Giannino Piana
(NPG 1980-7-38)
Le presenti note, redatte in modo piuttosto schematico, non intendono ovviamente esaurire la vasta e complessa problematica della ricerca dei valori nel campo della riflessione teologico-morale, ma soltanto offrire alcune piste metodologiche e suggerire un quadro di riferimento generale per un corretto approccio al vissuto contemporaneo, in modo particolare a quello del mondo giovanile, dal punto di vista dei valori. Nell'intento di aiutare il lettore a cogliere il senso, la portata e i limiti della proposta, che viene qui formulata, sembra importante premettere due osservazioni.
Anzitutto c'è da dire che lo spazio all'interno del quale si colloca la riflessione è il contesto socio-culturale ed ecclesiale italiano. È, infatti, quanto mai urgente che la teologia morale si misuri in Italia con la realtà concreta, individuando stimolazioni e formulando orientamenti e prospettive storicamente situate, allo scopo di evitare tanto il rischio dell'astrattezza quanto quello della dipendenza da aree culturali diverse e non perfettamente assimilabili.
La seconda osservazione è che l'ipotesi di partenza, che costituisce la pre-comprensione sulla quale si regge tutto il discorso, è la convinzione che sia venuta maturando nel nostro paese, soprattutto in questi ultimi anni, una forte crescita della domanda morale. Essa trova concreta espressione in una serie di movimenti e gruppi di vario segno prevalentemente orientati alla ricerca e all'elaborazione di nuovi valori e di nuovi stili di vita, prima ancora e più ancora che al mutamento delle strutture socioeconomiche e politiche.
La teologia morale, se non vuole essere infedele al suo compito, deve necessariamente interrogarsi sul senso, sulla entità e sulle modalità di tale domanda, in modo di risignificare, in termini costruttivi, il progetto etico cristiano. Non si tratta naturalmente di accettare acriticamente quanto emerge dal vissuto, ma piuttosto di riattualizzare a partire da esso le grandi categorie evangeliche, perché svolgano una funzione critico-profetica in rapporto alla realtà storica.
Per fare questo è, anzitutto, necessario cogliere le nuove dimensioni della domanda morale (I parte) e sforzarsi di ridefinire la natura e la struttura dello spazio etico (II parte), ma soprattutto individuare, alla luce dei bisogni emergenti e delle provocazioni evangeliche, le aree dei valori attorno alle quali costruire un progetto di crescita personale e collettiva autenticamente liberante (III parte).
LE NUOVE DIMENSIONI DELLA DOMANDA MORALE
Quali sono, dunque, le cause della genesi della domanda morale oggi? Quali i contorni, lo spessore, le connotazioni specifiche con cui si presenta?
Per rispondere a tali interrogativi è indispensabile ripercorrere le tappe fondamentali dell'itinerario storico di questo ultimo trentennio, sia a livello socioculturale che ecclesiale. Ci si troverà così di fronte ad un insieme di fattori, tra loro interdipendenti, che testimoniano l'emergenza del problema dei valori nel quadro della realtà italiana. Proviamo a procedere con ordine, tentando di individuare i momenti più significativi.
Crisi dell'ideologia dello sviluppo e domanda di una nuova qualità della vita
Gli anni dell'immediato dopoguerra sono stati dominati in Italia dalla presenza determinante dell'ideologia dello sviluppo, che ha raggiunto la sua massima esplosione attorno al '60. La tensione, che tale ideologia provocava, aveva un carattere prevalentemente quantitativo. Si riteneva, in altri termini, che il benessere economico-sociale, ottenuto mediante l'accentuazione dei meccanismi della produttività e del consumo, potesse dar luogo alla soluzione di tutti i problemi umani. Le logiche dell'acculturazione e dell'appropriazione, del fare e dell'avere divenivano, in questo contesto, le logiche dominanti. La conoscenza tendeva a trasformarsi in potere sulla natura, la razionalità in razionalità tecnologica. Si può, in un certo senso, dire che si è vissuta, in quegli anni, una forma di utopia laica o di messianismo secolarizzato, che aveva per oggetto una fiducia cieca nel progresso scientifico-tecnologico.
La crisi di tale ideologia coincide, sul finire degli anni '60, con la crisi del modello di sviluppo ad essa soggiacente e da essa alimentato. L'attenuarsi progressivo delle risorse e la depressione economica del mondo occidentale, ma soprattutto i fenomeni di massificazione sociale e di omologazione culturale, prodotti dall'industrializzazione selvaggia e dall'urbanesimo, nonché i primi sintomi del disastro ecologico, costituiscono altrettanti elementi che concorrono a far crescere una situazione di sospetto e di sfiducia nei confronti del progetto di sviluppo in atto.
