Giancarlo Milanesi
(NPG 1987-07-3)
Ogni intervento educativo e pastorale è incontro tra la «domanda educativa» dei giovani e il patrimonio culturale e religioso dell'umanità.
All'atto pratico è facile, di volta in volta, dare vita ad interventi educativi e pastorali che dimenticano di passare attraverso questo appassionato e sofferto confronto. È facile, in particolare, dimenticare la domanda che sale dai giovani.
Nel dossier che presentiamo Giancarlo Milanesi si rivolge proprio agli operatori educativo-pastorali e offre una riflessione articolata sul problema.
La sua riflessione si caratterizza per il contesto entro cui va a rintracciare la domanda educativa. Piuttosto che rivolgersi al giovane considerato come mondo chiuso nella sua interiorità psicologica, egli indaga sul rapporto esistente tra giovani e territorio oggi. Le domande educative nascono dal diverso impatto con il territorio.
Le domande non sono mai soltanto soggettive o soltanto oggettive, ma nascono da una interazione tra mondo sociale e mondo soggettivo.
Utilizzando questo procedimento Milanesi delinea un duplice quadro di bisogni.
Individua, anzitutto, una piattaforma comune di bisogni tra tutti i giovani attorno a quattro «passaggi»: dalla marginalità alla partecipazione, dalla frammentazione alla personalizzazione, dalla difficile identità ai bisogni espressivi, dal presentismo ad una nuova cultura del tempo. In secondo luogo, identifica quattro aree di bisogni specifici: i bisogni legati alla professionalità, i bisogni legati al tempo libero, la domanda sportiva, la domanda religiosa.
La ricerca termina con tre esigenze irrinunciabili per chiunque voglia dare risposta alle domande dei giovani: la scelta dell'educazione come luogo prioritario di intervento, la ricerca di mediazioni culturali e di uno stile di mediazione culturale (anche da parte della chiesa), il ripensamento del modello di intervento e presenza nel territorio da parte delle diverse agenzie educative e pastorali. Queste pagine, forse troppo sintetiche ma stimolanti, possono costituire materiale di studio, ricerca, progettazione per le comunità educative e pastorali.
La domanda educativa si può definire come presa di coscienza e come elaborazione compiuta di uno o più bisogni soggettivi ed oggettivi, la cui soddisfazione è percepita come rilevante ai fini del progetto personale; essa implica sempre una tensione verso il pieno possesso della propria esistenza.
Non sempre tuttavia la consapevolezza del bisogno e l'impegno per farne emergere un valore sono perseguiti e voluti in modo da configurare effettivamente una matura domanda educativa; una percezione insufficiente dei bisogni, come pure una scarsa coscienza della loro importanza ed una relativa caduta di tensione verso la loro soddisfazione, possono rendere incompleta, distorta, fiacca la domanda educativa.
A loro volta i bisogni si presentano sempre come effetto di un intreccio di aspettative che hanno la più svariata origine e mostrano una gamma molto differenziata di contenuti. A questo proposito si possono identificare le matrici dei bisogni in tre aree interconnesse:
- la matrice bio-psicologica, che fonda una serie di esigenze di base, spesso identificate con i bisogni primari;
- la matrice micro-ambientale, che specifica attraverso le interazioni con la famiglia, la scuola, il gruppo o il gruppo dei pari, le diverse associazioni e aggregazioni, le organizzazioni lavorative ecc. ulteriori esigenze di qualità della vita da soddisfare;
- la matrice macro-ambientale, che fa sentire sul micro-ambiente e sulla base bio-psicologica il peso dei condizionamenti strutturali e culturali, modificando in continuazione i bisogni soggettivi.
È ovvio che la seconda e la terza matrice hanno specifica corrispondenza con ciò che noi chiamiamo territorio, cioè con quella porzione di società entro cui avvengono di fatto i processi di scambio tra persone e collettività, che danno origine ai bisogni e alla domanda educativa.
Risulta pertanto utile, ai fini della nostra riflessione, chiederci in che misura i giovani percepiscono l'impatto esercitato sul loro sistema di bisogni dalla doppia dinamica micro e macro-ambientale, e chiederci quali siano di fatto le domande educative che ne emergono, anche in forza dell'elaborazione che ne fanno i giovani stessi. Su questi due punti articolerò la mia riflessione.
IL TERRITORIO COME COMPLESSITÀ INDECIFRABILE
La percezione del come il territorio influisce nella formazione e soddisfazione dei bisogni è diversificata tra i giovani.
Formulo a riguardo tre ipotesi che poi sviluppo:
- il territorio viene percepito da una certa fascia giovanile come complessità indecifrabile;
- il territorio viene percepito come contesto di origine del bisogno, ma insieme come luogo di delusione della domanda che esso suscita;
- il territorio viene percepito come supporto della domanda educativa. Analizzo la prima ipotesi.
Il territorio: uno «spazio vuoto»
In generale un certo numero di giovani non riceve per socializzazione o educazione strumenti interpretativi sufficienti a comprendere il senso della crescente problematicità della società attuale. Ciò provoca il più delle volte una pericolosa estraneità dei giovani nei riguardi delle grandi organizzazioni istituzionalizzate che appaiono loro come realtà impersonali, con cui è difficile intrattenere una comunicazione soddisfacente.
Ulteriore conseguenza di questo vissuto è l'autoemarginazione in gruppi (per lo più informali) che invece sembrano assicurare alti livelli di comunicazione interna (sia pure snervati da contenuti poveri ed effimeri). all'interno di questa rete comunicazionale che si struttura una tipica dinamica di formazione del bisogno (meglio: di certi bisogni), che si caratterizza per un uso curioso del territorio: una via, una piazza, un quartiere, un luogo di ritrovo. Talora un gruppo «occupa» il territorio, intendendo con ciò affermare il diritto esclusivo a svolgervi certe attività, ad escludere da esso altri gruppi, a difenderlo da tentativi del potere pubblico di organizzarlo secondo criteri non graditi al gruppo.
Con tutto ciò il territorio non acquista significato per questi giovani in cerca di mezzi per ridurre la complessità che non capiscono.
