credi­to alla fedeltà di Dio nell’adempiere le sue promesse. Ciò porta noi adulti a ri­trovare la nostra memoria.
    Ci siamo definiti popolo di Dio in cammino difficile verso il terzo millen­nio. Popolo più antico del mondo, il po­polo di Dio nella sua lunga storia ricorda di essere specialista in “attraversate” al­trettanto drammatiche e di averle vinte: il passaggio del Mar Rosso (Es 14-15), il superamento del deserto grande e terribi­le da Babilonia a Gerusalemme (Is 40ss), l’attraversata del lago di Galilea in tem­pesta (Mc 4, 35-41). Da un navigatore della tempra di Paolo, vittorioso su nau­fragi insidiosi (At 27-28), riceviamo co­me parola d’ordine: “È necessario attra­versare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio”(At 14, 21). È una vittoria non per forza di uomo, ma perché Dio si è fatto sentire, è intervenuto, perché, co­me ama dire sinteticamente la Bibbia, ha pronunciato la sua Parola, cioè ha posto dei segni storici miracolosi: la verga di Mosè (Es 14, 16), la strada appianata nel deserto (Is 43, 19), il Messia e proprio figlio Gesù nella barca in difficoltà (Mc 4, 38).
    Oggi, lo stesso popolo, la Chiesa, tro­va a bordo il suo Signore, apparente­mente dormiente, come la prima volta (Mc 4, 38), ossia la stessa Parola incar­nata di Dio, ma in qualche modo lonta­na, difficile da interpretare. Ma ecco lo Spirito dona alla Chiesa una chiave di lettura che rende comprensibile ed attua­le l’antico Gesù del Vangelo: è il Vatica­no II, come avvenimento globale fatto di persone, messaggi, iniziative, che non sostituisce evidentemente la prima ed unica Parola di Dio in Gesù, ma ha la grazia di donaci - con il Concilio - il Vangelo del Duemila, quindi un punto di riferimento insostituibile per l’attraver­sata che spetta a noi, “vermiciattolo di Israele (Is 41, 14).
    Il Vaticano II dunque va riscoperto come evento di grazia nella duplice unità dinamica ed efficace che si colloca all’in­terno dell’unica storia di salvezza di cui rappresenta per noi anello decisivo ed è segno della Parola di Dio, cioè comunio­ne profonda ed interpellante di Dio verso di noi al di sotto del pluralismo delle mil­le vicende e questioni della convivenza umana in questo stadio di civiltà, così autorevolmente richiamate dallo stesso Concilio. Come notava appassionata­mente Paolo VI a chiusura del Vaticano II, “questo Concilio tutto si risolve nel suo conclusivo significato religioso, altro non essendo che un potente e amichevole invito all’umanità di oggi a ritrovare, per via di fraterno amore, quel Dio dal quale allontanarsi è cadere, al quale rivolgersi è risorgere, nel quale rimanere è stare sal­di, al quale ritornare è rinascere, nel qua­le abitare è vivere (S. Agostino)”. È quanto dice, con altre parole ed ancor più adeguate a giovani, il messaggio a lo­ro riservato dai Padri conciliari: la grazia di ritrovare in essa, la Chiesa nuova del Concilio, “il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell’amore, il compagno e l’amico dei giovani”.
    È in questa prospettiva, e non senza peculiare riferimento alla gioventù, che il Sinodo straordinario dell’85 ha rilancia­to il Concilio come memoria collettiva della Chiesa.

