Segundo Galilea
(NPG 1975-06-29)
Queste pagine, come quelle pubblicate precedentemente sullo stesso tema, si rifanno ad un articolo («Il nodo dell'impegno politico nella pastorale giovanile», 1975/3) che ha tentato di descrivere la problematicità e l'urgenza di una «spiritualità», nella integrazione tra fede e vita, per i giovani che hanno scoperto la necessità dell'impegno politico.
Ci vuole poco a costatare che troppi giovani, oggi, oscillano tra il «contemplativo» (colui che ha scoperto i valori del silenzio, del «deserto», della preghiera, a scapito di una seria presenza negli impegni storici) e il «militante» (colui che invece è tutto proteso nell'impegno socio-politico e tende ad emarginare ogni spazio strettamente contemplativo).
Molti giovani, dopo le prime dure esperienze politiche, tirano i remi in barca e preferiscono trincerarsi «in uno spiritualismo strano che affossa la dimensione sociale e storica della fede, per affermare la sua purezza e alterità». Ci pare che sia in questa prospettiva che «molti giovani, ammaccati dall'impegno politico, riscoprono la preghiera e il deserto, sentono il bisogno di un ritorno al Vangelo, libero da ogni preoccupazione di immediata incarnazione operativa». Per evitare che questi atteggiamenti, interessanti e preoccupanti ad un tempo, siano «premessa per un abbandono della fede, sotto la spinta di una emozione nuova, più affascinante di quella per cui si è provvisoriamente optato», è indispensabile raggiungere una forma matura, «cristiana», di «contemplazione». L'autore ci aiuta a reinterpretare i valori tradizionali della contemplazione cristiana, nell'ottica della liberazione.
UNIFICARE CONTEMPLAZIONE E IMPEGNO
Se vogliamo raggiungere una reale integrazione tra fede e vita, nella crescita cristiana dei giovani d'oggi, bisogna dare una formulazione ai grandi temi della fede e di una spiritualità veramente tradizionale, in termini che abbiano significato reale per la «vita»: per il tipo di impegno assunto dai giovani cristiani più sensibili.
Alla scoperta della coscienza socio-politica e del relativo impegno di liberazione, deve fare da riscontro corretto il tema della contemplazione, nel suo rapporto con la liberazione e con le conseguenti esigenze d'impegno. Urgente è la sintesi fra il «militante» e il «contemplativo», affinché la fede dell'uomo d'oggi non si «alieni» dalla vita e dalla storia che gli è toccato in sorte di vivere, o, nella peggiore delle ipotesi, non svanisca come un fatto insignificante. Ciò è tanto più necessario se ci si riferisce ai malintesi che si andarono creando negli ultimi trent'anni, fra diversi «tipi di spiritualità» cristiana.
Gli ultimi decenni hanno fatto emergere come due tendenze di «stile di vita cristiana», che potrebbero tipizzare, la prima i «religiosi-contemplativi», l'altra i «militanti-impegnati». I primi sono sensibili ai valori propriamente «religiosi», alla preghiera e alle pratiche di pietà, alla liturgia e ai sacramenti, alle dimensioni trascendenti del cristianesimo. Sono, o erano, meno sensibili alle dimensioni temporali o sociali.
I secondi accentuano di più l'impegno nei compiti storici, l'azione sociale, la «prassi» liberatrice. In una certa misura non hanno grande fiducia nella vita sacramentale, nella preghiera e, in generale, nella contemplazione cristiana. Una causa importante di questo fenomeno, che ci interessa particolarmente è l'ambiguità dottrinale e pratica del concetto tradizionale di contemplazione.
Per raggiungere il «saldo di vita» tra contemplativi e militanti dobbiamo recuperare in tutta la sua pienezza quella autentica contemplazione biblica che potremmo definire storica o di impegno concreto, in contrapposizione alle tendenze greco-platoniche, che hanno influenzato molte spiritualità tradizionali, sottolineando soprattutto gli aspetti individualistici, una forte trascendenza e la «fuga» dalla vita e dagli avvenimenti storici.
CONTEMPLAZIONE COME IMPEGNO
La contemplazione è legata al vigore della fede e alla capacità che questa fede ha di immergere in luce nuova la vita e la storia. La contemplazione è avere un'esperienza di Dio, reale anche se oscura, in tutte le dimensioni della vita umana.
