Franco Ardusso
(NPG 1975-06-02)
È ormai fuori discussione tra gli operatori della pastorale giovanile l'affermazione del Documento Sinodale La giustizia nel mondo: «Ascoltando il forte grido di coloro che soffrono violenza e sono conculcati da sistemi e meccanismi ingiusti, e insieme l'appello del mondo che nella sua perversità contraddice al disegno del Creatore, ci siamo resi conto della vocazione della Chiesa ad essere presente nel cuore del mondo, predicando ai poveri la buona novella, agli oppressi la liberazione ed agli afflitti la gioia.
L'agire per la giustizia e il partecipare alla trasformazione del mondo ci paiono chiaramente come dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressive».
Il contenuto della pastorale consiste ultimamente nella salvezza. E per salvezza dobbiamo chiaramente intendere «la comunione di Dio Padre con gli uomini nel Cristo».
Accanto a questa salvezza ne esiste anche di fatto una seconda: quella della costruzione di un mondo terreno pienamente umano.
Il Sinodo l'afferma come dimensione costitutiva dell'evangelizzazione e quindi della pastorale. E i giovani d'oggi sono particolarmente sensibili a questa istanza.
In quale rapporto stanno queste due salvezze?
Quale «salvezza» annuncia la pastorale giovanile?
Si tratta di due «storie» parallele? Se sì, in quale senso? Se no, come e perché? L'operatore pastorale dove deve puntare le sue attenzioni «prioritarie»? Si può onestamente parlare di «attenzioni prioritarie»?
Che cosa è autentico? Il cielo o la terra? L'eterno o il provvisorio? Il Regno futuro o il mondo presente?
A tutti questi problemi, l'a., offre una risposta esauriente e stimolante. L'articolo è perciò tra quelli che noi consideriamo «programmatici»: riprende tanti discorsi fatti da tempo sulla rivista per intuizioni e per accenni, fonda le nostre scelte pastorali e apre a prospettive operative a cui ritorneremo presto.
PERCHÉ UN DISCORSO SULLA SALVEZZA?
Il tema della salvezza è centrale nel cristianesimo. Gesù, al quale deve necessariamente far riferimento chi si professa cristiano, significa infatti «Dio salva». La fede cristiana professa, come sua affermazione centrale, l'intervento salvifico di Dio nel corso della storia umana per mezzo di Gesù Cristo: «per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo». Questo intervento divino per mezzo di Cristo si trova al termine di una serie di interventi salvifici realizzati da Dio nella sua rivelazione cosmica (creazione) e nella sua manifestazione storica a Israele.
L'intervento salvifico di Dio in Cristo, essendo definitivo, perdura nel tempo per mezzo dello Spirito, e conferisce significato alla vita del credente, alla sua visione del mondo e della storia, alla sua morte stessa.
L'attesa di salvezza nel cuore di ogni uomo
Non è solo nel cristianesimo che la salvezza occupa un posto centrale. Essa costituisce infatti l'aspirazione di ogni religione ed è nel cuore di ogni esperienza religiosa. L'uomo religioso si presenta infatti come subordinato nei confronti di un «assoluto», di una «verità», che in qualche modo gli si manifesta e comunica per salvarlo. Tale «assoluto» (qualunque sia il modo con cui le varie religioni se lo rappresentano) al quale l'uomo religioso si affida, non solo lo libera dall'incertezza e dal dubbio, sostenendolo in tutte le vicende della sua vita, ma gli offre anche una risposta sui più profondi interrogativi che ogni uomo si pone a proposito della sua vita, dei suoi rapporti cogli altri uomini e col mondo, della sua morte stessa.
A mio parere, la spiegazione più profonda di questa ricerca di salvezza comune a tutte le religioni resta ancora, anche dopo tutte le spiegazioni atee sull'origine della religione, la riflessione sull'esperienza umana fatta da Pascal. Tutti desiderano la felicità, nessuno eccettuato: «Se gli uni vanno alla guerra, e gli altri non ci vanno, è per questo stesso desiderio, che agisce in entrambi ma accompagnato da vedute diverse. Ogni più piccolo moto della volontà tende a questo oggetto. Questo è il motivo di tutte le azioni di tutti gli uomini, anche di quelli che si impiccano». E tuttavia nessuno sembra essere arrivato alla meta alla quale tutti anelano: «Tutti si lagnano: principi e sudditi, nobili e villani, vecchi e giovani, forti e deboli, dotti e ignoranti, sani e malati, di ogni paese, di ogni tempo, di ogni età e condizione». L'esperienza umana, anche la più ricca e affascinante, si rivela sempre precaria e insoddisfacente, perché permane sempre almeno il problema di come mantenere e conservare la felicità raggiunta nella sua integralità: «Così il presente non ci soddisfa mai, l'esperienza ci inganna, e di dolore in dolore ci conduce alla morte, che è il colmo dei mali ed eterno». La salvezza che l'uomo cerca non si esaurisce nelle varie salvezze parziali che egli può anche raggiungere nel corso della sua storia. In realtà l'uomo tende a qualcosa di «totalmente altro», a qualcosa di assoluto, a una salvezza totale: «Invano l'uomo cerca di colmare questo vuoto con tutto ciò che lo circonda, domandando a ciò che ancora gli manca la soddisfazione che non gli danno le cose presenti: nessun oggetto ne è capace perché quell'abisso infinito non può essere colmato se non da un oggetto infinito e immutabile, cioè da Dio stesso».[1]
Data la struttura dell'essere umano, si comprende come il tema della salvezza, qualunque sia il nome con cui la si designa, e qualunque sia la direzione nella quale la si cerca, eserciti una funzione determinante non solo nell'ambito delle religioni, ma anche in tutte le forme di cultura. Il senso della salvezza, osservava recentemente il Prof. N. Abbagnano, «agisce come stimolo e condizione di una ricerca che possa mettere l'uomo in grado di fronteggiare la sua situazione nel mondo... È dalla inguaribile instabilità dell'esistenza umana che si origina il senso (e il bisogno) della salvezza».[2] Da questo punto di vista ogni visione del mondo, dell'uomo e della storia si presenta anche sempre come una dottrina di salvezza, come una soteriologia. Anzi, fa osservare ancora il Prof. Abbagnano, le varie impostazioni del problema della salvezza che si sono succedute nel corso della storia o che oggi sono dominanti, dipendono sostanzialmente dal concetto di uomo che si assume come parametro di riferimento. A una determinata visione dell'uomo corrisponde una ben precisa concezione della salvezza.[3]
Una salvezza «cristiana»?