Nonostante il riferimento effettivo, il territorio non è che un luogo materiale in cui il gruppo si installa, non è una fonte di risorse, ma solo spazio vuoto caratterizzato per lo più dall'assenza della società organizzata e da limitata presenza di aggregazioni intermedie che siano significative.
La complessità favorisce dunque, in certi casi, il ritiro dei giovani entro forme aggregative estranee al territorio, o al massimo legate ad esso in maniera del tutto strumentale; l'aumento dei livelli di comunicazione intergruppo corrisponde ad un aumento di non comunicazione con l'esterno, che (in caso di percezione di una minaccia vera o presupposta) è premessa probabile di reazioni violente.
Ma l'incapacità di ridurre o governare la complessità può sboccare anche in un meccanismo di adattamento individuale; invece di rifugiarsi nel gruppo comunicazionale, ci si rassegna a gestire l'estraneità verso il territorio mediante la privatizzazione dei bisogni. È il rischio di una auto-emarginazione pericolosa; la comunicazione è ridotta alle esperienze di coppia (quando ci sono) o alle esperienze di amicizia molto selettiva, all'incontro occasionale e sporadico; le opportunità offerte dal territorio (come luoghi di aggregazione, strutture di servizio, spazi di scambio) sono sfruttate con intelligenza egocentrica; il senso dell'appartenenza (e la conseguente responsabilizzazione) si fa sempre più debole fino a sfumare nel distacco e nell'ostilità generalizzata.
L'esito: il disagio
È quasi superfluo, a questo punto, annotare che una percezione del territorio cosi configurata rappresenta di per sé un fattore d'innesco o quanto meno un moltiplicatore di quella forma generalizzata di alienazione che si suole chiamare disagio giovanile.
Del resto non si tratta di una percezione totalmente soggettiva, dal momento che la crescente complessità del sistema è identificata da un'abbondante serie di osservazioni empiriche come premessa obiettiva del disorientamento.
La complessità infatti viene definita non solo e non tanto come illimitata tendenza alla differenziazione del sistema verso un pluralismo diffuso a tutti i livelli, strutturale e culturale, ma soprattutto come crescente impossibilità di governare il sistema, di razionalizzarlo e di indirizzarlo verso finalità sostenute da un consenso sociale significativo, fino al punto che ogni tentativo di «ridurre» tale complessità non può che lasciare dietro a sé consistenti «residui» che costituiscono problema aperto.
Ciò è collegato al fatto che la società complessa si caratterizza soprattutto per la frammentazione del tessuto sociale e la progressiva perdita di legittimazione simbolica del sistema, che non può non provocare la relativizzazione delle appartenenze, delle identità e degli orientamenti di valore, e quindi una capillare situazione di anomia e di disagio.
Sono questi i fattori che interagendo con il processo di degrado dell'ambiente (soprattutto di quello urbano) provocano la sensazione della inospitalità del territorio e motivano l'estraneità.
UNA SECONDA IPOTESI: IL TERRITORIO DELUDE LA DOMANDA
Una seconda ipotesi sottolinea la percezione del territorio come contesto di origine del bisogno, ma non come fattore di crescita della domanda.
In altre parole: il territorio sembra offrire un certo numero di stimoli e di opportunità come pure una certa quantità di problemi e di contraddizioni, da cui il bisogno prende avvio sia come diritto ad una risorsa promessa dal sistema, sia come reazione alle negazioni, esclusioni e frustrazioni di cui i giovani sono oggetto e vittime.
Sotto questa fattispecie vanno recuperate alcune categorie interpretative della condizione giovanile che possono rendere conto di questo problematico rapportarsi dei giovani al territorio.
Il rischio di marginalità
Il rischio di marginalità che investe diverse categorie di giovani è chiaramente connesso a carenze e difficoltà, a strozzature, inadempienze e insufficienze delle articolazioni strutturali del territorio (cioè delle istituzioni e delle organizzazioni che vi operano), come pure a certe arretratezze, povertà e incoerenze della cultura (o delle culture) che vi è prevalente.
Una sia pur succinta esemplificazione può dare l'idea della complessità e della problematicità di tali situazioni.
Un primo caso è offerto dalla persistente separatezza delle strutture formative dal contesto territoriale, espressa per lo più dall'irrazionale distribuzione delle scuole sul territorio, dallo scollamento esistente tra sistemi formativi e attese del sistema produttivo (in particolare le attese di formazione proprie della popolazione locale), dall'estraneità che spesso si riscontra tra scuola e problemi dell'immediato contesto sociale, dall'incapacità del sistema formativo di farsi carico sia pure parzialmente dei problemi che emergono dal territorio (ad esempio la tossicodipendenza, la criminalità giovanile, l'AIDS).
Un secondo caso è la ricorrente crisi dei luoghi di aggregazione giovanile; in estrema sintesi si può dire che si assiste, qui, alla permanente contrapposizione tra le attese dei giovani (per lo più orientate a scopi evasivi, effimeri o tutt'al più comunicazionali, cioè ad attività di tempo libero piuttosto povere di progettualità) e le proposte degli organizzatori, prevalentemente finalizzate a scopi sociali, a creare forme di partecipazione e di protagonismo molto impegnative; o, al contrario, si assiste alla frustrazione delle aspirazioni di pochi che cercano forme di aggregazione «sostenute», a cui non corrispondono se non offerte di «spazi» lasciati alla improbabile autogestione giovanile.
Un terzo caso è dato dalla inadeguatezza dei servizi che pure in molti casi già esistono sul territorio, ma che raramente rispondono a precise domande giovanili. La gamma di queste sfasature è piuttosto ampia: include infatti i campi della salute (enormi ancora i vuoti dell'educazione preventiva sanitaria), della famiglia (consistenti sono le insufficienze dei servizi di consulenza e di formazione/preparazione circa i ruoli coniugali e parentali), dello sport (eccessiva è la spinta verso l'impegno agonistico rispetto alle esigenze dello sport popolare ed educativo, mentre scarseggiano ancora in molte regioni gli impianti e le attrezzature), della cultura (persistente è la difficoltà, anche economica, di accedere in modo facile ed utile ai beni culturali conservati in musei, biblioteche, cineteche, ecc.; o di usufruire a prezzi convenienti, di spettacoli teatrali, sportivi, cinematografici), del tempo libero (poco diffuse sono le agevolazioni che favoriscono il turismo giovanile, l'hobbistica, l'uso intelligente delle opportunità offerte dal territorio).
