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    Quale chiesa?



    Luis Gallo

    (NPG 1980-4-42)


    Questo articolo si compone di due parti: una studia le linee di ecclesiologia e l'altra quelle di pastorale comunitaria. Considero importante la prima, perché in realtà è quella che condiziona radicalmente la pastorale. Ogni pastorale è sempre guidata - spontaneamente o riflessamente - da un modello ecclesiologico. Non è indifferente qualunque modello ecclesiologico: ne va di mezzo la fedeltà alla Chiesa nel suo cammino storico, e la fedeltà agli uomini e alla loro salvezza.
    Ciò spiega perché mi fermerò più a lungo sulla prima parte del tema. Lo farò appellandomi al processo ecclesiologico svoltosi a partire dal Vaticano II. Ma lo farò solo per accenni, con conseguente rischio di generalizzazione.

    LINEE ECCLESIOLOGICHE TRACCIATE DAL VATICANO II

    Opzione per un modello ecclesiologico

    La novità ecclesiologica del Vaticano II si può cogliere più facilmente per via di confronto. Non si tratta però di un confronto orientato a condannare il passato, ma soltanto a percepire con maggior chiarezza il presente. Sarebbe anacronistico, infatti, voler valutare il passato con criteri del presente. Caso mai, lo si dovrebbe fare con criteri oggettivamente validi nel passato. Ma ciò non entra ora nell'ambito del nostro interesse.
    È indubitabile che il Concilio segnò l'abbandono ufficiale di un modello di Chiesa, che era in funzionamento da secoli, e la successiva opzione per altri, maturati sotto l'influsso convergente di molti fattori.
    Per «modello ecclesiologico» intendo quella visione globalizzante e selettiva con cui si percepisce e si vive la realtà della Chiesa: «globalizzante», in quanto con essa si intende abbracciare tutta la sua realtà; «selettiva», in quanto la sua totalità viene pensata e vissuta da un determinato punto di vista, che sottolinea alcuni aspetti e lascia altri nella penombra.

    Il modello ecclesiologico preconciliare

    Per molti secoli, e più accentuatamente dal Concilio di Trento in poi, è stato in funzione il modello CHIESA-ISTITUZIONE.
    Esso è in gran parte l'eredità del grande avvenimento storico del secolo IV, l'acquisto del diritto di cittadinanza da parte del cristianesimo nell'Impero Romano. Si originò allora un processo di spostamento verso l'accentuazione dell'aspetto istituzionale della Chiesa. Al Concilio di Trento, tale processo trovo un forte punto di consolidamento teologico, come reazione contro la Riforma. Un passo ulteriore di rafforzamento lo costituì il Vaticano I. L'ecclesiologia del secolo scorso e della prima parte del nostro ne visse quasi esclusivamente, con qualche eccezione.
    Le principali accentuazioni presenti e operanti in questo modello, sono:
    - accentuazione dell'aspetto societario e strutturale della Chiesa; l'aspetto interiore e propriamente teologale non viene indubbiamente negato, ma resta abbastanza nell'ombra. Si può affermare che questo è il tratto fondamentale del modello, dal quale derivano tutti gli altri che seguono;
    - accentuazione dell'aspetto particolare della salvezza («extra Ecclesiam nulla salus»); l'aspetto universalistico viene concepito in termini di eccezione (battesimo di desiderio, ecc.);
    - accentuazione dell'aspetto dualistico del rapporto della Chiesa col «mondo» (due società perfette); l'aspetto di unità con il mondo viene vissuto o a modo di sopraffazione (teocrazia, dominio scientifico della teologia, ecc.), o a modo di sottomissione (cesaropapismo);
    - accentuazione dell'aspetto trionfale della Chiesa (identificazione Chiesa-Regno); l'aspetto di imperfezione e provvisorietà viene quasi completamente sconosciuto, o vissuto a livello di movimenti non-ufficiali (gli «spirituali», i «poveri», ecc.);
    - accentuazione dell'aspetto escludente della cattolicità (il Corpo mistico di Cristo «è» la Chiesa cattolica); il valore delle altre comunità cristiane viene praticamente ignorato;
    - accentuazione dell'aspetto gerarchico della strutturazione ecclesiale (scala di dignità, separazione chierici-laici); l'aspetto di uguaglianza fraterna non viene quasi tradotto in forme strutturali, o viene praticato in movimenti non-ufficiali;
    - accentuazione del rapporto individuale con Dio («salva l'anima tua»); l'aspetto comunitario viene poco messo in risalto;
    - accentuazione dell'aspetto di uniformità; l'aspetto del pluralismo viene poco sottolineato o riposto soltanto in aspetti secondari e di minore importanza (riti, usanze, ecc.);
    - accentuazione dell'atteggiamento di obbedienza e sottomissione; l'aspetto di libertà e creatività viene vissuto frequentemente come problema (caso di Francesco d'Assisi, di Savonarola, ecc.).
    Risulta quasi superfluo dire che questo modello ha avuto dei grandi vantaggi per la vita della Chiesa, specialmente in certi momenti della sua storia. Altrettanto superfluo mettere in evidenza i suoi limiti oggettivi. Su questo modello si costruisce un determinato tipo di pastorale, che riflette le accentuazioni indicate, e che non è qui il caso di analizzare.