    LA FATICA DEI GIOVANI NEI CONFRONTI DELLA PAROLA DI DIO

    Come fare perché le giovani genera­zioni, che non hanno vissuto il Concilio, non perdano l’eredità che loro spetta, così come i giovani che non fecero l’eso­do, poterono ricevere tale esperienza liberatrice dalla generazione dei padri (Es 13, 14)? Che fare perché il Concilio sia colto nella sua identità essenziale ed uni­ficante di Parola di Dio, e che la Parola di Dio nella mediazione del Concilio rie­sca comprensibile e vitale per chi è nato in certo modo dal Concilio, ma apparen­temente sembra essergli così straniero? A questo punto gli operatori pastorali si ri­conoscono come educatori di fronte ad un compito: partire dalla condizione concreta in cui ciascun giovane si trova per aiutarlo a crescere alla statura di adulto nella fede. Ciò determina un tra­gitto educativo articolato (è un modello): la fatica dei giovani verso la Parola di Dio; come il Concilio propone la Parola di Dio; come educare i giovani alla Parola del Concilio.
    Abbiamo già accennato che questo è in fondo il problema cruciale: se e come la Parola di Dio abbia senso, esprima valo­ri per l’attuale generazione giovanile.
    Vediamo di definire meglio il rappor­to, avendo presente, proprio alla luce del Vaticano II, che cosa è e che ruolo gioca la Parola di Dio nell’universo cristiano (laddove è in atto un processo di evangelizzazione o catechesi nei loro confronti).

    La fatica dell’ascolto

    Nella più pura concezione biblica la Parola di Dio significa anzitutto che Dio parla da Dio, come colui che ha l’inizia­tiva. Pur in un profondo appagamento delle attese dell’uomo (si vedano le promesse messianiche come siano mirabil­mente simmetriche alle aspirazioni del­l’uomo di ogni tempo!), egli non può proporre la sua parola che secondo se stesso, secondo una trascendenza misteriosa e vincolante, percepibile nella sua valenza umanizzante ed insieme non ri­conducibile ad una ferrea verifica critica. Per questo la spiritualità dell’uomo bi­blico è definita intrinsecamente spiritua­lità dell’ascolto (“shema Israel”, Deut 6, 4s; Mc 12, 29). Per questo si dice “fides ex auditu”, cioè la fede viene dall’ascolto della Parola di Dio (Rom 10, 17).
    Ora tutto ciò richiede una apertura sincera, una capacità di oggettività che disciplini l’esasperata soggettività nel­l’ambito dei valori di cui è impegnato il giovane (e l’uomo) di oggi (in realtà più di ieri alla mercé di condizionamenti ad­dirittura oggettivistici e schiavizzanti).

    La fatica della memoria

    Sappiamo che nella visione cristiana i “fondamentali” o radici della Parola di Dio, ossia la vicenda di Gesù di Nazaret nella storia del popolo biblico, è legata a coordinate spaziali, temporali, culturali per sé contingenti e lontane. Ma solo nel­la narrazione di ciò che Dio fece allora, in quelle “attraversate” difficili del po­polo di Dio dall’esodo al mar di Galilea, ci è consentito di capire la Parola che lo Spirito dice per la nostra attuale attra­versata... Per cui i cristiani hanno libri sacri, si richiamano incessantemente ad una memoria biblica e postbiblica con una facilità sorprendente ed illuminante: udendo quei testi, vivendo la compagnia dei loro santi, sanno esprimere canzoni originali e farsi compagni di viaggio degli uomini dell’era informatica.
    Che dire di un mondo giovanile di cui si afferma l’incapacità di guardare all’ie­ri e al domani come tempi significativi di vita, di privilegio di un tempo pensato come presente senza radici e senza progetto? Sono veramente incapaci di me­moria i giovani attuali dell’occidente po­stcristiano o si è come assopita tale capa­cità e voglia, perché si sono proposte lo­ro memorie fatue, terribili, o penultime? Ci sia concesso di dubitare della loro in­capacità, vedendo la loro partecipazione quando un uomo di Dio narra loro l’an­tica biblica, ad esempio nel Duomo di Milano, al primo giovedì del mese...