Questo incontro esperienziale con Dio, che ci si rivela in Cristo, presuppone i due incontri contemplativi di cui ci parla l'evangelo. Il primo incontro è quello con la persona stessa di Gesù, che il Nuovo Testamento ci presenta come la fonte di ogni conversione alla fede e alla vita contemplativa. La rivelazione di Cristo agli uomini del suo tempo (Zaccheo, la samaritana, Pietro, i discepoli di Emmaus, ecc.) operò in essi un incontro e una esperienza contemplativa. Ciascuno di loro è tipo del cristiano; essere cristiani e contemplativi è un tutt'uno per il Nuovo Testamento. Gli apostoli ebbero lo stesso incontro contemplativo, che è già completo nell'esperienza di 1 Gv 1,1, e che, nella trasfigurazione (Mt 17,1 ss), appare come unico ad ogni vocazione apostolica. L'episodio della trasfigurazione risponde alla scoperta di una nuova dimensione di Gesù da parte dei tre discepoli, dimensione contemplativa, che supera l'attività («È buona cosa stare qui... Facciamo tre tende...»). L'incontro con la persona di Gesù riveste per gli apostoli un valore in sé, privilegiato, che supera in tale momento l'esperienza dell'azione.
Lo stesso tipo d'incontro contemplativo lo ebbe s. Paolo (2 Cor 12 ss; Fil 3,7 ss, ecc.) ed è presente nell'esperienza di tutti i santi.
Il secondo incontro è inseparabile dal primo e ne è il completamento. Consiste nell'esperienza, pure contemplativa, della presenza di Cristo nel fratello, soprattutto nel fratello più piccolo, ed è tipizzato nel famoso passo di Mt 25,31: «Ebbi fame... e mi deste da mangiare... quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Qui l'incontro col fratello sofferente e bisognoso (il più piccolo), con il servizio che ne deriva, è un'esperienza di Cristo, contemplativa, pertanto, alla stessa stregua dell'incontro personale col Signore.
Non si possono separare i due incontri. Il primo ci dice che il cristianesimo trascende qualsiasi realtà temporale; il secondo che è incarnato e inseparabile dall'amore al fratello. L'uno ricorda il primo comandamento dell'amore a Dio sopra tutte le cose, e l'assoluto della persona di Gesù. L'altro ci ricorda il comandamento simile al primo, l'amore al prossimo come a se stessi e la presenza di Cristo in tale amore.
Il primo incontro porta alla preghiera contemplativa e ai diversi modi di metterci in rapporto con Dio; il secondo all'impegno temporale come esperienza contemplativa. Il secondo incontro incarna il primo e dà una dimensione storica all'incontro con Dio e alla nostra vita di preghiera. L'esperienza di Gesù, colta nel servizio al fratello, dà inoltre alla coscienza cristiana tutta la sua dimensione sociale, togliendola da una coscienza puramente individuale e privatizzata. Riveste l'amore fraterno di una dimensione sociale e collettiva nella misura in cui i piccoli sono non solo singoli individui ma anche, e soprattutto, gruppi umani, subculture emarginate, classi o strati sociali... Esiste in tutto questo una presenza collettiva di Gesù, la cui esperienza rappresenta un autentico atto contemplativo. La contemplazione così concepita dà un contenuto socio-politico alla fede; la fede, a sua volta, acquista una dimensione storico-sociale senza che sia ridotta ad essa. Il Cristo incontrato e contemplato nella preghiera si prolunga nell'incontro col fratello; se possiamo sperimentare Cristo nel servizio ai piccoli, è perché l'abbiamo già incontrato nella preghiera contemplativa. La contemplazione non è solo la scoperta della presenza di Gesù nel fratello («l'avete fatto a me») ma anche un appello all'azione in suo favore, all'impegno di liberazione («ciò che avete fatto»). La contemplazione di Cristo nel fratello sofferente e oppresso è un appello all'impegno, il contenuto storico della contemplazione cristiana.
Nei credenti, l'incontro-servizio col povero è contemplativo e fa di essi dei contemplativi nell'azione, sulla linea della più autentica tradizione cristiana. Non è questa un'esperienza che viene da sé ma si produce nella misura in cui emerge, nella coscienza cristiana, il Cristo incontrato nella preghiera, come fondamento dell'azione. Il Tutt'Altro, sperimentato nella preghiera contemplativa, lo si coglie nell'incontro con gli altri. Ma nemmeno questo s'improvvisa. Presuppone la preghiera che si riattiva nel servizio agli altri, acquisendo così un contenuto sociale.
D'altra parte, la dedizione al fratello e alla sua liberazione, in quanto contemplativa, comporta la continua presenza di Cristo incontrato nella preghiera. Tale coscienza di Cristo è il punto di unione fra la preghiera e l'impegno e impedisce che quest'ultimo si svuoti, abbracciando l'una e l'altro nella stessa esperienza contemplativa. La mistica cristiana è una mistica d'impegno.