Queste ed altre problematiche sembrano confermare che le inadeguatezze del territorio (evidenziabili per lo più come insufficienza della mediazione istituzionale rispetto ai processi di formazione e soddisfazione di una vasta gamma di bisogni) costituiscono un fattore di emarginazione dei giovani, soprattutto quando si sommano alle spinte emarginanti della logica che caratterizza lo sviluppo complessivo della nostra società; che è logica della massima razionalizzazione nell'utilizzo della forza-lavoro, con esclusione drastica (ancorché temporanea, ma non per questo breve) delle quote di popolazione ritenute deboli o comunque non ancora o non più utilizzabili.
La marginalità - configurata pertanto come condizione di espropriazione del diritto di decisione, partecipazione, protagonismo, accesso alle risorse del sistema, e perciò come consegna ad un destino di dipendenza, irrilevanza sociale, alienazione - mette a nudo una vasta gamma di bisogni stimolati ma non soddisfatti; e quando sia percepita nella sua intrinseca pericolosità mette in moto un nuovo bisogno globale, che è appunto quello di uscire dalla marginalità stessa, affermando e sviluppando una più precisa domanda politica, culturale ed educativa.
La lotta per l'identità
Una seconda categoria interpretativa, che può far comprendere la logica del territorio che frustra i bisogni, è quella che possiamo chiamare lotta per l'identità in un contesto di apparente eccedenza di opportunità.
A prima vista il territorio, specie quello urbano, può sembrare infatti particolarmente ricco di percorsi utili al raggiungimento dell'identità. In questo senso si parla di eccedenza, in quanto mai come oggi si sono moltiplicate le occasioni di formazione, scambio, esperienza.
L'impressione però non corrisponde sempre alla realtà. Alcuni dei percorsi teoricamente disponibili sono di fatto impraticabili; altri si rivelano brevi e poveri di contenuto, cosicché presto si esauriscono in un'esperienza frustrante; altri ancora sono fonte di continua delusione perché non portano dove promettono di portare.
Gli esempi di questa molteplice contraddizione sono facilmente intuibili: la scuola che non dà di fatto quasi nessuna professionalità, il tessuto produttivo che non è in grado di assicurare una normale transizione scuola-lavoro, l'esperienza sociopolitica che non offre se non partecipazione limitata e subalterna, l'associazionismo disimpegnato (vedi in specie quello sportivo/ricreativo) che non comunica valori; e soprattutto la miriade di occasioni, incontri, ipotesi di impegno che in realtà sono contrassegnati dalla noia, dall'effimero, dalla futilità.
È ovvio che in questa prospettiva il territorio appare solo come un labirinto intricato, entro cui il giovane gioca ogni giorno la sua partita di tentativi ed errori, estremamente costosa in termini di investimento di risorse psichiche e morali; ed è in questa logorante ricerca di identità che si creano le premesse di grossi rischi, quali ad esempio l'accettazione rassegnata e fatalistica dello scacco, la riduzione dell'impegno e dell'investimento, la pratica del «bricolage» culturale.
Il territorio si riduce pertanto, in questa particolare forma di esperienza, ad una somma di parziali e deludenti occasioni di identità, che però non sono in grado di motivare un investimento pieno e coerente da parte dei giovani, sia per la scarsa significatività di ciascuna delle tante opportunità, sia per la disorganizzazione complessiva del tessuto sociale.
Il percorso verso l'identità si fa irto di ostacoli, e la tentazione di accontentarsi di una personalità povera, di una progettualità limitata, di un pensiero debole, si fa consistente. Alla carenza della mediazione istituzionale che produce marginalità si aggiunge lo sbriciolamento dei percorsi verso l'identità che produce frammentazione della personalità, inflazione dei bisogni, dispersione delle energie. La «lotta» per l'identità si configura in definitiva come affannosa e inconcludente ricerca di esperienze forti che molte volte il territorio non è in grado di offrire.
IL TERRITORIO SUPPORTO DELLA DOMANDA EDUCATIVA
Una terza ipotesi suppone che ci siano giovani che percepiscono il territorio come supporto della loro domanda educativa e come luogo in cui essa può trovare risposta.
La sostanziale positività di questa ipotesi non annulla la problematicità insita nelle due precedenti.
Si vuole qui sottolineare che al di là e dentro le obiettive difficoltà che i giovani incontrano nel territorio, è possibile elaborare una costruttiva domanda educativa, a patto che essi mettano in moto un'attiva ricerca di soddisfazione del bisogno e di trasformazione del bisogno in esperienza di valore, cercato e vissuto.
In questo caso si deve dare per scontato che i giovani in questione siano capaci di utilizzare le opportunità che il territorio offre come un supporto alla loro maturazione personale e all'inserimento sociale attivo e responsabile.
Più analiticamente ciò implica certe precondizioni nel territorio stesso e certe disposizioni e atteggiamenti nel giovane.
Se si prende come punto di partenza il territorio, si dovrà supporre, ad esempio, che in esso vi siano per lo meno rispettati i criteri di organizzazione e strutturazione che permettono un livello minimo di vita a misura d'uomo.
Ciò ovviamente non si verifica quando la speculazione edilizia, il degrado delle strutture e l'inquinamento rendono impossibile la soddisfazione di alcuni bisogni fondamentali e impediscono di immaginare bisogni di più alto livello.
Sempre dal punto di vista del territorio, costituisce premessa e fattore di partecipazione da parte dei giovani una distribuzione razionale di stimoli provenienti da una rete organica di agenzie della socializzazione, capaci di interagire e di coprire una vasta gamma di bisogni giovanili. Discorso analogo va fatto per i servizi di base, di cui abbiamo fatto cenno nel punto precedente.
Ma ancora più in profondità, una percezione del territorio da parte dei giovani suppone che esso sia effettivamente un'entità sociale sufficientemente caratterizzata sia sotto il profilo strutturale che culturale; non solo un'astratta delimitazione di spazi con connotazione puramente burocratica e organizzativa, ma comunità di uomini articolata in una rete identificabile di interazioni sociali e protagonista di processi significativi; ed ancora come luogo in cui, entro le interazioni e i processi, vanno sviluppandosi dinamiche culturali di diversa intensità e segno, il cui significato complessivo possa essere oggetto di analisi e di intervento.