    La fatica della risposta

    “Dio disse, Abramo rispose” (Gen 12, lss) è il simbolo primordiale e caratteri­zzante la dinamica e le esigenze della Pa­rola di Dio. Non viene di ritorno “senza aver prima fatto il suo frutto” dice lo stesso Dio in Isaia (55, 11), e se frutto non c’è, “ecco l’albero sarà tagliato e gettato nel fuoco”, dice Gesù nel Discor­so della Montagna (Mt 7, 19). Nasce quel principio assiomatico detto da Gesù: “chi fa la verità, viene alla luce” (Gv 3, 21). Ne derivano concretamente quell’in­sieme di esperienza che formano la prassi cristiana di vita, di cui ben conosciamo gli indici: conversione del cuore, riconci­liazione interiore con Dio, con se stesso, con gli altri, comunione e fraternità con tutti, testimonianza missionaria intra­prendente e coraggiosa... In sintesi la Parola supera lo stadio di informazione che si ascolta, di proposta che si narra, per diventare appello, vocazione che si assume come progetto organico e defini­tivo di vita.
    Non c’è chi non veda come sia difficile questo per i giovani, almeno se li vedia­mo nella prospettiva del sabato sera o di yuppies rampanti alla caccia di una competenza manageriale che assicuri lo­ro un discreto paradiso in pantofole e ca­minetto, al riparo, si spera, sia del mor­bo dell’aids come dell’impegno sociale, pensati entrambi come fastidi, sia pur in grado diverso... “Chi salirà la montagna del Signore?”, se egli chiede “mani inno­centi e cuore puro, chi non pronunzia menzogna, chi non giura a danno del suo prossimo” (Sal 24, 3-4)? Se la Parola di Dio è profetica, lo sarà pure quella ri­guardante quel giovane che pur “amato” da Cristo, e invitato a seguirlo, “se ne andò triste perché era molto ricco” (Mc 10, 21s)?
    Per fortuna, dobbiamo dire, è solo profezia, non è destino... Ed infatti, ri­nunciamo a credere che sia solo questo il pianeta giovanile: in un’ashram di Ma­dre Teresa, nella dolentissima città di Calcutta, dove i poveri sono così poveri da lasciare spazio soltanto all’immagine di Dio in loro, chi ho trovato se non dei giovani olandesi a prestare umilissimi servigi, di quella comunità ecclesiale su cui pesa talvolta un troppo pesante so­spetto! Il mare è veramente tempestoso. Ci dia sollievo il fatto almeno che abbia­no gridato quelli dell’attraversata sia del ma Rosso che del mar di Galilea (Es 14, 10; Mc 4, 38). Ma non andarono a fon­do. Dio stesso era in causa nella loro av­ventura.
    Non ci è concesso di paralizzarci dalla paura, ma piuttosto esaminare nella tra­sparenza del Concilio quale sia la peda­gogia vincente di Dio, cui ispirare sere­namente e coraggiosamente la nostra.

    COME IL CONCILIO PROPONE LA PAROLA DI DIO

    Abbiamo visto che il Vaticano II letto in prospettiva di storia della salvezza è una risonanza della Parola di Dio per il nostro tempo, con la straordinaria po­tenzialità che ad essa riconosce la Sacra Scrittura.
    Dobbiamo ora precisare meglio la spe­cificità di tale Parola. Abbiamo per que­sto due punti di riferimento: la globalità del Concilio e un documento costituzio­nale peculiare il cui titolo è diventato or­mai famoso: Dei Verbum, Parola di Dio. Dall’insieme si ricava una originale stra­tegia per cui alla Parola di Dio viene data un’ampiezza di senso, una specificità di significato, un ruolo decisionale come mai fino adesso era apparso nei docu­menti della Chiesa.
    Vediamo i tre aspetti particolareggia­tamente.