Voglio presentare in queste pagine alcuni appunti per illuminare il concetto cristiano di salvezza che è diventato uno dei temi privilegiati della riflessione teologica contemporanea. Desidero in particolare evidenziare le sottolineature caratteristiche e le problematiche a cui è sottoposto il tema della salvezza nella ricerca attuale. Attorno al tema della salvezza ruotano tutti i problemi teologici e pastorali. Dal modo con cui si intende la salvezza dipende il modo di intendere la missione stessa della Chiesa e tutta quanta la pastorale dato che la pastorale si propone come fine immediato la salvezza.[4] Strettamente legate al tema della salvezza sono le questioni oggi dibattute tra i cristiani: qual è lo specifico della fede cristiana, quali sono gli elementi tipici che i cristiani apportano nel loro impegno storico?
Nella teologia contemporanea il tema della salvezza è oggetto di vivaci dibattiti, e c'è chi non esita ad affermare che esso sia «il termine più problematico nella ricerca teologica attuale».[5] Assistiamo infatti al laborioso tentativo di superare non poche sottolineature unilaterali del passato con l'intento di restituire alla salvezza tutta la densità e la globalità che le compete in nome della rivelazione cristiana. Questa ricerca non è immune da scantonamenti che possono giungere sino alla mondanizzazione totale della salvezza e del cristianesimo. Naturalmente in questo caso non è solo la concezione cristiana della salvezza che viene ad essere snaturata o tremendamente ridotta, ma è la stessa cristologia che ne fa le spese. Una salvezza cristiana espressa in termini esclusivamente mondani finisce inevitabilmente per congedare il Salvatore: Gesù si riduce a essere una esortazione di più nel mondo, e la salvezza da lui portata non è più altro se non la seduzione morale esercitata da un uomo eccezionale. Se, come abbiamo fatto osservare, il concetto di salvezza dipende dall'idea che uno ha dell'uomo, per un cristiano il concetto di salvezza dipende più radicalmente ancora dalla sua cristologia.
Lo stimolo a ripensare la teologia della salvezza proviene oggi sia da una più attenta presa di coscienza delle drammatiche situazioni di non-salvezza presenti nel mondo contemporaneo, sia dal sorgere di altre proposte di salvezza che si presentano come alternative al progetto cristiano o come una sua versione laicizzata e mondanizzata, sia ancora dall'esigenza che non pochi cristiani impegnati nei processi odierni di promozione umana avvertono di chiarificare il significato teologico del proprio impegno.
Superare limiti e distorsioni
La ricerca odierna comincia col denunciare i limiti presenti nella teologia della salvezza del passato. Tali limiti possono essere compendiati in alcune parole-chiave: dualismo, ultraterrenismo, individualismo.
Dualismo
È la radice di tutte le concezioni incomplete della salvezza. Consiste nello stabilire una separazione netta tra il fine naturale dell'uomo e quello soprannaturale. La distinzione (e non già la separazione) fra naturale e soprannaturale aveva lo scopo di mettere in risalto la trascendenza e la gratuità della chiamata che Dio rivolge a tutti gli uomini a partecipare alla sua stessa vita. La distinzione si è però disgraziatamente trasformata in una separazione e in un dualismo che oppone mondo-storia-natura da un lato, e cielo-eternità-grazia dall'altro lato. Tale opposizione si è configurata storicamente come opposizione fra temporale ed eterno, fra corporale e spirituale, fra salvezza dell'anima e perseguimento dei valori terreni, fra religione e impegno sociale, fra Dio e l'uomo.
«Di fatto - fa osservare un teologo contemporaneo - si vide nell'uomo una doppia vocazione: sul piano della creazione l'uomo appartiene all'ordine naturale del cosmo, in esso si inserisce e da esso riceve una sua finalità con una connessa perfezione creaturale; sul piano della redenzione l'uomo entra nell'ordine della grazia, è chiamato a salvezza e vita eterna come partecipazione alla vita divina, e da quest'ordine riceve una finalità ulteriore... Questa doppia finalità non riuscì per lungo tempo a fondersi in uno: da un lato, il fine del migliore sviluppo terreno, fisico scientifico economico sociale, dall'altro il fine dell'andare in Paradiso e salvarsi l'anima. Questa dicotomia rischiò di ridurre l'attività specifica della Chiesa... al secondo fine, cioè a salvare le anime dei singoli. Le opere di carità sociale... erano opere buone, da farsi per salvarsi l'anima».[6]
In questa visione, l'impegno per la promozione dell'uomo e per le varie liberazioni storiche pare non implicato nel dinamismo della salvezza. La storia umana sembra ridursi semplicemente al campo di applicazione delle virtù cristiane. E l'azione dell'uomo viene presa in considerazione
soltanto dal punto di vista etico, meritorio o demeritorio, nei confronti della salvezza eterna.
Questa concezione ha favorito il disimpegno la fuga dalle responsabilità storiche, e in alcuni casi è giunta a legittimare l'assenteismo politico dei cristiani. «Volendo proteggere il soprannaturale da ogni contaminazione, lo si era isolato, al di fuori dello spirito vivente come pure della vita sociale, e il campo restava libero all'invasione del " laicismo "».[7]
Ultraterrenismo
Esso è strettamente collegato con la visione dualista: tra salvezza e storia non c'è intrinseca connessione. La salvezza viene definita unicamente tramite il conseguimento dello stato definitivo dell'uomo (la vita eterna), e non anche tramite le sue anticipazioni storiche. Di qui era facile passare alla conclusione secondo la quale il mondo di quaggiù non avrebbe una rilevanza o una consistenza salvifica. Ciò che conta in questa fase terrena è farsi dei meriti, acquistare dei titoli in vista del conseguimento della salvezza eterna, cioè del dopo morte.[8] La storia si riduce ad essere il luogo della prova a cui l'uomo deve sottoporsi per poter raggiungere la salvezza, e il mondo di quaggiù diventa un mezzo per la conquista del mondo di lassù. Perché allora impegnarsi appassionatamente nel costruire un mondo più giusto e più umano se la salvezza è una faccenda ultraterrena? Se é l'anima che conta e il suo destino eterno, perché ci si dovrebbe appassionare di ciò che è connesso con la situazione corporale e storica dell'uomo? Al massimo, l'impegno del credente nella storia potrà servire come una tattica di apostolato. Questa posizione, lo si vede immediatamente, si presta a legittimare l'immobilismo sociale e a snervare la carica della denuncia profetica del messaggio biblico nei confronti delle situazioni storiche.