In realtà una caratterizzazione del territorio nei termini descritti non può essere risultato né del caso né di operazioni di vertice; il territorio diventa entità sociale dotata di senso solo per effetto di interventi mirati e convergenti che richiedono tempo, coerenza, volontà politica; troppe realtà territoriali sono, in verità, solo circoscrizioni amministrative prive di identità propria e perciò anche incapaci di conferire senso di appartenenza, di motivare interesse e coinvolgimento, di suscitare partecipazione e responsabilità.
È questo il caso prevalente delle nuove e vecchie periferie urbane, ma anche dei più recenti insediamenti extraurbani, composti da ben isolate e non comunicanti unità residenziali; e si salvano da questo rischio forse solo i piccoli centri e i vecchi quartieri urbani carichi di anni (ma spesso già attaccati da una progressiva decadenza demografica e ambientale).
Atteggiamenti soggettivi: dai giovani al territorio
Se queste sono le premesse esigibili in un territorio a misura d'uomo, quali sono le disposizioni soggettive che ne agevolano un'utilizzazione ottimale?
In primo luogo occorre supporre nei giovani una sufficiente capacità di lettura della realtà territoriale che li circonda, come parte di una più vasta società la cui dinamica diversificata si riflette localmente (almeno in parte) e condiziona la mutevole identità del territorio stesso.
Uscendo da indicazioni fin troppo generali, occorre che i giovani percepiscano l'impatto differenziato esercitato dai processi di complessificazione e post-industrializzazione della società sulle diverse porzioni di territorio, determinandone il decollo o il declino, il superaffollamento o lo svuotamento, l'obsolescenza o la riconversione, la riqualificazione o il tracollo per inquinamento, eccetera.
In secondo luogo si auspica una sufficiente capacità di rapportarsi al territorio comprendendone le articolazioni e le dinamiche specifiche o, in caso di problematica identità del territorio, capacità di scoprirne le contraddizioni e le carenze. Questa approfondita conoscenza non può essere che il frutto di una specifica educazione, che per altro non può tendere solamente a fornire strumenti interpretativi, ma soprattutto a formare motivazioni funzionali al coinvolgimento personale e comunitario rispetto ai problemi emergenti.
In terzo luogo infatti si suppone nei giovani una sufficiente capacità di misurarsi (o almeno di volersi misurare) con il territorio, accettandone le sfide, quali che siano le controindicazioni che ne rendono problematica l'utilizzazione ai fini della propria autorealizzazione e dell'inserimento.
È forse il punto più delicato; troppe sono infatti le spinte che sembrano motivare l'evasione (a tutti i livelli: fisico e mentale) quando le condizioni sono difficili e quando si possono immaginare e conoscere degli «altrove» migliori.
Sappiamo tutti quale ulteriore degrado del territorio abbiano provocato i fenomeni dell'emigrazione di massa, dello spopolamento della montagna e della campagna, dell'abbandono dei centri urbani, della fuga dei cervelli. Ovviamente la sfida del territorio può essere accettata solo quando si ha qualche fondata speranza di vincerla; cioè quando vi siano le condizioni obiettive (che solo il potere pubblico può assicurare) per una riuscita personale e sociale, cioè per una soddisfazione minima dei bisogni essenziali e delle domande educative fondamentali.
Se ciò si verifica, resta da dire attraverso quali dinamiche psico-sociologiche ciò può avvenire.
DAL BISOGNO ALLA DOMANDA EDUCATIVA
Fin qui si è detto in quale modo e misura il territorio può influire sulla percezione dei bisogni da parte dei giovani; si è trattato di un discorso di carattere generale a cui occorre far seguire un'analisi più precisa di bisogni settoriali che il territorio contribuisce a mettere in evidenza, direttamente o indirettamente, come pure un'analisi delle domande, più o meno esplicite, che si sviluppano a partire da tali bisogni.
Tra relativizzazione e nuove gerarchie di bisogni
È utile premettere qualche considerazione generale a tale analisi.
Due tendenze fondamentali sembrano caratterizzare la consapevolezza che i giovani hanno oggi dei propri bisogni; sono connotazioni che scendono direttamente dai due processi, già menzionati, di sviluppo verso una società complessa e postindustriale.
Da una parte si verifica una crescente relativizzazione dei bisogni, una persistente difficoltà a discernere tra bisogni reali/profondi e bisogni indotti/superficiali, una certa propensione al continuo rimescolamento dei sistemi di bisogno, senza apparente motivazione.
Questa tendenza complessiva si può forse ricondurre alla presa di coscienza del peso crescente esercitato dal sistema sociale nella definizione dei bisogni, che significa consapevolezza del prevaricare dei bisogni indotti su quelli naturali, ribellione al meccanismo perverso che crea artificialmente bisogni per soddisfare esigenze (quali quelle connesse alla logica produzione/consumo) che poco hanno a che fare con la promozione della persona umana, presa di distanza rispetto alle gerarchie di valore che tali bisogni sembrano voler imporre.
In questa contestazione del processo che crea i bisogni, i giovani assumono spesso un atteggiamento solo parzialmente alternativo; l'atteggiamento fondamentale (quello cioè della relativizzazione, rimescolamento, non discernimento) non fa che riprodurre, infatti, la logica della società complessa, di una società, cioè, che avendo perso il proprio centro simbolico unificante, sembra legittimare ad ogni livello un pensiero, un atteggiamento, una prassi «debole».
D'altra parte si assiste ad un tentativo - non generalizzato, ma significativo in certi strati giovanili - di elaborare un nuovo quadro di bisogni connotato dal riemergere degli interessi legati alla qualità della vita (cioè tutta l'area dei cosiddetti valori post-materialistici), dallo sforzo di riappropriarsi del diritto (scippato dal Welfare State) di definire i propri bisogni ed i percorsi attraverso cui realizzarli, dalla presa di coscienza dei bisogni meno negoziabili (salute, sicurezza, serenità, vita).