    L’ampiezza di senso

    Uno dei meriti centrali del Vaticano II è di aver collegato in profondità Parola di Dio e comunità dei credenti: la Parola fonda la Chiesa, la Chiesa serve la Parola. Ricordiamo la struttura generale del Concilio: soggetto centrale è la Chiesa, in se stessa e verso il mondo come “sa­cramento” (LG, 1). Quattro sono i pila­stri: le Costituzioni Lumen Gentum, Gaudium et Spes, Sacrosanctum Conci­lium (liturgia), Dei Verbum. Con molti sviluppi (i decreti e le dichiarazioni).
    Ebbene non tutto è sullo stesso piano, vi è una logica del sistema: la Chiesa si riconosce quando ascolta la Parola di Dio (Dei Verbum), si costruisce quando celebra la Parola nel sacramento, specie dell’Eucaristia (Sacrosanctum Concilium), si esprime come mistero che pro­lunga l’incarnazione del Cristo nel tempo (Lumen Gentium), si realizza con la mis­sione (Gaudium et Spes).
    Da ciò si ricava: il primato assoluto della Parola: la Chiesa; la dinamica della Parola: annuncio, ascolto, celebrazione, esperienza di vita, testimonianza missio­naria. Rimane da vedere il mistero della Parola e la sua missione.

    La specificità di significato

    Nella logica che regge il Concilio, per cui ad un mondo fortemente secolarizza­to occorre ridonare un “supplemento d’anima” prospettandogli il fondamento religioso della convivenza umana, era inevitabile - e l’abbiamo visto - il richia­mo della presenza della “verticale” di Dio sul mondo: la verità appunto della Parola, per cui tra Lui e noi si dà il silen­zio, la mutevolezza, facilmente caricabile di equivoci (“chissà cosa pensa Dio”, quali sono gli ultimi fondamenti e valori della realtà) e di sospetto (“chissà cosa sta combinando Dio per noi”), ma con­sapevole della posta in gioco. Il Concilio per la prima volta nella storia del cristia­nesimo non solo afferma, ma sviluppa il significato specifico di Parola di Dio, quale è la sua identità o mistero profon­do. Ha scritto appunto la “Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione” det­ta anche Dei Verbum.
    Vediamo quale profilo viene dato alla Parola di Dio, avendo presente le diffi­coltà o fatiche che i giovani paiono mo­strare verso di essa, in modo di poter tro­vare un cammino di aiuto educativo alla Parola di Dio.
    Certe volte si dice che la Dei Verbum si interessa della Bibbia. Non è corretto. Nei suoi 6 capitoli anzitutto il Concilio si interessa di un avvenimento clamoroso e permanente che chiama “rivelazione”, una cosa inaudita e splendida: esiste cioè una relazione interpersonale dialogica fra il Dio di Gesù Cristo e l’uomo. È una comunicazione di conoscere (verità) e di comunione (vita). Ha il centro Gesù di Nazareth, il Messia risorto dai morti: “Con questa rivelazione Dio invisibile parla agli uomini come e amici e si intrat­tiene con essi, per invitarli ad ammetterli alla comunione con sé” (DV, 2).
    Manifesta “la profonda verità su Dio e sulla salvezza degli uomini” (DV 2). Non cose tecniche, ma riguardanti la suprema realizzazione dell’uomo (l’origine, la fi­ne, i valori, il cammino conseguente). Non riguarda solo Dio o solo l’uomo, ma il loro rapporto: Dio davanti all’uo­mo e l’uomo davanti a Dio, teologia e antropologia. Consiste di parole e di fatti intimamente uniti.
    La parola di Dio che accogliamo come termine sintetico per indicare “Rivelazio­ne” ha un suo alfabeto e significato di fondo già costituito: è quello espresso dai padri-madri fondatori della religione ebraico-cristiana: è il grande mondo bi­blico con al centro la Parola di Dio che accogliamo come nostra. Ora tale tra­smissione avviene in una comunità di persone vive: la Chiesa, da vivente a vi­vente (è la tradizione, ossia l’organismo della Chiesa che si espande, si diffonde). Provvidenzialmente Dio ha voluto che la tradizione rappresentata dai fondatori (Mosè... Gesù, gli apostoli) in quanto ri­mane il primo e fondamentale alfabeto di Dio per tutti i tempi, fosse ben mante­nuta nella forma di libro: è la Bibbia. Quindi sempre restando all’interno della comunità di persone vive entro cui risuo­na e si comunica la Parola, vi è una serie di scritti sacri che garantiscono l’infalli­bile pensiero di Dio (sempre circa la no­stra salvezza), la sua Parola, in quanto ci riferiscono ultimamente il pensiero infal­libile di Cristo, inviato da Dio (DV, c. 2). La DV, nei cc. 3-4-5, si estende a spie­gare quale Parola ci trasmetta la Bibbia e come (criteri di ragione e di fede), il sen­so cristiano dell’AT e la centralità e la verità che spettano ai quattro vangeli. Dopo tanti secoli i cattolici ritrovano la Bibbia come il libro della Parola di Dio. E perciò si diffonde a dare indicazioni di buona lettura.
    La Parola di Dio è dunque il principio di identità del credente, anzi dell’uomo. Parola d’ordine: avere accesso alla Paro­la di Dio del testo sacro all’interno e in comunione con la comunità ecclesiale, con il suo spirito di lettura. Non può sa­pere ciò che Dio dice oggi (e Dio oggi parla veramente con l’uomo per la sua salvezza!) chi non ascolta le Parole ini­ziate a dire ieri e giunte al vertice di verità e di grazia nella vita e annuncio di Gesù. Vi è una equazione: ignoranza delle Scritture e ignoranza di Cristo. Ignoran­za di Cristo è ignoranza del supremo e decisivo discorso di Dio al mondo. Que­sta forte pressione ad una lettura conti­nua, corretta dalla Scrittura forma il contenuto della Dei Verbum.