    I modelli ecclesiologici conciliari

    Si deve parlare di «modelli», al plurale, perché effettivamente al Concilio se ne susseguirono due con abbastanza rapidità.

    Il modello CHIESA-COMUNIONE

    È quello che ha polarizzato l'attenzione conciliare nella sua prima tappa, ancora segnata da una forte preoccupazione intra-ecclesiale. In esso sfocia un ampio processo di ricerca, tanto da parte della Chiesa (movimenti liturgico, biblico, patristico, missionario, laicale), quanto da parte della società umana in quanto tale (il grande segno dei tempi della «socializzazione»).
    Ha avuto la sua espressione più saliente nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium, ma pervase anche la maggioranza degli altri documenti conciliari.
    Al consolidamento di tale modello ha contribuito specialmente il ricorso della teologia, negli anni precedenti e nello stesso Concilio, a due categorie bibliche: Corpo di Cristo (cf Enc. Mystici Corporis, e LG 7), e Popolo di Dio (cf Teologia della storia della salvezza, e LG cap. II). La convergenza di queste due categorie, assunte come principali strumenti di riflessione sulla realtà della Chiesa, ha prodotto un primo spostamento, carico di conseguenze: il modello dominante di Chiesa-istituzione ha perso il suo ruolo egemonico, e l'ha acquistato quello di Chiesa-comunione.
    Da notare, però, che ciò non significa per il Concilio un misconoscere totalmente l'aspetto istituzionale della Chiesa, ma soltanto articolarlo in modo diverso.
    Le principali accentuazioni in questo modello sono:
    - accentuazione dell'aspetto interiore e «misteriale» della Chiesa (cf LG cap. I); l'aspetto societario e strutturale viene visto subordinatamente ad esso (cf LG cap. III), o vissuto in forma problematica (cf elaborazione del nuovo Codice di Diritto canonico);
    - accentuazione dell'aspetto comunionale, all'interno del mistero (Dio, comunione dei Tre; la Chiesa, comunione di comunità); l'aspetto individuale viene ridimensionato alla sua luce. È questo, senz'altro, il tratto più saliente della prima ecclesiologia conciliare;
    - accentuazione dell'aspetto universalistico della salvezza (cf LG 16, ripreso poi da GS 22 e); l'aspetto «ecclesiale» della salvezza viene pensato in chiave di sacramentaria (cf LG 1);
    - accentuazione dell'aspetto ecumenico nel rapporto con le altre comunità cristiane (cf LG 15 e UR); la differenza e diversità con loro viene vista in chiave di «gradualità nella comunione» (cf UR);
    - accentuazione della preoccupazione intraecclesiale; il rapporto col «mondo» è visto soprattutto in chiave di testimonianza e di consacrazione (cf LG cap. IV);
    - accentuazione dell'aspetto pellegrinante e provvisorio della Chiesa (cf LG 8, cap. II e cap. VII); il rapporto con il Regno viene espresso in termini di «germe» e di «fermento» (cf LG 9);
    - accentuazione dell'aspetto di uguaglianza fraterna (cf LG 32) e di servizio (cf LG 18 a) nella strutturazione ecclesiale; la diversità fra i membri viene intesa come pluralità di servizi (cf LG 32);
    - accentuazione dell'aspetto della pluralità-nell'unità (cf LG 13, 23, ecc.); l'aspetto di uniformità viene abbandonato (cf SC 46);
    - accentuazione dell'aspetto di libertà, responsabilità e creatività dei diversi membri della Chiesa (cf LG 9, cap. IV, AA); il passivismo e la mera sottomissione vengono quindi banditi (cf SC, ecc.).
    La svolta ecclesiologica segnata dall'opzione per questo modello venne sancita dal Concilio, ma era già in atto, più o meno diffusamente, nei decenni precedenti. Essa si manifestava, tra l'altro, anche in una pastorale rinnovata, che rifletteva le accentuazioni indicate. Basta pensare al rinnovamento catechistico e catechetico degli anni che precedettero il Vaticano II, per averne una chiara conferma.