Ci si rende gradualmente conto che il processo di crescita quantitativa è del tutto insufficiente; anzi che esso produce, se esasperato, una dequalificazione preoccupante della vita, sia sul terreno dei rapporti interpersonali che dei rapporti dell'uomo con il cosmo. Nasce così il bisogno di cambiare la qualità della vita, di puntare sulla creazione di condizioni radicalmente alternative allo sviluppo andando nella direzione di una vera liberazione umana. La consapevolezza che il mondo ominizzato non è necessariamente un mondo più umano finisce per mettere sotto processo i presupposti sui quali si fondava l'ideologia dello sviluppo spingendo verso il superamento radicale del sistema dominante.
Crisi dell'ideologia del cambio politico ed emergenza del personale
La risposta a tale situazione di crisi viene elaborata, negli anni '68-'70, in termini politici. La contestazione studentesca ed operaia ha avuto il grande merito, che non può esserle disconosciuto, di porre l'accento sulle cause economico-sociali, che sono alla radice dei fenomeni di alienazione sopra ricordati. Ciò che viene soprattutto preso di mira è, infatti, il modello capitalistico-borghese, che sta alla base dell'ideologia dello sviluppo: modello che deve essere decisamente ribaltato, se si intende dar vita ad un assetto di convivenza effettivamente umanizzante.
L'utilizzazione delle categorie marxiste - sia pure rivisitate - consente di mettere a fuoco le pesanti contraddizioni del sistema e di elaborare un progetto concreto di cambiamento.
All'ideologia dello sviluppo viene in tal modo sostituendosi l'ideologia del cambio politico rivoluzionario, la quale suscita entusiasmo e partecipazione dal basso, fino a trasformarsi in una seconda forma di utopia laica o di messianismo secolarizzato. È il momento dello «statu nascenti», della crescita del movimento, che si costituisce come radicale alternativa alle istituzioni dominati e ipotizza la possibilità di una palingenesi della condizione umana, di una svolta decisiva nella storia dell'umanità.
Tale tensione non resiste, tuttavia, a lungo. Gli anni attorno al '75 segnano il crollo dell'ipotesi sessantottesca. Non è questo il luogo per analizzare le cause che hanno determinato tale processo di crisi. Senza dubbio un ruolo decisivo va attribuito alle resistenze messe in atto dal sistema ed alla incapacità da parte del movimento di cogliere la complessità della realtà sociale, non riducibile entro schemi ristretti ed ingenui come quelli che venivano prevalentemente usati. Ma non si può negare che una ragione determinante della crisi debba essere ricercata nella percezione, che viene man mano facendosi strada nelle coscienze, del limite, e persino della miseria, della politica. Ci si rende, in altri termini, conto che la politica non è tutto, che esistono bisogni profondi ed ineludibili della persona che non possono essere del tutto soddisfatti attraverso il puro e semplice ribaltamento delle strutture esistenti e la loro sostituzione con strutture diverse. Di qui la nascita di movimenti e di gruppi, che tendono a privilegiare la analisi della «condizione umana» nei suoi diversi aspetti e nelle sue dimensioni più profonde (movimento femminista, movimento ecologico, nuovo movimento giovanile, ecc.); di qui soprattutto l'emergere di una rinnovata attenzione attorno al «soggetto» e alle esigenze che ad esso si collegano.
Necessità di cambiare la qualità della vita e ritorno del «personale» sono due sintomi che denunciano l'insufficienza tanto del progresso e dello sviluppo quanto della prassi politica e concorrono a porre l'accento sullo spazio etico come momento preliminare ed irrinunciabile di una seria ipotesi di cambiamento. La domanda che affiora come decisiva è allora la seguente: quali valori devono essere posti alla base delle trasformazioni, se si vuole che esse concorrano ad una autentica crescita umana? In definitiva, quale modello di uomo e di convivenza umana si intende realizzare?
Non si possono ovviamente sottacere i rischi connessi con l'attuale processo storico né tanto meno eludere le gravi ambivalenze che lo caratterizzano. La riscoperta dei bisogni soggettivi conduce spesso, di fatto, all'individualismo e alla privatizzazione della vita, al qualunquismo ideologico e all'assorbimento della mentalità consumistica. Non tutti i bisogni sono necessariamente valori; esistono in realtà istanze regressive, che vanno accuratamente controllate e debellate, se non si vuole ricadere in una «cultura del privato», funzionale alla conservazione dello status quo.