Individualismo
Una salvezza concepita senza uno stretto legame col mondo e con la storia si presta facilmente a diventare un affare privato nel quale sono impegnati solamente Dio da una parte, e il singolo individuo dall'altra parte. L'individualismo dominante nella cultura europea soprattutto a partire dal secolo XVIII fece sentire il suo peso anche nel modo di concepire la salvezza. Si parlerà prevalentemente della salvezza della propria anima, e si lasceranno cadere le connessioni tra religione e società, tra esistenza religiosa ed esistenza sociale.[9] Venne così intensificato il processo di privatizzazione del cristianesimo che è stato denunciato ai nostri giorni dalla «teologia politica» come una grave involuzione. Si perse di vista che la salvezza non è il godimento privato di Dio da parte del singolo (Gesù parla infatti della salvezza in termini comunitari, usando le immagini del banchetto, del regno...). Con la privatizzazione della salvezza è venuta anche la privatizzazione dell'escatologia ridotta anch'essa ad una dimensione intimistica nella quale ciascuno vive la sua avventura terrena in modo solitario in attesa di raggiungere l'eternità. In questa prospettiva, il destino di tutta l'umanità e di tutta la storia sembrano non trovare posto.
IL COMPITO DELLA TEOLOGIA DELLA SALVEZZA OGGI
Come abbiamo sopra ricordato, il compito più urgente che la odierna teologia della salvezza si assegna consiste nel ritrovare il concetto globale e integrale di salvezza cristiana senza soccombere alla tentazione di scelte semplicistiche come potrebbero essere quelle che eliminassero l'uno o l'altro dei due interlocutori del dialogo salvifico (Dio e l'uomo), proponendo rispettivamente un Dio salvatore senza l'uomo, il mondo e la storia, oppure un uomo, un mondo e una storia «salvati» senza Dio. Il rischio è tutt'altro che immaginario. Si pensi, per esempio, al fenomeno della teologia atea, oppure ai casi non infrequenti di abbandono della fede in seguito alla scoperta della radicalità dell'impegno politico.
Il compito che oggi urge assolvere può essere caratterizzato con le seguenti parole di R. Laurentin: «Si tratta dunque oggi di distinguere per unire ciò che era stato dissociato creando delle opposizioni. Si tratta di ritrovare l'unità vitale, l'unità esistenziale, dissociata tramite le analisi astratte e razionalizzanti. Si tratta di ristabilire il legame vitale, la continuità dinamica, la reciprocità, la correlazione indispensabile, ma anche la gerarchia fra il temporale e l'eterno, tra giustizia sociale e religione, tra natura e soprannaturale, incarnazione e redenzione, tra il corporale e lo spirituale, e infine tra Dio e l'uomo. È un compito difficile, perché è più facile all'angusta ragione umana il vivere all'interno di un sistema, con il conforto e la sicurezza che procurano le semplificazioni a circuito chiuso».[10]
Questa preoccupazione odierna di globalità nel concepire la salvezza cristiana e nello stabile una stretta connessione tra salvezza e storia si riflette anche nel vocabolario impiegato. Si parla correntemente di salvezza di tutto l'uomo e di tutti gli uomini; di liberazione degli uomini «da tutte le schiavitù alle quali li tiene soggetti il peccato: l'ignoranza, la fame, la miseria e l'oppressione, in una parola, l'ingiustizia e l'odio che traggono origine dall'egoismo dell'uomo».[11] Nel caratterizzare positivamente la salvezza, la si definisce come «pienezza della propria esistenza» (K. Rahner), «realizzazione di un'autentica esistenza completa» (W. Kasper), «compimento integrale e armonioso di sé» (J.H. Walgrave), «il compimento dell'uomo e dell'umanità secondo il disegno integrale del Padre».[12]
Cito come esempio particolarmente efficace un autore contemporaneo il quale, dopo aver ricordato che «il peccato non è solo lontananza da Dio, ma anche da qualsiasi meta e destinazione umana», sintetizza con questi termini il concetto integrale di salvezza: «La salvezza... coincide con la piena liberazione dell'uomo, la sua integrale promozione, il conseguimento della sua definitiva felicità. Egli non è salvo fin tanto che non trova appagate tutte le sue aspirazioni, inclinazioni, tendenze».[13] Questi discorsi non sono oggi il monopolio di una teologia progressista. Li ritroviamo anche in qualche documento del magistero. Il sinodo dei vescovi del 1971 dichiarò, ad esempio, che l'«agire per la giustizia e il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come dimensione costitutiva della predicazione del vangelo, cioè della missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressive». E nel discorso introduttivo al sinodo del 1974 Paolo VI affermava: «Non esiste dunque opposizione né separazione, ma complementarietà tra evangelizzazione e progresso umano, i quali, pur distinti e subordinati fra loro, si richiamano vicendevolmente per la convergenza verso lo stesso scopo: la salvezza dell'uomo». Molto interessanti sono al riguardo anche alcuni interventi di vescovi al sinodo 1974.[14]
CHE COSA DICE LA BIBBIA SULLA SALVEZZA
Allo scopo di ricuperare il concetto integrale di salvezza è necessario dare uno sguardo al messaggio biblico che anche in questo caso si rivela una fonte molto più ricca e promettente di certi nostri schemi. Sorprende innanzitutto la varietà di immagini usate dalla Scrittura per indicare la realtà della salvezza. Essa è vita, luce, verità, libertà, perdono, riconciliazione, giustificazione, santificazione, redenzione, alleanza, giustizia, gioia, amore, regno, nuova creazione, pace. La Bibbia non riduce la salvezza ad un unico concetto o ad un'unica definizione. E ciò è un chiaro indizio della molteplicità di aspetti, livelli e dimensioni implicati nella realtà salvifica. La Bibbia inoltre parte da esperienze e situazioni umane molto concrete nelle quali l'esistenza non è salva, per rivolgersi a tutto quanto l'uomo nelle sue dimensioni corporale e spirituale, personale e sociale, storica e ultraterrena.