    Il ruolo decisionale

    Ma non basta dire di una realtà che co­sa è importante. Bisogna arrivare a co­noscere come serve, nel caso nostro come la Parola di Dio arriva e si impasta al no­stro mondo di uomini, e in quale manie­ra. È il ruolo ermeneutico della Parola di Dio nelle vicende della vita.
    Che cosa intendiamo dire, lo prendia­mo dall’esperienza: vi è gente che fa corsi biblici, sa bene le tappe della storia della salvezza, ma chiamata a discernere come la Parola di Dio ci interpelli oggi, come tocchi i problemi di vita personale e col­lettiva, alcuni veramente ardui, ebbene non sa più impastare il lievito del vangelo con la massa del mondo.
    Il Concilio invece, dopo aver afferma­to il primato e il mistero della Parola di Dio, ha cercato di mostrarne l’incidenza interpretativa in tanti problemi: riguar­danti il ruolo dei sacerdoti (Presbyterorum Ordinis), i laici (Apostolicam Ac­tuositatem), la libertà religiosa (Dignita­tis Humanae), i cristiani separati (Unita­tis Redintegratio), le religioni non cri­stiane (Nostra Aetate), l’educazione (Gravissimum Educationis), la vita reli­giosa (Perfectae Caritatis), e soprattutto i tanti problemi che il mondo pone alla Chiesa: la persona umana, la comunità sociale, il lavoro, la famiglia, l’econo­mia, la politica, la pace... (Gaudium et Spes).
    Qui non siamo soltanto al livello veri­tativo della Parola di Dio, ma a quello significativo, valoriale! Mi chiedo se di­versi giovani siano indifferenti alla Paro­la di Dio perché non l’hanno percepita nella sua valenza promozionale, liberatrice.
    Chiaramente qui si pone tutto un eser­cizio ermeneutico (= capire il mondo al­la luce della Parola di Dio, e capire la Parola di Dio alla luce del mondo) che il Concilio realizza, senza fermarsi a fare una teoria.