Ma non si può, d'altra parte, non tener conto della spinta positiva che da tale processo proviene. Si tratta della provocazione a dare concretamente spazio a bisogni-valori, che meritano di essere risignificati nel quadro di una proposta politica, che intenda affrontare globalmente il problema della liberazione umana. Si pensi all'esigenza del ricupero dell'identità personale e comunitaria, della felicità e del gusto della vita, alla ricerca di un modo nuovo di vivere il rapporto con la natura e di percepire il tempo.
Crisi di una concezione illuministica della fede ed esigenza di rivisibilizzazione
Un analogo processo - peraltro strettamente connesso con quelli precedentemente descritti - è venuto delineandosi, in questi ultimi anni, sul fronte ecclesiale. La riflessione conciliare e postconciliare ha notevolmente contribuito a far superare, come anacronistica, una concezione illuministica della fede, che tendeva a ridurla a fatto privato ed interiore. Si sviluppa così progressivamente la necessità di restituire spessore oggettivo all'esperienza cristiana, ricuperandone la dimensione incarnata e persino la valenza politica.
Non è casuale, da questo punto di vista, la partecipazione attiva di larghi settori del mondo cattolico, specialmente giovanile, alla contestazione sessantottesca e la nascita di comunità di base, che si impegnano direttamente nel campo sociopolitico, promuovendo iniziative di frontiera e opponendosi alla logica di sfruttamento e di alienazione del sistema dominante.
La stessa rinascita del «sacro» e la tendenza a rioccupare, da parte di gruppi e di movimenti cattolici, i nuovi spazi del «sociale» creati dalle recenti iniziative di decentramento e di partecipazione (scuola, quartieri, consultori, ecc.) si inscrivono all'interno di questa tendenza in atto verso una rivisibilizzazione della fede come esperienza personale e comunitaria capace di incidere profondamente e in modo storicamente efficace sulla vita degli uomini.
Vanno senza dubbio denunciati con forza i pericoli insiti in tali fenomeni, primo fra tutti quello dell'integrismo, che costituisce una tensione permanente dei cristiani e della chiesa. Il processo di riaggregazione in atto è, in larga misura, espressione di una tendenza alla chiusura e all'isolamento, al rifiuto del dialogo e alla ricerca di una securizzazione psicologica, che nulla ha a che vedere con la certezza evangelica. D'altra parte, la riemergenza del «sacro», nelle forme più diverse, rappresenta molto spesso il tentativo maldestro di uscire dalle secche di un situazione frustrante, determinata dalla caduta delle attese storiche, profittando «oltre» il proprio bisogno di onnipotenza.
Non si può, tuttavia, negare il lato positivo che attraverso questi fenomeni viene alla luce: il bisogno cioè di una fede che riprenda contatto con la storia degli uomini, di una comunità cristiana che torni ad essere sale della terra e luce del mondo. Ora il superamento dei limiti della situazione presente sembra proprio poter venire dall'elaborazione di una nuova e più seria mediazione tra esperienza di fede ed esperienza morale. La caduta immediata della fede nella politica, con i conseguenti rischi sopra ricordati, può essere evitata soltanto se si fa spazio al terreno dell'etica, restituendo spessore oggettivo ed efficacia storica all'esperienza cristiana sia a livello personale che comunitario. D'altronde, non è forse questa l'esigenza che si nasconde dietro la stessa rinascita del «sacro», che, oltre a segnalare il ritorno della domanda sul senso della vita al suo luogo originario, lo spazio religioso, si pone come espressione concreta della ricerca di una nuova identità personale e comunitaria, e perciò di nuovi valori? Si tratta del bisogno di una nuova prassi, di nuovi stili di vita e di comportamento, che risignifichino le istanze cristiane nella situazione presente, concorrendo a modificare la qualità del vivere.
La domanda morale va dunque assumendo, ai nostri giorni, sia sul fronte socioculturale che su quello ecclesiale, una enorme rilevanza; diventa il problema di fondo attorno al quale lavorare, se si vuole restituire senso e credibilità, tanto alla azione politica quanto alla testimonianza ecclesiale. La ricerca di nuovi valori è la strada che occorre anzitutto percorrere per uscire dall'attuale stato di alienazione e creare le premesse di una nuova civiltà più a misura di uomo.
