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    La bellezza del Figlio di Dio


    Discepoli della bellezza /10

    Maria Scalisi

    (NPG 2011-05-59)


    Nel precedente articolo abbiamo descritto la Bellezza e l’Amore trinitario. La risposta dell’uomo all’Amore di Dio non può essere disinteresse o riservatezza, ma entusiasmo e giubilo. Innalzando il nostro pensiero «ci eleviamo alla Trinità, di cui la creazione, in una certa e giusta proporzione, porta la traccia».[1] C’è solo una realtà che è Buona, Bella, Vera per sua Essenza, e questa è Dio nell’Unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
    Il Verbo di Dio ci attrae a sé con vincoli d’amore: si coglie qui un altro movimento che percorre la via della bellezza, quello ascensivo dell’amore di risposta suscitato dall’Amore venuto a noi come grazia e libertà.[2]
    Agostino d’Ippona spesso nelle sue opere interpreta la bellezza secondo l’ottica platonica, ma i nessi dell’Agàpe con la bellezza cristiana mutano il suo pensiero e lo innalzano a nuovi vertici di Bellezza. Evidentemente, in quest’ottica, la bellezza va ben oltre quella giusta misura in senso tipicamente ellenico, che si manifesta mediante le proporzioni geometriche e i numeri: è quella bellezza che ha la sua manifestazione suprema nell’amore, che è donare la vita per gli altri il cui modello è appunto l’Incarnazione di Dio.[3]
    Il Logos di Verità è venuto ad abitare in mezzo a noi. Ogni bellezza viene superata dalla Bellezza che nel Figlio di Dio diventa Splendore e Luce che sorpassa e invera ogni umana precedente bellezza. Con la venuta del Figlio di Dio anche l’epistemologia greca è superata nei suoi concetti di bellezza e di verità; l’aleteia non è più verità velata, ma è ‘èmèth, Fedeltà, Rapporto, Forma, Bellezza.
    Il Figlio di Dio è la fonte (sapientia) da dove «viene formata qualunque altra bellezza»:[4] «forma omnium formatorum»[5] (la forma di tutti i formati), «forma infabricata»[6] (forma non creata). La Forma del Figlio di Dio visibile rimanda alla suprema Forma invisibile del Padre. Il Figlio di Dio è Immagine perfettissima del Padre in virtù dell’origine per generazione; generato, non creato dell’unica stessa sostanza, coeterno, uguale al Padre, è il Verbo di Dio.[7]
    «Veneriamo perciò in Lui e con Lui anche la stessa Verità, in nulla dissimile da Lui, la quale è forma di tutte le cose che dall’Uno sono state fatte e all’Uno tendono. Così appare chiaro alle anime spirituali che tutte le cose sono state fatte secondo questa forma, che sola porta a compimento ciò a cui tutte le cose aspirano».[8]
    Sant’Agostino nel Verbo di Dio trova la pienezza della Verità e della Bellezza, che affannosamente aveva cercato durante tutta la sua vita prima della conversione, nella Verità fatta Persona, Gesù stesso dice: «Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,6).
    Il Figlio di Dio, che è Verità, è la nostra «misura», grazie a Lui il nostro spirito viene formato a ogni specie di bellezza, ma soprattutto alla Bellezza della verità, luce che splende su tutto l’universo e su tutti gli uomini. Non c’è da meravigliarsi se qualunque pensiero umano, se qualunque discorso diventa insufficiente qualora si tentasse di lodare il Figlio di Dio in maniera adeguata al suo Essere presso il Padre, uguale e coeterno a Lui, nel quale sono state create tutte le cose esistenti nei cieli e sulla terra, le visibili e quelle invisibili.
    Nella Sacra Scrittura la Bellezza di Dio si esprime, nel modo più elevato, nella figura di Cristo, che il salmista definisce «il più bello tra i figli degli uomini» (Sal 44,3). Questo Salmo potrebbe sembrare contraddittorio con l’espressione di Isaia «non aveva bellezza né decoro» (Is 53,2), eppure Agostino commentando la Sacra Scrittura ci ricorda che «l’infermità della carne (di Cristo) non distolga i nostri occhi dallo splendore della sua bellezza».[9] Bellezza che gli è propria della natura di Dio. Inoltre, Agostino ci insegna che il Verbo si è fatto Carne per salvare l’anima dell’uomo e per renderla «bella» (En. in Ps. 103 1,5). Dalla deformità della croce è scaturito il prezzo della bellezza spirituale. I due testi apparentemente inconciliabili (Sal 44,3 e Is 53,2) in realtà sono come «due trombe che suonano in modo diverso, ma un solo Spirito vi soffia dentro» e, quindi, «non sono discordanti» (In Io. ep. tr. 9,9); essi mostrano, il valore supremo della bellezza di Cristo.