    COME EDUCARE I GIOVANI ALLA PAROLA DI DIO

    La saldezza della fede da una parte ci proibisce di ritenere che il messaggio evangelico, la Parola di Dio annunciata dalla Chiesa e testificata dalla Sacra Scrittura, non abbia valore e presa anche per i giovani del sabato sera, dell’infor­matica, della frammentarietà, del corto respiro; d’altra parte ci comanda di ana­lizzare quali difficoltà ed insieme quali atteggiamenti di fondo presentino i gio­vani di fronte al problema dell’uomo, per vedere, secondo le nostre possibilità, quale mediazione educativa possiamo usare per l’incontro, sapendo che essa è l’unica ma indispensabile collaborazione che possiamo offrire al mistero della gra­zia di Dio.
    Sopra abbiamo raccolto tale ricerca attorno a tre elementi: fatica dell’ascolto (= difficoltà di oggettività e trascenden­za); fatica della memoria (= difficoltà della continuità e della cultura); fatica di esperienza (= difficoltà di significatività e di progetto).
    In termini più particolari e concreti potremmo aggiungere - una volta vista l’ottica del Concilio - che i giovani igno­rano una rivelazione come avvenimento e come economia di salvezza; chi ha mai parlato loro di Tradizione come humus della parola, nella dinamica di processi di socializzazione religiosa? Non sem­brano particolarmente né iniziati né en­tusiasti alla Bibbia; né l’esperienza del­l’uomo biblico, specificamente di Gesù Cristo, viene percepita non solo nella sua figura storica, ma come chiave di lettura e discernimento dei valori.

    Il contesto: uno scambio “umano” tra persone

    Ogni proposta, data la peculiarità del tema, primario in sé (e non soltanto nel­l’esperienza dei credenti), ma di non im­mediata percezione da parte di un giova­ne, non può avvenire che in un contesto ottimale il cui nucleo contenutistico pos­siamo esprimere così: fa in maniera che il giovane sperimenti “l’umanità” dello scambio della parola tra persone:
    - come la relazione interpersonale migliore (quella amicale, ad esempio) funzioni perché è parola (comunicazio­ne-comunione, apertura e fiducia...), e come d’altro canto le parole che contano sono quelle che passano tra persone (non certamente da una rubrica telefonica e nemmeno da un libro anonimo per quan­to grande);
    - come ci sia nel processo di crescita di ogni uomo l’uso di testimonianze, del presente e del passato, come in una ra­gnatela continua di trasmissioni o tradi­zioni, per cui ha senso l’uso di documenti scritti specifici, e più in generale l’uso della memoria;
    - come ogni verità sia veramente no­stra, sia soggettività incorporata, quan­do si fa valore, esperienza vissuta e ri­flessa;
    - come accettare una relazione inter­personale comunicativa (fatta di parole e azioni) e riconoscere il ruolo permanente della tradizione (anche scritta), significa disporsi alla trascendenza della parola e di chi la dice, e quindi quanto sia legitti­mo e doveroso confrontare con essa la propria soggettività. Per cui la parola è autenticamente percepita quando deter­mina una responsabile replica... Chiaramente il primo luogo, certamente tra i più decisivi (in pro o in contro), viene ad essere la stessa relazione di parola-azione che si stabilisce fra educatore e giovane, e più in generale all’interno della comu­nità ecclesiale.