LA RIDEFINIZIONE DELLO SPAZIO ETICO
Il primo problema che la riflessione teologico-morale è chiamata ad affrontare è allora quello della ridefinizione dello spazio etico. Non è, infatti, possibile dare una corretta risposta al problema dei valori, se non ci si sforza previamente di risolvere la questione dell'identità del fatto morale, cioè della sua natura e della sua struttura interna.
Natura del fatto morale
Il processo di secolarizzazione, da molto tempo in atto nella cultura dell'Occidente, ha senza dubbio concorso a sottrarre il fatto morale alla dipendenza «sacrale» o «religiosa» del passato. Lo spazio etico appare ormai decisamente come uno spazio autonomo, dotato di consistenza propria e non immediatamente deducibile da premesse di altra natura o di altro ordine. I valori morali sono sempre più avvertiti come valori umani, i quali hanno, come tali, la possibilità di essere compresi e vissuti al di fuori di un orizzonte religioso dell'esistenza.
La tendenza che, tuttavia, oggi affiora è quella di subordinare tale spazio agli esiti delle scienze umane, riducendolo di fatto a puro e semplice riflesso dei meccanismi bio-psichici e delle dinamiche socioculturali. Il dover essere, che è lo specifico dell'eticità, viene così identificato con il fattuale. L'etica si riduce a fenomenologia, a descrizione del costume vigente, perdendo di vista la funzione che le è propria, quella cioè di esprimere orientamenti e normative precise, che dirigano in modo obbligante il comportamento umano.
Non si può ovviamente sottacere l'apporto decisivo delle scienze umane alla conoscenza ed interpretazione del vissuto morale, ma è estremamente pericoloso ridurre il momento assiologico all'analisi descrittiva della situazione. Si finirebbe per vanificarne l'autonomia e la significatività. È dunque necessario ricuperare lo spazio etico come spazio della criticità, come luogo di verifica della validità dei processi mediante i quali si producono i modelli di comportamento e le normative del vissuto. Il procedimento da mettere in atto assume, in questo quadro, un carattere ermeneutico o circolare, nel senso di un rapporto dinamico e biunivoco tra esperienza e giudizio su di essa. Il vissuto concreto va criticamente vagliato alla luce delle istanze fondamentali della razionalità le quali ricevono, a loro volta, nuova illuminazione dal vissuto stesso.
Tutto ciò presuppone l'ammissione della capacità della ragione umana di cogliere, al fondo del processo storico entro il quale è inserita, l'infrastruttura ontologica fondamentale dell'uomo, che è la base essenziale e portante della definizione dei valori; ma, nello stesso tempo, presuppone l'ammissione incondizionata del farsi progressivo dell'autocoscienza umana, della strutturale storicità della razionalità, e perciò della possibilità data all'uomo di ridefinire e di risignificare i valori in contenuti storici sempre nuovi.
Si deve aggiungere che la riconquista dell'autonomia e dell'originalità dello spazio etico non comporta assolutizzazione o totalizzazione di esso. Una morale fine a se stessa conduce al più radicale antropocentrismo, alla negazione del limite dell'uomo, che, paradossalmente, si traduce - come dimostra la storia recente del pensiero occidentale (si veda soprattutto il pensiero negativo) - nel pericolo del nichilismo, nel mito dell'assurdo e dell'autodistruzione umana. Riaffiora, pertanto, l'esigenza di stabilire un corretto rapporto tra esperienza di fede ed esperienza morale. Il superamento del rigido deduttivismo del passato non deve trasformarsi in netta separazione - fino all'esclusione - dei due ambiti. La istanza etica trova, in ultima analisi, la sua fondazione solo nell'apertura ad un assoluto che trascende l'uomo. L'orizzonte della fede riemerge qui in tutta la sua rilevanza e il suo spessore, in quanto portatore di un senso e di una verità che. rispettando l'autonomia dell'umano, lo aprono alla pienezza di sé nell'incontro con il mistero divino.