Basti soffermarsi un istante su di una parola-chiave del vocabolario biblico della salvezza, la pace (shalom). Tale vocabolo ha una ricchezza semantica che è andata in gran parte perduta nelle lingue moderne. Pace indica una situazione di integrità e di pienezza, un insieme di relazioni giuste e armoniose con Dio, con se stessi, con gli altri uomini e gli altri popoli (pace con Dio, pace con se stessi, pace con gli altri). L'opposto della pace è la lontananza da Dio, è il peccato, l'odio, la morte, la prigionia, la malattia, la schiavitù,... in una parola: tutto ciò che impedisce all'uomo di realizzare un'esistenza piena, autentica, completa. La stessa missione di Cristo viene caratterizzata come annuncio di pace (Ef 2, 13 ss.), come evangelizzazione della pace (Ef 6,15). E tuttavia la pace non è solo frutto di sforzi umani: essa va chiesta al Dio della pace, è dono del Cristo risorto poiché questo mondo non la può dare (Gv 14,27). Essa comporta la comunione con Dio, la riconciliazione fra gli uomini, il superamento di tutte le alienazioni che asserviscono la nostra esistenza. Là dove Dio concede la sua pace sorge un'umanità rinnovata, un uomo nuovo, una nuova creazione. Per questo la pace è innanzitutto dono e grazia, a cui deve corrispondere, da parte dell'uomo, un impegno fattivo ed operoso.
Ci sono poi numerosi temi biblici che obbligano a considerare la salvezza come un progetto globale, e non solo settoriale, di Dio nei confronti dell'uomo, del mondo e della storia. Val la pena di prenderli brevemente in considerazione.
Il tema della creazione
La creazione fa parte del progetto salvifico di chiaro rapporto tra Cristo e la creazione. Non ci sono pertanto due progetti successivi di Dio, quello della creazione e quello della redenzione. Il disegno salvifico di Dio (e quindi la vocazione dell'uomo) è unico: la creazione è il primo tempo dell'alleanza, e Cristo è la verità profonda della creazione. Pertanto esiste un'unica vocazione, un unico fine per tutta quanta l'umanità.[15]
La creazione poi non si presenta come l'atto divino che stabilisce un ordine sacro intoccabile. Al contrario, l'uomo è chiamato a compiere la creazione tramite il lavoro e la cultura (Gen 1,28). Pertanto, l'attività umana nei confronti della creazione, qualora venga compiuta in accordo col progetto divino, qualora cioè sia veramente al servizio dell'uomo e di tutti gli uomini, promuovendo la loro autentica liberazione, rientra nel piano di salvezza, anche se la salvezza non si esaurisce qui.
Il tema della liberazione di Israele dall'Egitto
La liberazione di Israele è nello stesso tempo una liberazione religiosa, sociale e politica. Israele ha sperimentato la salvezza del suo Dio nel tessuto vivo e concreto della sua esistenza storica come una salvezza globale, trascendente e storica ad un tempo.
Il tema dell'alleanza
Essa è innanzitutto una particolare relazione fra Dio e il suo popolo, relazione stabilita in virtù di un libero e gratuito atto divino. Essa fonda però anche un ordine nuovo, sociale e politico, di rapporti tra gli uomini, basato sulla giustizia, sulla fraternità, ecc. In altre parole: dall'alleanza deriva un'etica molto concreta e aderente alla storia. Saranno soprattutto i profeti a richiamare le esigenze dell'alleanza non in astratto, ma nel vivo delle situazioni storiche, sociali e politiche.
Il tema messianico
La salvezza messianica è anch'essa una salvezza integrale. Essa comporta certo un nuovo e definitivo incontro di alleanza dell'uomo con Dio, e la liberazione dal peccato tramite il dono di un cuore nuovo e l'effusione dello Spirito. Ma la salvezza messianica ha anche un contenuto terrestre con rilevanza storica, sociale e politica. Per questo l'annuncio e l'attesa del futuro giorno messianico è inseparabile, presso i profeti dell'A.T., dalla instaurazione della giustizia e dalla revisione dei rapporti umani distorti. E nel N.T. nulla autorizza a interpretare gli aspetti terreni, sociali e politici della salvezza messianica come puri simboli della salvezza eterna e della liberazione dell'anima oppressa dal peccato e schiava di satana: «Relegare la pace e la giustizia anticotestamenaria alla funzione di annuncio simbolico della pace e della giustizia della singola anima redenta è un'operazione illecita, alla luce dell'attuale teologia biblica».[16]
La salvezza portata da Gesù
La salvezza che Gesù annuncia e instaura servendosi della categoria del «regno di Dio» non si può ridurre né ad una interpretazione puramente mondana né ad una dimensione puramente trascendente. Gesù lotta contro tutto ciò che impedisce all'uomo di realizzarsi, e in primo luogo contro l'alienazione fra Dio e l'uomo causata dal peccato e dal dominio di satana. Cristo è soprattutto colui che è venuto a vincere il peccato e la morte, e a fare degli uomini un'umanità filiale nei confronti del Padre, e fraterna nei confronti dei propri simili. Però a Gesù interessa che tutto quanto l'uomo sia salvo: per questo risuscita dei morti, guarisce degli ammalati, sfama la folla, accoglie e predilige i poveri e gli oppressi, le persone che non contano, lotta contro una legge e una tradizione disumanizzanti (il sabato è per l'uomo, e non l'uomo per il sabato), condanna l'ingiustizia e l'oppressione, incentra la vita etica dell'uomo sull'amore, insegna a perdonare rompendo così la logica della riproduzione del male. Il regno che Gesù annuncia con le parole e coi fatti è la vittoria su tutte le espressioni del male. È certo difficile stabilire un rapporto diretto fra Gesù e la politica. I vari tentativi di politicizzare Gesù si sono rivelati abbastanza arbitrari. Tuttavia l'azione di Gesù ha una chiara portata storica e una rilevanza politica indiretta, ma non meno efficace, poiché il regno di Dio che egli porta non viene situato nella pura interiorità. Che l'attività salvifica svolta da Gesù non fosse indifferente alla storia lo prova, tra l'altro, la sua condanna a morte: «Se Gesù non avesse predicato che una salvezza riguardante la condizione umana in generale, il peccato, la sofferenza e la morte, non avrebbe avuto tante noie... Se egli venne condannato è perché prese delle posizioni che sono state assai precise per ingenerare l'idea che egli sovvertiva l'ordine stabilito... Gesù non ha mai fuggito i precisi conflitti della sua epoca e per questo venne condannato...».[17]