    La salvaguardia di alcune costanti

    Venendo più da vicino al nostro tema in termini di fede, se ne farà tradizione secondo modelli preferiti.
    Vi può essere la linea biblica, che dalla Scrittura ritrova induttivamente il ruolo della Parola di Dio e giunge alla interpre­tazione datane dal Concilio.
    Vi è la linea storico-conciliare, che mette a fuoco subito l’apporto del Vati­cano II, secondo il tracciato da noi sopra espresso.
    Vi può essere la linea antropologica che conduce al mistero della Parola di Dio attraverso le analogie e risonanze of­ferte dal mistero della parola dell’uomo (vedi qui sopra).
    In ogni approccio e modello si cure­ranno certe costanti che favoriscono una migliore presa sia concettuale che affetti­va. Eccone alcune:
    - la Parola di Dio è sempre una “bel­la parola”, un vangelo, la promessa di un dono, e quindi per questo carica di re­sponsabilità e di giudizio. In termini più estesi la Parola di Dio informa, crea cri­si, conforta. Per questo illumina, appel­la, coinvolge per una risposta;
    - la relazione della comune Parola ha in proprio di determinare un circuito di comunione e condivisione (ecclesialità). Ciò determina un criterio metodologico di fondamentale importanza: accostare la Parola di Dio insieme, secondo lo spi­rito della Chiesa, arricchendo la “recep­tio” personale mediante la comunione reciproca;
    - rispettare il movimento o dinamica della Parola di Dio, ritrovandovi la sor­gente di movimento di persone. E preci­samente: annunciare/ascoltare la Parola
    - celebrare la parola, ossia saperla porre come motivazione di comportamento e farne effettiva esperienza: la Parola ascoltata-celebrata-vissuta chiede di di­ventare Parola diffusa: è la testimonian­za della Parola davanti al mondo, è la missione. Occorre mantenere viva questa “reazione a catena” della Parola di Dio. Come esempio, il buon samaritano (Lc 10, 29-37);
    - imparare ad attualizzare la Parola di Dio, o come Dio parla oggi negli avve­nimenti, nelle persone, nei segni dei tem­pi: l’incontro di Assisi (1986), un terre­moto, la morte di una persona cara, il conseguimento di un buon risultato pro­fessionale... Ciò non avviene automati­camente né superficialmente, ma con­frontando esperienze e significati (o va­lori) del mondo biblico ed ecclesiale ge­nuino, con situazioni umane colte in pro­fondità. La Parola di Dio non sarà mai una ricetta tecnica, ma una apertura di orizzonti donde emergono valori religiosi di profonda esistenzialità che assumono la carica di promessa e di compito.

    E l’incontro con la Sacra Scrittura?

    Qui non possiamo che farne un cenno, accostando alcuni avvisi:
    - è certamente importante in una cre­scita moderna della fede portare ad in­contrare la Bibbia, conoscerla, frequen­tarla;
    - è ancora più importante muoversi con intelligenza, educando alla Scrittura giustificandola all’interno del quadro più ampio della rivelazione o Parola di Dio come fa la Dei Verbum; educando con la Scrittura a ciò che è veramente, opera e domanda di Parola di Dio; educando dalla Scrittura a ritrovare la realtà uma­na carica di messaggio di Dio, talvolta solo in germe. Tenuto conto della molte­plicità dei fattori implicati, è del tutto consigliabile che si partecipi (animatore pastorale anzitutto) a scuole specializzate sulla Parola di Dio (scuole di preghiera; scuole del vangelo, ecc.).

    CONCLUSIONE

    Molte altre cose si potrebbero dire. In sintesi basta qui richiamare che accostarsi al Concilio del punto di vista della Pa­rola di Dio è entrare nel cuore del Conci­lio, al movente profondo. Ciò porta co­me risultato pedagogico-cristiano:
    - che la Parola di Dio, come già era nelle fonti ma abbiamo dimenticato per strada, è veramente l’assoluto della pro­posta cristiana;
    - che la proposta cristiana ai giovani deve tematizzare ben più incisivamente e con competenza questo “fondamentale” che è la Parola di Dio;
    - che la sua Parola, che è di sempre, Dio oggi la modula, la dona a noi nella cultura del Vaticano II, dalla cui ottica occorre rifarsi per un principio di eviden­te fedeltà.
    Avremo raggiunto i nostri obiettivi pa­storali-educativi se, come è stato detto con una formula giustamente, ma che ri­specchia magnificamente il senso e le spe­ranze del Concilio a proposito della paro­la di Dio, questa apparirà ad ognuno “co­me una apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allar­gamento ai propri valori ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni” (Rinnovamento della catechesi, n. 52).


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2025


    Incontrare Gesù
    nel Vangelo di Giovanni
    Marta e Maria


    I sensi come
    vie di senso nella vita
    I cinque sensi


    Noi crediamo
    Ereditare oggi la novità cristiana
    Nicea


    Playlist generazioneZ
    I ragazzi e la loro musica
    Nicea


    Pellegrini con arte
    Giubileo, arte, letteratura


    Ragazzi e adulti
    pellegrini sulla terra


    PROSEGUE DAL 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana


    A TERMINE DAL 2023


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca


    Storie di volontari
    A cura del SxS


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    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


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    e SEGNALAZIONI

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