Struttura dell'eticità
Ma questo non basta. La natura del fatto etico non può essere definita soltanto mediante l'individuazione della metodologia attraverso la quale ci si accosta ad esso. È urgente ridescriverne la struttura interna del fatto etico, i lineamenti che lo connotano e secondo i quali si esprime. L'odierna rinascita della domanda morale rischia di rimanere profondamente ambigua, se non si procede in questa direzione. Il ritorno ai «bisogni» e al «personale» può nascondere, e di fatto talora nasconde, un rifiuto della «politica», un desiderio di fuga nella privatezza e nell'individualismo, lasciandosi dominare dalle logiche consumistiche. Lo stesso discorso sui «valori» può diventare un comodo alibi per evitare di misurarsi con la situazione storica, di sporcarsi le mani nell'impegno di trasformazione della vita sociale. D'altra parte, il fatto morale è stato per troppo tempo storicamente percepito e vissuto come fatto esclusivamente soggettivo ed individuale, come momento estraneo alla vita sociale e politica.
Ridefinire lo spazio etico significa, allora, a livello di struttura, ricuperare, all'interno di esso, la mediazione tra il soggetto e l'oggetto tra il personale e il politico. Per fare questo occorre senza dubbio partire dai bisogni soggettivi, senza tuttavia dimenticare che non tutti i bisogni sono necessariamente valori. Esistono bisogni regressivi che conducono alla chiusura della persona dentro a se stessa o che sono indotti dalla pressione sociale, i quali nulla hanno a che fare con un progetto di autentica liberazione umana.
Se è vero che la politica per concorrere alla promozione umana deve costantemente riferirsi ai valori della persona, deve, in un certo senso, essere costruita su di essi, non è meno vero che l'etica deve diventare il luogo della produzione di valori personali che hanno una essenziale dimensione sociale e che sollecitano l'uomo ad impegnarsi coerentemente nella realtà promuovendo strutture capaci di soddisfare le più profonde esigenze umane. Il momento etico rimane un momento «prepolitico», ma non può essere per questo estraneo alla realtà della politica, intesa nel senso più vero e più nobile del termine.
L'elaborazione dei valori deve perciò andare nella direzione dell'individuazione di stili di vita e di modelli di comportamento, nei quali il «personale» e il «sociale» si intrecciano e si intersecano, dando luogo ad una reciproca e necessaria interazione.
Analogo discorso deve essere fatto per quanto riguarda il rapporto tra natura e cultura. L'esigenza di una nuova qualità della vita non nasce forse dalla presa di coscienza del limite e di una totale manipolazione della natura, di un incondizionato dominio di essa, perpetrato in nome di una «cultura» intesa come potere e come espropriazione? Non si tratta evidentemente di ritornare alle forme di un naturalismo statico e fissista come quello del passato, ma di porsi seriamente il problema dell'assunzione creativa di questi due momenti, che sono ambedue essenziali allo sviluppo di un modello di vita liberante.
L'infrastruttura del fatto morale va pertanto ridefinita entro il quadro di queste mediazioni, senza presumere di risolvere del tutto la polarità che le connota, ma tendendo verso l'elaborazione di modelli aperti, che sappiano, di volta in volta, ricomprendere positivamente e in modo sempre nuovo le diverse dimensioni della realtà.
Solo così lo spazio etico viene ricaricato di una sua precisa identità e si trasforma in luogo imprescindibile di riferimento in rapporto al processo della crescita umana e della trasformazione del mondo.
LE NUOVE AREE DEI VALORI MORALI
La risposta alla nuova domanda morale non si esaurisce, tuttavia, nella ristrutturazione formale del fatto etico. Il secondo ordine di problemi, che si impone oggi alla ricerca teologico-morale, è la definizione dei contenuti di valore da risignificare, l'elaborazione cioè di un progetto, capace di offrire connotati precisi e storicamente efficaci all'impegno umano. I credenti e le comunità cristiane devono, infatti, sforzarsi di produrre una nuova prassi, nuovi modelli di comportamento, un nuovo ethos, attraverso il quale rendere trasparente la capacità dell'evangelo di assumere i nuovi bisogni umani.
Quali, dunque, i contenuti di questa prassi? Quali le aree attorno alle quali polarizzare la ricerca dei valori e il tentativo di una loro risignificazione? La risposta che viene qui data non intende essere esaustiva, ma soltanto esprimere alcuni orientamenti ed offrire alcune suggestioni, indicando delle piste o delle linee di tendenza, che ricuperano talune istanze oggi emergenti e facendo, nello stesso tempo, risaltare la fecondità di un loro inserimento dentro l'orizzonte della fede. Le aree dei valori vengono delineate attraverso l'individuazione di alcuni movimenti per sottolineare la dinamicità del processo dell'esistenza morale. Si deve aggiungere che tali aree sono tra loro strettamente collegate ed interdipendenti, fino talora a sovrapporsi, e che i valori che ad esse si riferiscono devono entrare tra di loro in un rapporto costruttivo, lasciando sussistere, senza presumere di cancellarle, le diversità e persino la polarità che li connota.
