Incontri /5
L'incontro con il sordomuto
Roberto Seregni – Lucia Scalco
(NPG 2011-05-2)
In quel tempo Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!» (Marco 7,31-37).
Il racconto dell’incontro tra Gesù e il sordomuto si apre con la descrizione geografica del luogo in cui avviene la guarigione. Tale annotazione non è solo una cornice del testo, ma fornisce invece un elemento decisivo per cogliere tutta la bellezza e la novità di quest’incontro narrato dallo stile essenziale e incisivo dell’evangelista Marco.
Siamo nel territorio della Decapoli, una regione pagana. Il miracolo avviene per una persona che - secondo la mentalità giudaica - avrebbe dovuto essere esclusa, o comunque passare in secondo piano. Invece no, per Gesù non contano i privilegi di appartenenze o le precedenze etniche. Gesù non fa richieste di nessun genere all’uomo che gli viene messo davanti: non chiede la sua appartenenza, non si informa sulla sua cultura e, in questo episodio, nemmeno della sua fede.
Questa semplice annotazione iniziale ci permette di intuire la portata universale della missione di Gesù. Non ci sono barriere, non ci sono esclusioni o privilegi.
Il suo dono è gratis ed è per tutti.
La missione di Gesù è connotata indelebilmente da questa tensione universale, essa è la radice imbarattabile del Regno, è lo stile del Dio rivelato da Gesù di Nazareth.
All’interno di questo preciso quadro geografico, avviene l’incontro tra Gesù, e il sordomuto. Quest’ultimo è accompagnato da altri alla presenza di Gesù, e coloro che si fanno carico di quest’incontro si rivolgono al Rabbì per chiedere una guarigione.
Vorremmo sottolineare un aspetto che a volte – purtroppo – nella nostra lettura frettolosa rischia di scivolare via. L’evangelista annota che Gesù «lo prese in disparte, lontano dalla folla…» (v.33). Mi piace tantissimo questo dettaglio: il Rabbì prende il sordomuto e lo trascina lontano dalla folla, dalla confusione, dai curiosi. Gesù cerca un incontro personale, una relazione stretta e non una dimostrazione in piazza. Al Maestro non interessa la risonanza pubblica del gesto che sta per compiere, anzi Gesù chiede, con scarsi risultati, assoluto silenzio sul fatto. È comunque molto interessante questo gesto del Rabbì che si allontana dalla folla e cerca intimità con l’uomo che gli è appena stato presentato. Penso che sia un’indicazione molto utile anche per ciascuno di noi: dobbiamo avere il coraggio di sottrarci alla folla, di cercare luoghi di intimità con Dio, di ritagliare spazi per renderci raggiungibili dalla Parola.
Dopo aver sottratto il sordomuto alla folla, Gesù compie dei gesti simili a quelli dei rituali pagani e popolari: mette le dita nelle orecchie e con la saliva tocca la lingua dell’uomo. Come nelle guarigioni che abbiamo visto negli articoli precedenti, quella del lebbroso e della suocera di Pietro, troviamo anche qui un ampio contatto fisico tra Gesù e il sordomuto.
L’impossibilità di parlare e di ascoltare spinge Gesù a raggiungere quell’uomo lì dove è possibile creare un’esperienza di incontro, cioè con il tatto, con il corpo. L’incapacità del sordomuto di mettersi in dialogo, viene superata da Gesù con un approccio fisico che raggiunge l’uomo proprio nel luogo della sua debolezza e della sua fragilità. È nelle sue ferite che quell’uomo viene toccato, è nel suo limite che può fare l’esperienza dell’intervento gratuito della potenza di Dio.
I gesti di Gesù annunciano una nuova creazione, una novità che non solo è annunciata a parole, ma che diventa visibile, palpabile, costatabile nelle sue opere. Proprio per questo le folle piene di stupore affermano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!». Nelle azioni di Gesù è visibile il compimento delle attese messianiche, le folle intuiscono che la sua persona è l’incarnazione della profezia di Isaia: «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa» (Is 35,4-6).
I gesti sono accompagnati anche da una Parola: “Effata, apriti”.
È una Parola di scalpello che ha la potenza di ristabilire la creazione nella sua bellezza e perfezione originaria; ma allo stesso tempo è una Parola di fioritura, che fa sbocciare ciò che prima era raccolto, raggomitolato, ripiegato.
È una Parola rivolta a quel sordomuto, ma che nel racconto di Marco si amplifica per i discepoli che appaiono afflitti dalla stessa patologia (Mc 4,12; 6,41; 7,18; 8,17-18): sono sordi, incapaci di ascoltare e di accogliere la Parola; sono muti, incapaci di annunciare con efficacia il dono che hanno ricevuto.
È una Parola che raggiunge ciascuno di noi, che scava nelle nostre chiusure, che raggiunge le pieghe più nascoste della nostra vita e ci chiama ad aprirci alla novità dell’intervento gratuito di Dio per essere fedeli annunciatori della grazia che ci ha riaperti alla vita.
Ripetilo anche a noi, Signore: “Effatà!”.
Le nostre parole stanche e stancanti
si aprano alla novità e all’efficacia
della Tua Parola.
Il nostro ascolto si trasformi
in arte di accoglienza,
di custodia e di memoria.
Sciogli i nodi della nostra lingua,
libera le chiusure delle nostre orecchie.
La Tua mano potente
ci ridoni la forma originaria
della creazione, ci plasmi
con la delicata potenza dello Spirito
per essere uomini e donne
aperti all’accoglienza della Parola,
testimoni della sua sorprendente
efficacia, annunciatori instancabili
di colui che ha fatto bene ogni cosa.