Questo tentativo si ricollega alla nuova sensibilità che si va creando nella società postindustriale società nella quale si è già raggiunta la soddisfazione di molti bisogni di base (cioè primari), ma si affacciano problemi e minacce che possono vanificare le conquiste sin qui fatte, come sembrano dimostrare le inquietudini che riguardano la guerra atomica, l'inquinamento dell'ambiente, la scelta nucleare, il boom demografico dei paesi di Terzo Mondo, la manipolazione genetica, l'AIDS, eccetera.
Questi ed altri problemi si presentano con i caratteri della massima urgenza e della minima negoziabilità, proprio perché la società postindustriale, in quanto società dell'informazione, è in grado di dare ad essi rapidamente una dimensione planetaria ed esaltarne la drammaticità fino all'ipotesi apocalittica.
In definitiva, relativizzazione del bisogno e riformulazione di una nuova gerarchia di bisogni non sono che due aspetti del medesimo processo di ricerca difficile di un'identità, in una società dagli equilibri nuovi. Su questa premessa vanno valutati i sistemi settoriali di bisogni che i giovani sembrano costruire in questo momento di transizione.
Una piattaforma comune di bisogni
Passando ad analizzare concretamente quali siano i bisogni da cui si sviluppa la domanda educativa dei giovani, è utile osservare che probabilmente esiste una piattaforma comune di bisogni che sono radicati nelle più diffuse esperienze giovanili. Già se ne è fatto cenno analizzando il diversificato rapporto che i giovani stabiliscono con il territorio.
Riprendendo alcuni spunti di riflessione più interessanti si possono sintetizza i bisogni in questo modo.
- Dalla marginalità alla partecipazione. Dalla marginalità, cioè dalla presa coscienza dei rischi che essa include, può nascere una domanda di partecipazione, appartenenza/responsabilità che diventa proposta concreta di protagonismo serio, costante, vigoroso. Vi sono sintomi di un ritrovato gusto per impegni che abbiano una chiara finalità o utilità sociale; non raramente si trovano giovani che fanno coincidere il percorso della propria realizzazione personale con il coinvolgimento in progetti di solidarismo universalistico; la qualità della vita si precisa ormai in rapporto ad un bisogno di relazione che non è funzionale solo alla securizzazione o espansione personale, ma sensibile ad esigenze generali del sistema sociale.
- Dalla frammentazione alla personalizzazione. Dalla frammentazione nasce una forte domanda di riflessività, interiorità, personalizzazione, che viene investita prioritariamente sulla variegata e ricca produzione di senso. Si cerca di ridurre la complessità a unità senza mortificarne la ricchezza; la capacità di superare la frammentazione (o almeno di convivere decentemente con essa) si ritrova il certi vissuti comunitari, in certe relazioni di coppia, in certe sperimentazioni di comunicazione aperta e profonda; vi è un mondo giovanile da riscoprire, capace di riflessione non evasiva, che include credenti e non credenti, tossicodipendenti in via di riabilitazione, nuovi contemplativi e nuove leve di impegnati politicamente
- Dalla difficile identità ai bisogni espressivi. L'impoverimento progressivo dei valori e l'incertezza dei percorsi verso l'identità sembrano stimolare la ricerca di nuovi bisogni, base necessaria di un'esperienza che sia allo stesso tempo fortemente personalizzata e fortemente storicizzata. Sul piano critico tale ricerca si muove tra rifiuto delle ideologie e sfiducia verso le utopie gratuite; sul piano propositivo si rivolge ai valori che la società postindustriale pare rendere praticabili: corporeità, relazione, autorealizzazione, amicizia, etica, impegno sociale. Sembrano recedere certi bisogni di tipo acquisiti
D'altra parte si assiste ad un tentativo non generalizzato, ma significativo in certi strati giovanili di elaborare un nuovo quadro di bisogni, connotato dal riemergere degli interessi legati alla qualità della vita (cioè tutta l'area dei cosiddetti valori postmaterialistici), dallo sforzo di riappropriarsi del diritto (scippato dal Welfare State) di definire i propri bisogni ed i percorsi attraverso cui realizzarli, dalla presa di coscienza dei bisogni meno negoziabili (salute, sicurezza, serenità, vita).
Questo tentativo si ricollega alla nuova sensibilità che si va creando nella società postindustriale; società nella quale si è già raggiunta la soddisfazione di molti bisogni di base (cioè primari), ma si affacciano problemi e minacce che possono vanificare le conquiste sin qui fatte, come sembrano dimostrare le inquietudini che riguardano la guerra atomica, l'inquinamento dell'ambiente, la scelta nucleare, il boom demografico dei paesi di Terzo Mondo, la manipolazione genetica, l'AIDS, eccetera.
Questi ed altri problemi si presentano con i caratteri della massima urgenza e della minima negoziabilità, proprio perché la società postindustriale, in quanto società dell'informazione, è in grado di dare ad essi rapidamente una dimensione planetaria ed esaltarne la drammaticità fino all'ipotesi apocalittica.
In definitiva, relativizzazione del bisogno e riformulazione di una nuova gerarchia di bisogni non sono che due aspetti del medesimo processo di ricerca difficile di un'identità, in una società dagli equilibri nuovi. Su questa premessa vanno valutati i sistemi settoriali di bisogni che i giovani sembrano costruire in questo momento di transizione.
Una piattaforma comune di bisogni
Passando ad analizzare concretamente quali siano i bisogni da cui si sviluppa la domanda educativa dei giovani, è utile osservare che probabilmente esiste una piattaforma comune di bisogni che sono radicati nelle più diffuse esperienze giovanili. Già se ne è fatto cenno analizzando il diversificato rapporto che i giovani stabiliscono con il territorio.
Riprendendo alcuni spunti di riflessione più interessanti si possono sintetizzare i bisogni in questo modo.
- Dalla marginalità alla partecipazione. Dalla marginalità, cioè dalla presa di coscienza dei rischi che essa include, può nascere una domanda di partecipazione/ appartenenza/responsabilità che diventa proposta concreta di protagonismo serio, costante, vigoroso. Vi sono sintomi di un ritrovato gusto per impegni che abbiano una chiara finalità o utilità sociale; non raramente si trovano giovani che fanno coincidere il percorso della propria realizzazione personale con il coinvolgimento in progetti di solidarismo universalistico; la qualità della vita si precisa ormai in rapporto ad un bisogno di relazione che non è funzionale solo alla securizzazione o espansione personale, ma sensibile ad esigenze generali del sistema sociale.