Dall'isolamento alla solitudine (area della personalizzazione)
Il primo movimento che l'uomo deve compiere è quello del passaggio dall'isolamento alla solitudine. La riconquista dell'identità personale, della propria soggettività libera e creativa, si manifesta oggi come uno dei bisogni più fondamentali ed ineludibili. Il ritorno al «personale» non è soltanto rifiuto della totalizzazione del «politico», presa di coscienza del limite che strutturalmente lo definisce, ma è, più profondamente, espressione di un atteggiamento di giustificata ribellione nei confronti di una civiltà che ha radicalmente espropriato l'uomo da se stesso, fino a spersonalizzarlo. I fenomeni della massificazione sociale e dell'omologazione culturale, indotti dall'industrializzazione e dall'urbanesimo, nonché dall'uso arrogante degli strumenti della comunicazione sociale, hanno generato uno stato diffuso di appiattimento della condizione umana. L'aumento quantitativo della possibilità di comunicazione - per la caduta delle distanze fisico-geografiche e delle barriere culturali - coincide paradossalmente con la degradazione qualitativa della stessa comunicazione. La violenza è il segno di una situazione di malessere, radicata nell'isolamento e nella paura dell'altro.
Vita interiore e alterità
Ma, a ben guardare, la ragione profonda di tale situazione va individuata nella paura di sé e nella conseguente fuga da se stessi e dal proprio mondo interiore. Il ritmo frenetico della vita quotidiana e la rigida funzionalizzazione dei rapporti personali conducono l'uomo a ricercare costantemente forme di evasione, che riproducono, anche nella vita privata, le condizioni di alienazione del lavoro e della vita sociale. L'isolamento è, in definitiva, fuga da se stessi, rifiuto di prendere coscienza della propria situazione personale. Esso porta al rigetto della solitudine, che è, invece, capacità di guardarsi dentro, di prendere pienamente possesso di se stessi e perciò di padroneggiare gli eventi. Ricostruire la propria interiorità (vita interiore) è allora il valore fondamentale su cui puntare se si vuole uscire dalla condizione di impoverimento esistenziale e saper discernere criticamente i bisogni veri da quelli artificiosamente indotti dalla pressione sociale.
Ora la riscoperta dell'interiorità, la riconquista degli spazi più profondi del proprio essere esige, anzitutto, l'accettazione consapevole della propria diversità, della non appartenenza (® alterità); esige un faticoso lavoro di autocoscienza delle proprie possibilità e dei propri limiti. Lo stesso rapporto con l'altro rischia spesso di essere vissuto in modo frustrante, fino al fallimento, perché lo si idealizza in modo sbagliato, tendendo verso un'unificazione totale, un'armonia senza contrasti e senza differenze, che non rispetta la propria e l'altrui alterità; in ultima analisi, perché non si ha il coraggio di accettare la solitudine come realtà mai totalmente superabile e di vivere l'amicizia e l'amore nel segno della comprensione reciproca e della vicinanza.
Corporeità e recettività
La riappropriazione di sé è sempre un processo difficile e doloroso, ma, nello stesso tempo, altamente maturante. Coincide, infatti, con la presa di coscienza della propria limitazione. Diventa assunzione della fondamentale polarità tra corpo e spirito, che caratterizza l'umano. L'isolamento è spesso causato da una divisione dell'io, da una lacerazione, accettata o subita, che ha come sorgente il sentimento dell'onnipotenza. L'interiorizzazione della vita è accettazione realistica della corporeità, senza tabuizzarla e senza maggiorarla, come parte integrante del proprio essere personale e come elemento essenziale della costruzione del proprio progetto di esistenza ® corpo). Tanto chi rinnega il proprio corpo quanto chi lo mitizza rivela in radice la incapacità di accettarsi, la paura di dover porre dei limiti alla propria realizzazione.
L'ascolto di sé, del proprio mondo interiore e condizione indispensabile per disporsi all'ascolto dell'altro, per vivere cioè nell'atteggiamento della recessività, che non è passività, ma disponibilità a lasciarsi fare ed amare e, nello stesso tempo, ad accogliere l'altro nella sua diversità (® recettività). La solitudine è sempre creativa: genera fedeltà alla propria identità e assunzione dei propri compiti nei confronti degli altri e del mondo.