La risurrezione di Cristo
Essa illumina il destino dell'uomo e il senso della storia poiché la risurrezione di Cristo è l'avvenimento escatologico per eccellenza che si rende presente nel nostro mondo. In Cristo risorto noi contempliamo la meta finale verso la quale sono in cammino gli uomini e la loro storia. I credenti sono pertanto i testimoni di una promessa e di una speranza che li impegnano a contestare nel presente tutto ciò che si oppone alla trasparenza della risurrezione, e a lavorare in vista della realizzazione della signoria del Risorto su tutte le cose. Per questo, è stato detto, i cristiani dovrebbero essere nel mondo «i testimoni di una promessa che fa sorgere qualcosa di nuovo nella storia e conferisce alla storia un avvenire possibile» (C. Geffré). La risurrezione di Cristo è certo innanzitutto il segno della riconciliazione con Dio e del perdono dei peccati, ma essa è anche segno del rinnovamento dell'intero universo.[18]
Il tema del peccato
Esso non è solo un'offesa a Dio in sé, ma è anche sempre una realtà storica, una «autolimitazione dell'uomo» (Gaudium et spes, n. 13) che tende a solidificarsi in «strutture di peccato». Di conseguenza, salvare l'uomo vuol dire liberarlo dal peccato e da tutte le concretizzazioni storiche, individuali e sociali, del peccato.[19]
Il tema del giudizio finale
Giustamente va rimarcata l'importanza del testo di Mt 25,31-46 sul giudizio finale in vista della comprensione integrale della salvezza. Volendo esprimere l'essenziale stesso della salvezza, Gesù parla dell'amore fattivo e concreto verso il prossimo. Ogni gesto storico di solidarietà col povero e con l'oppresso (in termini odierni: ogni sforzo per la giustizia e per la pace, ogni contributo in vista di un mondo più giusto e fraterno...) ha un senso profondo, trascendente e decisivo, anche se gli uomini non lo sanno.
UNA SALVEZZA PER UN UOMO RIUNIFICATO
Da tutti i temi biblici ai quali si è fatto cenno risulta con evidenza che la salvezza cristiana è una salvezza integrale: essa riguarda cioè tutti gli uomini e tutto l'uomo (l'uomo come essere spirituale, corporale, sociale, storico, politico, ecc.). La salvezza è pertanto una realtà complessa, comprendente aspetti diversi, i quali, se non devono essere separati, devono però essere distinti perché ne risulti la struttura interna e si percepisca che non tutto va posto sullo stesso livello secondo una piatta uniformità, quasi che i valori salvifici avessero tutti quanti la stessa e identica importanza.
Un paragone può aiutarci a comprendere. Anche l'uomo è una realtà complessa e unitaria nello stesso tempo: egli è un essere corporale e spirituale, personale e sociale, immanente e trascendente, ecc. Il corpo e lo spirito dell'uomo sono autentici valori, sono entrambi oggetto dell'intenzione creatrice e redentrice di Dio, e di conseguenza vanno entrambi coltivati e perfezionati. E tuttavia l'aspetto corporale non si riduce a quello spirituale perché sono qualitativamente distinti anche se non esistono separati perché sono entrambi dimensioni costitutive dell'essere uomo. L'aspetto corporale e quello spirituale non solo non sono separati, ma sono interdipendenti. Giustamente gli antichi dicevano: mens sana in corpore sano! Sarà legittimo affermare che il perseguimento dei valori spirituali vale più del perseguimento dei valori materiali e corporali, anche se questi ultimi sono valori autentici. I valori superiori ci aiutano anzi ad apprezzare e a situarci in maniera giusta in rapporto ai valori inferiori. Il progresso in un solo settore può diventare molto discutibile e anche criticabile qualora non promuova il bene di tutto l'uomo o qualora si limiti a una parte dell'umanità.[20]
Tutto ciò può essere applicato analogicamente al concetto di salvezza cristiana. Essa è una realtà unitaria che non tollera i dualismi e le facili contrapposizioni (amore di Dio o amore del prossimo, storia della salvezza o storia umana, liberazione storica o salvezza escatologica). Ma neppure tollera le riduzioni semplificatrici per cui una realtà viene confusa con l'altra, di modo che non esisterebbero più dei livelli o dimensioni salvifiche distinte e fra loro gerarchizzate, ma tutto sarebbe da collocare sullo stesso piano.[21] Il mistero dell'Incarnazione, o, se si vuole, la singolarità della persona di Cristo, costituisce la chiave di soluzione del problema del rapporto tra i vari livelli della salvezza:
«Ciò che importa per la soluzione di questo problema, è il legame che il Cristo ha stabilito nella sua Persona, tramite l'Incarnazione stessa, tra il temporale e l'eterno, tra il corporale e lo spirituale, ecc. L'incarnazione e la Redenzione, quali sono state vissute dal Cristo, riconciliano l'opposizione fra coloro che credono ai valori terrestri e coloro che li svuotano a beneficio dell'escatologia. La redenzione è il frutto dell'Incarnazione nel mondo peccatore».[22]
Si tratterà allora di individuare i vari livelli della salvezza (e qui si rivela indispensabile il ricorso ad analisi serie e rigorose per le quali la teologia, è debitrice alle varie scienze, e in particolare alle scienze dell'uomo), e di stabilire fra di essi un rapporto strutturale e gerarchico tale che non li separi ma neppure li confonda. L'operazione è particolarmente delicata non solo quando si tratta di definire che cosa sia la salvezza, ma anche quando si vuol dire chi sia Cristo e che cosa sia la Chiesa. È sempre possibile cadere nel monofisismo che confonde e riduce tutto a una sola dimensione, o nel nestorianesimo che separa ciò che in realtà dev'essere solo distinto.