- Dalla frammentazione alla personalizzazione. Dalla frammentazione nasce una forte domanda di riflessività, interiorità, personalizzazione, che viene investita prioritariamente sulla variegata e ricca produzione di senso. Si cerca di ridurre la complessità a unità senza mortificarne la ricchezza; la capacità di superare la frammentazione (o almeno di convivere decentemente con essa) si ritrova in certi vissuti comunitari, in certe relazioni di coppia, in certe sperimentazioni di comunicazione aperta e profonda; vi è un mondo giovanile da riscoprire, capace di riflessione non evasiva, che include credenti e non credenti, tossicodipendenti in via di riabilitazione, nuovi contemplativi e nuove leve di impegnati politicamente.
- Dalla difficile identità ai bisogni espressivi. L'impoverimento progressivo dei valori e l'incertezza dei percorsi verso l'identità sembrano stimolare la ricerca di nuovi bisogni, base necessaria di un'esperienza che sia allo stesso tempo fortemente personalizzata e fortemente storicizzata. Sul piano critico tale ricerca si muove tra rifiuto delle ideologie e sfiducia verso le utopie gratuite; sul piano propositivo si rivolge ai valori che la società postindustriale pare rendere praticabili: corporeità, relazione, autorealizzazione, amicizia, etica, impegno sociale. Sembrano recedere certi bisogni di tipo acquisitivo (ma non del tutto e non per sempre) ed emergono antiche e nuove esigenze espressive, di cui la produzione culturale giovanile è testimone efficace.
- Dal presentismo ad una nuova cultura del tempo. Come reazione ad un tempo alienato nasce la consapevolezza dell'importanza e della irripetibilità delle opportunità offerte dal tempo. C'è domanda di un tempo più pieno e più vivo per il momento formativo; c'è l'urgenza di vivere diversamente la transizione verso il lavoro e l'inserimento sociale; c'è l'esigenza di anticipare la stagione dell'impegno personale e sociale e dell'attività produttiva; e più in generale c'è il bisogno di ritmi di vita più «a misura d'uomo».
AREE Dl BISOGNI EDUCATIVI SPECIFICI
È importante, a questo punto della riflessione, segnalare alcune aree di bisogni educativi specifici che interessano più da vicino il campo di azione diversificato degli operatori sociali, educatori, animatori ecclesiali. Quattro sembrano prevalere.
Una domanda di professionalità
Rilevante è l'area dei bisogni formativi, che interpellano soprattutto la scuola e la formazione professionale. Direi che in sintesi essi si riducono ad una domanda di professionalità congiunta strettamente ad una domanda di carattere etico concernente il significato del lavoro.
Il tema della professionalità va ben al di là dell'attività lavorativa e di adeguarsi sempre più alle rapide trasformazioni tecnologiche; è più precisamente un bisogno di una domanda di ricomprensione e di risignificazione di tutto il processo produttivo alla luce di una nuova cultura ed una nuova etica del lavoro.
Questo bisogno è originato da una diffusa crisi del valore del lavoro, che tra i giovani assume diverse forme e direzioni. Accanto ad una limitata disaffezione per il lavoro (soprattutto di quello manuale) si verifica una più consistente propensione per una concezione puramente strumentale del lavoro, che lo riduce a esperienza sopportata e sofferta solo in previsione dei vantaggi materiali che può offrire, mettendone in discussione la funzione di conferimento dell'identità, di creazione della solidarietà, di trasformazione culturale e politica della società.
Il bisogno di ricomprendere il lavoro non nasce dunque dal disorientamento prodotto dall'innovazione tecnologica, ma più precisamente dalle nuove dimensioni problematiche che caratterizzano la ricerca d'identità dei giovani, sempre più delusi dai contributi che a tale ricerca offre la scuola, sempre più frustrati dall'esperienza lavorativa (perché non c'è o perché è alienante), sempre più svuotati dalla mediocrità veicolata dai mezzi di socializzazione di massa.
Per questo motivo l'attenzione verso il territorio da parte della scuola e dei centri di formazione professionale non può ridursi a percepire e a soddisfare la domanda di incremento del tasso di competenza scientifico-tecnologica nelle nuove leve di forza-lavoro che si formano in tale struttura, né a scoprire e servire nuovi settori di professionalità legati a bisogni sociali emergenti, né a facilitare la transizione formazione-lavoro, né a privilegiare la formazione permanente (o di secondo, terzo livello) rispetto a quella iniziale.
Queste opzioni corrispondono certo a bisogni reali, presenti nel territorio e largamente condivisi dai giovani, ma non esauriscono la sostanza del bisogno formativo. Ciò che è essenziale, al di là e più profondamente di ciò, è il bisogno di ricollocare l'uomo al centro dei processi formativi e produttivi, come protagonista e non come strumento o oggetto, poiché questo è precisamente il problema centrale evidenziato dalle trasformazioni indotte dalla tecnica e dalla scienza, dalla nuova divisione nazionale ed internazionale del lavoro, dalla diversa organizzazione del lavoro. Su questo tema di natura culturale ed etica siamo chiamati a riflettere ed agire in prima istanza.
I bisogni del tempo libero
Una seconda area di bisogni giovanili si sviluppa attorno al tempo libero.
Non mi riferisco ai problemi connessi alla specificazione delle attese e delle domande che si viene ampliando in connessione con l'aumento del tempo libero e con le maggiori opportunità offerte dall'industria del tempo libero (fattori evidenti di inflazione artificiale dei bisogni di svago, divertimento, relax, sport, hobby e simili).
Mi riferisco ai bisogni più profondi che possono nascere nei giovani da una rivisitazione critica del tempo libero. Ciò avviene in particolare quando il tempo libero, fin qui considerato un tempo «debole)) da dedicarsi ad esperienze complementari o evasivo-consumistiche, comincia ad assumere i connotati di un tempo «forte», analogo e in certa misura anche alternativo ai tempi forti tradizionali (come lo studio, il lavoro, la politica), un tempo in cui l'impegno per l'identità e verso la maturità può essere esplicitato meglio che in altri momenti.
