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    «Cosa vuoi che io faccia per te?». L’incontro con Bartimeo


    Incontri /6

    Roberto Seregni

    (NPG 2011-06-2)


    In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada (Marco 10,46-52).

    Quello di Bartimeo è l’ultimo dei miracoli raccontati nel Vangelo di Marco. Ultimo e definitivo: la guarigione dalla cecità.
    Il Rabbi di Nazareth si prepara ad entrare a Gerusalemme (Mc 11,1ss) e la guarigione di Bartimeo descrive la condizione essenziale per proseguire il cammino con Gesù e per riconoscere la novità inaudita del Messia Crocifisso. Proprio per questo l’evangelista sembra descrivere non solo il racconto di una guarigione, ma anche il prototipo del discepolo e del suo cammino: l’ascolto (v.47), l’invocazione e la preghiera (vv.47-48), la chiamata (v.49), l’incontro personale con Gesù (vv. 50-52a) e la sequela (v.52b).
    Nel brano immediatamente precedente a questo, veniva sottolineata la cecità dei discepoli (vv. 33-40), che nemmeno davanti al secondo annuncio della passione (vv. 30-32) riescono a distrarre per un attimo l’attenzione dalle loro pretese di gloria e di potere. E ora, un cieco mendicante viene descritto come il prototipo del discepolo. Bello smacco per i dodici! Che figuraccia…
    L’incontro con Bartimeo, forse, avrebbe dovuto far venire a qualcuno il dubbio su chi sia davvero il più cieco…
    Molto affascinante è anche tutta la dimensione fisica della sequela che viene sottolineata in questo incontro. Attraverso il figlio di Timeo viene presentato il prototipo del discepolo come uno che ha orecchi per ascoltare (v.47), bocca per gridare e pregare (vv.47-48), mani per liberarsi del mantello (v. 50a), piedi per correre da Gesù (v. 50b) e seguirlo (v. 52), cuore per desiderare (v.51), occhi per vederlo e camminare con Lui (vv. 51-52). L’esperienza della fede si allarga su tutta la dimensione della nostra persona, nulla di noi può essere sottratto alle esigenze della sequela. Ogni fibra del nostro corpo si deve mettere in cammino dietro a Gesù.
    Dopo queste due note generali, entriamo nel vivo dell’incontro.
    Bartimeo è cieco e mendicante. L’evan­gelista Marco inquadra con queste due pennellate il figlio di Timeo. È un uomo abituato a chiedere, un uomo che conosce il suo bisogno ed ha imparato a convivere con la dipendenza. La sua condizione è descritta con un atteggiamento di totale passività: sta seduto ai bordi della strada.
    A interrompere questa staticità è l’annuncio del passaggio di Gesù. A giudicare dalle sue urla probabilmente già conosceva il Rabbì e le sue opere, non c’è niente di meglio che stare per strada se si vogliono raccattare informazioni e pettegolezzi. Di fatto, però, le urla di Bartimeo sono spiazzanti. Egli non chiede soldi o guarigione, ma rivolgendosi a Gesù con un titolo messianico («Figlio di Davide»), chiede niente di meno della misericordia, della salvezza («Abbia pietà di me»). Bartimeo punta in alto e lo fa con forza e decisione. Le sue urla indispongono i presenti, gli viene detto di stare zitto, ma lui urla ancora più forte e Gesù lo chiama. Le urla di questo cieco fermano il cammino del Maestro, il suo cuore non può rimanere insensibile davanti alla richiesta della misericordia.
    Appena raggiunto dall’invito di Gesù, Bartimeo si alza e getta via il suo mantello (v. 50). Il gesto è molto significativo e coraggioso, perché un povero non si separava mai dal suo mantello: esso è casa, riparo, coperta. Il Deuteronomio ricorda che nemmeno nel caso di un debitore caduto in miseria è legittimo sottrarre il mantello (cf Dt 24,13). Il cieco, dunque, è uno che punta in alto, che accetta la scommessa che si profila nell’incontro con il Rabbì.
    È interessante sottolineare che Bartimeo getta via il mantello prima di incontrare Gesù e, quindi, prima di essere guarito. Il figlio di Timeo è modello del discepolo perché in lui non ci sono dubbi o tentennamenti, si presenta a Gesù con tutta la sua fiducia e la sua nudità. Non dubita nemmeno un istante: Gesù esaudirà il suo desiderio.
    Mi viene spontaneo pensare a quanti mantelli, anche noi, dovremmo imparare a gettare via; a quanta libertà potremmo assaporare se imparassimo a liberarci di tutte le maschere, le zavorre, le difese che spesso intralciano i nostri cammini di fede. Molti dei nostri buoni propositi si sgonfiano ai blocchi di partenza, perché assomigliamo all’uomo ricco del Vangelo (Mc 10,17-22) che è zavorrato dai suoi beni e non può fare altro che allontanarsi triste da Gesù.
    Bartimeo, invece, da Gesù ci va, senza paura, pieno di coraggio.
    Alla presenza del Rabbì, il cieco si sente rivolgere una domanda preziosa e spiazzante. Pochi versetti prima, Gesù aveva rivolto lo stesso interrogativo ai figli di Zebedeo: «Che cosa volete che io faccia per voi?» (v. 36). Giacomo e Giovanni avevano portato davanti al Maestro i loro sogni di gloria e di onore, ma con Bartimeo è tutta un’altra musica.
    Certo, può suonare strano che Gesù chieda ad un cieco che cosa vuole che faccia per lui. È ovvio: guarire e riavere la vista!
    Ma la domanda di Gesù è preziosa, perché davanti a Lui, nei nostri cammini di fede, dobbiamo imparare ad educare i nostri desideri, a desiderare per noi quello che Lui desidera da noi. La domanda di Gesù è preziosa perché ci porta a fare l’inventario dei nostri desideri, a fare chiarezza tra le nostre attese e speranze.
    Spiazzante è anche la reazione di Gesù alla richiesta di Bartimeo: «Va’, la tua fede ti ha salvato» (v. 52). In questa guarigione non c’è contatto fisico, non ci sono richieste particolari da parte del Rabbì, ma solo il riconoscimento della fede e della sua potenza di salvezza.
    «E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada» (v. 52), così l’evangelista Marco chiude il racconto dell’incontro tra Gesù e Bartimeo. Così, di nuovo, sottolinea l’esemplarità di quest’uomo che si mette sui passi del Rabbì. Forse le cose non sono ancora tutte chiare, ci sono amici e parenti da salutare, ci sono luoghi da rivedere dopo anni di cecità, ma non importa.
    Ciò che importa, ora, è seguire Gesù, stare sui suoi passi, camminare al suo fianco.

    Amico Bartimeo,
    ascolto la tua preghiera urlata al Rabbì,
    guardo quel tuo mantello gettato a terra,
    seguo il cammino della tua sequela
    e mi dico che pure io vorrei il tuo coraggio.
    Coraggio per scegliere Gesù,
    e basta.
    Coraggio per liberarmi di tutto,
    e avere Tutto.
    Coraggio per calpestare le sue orme,
    senza sapere dove mi porteranno,
    solo con la certezza e la gioia
    di sapere che sono le sue.


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