I CARDINI DELLA CONTEMPLAZIONE: PREGHIERA E DESERTO
Queste riflessioni ci portano alla necessità di riformulare o di completare il concetto di contemplazione, conservandone tutti i valori tradizionali. L'essenza della vera preghiera cristiana fu sempre riposta nell'uscire da sé per incontrare l'Altro. Contrariamente a un atteggiamento che potrebbe sembrare egoismo o fuga dalla realtà, è un gesto supremo di abnegazione e di dimenticanza di sé per incontrare Cristo e le sue esigenze negli altri. Su questa linea, la preghiera è affine ai temi classici della morte e della croce implicanti la crocifissione dell'egoismo. Legato al tema della preghiera è quello del «deserto», anch'esso oggetto di una particolare attenzione presso molti giovani.
Nella tradizione cristiana, il deserto è prima di tutto un atteggiamento dello spirito. Ma molti dei grandi contemplativi, fra i quali lo stesso Gesù (Mt 4,1), s. Paolo (Gal 1,17), diversi profeti (ad esempio, Ez 1 e ss; 1 Re passim, per Elia, ecc.), i primi monaci, molti ordini contemplativi e Charles de Foucauld ai nostri giorni, raggiunsero il deserto geografico in molti momenti della loro vita, per sentire questo atteggiamento interiore con l'aiuto di un quadro esterno. Il deserto geografico è simbolo di un atteggiamento di spoliazione, indica la volontà di porsi davanti a Dio nella verità e senza illusioni, di povertà che ci fa attendere tutto dal dono di Cristo, di silenzio per ascoltare la parola dell'Altro.
Il deserto è atteggiamento d'impotenza umana di fronte alla salvezza, è disporsi, nella dolorosa esperienza dei propri limiti, a ricevere questa salvezza gratuitamente, nella convinzione oscura che Dio ci cerca e che il cristianesimo non è tanto l'amore dell'uomo a Dio quanto l'amore di Gesù che per primo creò l'uomo.
Questi grandi temi fondamentali della contemplazione cristiana sono stati formulati in un riferimento quasi esclusivo a Dio. Pensiamo che questa formulazione sia incompleta. Per ricuperare l'autentico concetto della contemplazione cristiana, in una forma significativa per quei credenti che sono impegnati nell'azione di liberazione, bisognerebbe estendere questi stessi temi alla contemplazione di Cristo nel fratello, nel piccolo.
Così, per incontrare Gesù nell'altro, per scoprire l'altro come altro al quale debbo dare il mio servizio, e non come prolungamento di me stesso e dei miei interessi, è necessario che esca da me stesso, morire, crocifiggere il mio egoismo. Nella misura in cui si muore per vivere per Dio, si muore per vivere per il fratello, e viceversa.
Questa capacità di vivere per il fratello, soprattutto se lo si scopre povero e piccolo, è la sorgente principale dell'impegno temporale del cristiano e della dimensione socio-politica della sua carità e della sua fede contemplativa; la fonte della dimensione pubblica e sociale della contemplazione cristiana, fino ad ora indebitamente privatizzata. Qui, e non nella dialettica rivoluzionaria, i credenti trovano la forza del loro impegno militante in vista della liberazione.
Lo stesso atteggiamento contemplativo del deserto è legato a simile impegno. Se il deserto-contemplativo forgiò i grandi profeti, l'attuale profetismo ha ugualmente bisogno dell'atteggiamento contemplativo del deserto. L'atteggiamento di uscire da se stessi, di incontrarsi con l'assoluto e con la vera realtà delle cose, permette di uscire dal sistema come società ingiusta e menzognera, per denunciarla in piena libertà. Se il cristiano non si ritira nel deserto per uscire dal sistema, non può essere libero e profeta per liberare gli altri. Se non sa far silenzio-in se stesso, per far tacere le parole dell'oppressione e per ascoltare quelle della verità che ci rende liberi, in atteggiamento di deserto, non potrà trasformare profeticamente o politicamente il suo ambiente. La contemplazione, che libera dall'egoismo e dal sistema, è fonte di libertà e di capacità di liberazione.
La contemplazione cristiana autentica, che passa attraverso il deserto, forgia contemplativi profeti ed eroi dell'impegno. Il cristianesimo realizza la sintesi del militante e del mistico, del politico e del contemplativo, superando la falsa antinomia fra il religioso-contemplativo e il militante-impegnato. L'autentica contemplazione, che attraverso l'incontro con l'assoluto di Dio conduce all'assoluto del prossimo, è il luogo d'incontro di questa simbiosi difficile, certo, ma necessaria e creatrice per i giovani cristiani impegnati nella liberazione dei poveri.