Forse non è questa ancora la scelta dei più; ma senza dubbio è ipotesi che merita attenzione da parte degli educatori.
In un tempo libero così inteso possono trovare soddisfazione sia i bisogni che mirano all'autorealizzazione (cultura, attività fisica, esperienza religiosa, ecc.), sia quelli che mirano all'espansione costruttiva della personalità nella società (volontariato, impegno sociale e politico, testimonianza religiosa, ecc.).
Ciò può avvenire in modo positivo a certe condizioni.
La prima è che si stabilisca una significativa saldatura tra il tempo libero così inteso ed i tempi della formazione, del lavoro e del dovere familiare. La separatezza non farebbe che svuotare ulteriormente di significato queste ultime esperienze, caricando di troppe attese il tempo libero e provocando a lungo andare esiti di tipo schizofrenico, povertà di valori, vuoti di competenza.
Una seconda condizione è che si ricostituisca un equilibrio più maturo tra il momento «intenso» del tempo libero (cioè appunto il momento delle esperienze capaci di conferire identità) e momento «allentato» (quello, per intenderci, del relax, del divertimento, delle attività leggere); è evidente che sul piano educativo i due momenti hanno funzioni complementari insostituibili che non possono essere sacrificate l'una all'altra senza provocare distorsioni nello sviluppo della persona.
Infine una terza condizione è data dall'esigenza di contemperare all'interno dello stesso momento «intenso» le due dimensioni (ancora una volta complementari) dell'autorealizzazione e dell'espansione del sociale.
Altrimenti il rischio che si può correre è quello del ripiegamento narcisistico su se stessi (molto diffuso tra i giovani che per estrazione sociale possono permettersi il lusso di un tempo libero ricco di esperienze, proprio nel senso di un'effettiva «eccedenza di opportunità» ignara dei bisogni altrui); oppure il rischio di una precoce e pericolosa uscita sul territorio, non sostenuta da una sufficiente formazione e competenza.
Ma più in profondità la condizione essenziale per un uso equilibrato del tempo libero sarà assicurata quando il tempo libero sarà sottratto alla pesante ipoteca evasivo-consumistica che tuttora ne fa uno strumento prevalente di omologazione culturale e di recupero funzionale della forza-lavoro; cioè quando il tempo libero potrà considerarsi un «tempo libero da» e «libero per» in senso pieno.
Tutto ciò è ancor più vero quando si considerino i rischi e le minacce che in un tempo ormai ravvicinato potranno riversarsi sulla stessa «categoria del tempo» dalla diffusione capillare delle nuove tecnologie della comunicazione; dalla loro capacità di «implodere» il tempo, cioè di accorciare se non di annullare le dimensioni spazio-temporali dell'esistenza quotidiana, potrà verificarsi una crescente difficoltà (da parte di giovani e di adulti) a controllare la «macchina del tempo», a contemperare i ritmi personali di vita con quelli scanditi dal tempo sociale, a calare nel tempo (un tempo ragionevolmente diluito) i progetti di vita senza cadere nelle utopie gratuite.
In definitiva, anche sotto questo profilo, la somma dei bisogni emergenti nel tempo libero pone domande impegnative agli educatori.
La domanda di sport
Una terza area di bisogni, in parte già compresi nelle problematiche del tempo libero, si configura specificamente attorno alla pratica sportiva.
La domanda di sport copre buona parte dei bisogni più immediati dei giovani e pur tuttavia non è una domanda molto omogenea; essa si presenta nei giovani ora come una pura domanda di consumo, ora come meccanismo di fuga o di evasione; talora come scelta sostitutiva rispetto ai bisogni di altro tipo che non si possono soddisfare e talora come esplicita domanda di socialità; in altri casi come bisogno di salute e di efficienza fisica, oppure come esigenza di equilibrio psichico.
In questa variegata domanda di sport si esplicitano diversi modi di concepire l'esistenza e allo stesso tempo si sottolineano in modo talora molto consapevole bisogni che hanno altro contenuto ma che trovano nello sport una canalizzazione ed espressione soddisfacente; il che significa che la domanda di sport va valutata adeguatamente, superando la superficialità e il pressappochismo che vi legge solo il bisogno di effimero, quando non tendenze pericolose e distruttive (aggressività e violenza, sfruttamento economico, volontà di dominio).
Il bisogno di sport, in quanto domanda, esprime sinteticamente l'urgenza di andar oltre il disagio che affonda le sue radici in molte contraddizioni e carenze del territorio; è bisogno di vittoria sull'alienazione urbana, sulla mortificazione della corporeità, sulla separazione dalla natura, sull'isolamento e sull'anonimato sul rischio di marginalità e devianza. E quando diventa domanda soddisfatta cioè prassi sportiva effettiva, è fenomeno capace di incidere positivamente sul territorio, diventando motivo di aggregazione, occasione di socializzazione, mezzo di prevenzione.
Tutto ciò assume ulteriore significato quando la domanda di sport si qualifica per la fonte da cui trae particolari connotazioni: la domanda di sport delle classi popolari, o degli strati e gruppi marginali, o delle donne, oppure quando viene letta in chiave specificamente educativa, come domanda globale di umanità che si articola operativamente nei settori dell'educazione corporea, morale, sociale.
In sostanza la domanda di sport, quando sia depurata dalle sue innegabili valenze aggressive e regressive, offre un'ampia possibilità di discorso educativo e di azione sul territorio.
La domanda religiosa
Un cenno infine ai bisogni e alle domande che si organizzano nell'area del sacro, del religioso.
Si è molto discusso nell'ultimo decennio sull'ipotesi di una diffusa ripresa dell'interesse religioso tra i giovani. A mio parere resta tuttora un dubbio circa l'espansione quantitativa di tale interesse, mentre sembra più plausibile l'impressione di un miglioramento qualitativo del vissuto religioso dei giovani, almeno di quelli che elaborano una precisa domanda religiosa. Indubbiamente esiste nell'esperienza problematica della vita quotidiana una serie di temi o interrogativi che possono dare origine ad una domanda religiosa; ed il territorio, con tutte le sue contraddizioni, è il terreno fertile di tale esperienza. È qui nel territorio, dove si vive la quotidianità come problema, che emerge ripetutamente l'esigenza di dare o ridare significato alla vita, di riaccostarsi rispettosamente al mistero della natura, di sentirsi garantiti dalla giustizia e di superare il senso diffuso della limitatezza e dell'impotenza (la solitudine, la violenza, la mancanza di futuro).