Vocazione
Non è forse questo il senso della vocazione cristiana (® vocazione)? Ciascuno è chiamato per nome da Dio, ciascuno ha una propria fisionomia irrepetibile, a ciascuno sono dati doni e talenti particolari, che egli non deve sotterrare nel proprio campo, ma far fruttificare per il bene di tutti. Vocazione è responsabilità personale, e impegno ad una libera risposta al proprio carisma, è scoperta delle proprie attitudini, che devono essere poste creativamente al servizio degli altri. Ricuperare il valore della solitudine è dunque riscoprire il senso della propria chiamata per disporsi a viverla nel servizio degli altri e del mondo.
Dall'ostilità all'ospitalità (area della socializzazione)
Il secondo movimento può essere descritto come passaggio dall'ostilità all'ospitalità. La condizione umana contemporanea è profondamente segnata dallo stato di conflitto. Esso si sviluppa a tutti i livelli: dai rapporti interpersonali ai rapporti sociali e persino alle relazioni con la natura. Sarebbe inutile presunzione pensare di poterlo del tutto superare. La conflittualità appartiene alla esperienza umana di sempre.
Riconciliazione e dialogo
Accettare serenamente la condizione conflittuale è la premessa indispensabile per vivere la ricerca della riconciliazione. Essa non va, infatti, pensata come esorcizzazione del conflitto, ma come sua elaborazione, cioè come capacita di trasformarlo da alienante in liberante (® riconciliazione), attraverso la produzione di sempre nuove sintesi, con la consapevolezza del limite di ogni soluzione storica.
Perché questo avvenga è indispensabile superare l'atteggiamento di ostilità e di inimicizia nei confronti dell'altro, del «diverso». La ragione profonda della conflittualità negativa che genera violenza e morte, deve essere ricercata nella paura della diversità, nell'assolutizzazione dell'ideologia come ricerca consapevole o inconscia di rassicurazione. Vivere l'ospitalità significa, al contrario, coltivare il dialogo e il confronto personale (® dialogo), creare spazi di amicizia, all'interno dei quali ricercare insieme soluzioni comuni ai problemi fondamentali della vita, senza per questo cadere nel conformismo o nella pretesa di una totale identificazione. Lo sbriciolamento del tessuto sociale è spesso dovuto alla ghettizzazione e alla chiusura, le quali creano estraneità e rifiuto dell'altro, impossibilità di vivere l'atteggiamento del perdono.
Povertà e carità
La logica dominante nella società contemporanea è purtroppo quella del possesso. I rapporti interpersonali e le stesse relazioni con la natura sono, in larga misura. dominati dalla tendenza all'appropriazione. L'espropriazione di sé fa nascere il bisogno di possedere gli altri e le cose. La degradazione della qualità del vivere non è forse la conseguenza della ricerca del quantitativo, che si esprime nella massificazione e funzionalizzazione delle relazioni umane e nella manipolazione senza limiti della natura? Si tratta allora di ricuperare il valore della povertà, che non è rifiuto degli altri e delle cose, ma capacità di vivere i rapporti nella prospettiva della comunione e della condivisione (® povertà). La ricerca dell'identità comunitaria passa attraverso la creazione di condizioni effettive di partecipazione e di corresponsabilizzazione. La povertà è tensione al qualitativo, è riconoscere il valore strumentale delle cose, è mettere a disposizione dell'altro ciò che si ha e ciò che si è, sapendo che si cresce soltanto insieme. È segnare limiti precisi al progresso e all'utilizzazione delle risorse della natura sulla base di un modello di crescita umana, che fa spazio ai veri bisogni della persona, in un clima di solidarietà universale. È concorrere alla nascita di una società conviviale, nella quale ciascuno viene rispettato come persona e tutti insieme si vive l'impegno della trasformazione del mondo.
La carità cristiana che è il valore supremo del messaggio evangelico, è il modello di questa nuova socialità (® carità). Essa trova la sua sorgente nel mistero trinitario, che è il mistero stesso di Dio. Il Dio cristiano è Amore, in quanto è incontro di persone, è unità nella diversità, è dialogo e comunicazione, che si realizzano nella reciprocità del dono, nel rispetto della diversità e insieme nella più radicale e indivisibile comunione. L'amore di Dio partecipato all'uomo, grazie al dono dello Spirito, lo abilita a ricercare e a vivere fino in fondo il senso di tale comunione, che ha nella croce di Cristo la sua manifestazione più alta. È la croce è povertà, spogliamento, essere per gli altri; è la testimonianza più radicale di che cosa significa amare. L'ospitalità è dunque una conquista, che deve essere ogni giorno perseguita uscendo dal proprio egoismo per imboccare la strada del dono di sé, nella certezza che soltanto morendo il seme può portare frutto.