    Per gli educatori

    I vescovi italiani con i nuovi Orientamenti Pastorali per il decennio 2010-2020 dichiarano all’interno del documento »Educare alla vita buona del Vangelo» l’importanza di «testimoniare la verità, la bellezza e il bene» attraverso la Sacra Scrittura e soprattutto con la coerenza della vita: questo, infatti, è già educare.
    I ragazzi devono percepire dalla testimonianza della vita degli educatori che l’uomo non ha senso al di fuori di Cristo, e che Cristo è l’opzione suprema e il nucleo centrale di tutte le iniziative, è il punto di riferimento costante. L’ adesione a Gesù non può essere imposta, ma nasce spontaneamente dall’incontro con la bellezza, con la verità e il bene. Incontrare Gesù significa scoprire la felicità che deriva dalla pratica del suo messaggio in tutta la sua bellezza.

    Ballata per la rosa d’inverno – 3° parte

    Nel chiostro della mia vita fiorita
    al mio inverno hai portato una grazia:
    sei l’Amata, che ad amare m’invita,
    e il cuore di gioia mi sazia.
    Ogni mattina
    di questo nordico Dicembre,
    ai pesci che navigano il silenzio verde
    porto cibo e per me ne chiedo.
    – È tuo Pane la Rosa:
    risponde un guizzo scherzoso;
    di sue grazie fatta Mimosa...
    Se di Lei, di Lei sei geloso
    su di Lei lo sguardo riposa! –
    Così, a sinistra mi giro
    e visito il giardino
    come fosse la prima volta;
    come se fossi curioso
    e dove guardare già non sapessi...
    Sì, perché le rose
    subito guardare non oso:
    con gli occhi svelare
    le tre pietre preziose
    incastonate nel cristallo
    del giardino incantato;
    le tre gocce rosse
    del cuore del Chiostro
    ferito guardare non oso:
    con trepidazione attendo
    l’invito alla Bellezza.
    Muto Fiore d’inverno fiorito
    – che del Chiostro –
    mia Donna sei voce –
    il tuo «Discorso d’Amore» ho sentito,
    nel silenzio che al cuore non nuoce.
    E Tu, Amata, lo sai.
    Anche quando vengo incontro
    a Te, mia Rosa d’inverno,
    – dopo uno spazio e un tempo
    che del mio cuore un deserto arido
    hanno fatto, appena
    umanamente abitato –
    subito fissare non oso
    il Viso amabile luminoso della Luce
    dagli occhi dorati,
    che accendono luce d’amore
    alla mente
    e fuoco di gioia al cuore.
    No, neppure all’Ulisse
    che cerca la sua Itaca,
    né all’Edipo che interroga
    la Sfinge che abita petrosa
    nel suo cuore non ancora di carne:
    a nessun pagano lo sguardo
    indiscreto fissare è concesso
    nel Mistero che abita l’Umano Chiostro:
    Quello che una Rosa d’inverno
    vela e disvela.
    A chi e quando, allora?...

    (Padre Marco Darpetti)

    (continua).

     

    NOTE

    [1] Cf De Trin. 6,10,12: CC 50,242, NBA IV, 287.
    [2] Cf B. Forte, La porta della Bellezza, Per un’estetica teologica, Morcelliana, Brescia 1999, p. 18.
    [3] Cf G. Reale, Amore Assoluto e ‘Terza Navigazione’, in «Introduzione», Bompiani, Milano 2000, p. 40-42.
    [4] Cf C. Faust. 21,6: CSEL 25 1,575, NBA XIV 2 (20-33), 447.
    [5] Cf Serm. 117,2,3: PL 38,662, NBA XXXI 1 (117-150), 4 - 5.
    [6] Cf Serm. 117,2,3: PL 38,663, NBA XXXI 1 (117-150), 6 - 7.
    [7] Cf K. Rahner, Sacramentum mundi, Enciclopedia Teologica, Vol. 2, Queriniana, Brescia 1974, p. 676.
    [8] Cf De ver. rel. 55,113: CSEL 77,80, NBA VI 1, 157. Serm. 265 E: PLS 2,806, NBA XXXII 2 (230-272 B), 974.
    [9] Cf En. in Ps. 44,3: CC 38,495, NBA XXV (1-50), 1079-1081.


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