La domanda religiosa che nasce dal territorio (specialmente quello urbano, più stimolante nella sua problematicità) oggi non si dirige più necessariamente e solo verso l'interlocutore tradizionale, cioè la chiesa cattolica, ma talora prende altre strade meno consuete (ad esempio le sette, le varie esperienze parapsicologiche, misteriche, esoteriche) o addirittura si acquieta nella risposta delle molte religioni «civili» oggi riemergenti (quella ecologica è forse la più evidente).
Tutto ciò rappresenta una costante provocazione per quanti sono attenti ai bisogni dei giovani.
EDUCAZIONE, MEDIAZIONE CULTURALE E PRESENZA NEL TERRITORIO
Le molte domande dei giovani, emergenti nel territorio, chiedono alle comunità educative sociali ed ecclesiali anzitutto una proposta articolata e mirata, che si caratterizzi in prima istanza come un intervento educativo.
La consapevolezza poi delle molte valenze insite nel fatto educativo chiede di maturare una sensibilità crescente per due altre modalità di intervento che sono complementari a ciò che chiamiamo educazione in senso stretto: la mediazione culturale e la presenza nel territorio.
La mediazione culturale
La mediazione culturale di cui si parla è, in sostanza, uno sforzo di ricerca, confronto, ideazione e realizzazione (mediante tutti gli strumenti scientifici e non scientifici a disposizione) di un progetto di uomo e di società che sia il frutto di una matura integrazione tra fede e prassi, tra rivelazione e storia, tra annuncio della salvezza e sua realizzazione nel quotidiano.
Questa operazione è distinta, non separata e allo stesso tempo è complementare all'opera specifica di evangelizzazione, in quanto è una premessa, un aspetto, un segno di essa.
Il servizio che la chiesa rende all'umanità include infatti sia un'azione vigorosa di promozione dell'uomo sul piano della sua «salvezza terrestre», sia un'esplicita opera di annuncio e di realizzazione della sua «salvezza eterna». La prima non è possibile in realtà fuori dell'orizzonte della seconda; e quest'ultima a sua volta non è piena e perfetta se non include l'altra e non la integra.
Fare mediazione culturale significa dunque operare perché dalle realtà terrestri nasca un'invocazione della salvezza ultima e dall'orizzonte delle certezze assolute si diffonda nella prassi delle realtà terrestri un significato profondo. In altre parole, si può dire che ciò suppone una ragione capace di rendere conto della fede (cioè di renderla umanamente plausibile, visibile, sperimentabile) ed una fede capace di allargare gli spazi della ragione (cioè di garantirne la validità, di legittimarne lo sforzo di comprensione, di difenderne lo slancio esplorativo).
La mediazione culturale implica di lavorare per un'esplicitazione originale del modo di vivere il rapporto tra evangelizzazione e promozione umana, tra pastorale ed educazione, tra fede e ragione.
Ritengo che senza questo sforzo continuato a cui i laici sono chiamati a dare un contributo essenziale, le comunità non sarebbero in grado né di sostenere i propri impegni educativi né di mantenere un altro livello interno di vita associativa, né di proiettarsi verso il territorio.
Pur rinviando ad altro momento l'analisi circostanziata del momento metodologico e di quello contenutistico della mediazione culturale, occorre qui almeno indicare quanto sia essenziale a tale operazione una circostanziata e continua analisi delle domande educative, una compiuta elaborazione di finalità e valori che costituiscono l'ossatura della «cultura» delle comunità educative e pastorali, una coraggiosa scelta di metodo, stile ed organizzazione (che mira a creare equilibri delicati tra le componenti essenziali di un intervento di per sé complesso e a identificare priorità operative).
La presenza nel territorio
La proiezione verso il territorio merita a sua volta un'attenzione particolare.
Essa postula anzitutto una comprensione più adeguata del territorio, che operativamente significa conoscerne le caratteristiche qualitative e quantitative, avvertirne la complessità, valutare il protagonismo esercitato dalle personalità eccezionali dotate di particolari carismi e le dinamiche gestite dalle diverse istituzioni, i processi di aggregazione e di disgregazione, di convergenza e di conflittualità, di sviluppo e di regressione, sensibilizzarsi circa le dinamiche di produzione e di trasmissione della cultura (vecchia e nuova).
In un secondo luogo la proiezione verso il territorio implica un'effettiva «presenza» su di esso che concretamente può includere diverse operazioni complementari:
- la capacità di creare aggregazione e consenso attorno alla nostra proposta, organizzando la partecipazione di forze diverse al nostro progetto educativo;
- la capacità di animare il territorio mediante un'efficace comunicazione della nostra «cultura» educativa;
- la capacità di «cercare» attivamente sul territorio i giovani, specialmente quelli portatori di domande educative problematiche e difficili (e pur sensibili al dialogo e al confronto con la proposta);
- la capacità di partecipare a tutti i livelli possibili agli organismi in cui si elaborano le politiche che interessano il mondo giovanile: la politica della famiglia, della scuola, del tempo libero, della cultura, del lavoro.
È su quest'ultimo punto che le comunità educative e pastorali sono chiamate a riflettere e ad operare in modo particolare, al fine di creare una propria «cultura politica», i cui tratti presumibilmente dovrebbero essere: la coscienza della propria identità, la capacità di proposta, la preferenza per le mediazioni costruttive, la propensione a suscitare e valorizzare le forze positive, la tendenza al servizio piuttosto che allo sfruttamento delle opportunità, il superamento della logica delle lotte di potere e delle pratiche di lottizzazione.
Tale cultura va continuamente riportata alla sua matrice etica e religiosa, attraverso periodiche occasioni di verifica e di confronto da attuarsi nell'ambito della comunità cristiana che ne assicura l'autenticità evangelica.