Una realtà a cerchi concentrici
Il livello salvifico superiore o ultimo consiste nella salvezza dal peccato, che è la radice profonda di tutte le situazioni umane di non-salvezza, e nel dono della nuova libertà dei figli di Dio, e cioè la comunione di vita col Padre e coi fratelli realizzata tramite Cristo e il suo Spirito. Questa relazione filiale con Dio appartiene anch'essa alla costituzione di un uomo completo, pienamente realizzato secondo tutte le sue dimensioni e capacità di relazione. Essa è anzi il compimento più profondo dell'uomo perché fa sì che egli possa partecipare, per grazia, della vita stessa di Dio, e possa condurre un'esistenza riconciliata, filiale e fraterna, in rapporto a Dio e agli altri uomini. Qui si trova senza dubbio il bisogno più profondo del cuore umano. Non per nulla esso è spesso latente, represso o deviato verso surrogati. Questa salvezza trascendente è data già quaggiù secondo una dialettica che vede impegnata da un lato la grazia divina e dall'altro lato la libertà umana. Noi attendiamo però la realizzazione piena di questa salvezza per il tempo futuro, quando il regno di Dio verrà in pienezza.[23] I livelli inferiori sono costituiti dalle varie salvezze particolari che si riferiscono alle molteplici dimensioni della esistenza umana nel mondo (fisico, psicologico, sociale, economico, politico, culturale, ecc.). Le salvezze particolari mirano a edificare un mondo umano e a rendere la terra abitabile dall'uomo che vive in società. Tali salvezze particolari, anche assommate fra loro, non si possono identificare semplicemente con la salvezza, perché quest'ultima include anche, secondo il disegno di Dio, un compimento trascendente e una volontà di alleanza, come abbiamo visto sopra.
La tensione esistente fra le salvezze parziali e la salvezza trascendente non può essere risolta scegliendo le une oppure l'altra, perché tale scelta altererebbe l'autenticità del cristianesimo e infliggerebbe un colpo mortale all'Incarnazione e alla Risurrezione: «Non si tratta dunque di sapere quale scelta bisogna fare, o per quale eresia bisogna optare (in greco infatti eresia vuol dire scelta). Si tratta di accettare umilmente la correlazione stabilita da Dio».[24] Dato che non tutti possono fare tutto, si daranno necessariamente delle vocazioni particolari, e saranno possibile delle scelte che accentuino l'uno o l'altro aspetto della salvezza, senza però escluderne nessuno, almeno in linea di principio.[25]
Proprio per il fatto che esiste un'unica destinazione per tutti gli uomini secondo il piano divino, bisogna affermare un'unità esistenziale profonda fra le varie dimensioni della salvezza, o, se si vuole, per usare una terminologia più tradizionale, fra grazia e natura, di modo che esse non siano concepite come estrinseche o semplicemente giustapposte.
Questo discorso ha delle conseguenze estremamente importanti anche sul piano pratico, come si può cogliere dalla seguente affermazione di R. Laurentin: «Così, là dove l'umano è inesistente o snaturato, anche il soprannaturale è compromesso. Là dove la base di natura è falsata, lo è anche il soprannaturale, nella stessa misura, e ciò può arrivare sino all'evacuazione totale, allo stesso modo che la presenza reale svanisce allorché il pane e il vino si corrompono... Inversamente, là dove di fatto l'uomo si compie in Dio soprannaturalmente, ciò implica uno sviluppo umano per lui e per tutti gli altri».[26]
Quale salvezza?
Allo scopo di chiarire i rapporti della salvezza cristiana nella sua dimensione ultima e più profonda con le salvezze storiche, tento di formulare alcune indicazioni che esigerebbero di essere ulteriormente precisate e approfondite.
La salvezza opera in tutti gli uomini
La salvezza a cui Dio chiama gli uomini con un unico disegno salvifico (Gaudium et spes, n. 22) è presente e operante in tutta quanta l'umanità, e non solo nella Chiesa, poiché, come dice la Gaudium et spes, «dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (n. 22). Questa presa di coscienza non mi sembra sia entrata sufficientemente nella riflessione teologica e nella prassi pastorale. Eppure essa comanda un modo nuovo di progettare la missione della Chiesa, la catechesi, la spiritualità e il rapporto tra evangelizzazione e promozione umana.[27] La Chiesa è però il segno o sacramento della salvezza che Dio offre al mondo. Alla Chiesa spetta quindi la particolare responsabilità di significare con la parola e coi fatti (compresi, tra questi ultimi, anche i sacramenti) l'amore del Padre che invia Cristo a salvare il mondo, e la presenza dello Spirito già segretamente operante nel mondo.
Dove c'è salvezza autentica, lì opera Dio
Là dove si realizza un'autentica salvezza (qualunque sia il suo grado di profondità) è operante la grazia di Dio. Le realizzazioni salvifiche dell'uomo sono sempre il frutto dell'amore che trionfa sull'egoismo. Proprio per questo l'amore umano autentico è sempre un amore di risposta a Colui che ci ha amati per primo: «... l'amore viene da Dio, e ognuno che ama Dio è nato da Dio, e conosce Dio» (1 Gv 4,7). È perché siamo amati che diventiamo capaci di amare. È perché siamo stati liberati che diventiamo capaci di liberare.