    Il modello CHIESA-SERVIZIO

    Mentre il modello Chiesa-comunione acquistava sempre più spazio e consistenza nei documenti conciliari, si andava aprendo strada un altro, all'interno dello stesso Concilio. La sua genesi si dovette alle inquietudini di alcuni teologi, e specialmente dei padri conciliari più sensibili ai più gravi problemi dell'umanità attuale. Tale modello, già presente germinalmente nel Messaggio iniziale, crebbe poi lungo la celebrazione del Concilio, ma specialmente durante l'elaborazione della Gaudium et Spes. Paolo VI lo sintetizzò magistralmente nella sua omelia-bilancio del 7.12.65, a conclusione del Concilio, quando disse: «La Chiesa si dichiara come serva dell'umanità».
    L'essere della Chiesa, la sua natura viene qui identificata con la sua missione; e la sua missione viene concepita in termini di servizio. Tale servizio, a sua volta, viene specificato sia dal suo destinatario, che ora è l'umanità intera concepita dinamicamente (cf GS 5), sia dal suo obiettivo, che è la salvezza (cf GS 3). In sintesi: la Chiesa è servizio di salvezza all'umanità.
    Bisogna notare che questo cambiamento di modello, come già quello del precedente, comporta un ripensamento della concezione della stessa salvezza, perno sul quale gira l'intera ecclesiologia. Essa viene riformulata in chiave storica, e quindi non già in forma prevalentemente individuale, spiritualista e ultramondana, ma piuttosto come accentuatamente comunitaria, integrale ed escatologica (in via di realizzazione).
    Le principali accentuazioni di questo terzo modello sono:
    - accentuazione della preoccupazione trans-ecclesiale (Chiesa nel mondo e per il mondo: cf GS 3, e discorso di Paolo VI); la preoccupazione intra-ecclesiale viene ripensata alla sua luce (in realtà, il Concilio non ebbe tempo di formulare questo ripensamento, che fu appena abbozzato). Tale impostazione trans-ecclesiale costituisce il tratto fondamentale di questo modello;
    - accentuazione dell'aspetto storico e di responsabilità della salvezza (superamento del dualismo storia profana - storia sacra); l'aspetto trascendente e gratuito della salvezza vengono quindi ripensati alla sua luce;
    - accentuazione del rapporto col «mondo» in chiave di servizio (dialogo, collaborazione; cf Ecclesiam suam, GS); viene abbandonato ogni rapporto di dominio e riconosciuta pienamente l'autonomia delle realtà «temporali» (cf GS 36);
    - accentuazione del carattere profetico dell'esistenza cristiana (cf GS 11a); gli altri aspetti (culturale, organizzativo, ecc.) vengono subordinati ad esso;
    - d'altra parte, questo modello assume, ridimensionandoli alla luce di queste sue accentuazioni, parecchie accentuazioni del modello precedente: quella dell'aspetto comunionale, dell'aspetto pellegrinante e provvisorio della Chiesa, della pluralità nell'unita, della strutturazione fraterna e di servizio, ecc.
    Tale nuovo modello ecclesiologico esige, come è logico, un nuovo tipo di pastorale, con nuovi obiettivi, nuove metodologie, ecc., che stiano in sintonia con esso.

    Il postConcilio

    Si può dire che il modello Chiesa-servizio è il modello della maturità conciliare. Fu anche quello proposto ufficialmente come programma del postConcilio (cf omelia-bilancio di Paolo VI).
    In questi quindici anni trascorsi dal Concilio, è possibile cogliere, nella concreta realtà della Chiesa, una pluralità di posizioni ecclesiologiche: c'è chi è rimasto ancorato a modelli preconciliari; chi agisce pastoralmente sotto la spinta del modello Chiesa-comunione; e chi ha cercato di far «funzionare» il modello Chiesa-servizio. In questa diversità di modelli in funzionamento si può trovare una delle spiegazioni di certe posizioni conflittuali del momento presente, all'interno della Chiesa, sia a livello tecnico che a livello pastorale.

