Discepoli della bellezza /8
Maria Scalisi
(NPG 2011-02-66)
Nell’articolo precedente abbiamo descritto come il canto e la musica svolgono la loro funzione di «segni» in maniera significativa per tutti gli esseri umani: sono armonie sensibili attraverso le quali l’anima intuisce la vera Bellezza.
Abbiamo infatti bisogno di tutto ciò che è arte, di tutte le bellezze sensibili, per elevarci alla Bellezza intelligibile, poiché spesso succede che l’uomo si discosta dalla verità del suo essere e non sa più scorgere quella Bellezza dalla quale proviene e alla quale tende. Con l’anima distaccata dal vero, l’uomo soffre come per una profonda e lacerante ferita. Tutto preso dalle problematiche di superficie, egli ha trascurato la sua interiorità e non coglie più la verità del suo essere. Questo è avvenuto in particolar modo a partire dall’Illuminismo, quando l’uomo ha iniziato a contare soltanto sulle proprie forze. Con l’affermazione del pensiero tecnico-scientifico, l’uomo è caduto nella trappola del tangibile: «credo soltanto in ciò che posso toccare con mano», ma così ha eclissato la sua capacità di trascendenza, diventando un grande problema a se stesso: egli è conscio della sua grandezza e allo stesso tempo della sua miseria. Uno squilibrio che prova constatando l’incompiutezza del proprio desiderio. Si trova di fronte alla morte, mentre sente prepotente il desiderio della vita; vuole essere felice e ha sempre a che fare con il dolore; sperimenta nella sua persona il contrasto tra la carne che invecchia e lo spirito che rimane giovane; vuole conoscere la verità, eppure è tormentato dal dubbio e spesso cade in errore. Il problema si allarga quando la divisione interiore varca i limiti del privato e si riversa sul sociale: le guerre, le lotte, la violenza hanno infatti la loro origine nel cuore umano.
L’uomo conosce bene le miserie umane così come conosce la sua forza. La forza sta nella radice: la radice dell’immagine di Dio che l’uomo ha impressa nell’anima. L’uomo è stato creato in modo tale da riflettere, come in filigrana, l’immagine e la somiglianza di Dio. Ed è proprio tale somiglianza, che, anche se deturpata dal peccato, viene restaurata dalla Grazia, per opera dello Spirito Santo. L’azione dello Spirito Santo risana l’anima, a tal punto che l’uomo avverte il desiderio, la spinta, l’amore propulsivo che cerca Dio, sorgente di felicità, sorgente di beatitudine, sorgente di Bontà e Bellezza assoluta. Rifiutando il dono dello Spirito si rischia di cadere negli abissi del Male e di allontanarsi sempre di più dalla Bellezza di Dio.
La Verità conferisce all’anima, dopo vane ricerche su sentieri senza luce e mancati, quella Bellezza che dona quiete e sicurezza e che altro non è che la Bellissima Verità divina. La ricerca della Bellezza è affine alla Verità: essa, attraverso strade diverse, comunque conduce l’uomo alla Verità di Dio, poiché è quella Bellezza stessa che già di fatto abita nell’uomo interiore. Tramite la Bellezza l’intelligenza umana si muove verso la Verità, verso quella Luce che ci è stata data, verso quella Luce dove tutti faremo ritorno.
Il cammino dell’interiorità
È necessario far compiere ai giovani un’ascesa interiore che dall’amore per le bellezze sensibili vada verso la percezione e la stima della bellezza spirituale, e da questa a Dio, nel quale la bellezza dello spirito umano trova la più perfetta realizzazione. L’uomo, piccolo microcosmo che riassume in sé la bellezza e la grandiosità dell’universo, non può non amare la Verità e la Bellezza. «Nell’intellectus la verità, principio di ogni bellezza, è il luogo senza luogo, dove tutto è riportato all’Uno, dove cioè per tutto viene a compiersi la reductio ad Unum. In questo abisso, dove ogni cosa si risolve in unità e pace; in questo fondo, che è destinale proprio perché è originario, misterioso e silente, abita Dio, l’Indicibile, l’Altro».[1] Qui il mistero appare come proprietà perenne della stessa verità. E questa parte di verità, scrive Von Balthasar, aderisce in modo stretto al concetto di bellezza, poiché il nome di questa verità, che ci domina con il suo splendore, la sua indivisione, la sua perfetta forma espressiva, altro non è che la Bellezza.[2] L’interiorità è oggettiva, è l’oggettività del soggetto pensante.[3] L’intellectus, il cui oggetto interiore è la Verità prima, luce della mente, non ha bisogno di rappresentazioni, perché va dritto al suo oggetto in una comprensione immediata: l’intelletto può conoscere le verità eterne, poiché viene illuminato da una luce superiore.