Dall'illusione all'attesa impegnata (area del impegno politico e della creatività)
L'ultimo movimento è quello del passaggio dall'illusione all'attesa impegnata. Il crollo dei miti del passato non deve tradursi in disimpegno e privatizzazione della vita. Occorre passare dall'idolatria del sogno ad una presa di coscienza realistica delle possibilità storiche del cambiamento, creando seriamente le premesse per la germinazione del diverso. La violenza e la droga - ogni forma di droga - sono due modi diversi di estraniarsi dalla realtà considerata opaca ed invincibile, sono, in altri termini, due risposte apparentemente opposte, ma che hanno in realtà la stessa matrice: la ricerca illusoria di una patria dell'identità perfetta dell'uomo con se stesso, con gli altri e con il mondo, mai del tutto raggiungibile in questo mondo.
Criticità e creatività
La crisi della «politica» va superata accentuandone serenamente il limite, ma, al tempo stesso riconoscendone il valore essenziale per la promozione umana. L'impegno faticoso a mutare le strutture della convivenza, a creare condizioni sempre più ampie di umanizzazione e di partecipazione, deve essere portato avanti con lucidità e con coraggio, disponendosi a rivedere criticamente e di continuo i risultati conseguiti e gli obiettivi per cui si lotta.
L'attesa impegnata e carica di speranza realistica, di capacità di fare i conti con le concezioni sempre affioranti e mai totalmente vincibili; è l'atteggiamento maturo di chi sa usare la ragione tanto nell'analisi della realtà quanto nel disporre degli strumenti per un suo effettivo cambiamento (® criticità). Utopia e disperazione sono il frutto dell'autosufficienza umana, della tentazione dell'onnipotenza, che rappresenta il vero peccato dell'uomo.
Se l'impegno politico non vuole trasformarsi in assillo alienante, ma diventare il luogo della liberazione dai bisogni è necessario fare spazio ai valori creativi (® creatività, al ricupero dell'umorismo e del gioco, della festa e della contemplazione.
L'appiattimento della società in cui viviamo. non è forse espressione della rinuncia a ricercare questi valori, che appartengono costitutivamente alla crescita umana? Il ritorno del «personale», pur con le ambivalenze che lo connotano, non è forse ribellione nei confronti di una civiltà del fare e dell'avere, nella quale non c'è più spazio per i valori della gratuità e dell'inutilità, che sono essenziali per la vera realizzazione dell'uomo? L'assenza della gioia della vita, della possibilità di perseguire la felicità nei rapporti umani e con le cose conduce inesorabilmente allo stordimento del piacere o alla prevaricazione dell'istinto di morte.
Speranza
D'altronde questo (e non altro) è il senso della speranza cristiana (® speranza). Essa non coincide con l'ottimismo facilone e superficiale di chi accetta acriticamente la situazione presente, ma neppure con il pessimismo senza sbocchi di chi vorrebbe cambiare tutto e subito. La speranza cristiana è attesa impegnata. La presenza del regno nella storia umana stimola il credente à lottare, con tutte le sue energie per trasformare il mondo; ma, nello stesso tempo, la consapevolezza che il regno è, nella sua pienezza, dono, che verrà partecipato all'uomo soltanto alla fine, lo libera dalla tentazione di assolutizzare qualsiasi progetto storico come qualsiasi ideologia. La vera libertà nasce da un rapporto oggettivo con la realtà. Essa stimola all'azione senza per questo maggiorarne le possibilità e la portata. Solo chi sa sorridere di se stesso e del proprio impegno è in grado di gioire della vita e di sopportarne gli inevitabili scacchi. Solo chi vive nella certezza di un futuro senza limiti può accettare i limiti del presente senza drammatizzarli.
La ricerca di nuovi valori è un segno promettente, in questo nostro tempo, del nuovo che matura. Che non sia, al di la delle apparenze contrarie, il preludio di una stagione di riconquista dello spazio perduto per una rivoluzione della condizione umana?