J. Moltmann, l'autore della «teologia della speranza», ha espresso questa convinzione dicendo che se i cristiani disprezzassero «la presenza veniente della grazia, la speranza diventerebbe la morale delle accuse senza fine e delle pretese infinite». E aggiunge, in riferimento alla etica del popolo di Israele, il popolo presso il quale «il diritto alla libertà germina dalla grazia della liberazione», che nella logica cristiana «niente... è preteso che prima non sia stato donato».[28] Le varie liberazioni di cui parla la Bibbia non sono mai un compito affidato esclusivamente alle mani dell'uomo, o il risultato della sola efficienza umana. La liberazione è innanzitutto un dono del Dio che fa grazia e perdona. A differenza delle concezioni esistenti nei vari umanesimi, per la fede «la liberazione dell'umano si attua nella storia, ma a partire da una forza che viene dal di fuori di essa» (A. Rizzi). Resta così infranto ogni orizzontalismo nella concezione della salvezza».[29]
Promozione umana e salvezza
Ogni autentica promozione umana è già un'opera salvifica, è già una attuazione del regno di Dio, e non una semplice tattica di apostolato che finirebbe per conferire all'attività di promozione umana svolta dai credenti una colorazione strumentalizzatrice e colonialista. E tuttavia la salvezza cristiana trascende le varie realizzazioni storiche intramondane di liberazione e di promozione umana.
Lo ricorda oggi anche il principale esponente della «teologia della liberazione»: «La crescita del regno è un processo che si svolge storicamente nella liberazione, in quanto essa significa una maggiore realizzazione dell'uomo, la condizione di una società nuova, ma non si esaurisce in essa; realizzandosi in fatti storici liberatori, denuncia i loro limiti e le loro ambiguità, annuncia il loro pieno compimento e li spinge effettivamente alla comunione totale. Non è un'identificazione. Senza avvenimenti storici liberatori non c'è crescita del Regno, ma il processo di liberazione non avrà vinto le radici stesse dell'oppressione, dello sfruttamento dell'uomo, se non coll'avvento del Regno, che è prima di tutto un dono. In più, si può dire che il fatto storico, politico, liberatore, è crescita del Regno, è avvenimento salvifico, ma non è la venuta del Regno né tutta la salvezza. È realizzazione storica del Regno, e, in quanto tale, è pure annuncio di pienezza».[30]
La salvezza totale è un fatto
La salvezza cristiana nella sua forma pienamente realizzata di «comunione degli uomini con Dio e di comunione degli uomini fra loro» è già qualcosa di reale fin d'ora, ed è in grado di aprire una prospettiva che assume e trasforma tutta la realtà umana. Tuttavia la piena realizzazione della salvezza, che comporta il superamento di tutte le alienazioni, non la vedremo su questa terra. Innanzitutto perché si danno delle situazioni di non-salvezza che sono talmente connesse con la finitezza dell'uomo che il loro superamento potrà avvenire solo con la fine della storia. Si pensi al dolore umano causato dalle catastrofi naturali, alle malattie inguaribili e alla morte stessa. La salvezza da questi mali è per noi solo oggetto di speranza. E il pegno sicuro di tale speranza è la risurrezione di Cristo. Essa ci assicura che la morte, l'ultima nemica, non rappresenta la suprema parola dell'avventura umana. Essa ci apre alla speranza e alla fiducia: nonostante tutte le oscurità e le incertezze del presente, parteciperemo un giorno alla vittoria di Cristo sulla morte e su tutte le forme del male (si veda Rom 8,19-24). La risurrezione di Cristo ci apre in tal modo all'avvenire assoluto di Dio perché ci attesta che le possibilità della storia non si limitano semplicemente a ciò che noi siamo in grado di scoprire in noi stessi, partendo unicamente dalle nostre speranze umane e dai nostri progetti mondani. Possiamo contare su possibilità ancora latenti nell'uomo e nel mondo, ivi comprese le possibilità di Dio. Non è che con questo il credente la sappia più lunga di qualsiasi altro sulla soluzione dei problemi concreti. Ma la fede nella risurrezione obbliga il credente a impegnarsi attivamente e con maggior speranza nei sistemi provvisori e nei progetti parziali di autentica liberazione umana. Ma nello stesso tempo la sua speranza gli permette di avanzare delle istanze critiche nei confronti di ogni sistema chiuso, di ogni progetto umano autosufficiente, di ogni speranza che si limiti al campo delle cose che si vedono, Sl toccano, si possiedono, di ogni concezione secondo la quale l'avanzata del progresso umano si effettui su di un fronte unico. La speranza cristiana pertanto può e deve diventare coscienza profetica e critica verso ogni ideologia e ogni potere umano, come ricordava recentemente R. La Valle: «Non in nome di un'altra ideologia e di un altro potere - questo è il punto decisivo - ma in nome di quel perenne trascendimento dell'uomo a se stesso, che ha nel Cristo il modello e la norma».[31] Questo atteggiamento della speranza cristiana, è utile ricordarlo, dev'essere un atteggiamento responsabile, e non una fuga in avanti.
Una logica pasquale: morte e vita
La salvezza cristiana ha una struttura pasquale. Alla risurrezione si giunge passando attraverso alla «follia» e allo «scandalo» della croce. Per questo la salvezza cristiana non può essere pensata in base a principi di pura efficienza, di esiti controllabili in base ai nostri criteri mondani. La «teologia della speranza» medita ai nostri giorni con rinnovato interesse sulla «teologia della croce», e vi scopre una sorgente inesauribile di fecondità non solo sul piano etico, ma anche sul piano propriamente teologico.
Il ricordo del Figlio dell'Uomo escluso, rigettato e crocifisso, dice infatti «che Dio non ha dato inizio al futuro dell'uomo al culmine del progresso umano, bensì con questo Umiliato».[32] La scoperta della sofferenza riconciliatrice di Cristo all'interno della pesante storia di sofferenza di questo nostro mondo dà al credente «la forza di sperare là dove non c'è più nulla da sperare, e di amare là dove ci si odia».[33] Non solo. Nel Figlio di Dio crocifisso, l'uomo «trova certezza in mezzo alle incertezze e la sua identità di uomo nel cuore delle sue inumane non-identità.