L’intellectus contempla le bellezze della natura e dell’arte considerando le cose in se stesse, e ha la capacità di scorgere in esse peso, numero e misura. Il peso riguardo al luogo cui tendono, il numero per cui si distinguono, la misura per cui sono mutuamente delimitate. Per questo l’uomo può scorgere in esse il loro modo di essere, la loro bellezza, il loro ordine, la loro sostanza. L’interiorità non è solo il luogo ideale in cui l’uomo prende coscienza della propria esistenza, ma in essa perviene anche alla comprensione di sé e si coglie nella sua costitutiva natura. In questa interiorità l’uomo si percepisce aperto oltre se stesso, sperimenta la presenza di Dio nella propria intimità, per quanto sia trascendente nei suoi confronti.[4]
Per Agostino la bellezza dello spirito è il luogo del contatto con la luce immutabile della verità, una luce «molto diversa da tutte le luci della terra».[5] «Ammonito da questi scritti neoplatonici a rientrare in me stesso, entrai nell’intimo del mio cuore e sotto la tua guida... vi entrai e scorsi con l’occhio dell’anima... sopra la mia intelligenza,una luce immutabile».[6] Agostino per un attimo vede la Luce di Dio, la stessa Luce «splendida» che hanno visto gli apostoli sul monte Tabor nella trasfigurazione: una Luce di una tale Bellezza che sembrava «penetrasse l’universo».[7] Essa è dono divino dello Spirito, che ha quel potere della Vita, della Luce, della Bontà, della Verità e della Bellezza di Dio, che sgorga dentro di noi e quasi ci costringe ad arrenderci ad essa, a convertirci, come succede ad Agostino quando scopre che «in interiore homine stat veritas».[8] Agostino nella sua interiorità scopre questa bellezza, lui creatura fra le creature intelligenti, riceve da Dio la Grazia di scoprire questo dono. Un dono che lo porterà ad amare Dio sopra ogni cosa e tutta la creazione quella visibile e quella invisibile.[9] Solo l’uomo è reso «capace» di Dio. Il desiderio di Dio è iscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la Verità, la Bellezza e la felicità che cerca senza posa.[10]
Siamo figli della Bellezza infinita di Dio e quando ci accorgiamo che crescendo in umanità cresciamo anche in somiglianza con Dio, con quel Mistero di verità che abita in noi come nostro patrimonio genetico, non possiamo non essere aperti alla vita buona. Dio ha creato l’uomo secondo la sua Immagine eterna, cioè secondo il Suo Verbo, la sua Sapienza, che rispecchia la sua infinita Bontà e Bellezza ed è lo Splendore increato della sua Verità e del suo Amore.
Per gli educatori
Tramite la Bellezza l’intelligenza si muove verso la Verità, verso quella Luce che ci è stata data, verso quella Luce dove tutti faremo ritorno. È necessario far compiere agli educandi un’ascesa interiore che dall’amore per le bellezze sensibili vada verso la percezione e la stima della bellezza spirituale, e da questa a Dio, nel quale la bellezza dello spirito trova la più perfetta realizzazione.
Ballata per la rosa d’inverno
D’inverno una rosa
Come fiamma s’è accesa:
nel suo cuore riposa
la mia gioia inattesa.
Poco verde è rimasto
incerto
nel giardino del chiostro
gelato.
Sei così, mio cuore,
anche Tu?...
I mattoni antichi
la veste gloriosa
marrone e rosa deposta
dell’estate afosa
s’imbiancano della brina:
la veste innocente
che ad essi la Luna
paziente nel suo giro notturno
silente ricama.
D’inverno una rosa
Come fiamma s’è accesa:
nel suo cuore riposa
la mia gioia inattesa.
Già prima della luce
di un altro giorno
che si avverte grigio,
la sinfonia
il mio sguardo interroga
degli archi di pietra
che fanno girotondo
e guardano, come stupiti,
il giardino
ormai incolore
anch’esso fatto pietra.
Rosa d’inverno fiorita,
le tue grazie nascondi nel cuore:
nel mio sei la rossa ferita
che l’accende con il fuoco d’Amore.
Che cosa dice la muta
domanda dei miei occhi?
L’attesa dice
della sorte
che con il Profeta
fino a morte
il poeta divide:
che forse, ancora una volta,
di un raggio di Bellezza
mi si faccia grazia;
e così l’intero mio Giorno
graziato sia
da quell’attimo che corre
tra un battito delle mie ciglia
e un battito del tuo cuore.
Nel chiostro della mia vita fiorita,
al mio inverno hai portato una grazia:
sei l’Amata, che ad amare m’invita,
e il cuore di gioia mi sazia.
(Padre Marco Darpetti)
(continua)
NOTE
[1] Cf B. Forte, La porta della Bellezza, Per un’estetica teologica, Morcelliana, Brescia 1999, p. 21.
[2] Cf H. U. Von Balthasar, TeoLogica, Verità del Mondo, Vol. I, a cura di G. Sommavilla, Jaca Book, Milano 1997, p. 145.
[3] Cf Dizionario dei Filosofi, «Agostino», a cura di M.F. Sciacca, Sansoni, Firenze 1976, p. 13.
[4] Cf Sant’Agostino, La Vera Religione, in «Note ed Indici», NBA VI 1, a cura di A. Pieretti, Città Nuova, Roma 1994, p. 111.
[5] Cf Conf. 7,10,16: CSEL 33,157, NBA I, 199.
[6] Cf C. Iul. 4,14,72: PL 45,774, NBA XVIII, 749.
[7] Cf Conf. 7,10,16: CSEL 33,157, NBA I, 199.
[8] Cf De vera rel. 39,72: CSEL 77,52, NBA VI 1, 108.
[9] Cf M. Darpetti, Che cosa è l’uomo perché Tu te ne curi? Testo Inedito, Roma 1985, p. 2-3.
[10] Cf CCC., L’uomo è «capace di Dio» 27, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, p. 27.