    LA TEOLOGIA DELLA CHIESA PARTICOLARE

    Il modello Chiesa-comunione sopra descritto ha dato l'avvio ad una riflessione teologica, di ripercussioni pastorali notevoli, sul tema della Chiesa particolare. Alla luce di tale modello, infatti, si è cercato di ripensare e riorganizzare la Chiesa diocesana e, al suo interno, la parrocchia e le altre comunità minori (chiesa domestica, gruppi di riflessione e di impegno, movimenti tradizionali, ecc.).
    Tale riflessione rimane valida all'interno del modello Chiesa-servizio, anche se in esso deve venir permeata da ciò che a quest'orizzonte è proprio, soprattutto la sua preoccupazione di servizio salvifico all'uomo.
    Di detta teologia voglio prendere in considerazione soltanto due aspetti.

    Concezione della Chiesa come «comunione di comunità»

    Si può costatare che ancora oggi, per molti cristiani e forse anche per non pochi pastori, la parola «Chiesa» suscita automaticamente l'immagine di un tutto massiccio di cui essi fanno parte assieme a tanti altri. È l'immagine propria del modello Chiesa-istituzione. Li essa appare come un grande tutto, organizzato in maniera uniforme e piramidale, al cui vertice si trova il Papa, e di cui le diocesi e parrocchie sono ritenute parti e particelle affidate ai rispettivi vescovi o parroci. È un'immagine discendente, che va dal più al meno: dalla Chiesa universale alle diocesi, e da questa alla parrocchia e all'individuo.
    Il Vaticano II, assumendo il modello Chiesa-comunione, ha affiancato a questa un'altra immagine, che potrebbe venir chiamata «concentrica». Essa infatti, va dalla piccola comunità locale (in cui il presbitero presiede l'Eucaristia sotto l'autorità del Vescovo: cf LG 28b, anche 26b), alla Chiesa particolare (in cui il Vescovo è il «grande sacerdote del suo gregge»: cf SC 41a; LG 26 a.b), e alla Chiesa universale (presieduta dal Vescovo di Roma coadiuvato dal Collegio episcopale: cf LG 18b.22).
    In questa visione, quindi, la Chiesa universale risulta dalla comunione - che è molto di più della semplice somma e federazione - delle diverse Chiese particolari: essa è «il corpo delle Chiese» (cf LG 23 a.b). Lo stesso schema si ripete all'interno delle Chiese particolari e delle singole comunità minori. Così, una diocesi sarà la comunione delle comunità parrocchiali e delle altre eventuali comunità esistenti, e queste, a loro volta, la comunione degli individui che le integrano. Uno schema di questo tipo, che è valido per ciò che si potrebbe chiamare un onto-ecclesiologia, vale anche logicamente per ciò che deve essere il fare o l'agire della Chiesa. È qui che si fonda la «pastorale d'insieme»: anche il servizio di salvezza deve venir fatto in comunione, e rispecchiare l'essere della Chiesa.

    Rapporto fra unita e originalità nella comunione ecclesiale

    All'interno della comunione ecclesiale agiscono due fattori che sembrano contrastanti: l'originalità e l'unità. È importante che essi trovino il loro giusto posto anche a livello pratico. La loro armonia, come lo dimostra la storia, non è facile, e crea sovente dei problemi. Enuncio a continuazione le linee fondamentali di orientamento.
    La domanda da porsi è questa: come articolare questi due poli che non possono essere assenti mai nella Chiesa? Il principio teorico è stato enunciato (in riferimento esplicito al rapporto Chiesa universale - Chiesa particolare) da Paolo VI nell'Evangelii nuntiandi: «Solo una permanente attenzione ai due poli della Chiesa ci permetterà di percepire la ricchezza di questo rapporto» (n. 62c).
    L'auspicata «attenzione ai due poli» esige quanto segue.
    Non concepire l'unità come uniformità. Ogni Chiesa particolare, e anche le altre comunità minori, ha un suo volto originale, tratteggiato dalla sua storia, dal suo ritmo di vita e anche dalla sua problematica concreta, corrispondente alle «aspirazioni, ricchezze e limiti, modi propri di pregare, di amare, di considerare la vita e il mondo, che contrassegnano un determinato ambito umano» (EN 63a). È indispensabile che essa possa esprimersi nell'insieme delle comunità ecclesiali con la propria personalità.
    D'altra parte, non fare della propria originalità un'occasione di «ghettizzazione». In questo aspetto deve presiedere il principio di convergenza. Altrimenti, l'unità della comunione si sfascia. È con ciò che si ha di proprio che si converge verso l'unità. Unità che deve attuarsi fondamentalmente in ciò che è l'obiettivo principale da perseguire: il servizio salvifico agli uomini.


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