Egli perciò dentro questo mondo condannato può rinunciare a se stesso con amore, pazienza e dolcezza d'animo, senza dover temere di perdersi, e senz'essere costretto a realizzarsi».[34] C'è quindi un aspetto paradossale, o, se si vuole, anormale nella speranza cristiana, e di conseguenza nel modo di concepire la salvezza del mondo: «Costruzione delle nostre mani, trasformazione attraverso il sì della morte? Le due proposizioni vanno mantenute assieme, in una specie di oscillazione che lascia l'avvenire aperto e nello stesso tempo conferisce al presente la sua importanza decisiva».[35] Ciò che oggi urge sottolineare è la necessità che il ricordo della croce non diventi rassegnazione passiva al male e alla sofferenza (specialmente altrui), non rafforzi l'alienazione degli oppressi e il prestigio degli oppressori, non provochi l'immobilismo sociale e il senso di fatalità.[36] Il ricordo della croce pertanto non ha solo lo scopo di lenire le miserie del presente (in questo caso la religione offrirebbe il fianco al sospetto marxista). La croce, trasfigurata dalla risurrezione, è piuttosto la segnalazione di un enorme potenziale di speranza e di misteriosa efficacia che non necessariamente sarà registrato negli annali della storia perché non sempre coincide coi nostri criteri di efficienza. La croce è inoltre il simbolo dell'impegno assoluto, portato avanti con coerenza sino alla morte, anche quando tutte le garanzie umane paiono dichiarare il loro fallimento o manifestare il loro cedimento.[37] La croce sta a ricordare ancora l'importanza, nei disegni di Dio, dei mezzi poveri, delle persone e delle cose che non necessariamente contano agli occhi del mondo: Dio si serve spesso di esse per compiere un misterioso disegno di grazia.
Salvezza e salvezze
Quale relazione si può stabilire tra il livello superiore della salvezza (liberazione dal peccato e comunione con Dio) e i vari livelli inferiori (le salvezze e le liberazioni particolari)? Ispirandomi a uno studio recente sulla «teologia della liberazione» di Gutierrez,[38] credo si possa affermare che tra i vari livelli esiste una «implicazione reciproca non riduttrice» che ha una struttura dialettica comandata dalle seguenti affermazioni: «Da un lato il livello superiore esercita un influsso causale multiforme nei confronti dei livelli inferiori: esso è fondamento, sorgente di significato, e di dinamismo verso un compimento pieno, principio animatore e critico, mentre il livello inferiore è il luogo critico di verifica del livello superiore. D'altra parte il livello superiore non esiste se non nelle realizzazioni dei livelli inferiori [39] e correlativamente l'esistenza di questo livello inferiore è già una realizzazione parziale, provvisoria ma necessaria di una realtà che ne trascende i limiti».[40] Questi principi possono fornire eccellenti spunti per ripensare tutta quanta la tematica della salvezza evitando sia le contrapposizioni pericolose sia gli accostamenti privi di vigore. Lo stesso Gutierrez ci fornisce un esempio a proposito dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo: «Non basta dire che l'amore di Dio è inseparabile dall'amore del prossimo (cf 1 Gv 4,20). Amare il fratello, ogni uomo, è una mediazione necessaria e inevitabile dell'amore di Dio, è amore di Dio».[41] Analoghe osservazioni valgono per la liberazione dal peccato. È anzi racchiuso nel principio della «implicazione reciproca non riduttrice» un nuovo modo di presenza della Chiesa nella società, e un invito a ripensare i rapporti tra fede, uomo, mondo, storia.
Esigenza di concretezza
Non ci si può limitare a prospettare la salvezza unicamente in funzione della condizione umana in generale.[42] In questo caso si diventa necessariamente generici e il discorso sulla salvezza non ha più alcun mordente. Se si accetta che la salvezza comincia a realizzarsi nella storia umana (nella quale opera Cristo Risorto) ne consegue che bisogna prestare una vigile attenzione alla concreta storia che gli uomini vivono per cogliere in essa i segni di salvezza o di non-salvezza. È nel concreto, nel vivo della dinamica storica, che avviene la liberazione dal peccato e l'incontro con Cristo, cioè ci si salva. Ciò comporta:
* Un approccio della realtà che non sia ingenuo, moralistico e approssimativo. È necessaria invece una conoscenza il più possibile obiettiva e scientifica delle situazioni storiche, dei loro dinamismi e meccanismi, delle cause che le hanno prodotte, ecc. Il ricorso alla mediazione delle scienze umane diventa indispensabile poiché non è possibile «dedurre» direttamente dalla Parola di Dio tutti i contenuti storici della salvezza. E neppure la teologia possiede gli strumenti di analisi per indicare in concreto tutte le situazioni o i casi di non-salvezza bisognosi di liberazione. La mediazione delle scienze umane, che spesso ci offrono solo un sapere provvisorio e ipotetico, fa sì che non di rado ci si debba affidare a scelte concrete ritenute per il momento le migliori e le più fedeli al vangelo, che se ciò non può essere dimostrato. Se da un lato bisogna mantenere vivo il senso del provvisorio e dell'ipotetico, dall'altro lato si deve ricordare che non tutte le opinioni sono uguali rispetto alla realtà dei fatti e alla fedeltà al vangelo.
* La necessità, da parte delle comunità e dei gruppi cristiani, di riflettere criticamente sulle vicende storiche che essi stanno vivendo per domandarsi che cosa esiga la Parola di Dio da essi accettata nella fede. Si tratta di servirsi di un metodo induttivo, fedele all'Incarnazione, per cercare di scoprire nel presente gli appelli alla salvezza evangelica.[43]
* La necessità, da parte dei credenti, di offrire delle anticipazioni che permettano di sperimentare concretamente la salvezza: «Le anticipazioni della salvezza rendono possibile la fede nella salvezza definitiva e nello stesso tempo la costituiscono nella storia. È impossibile credere alla salvezza se vengono meno le sue anticipazioni storiche. È illusione pensare che si possa accogliere il dono definitivo di Dio se non ci si rende capaci ogni giorno accogliendone le premesse o meglio le progressive realizzazioni. In questo senso la funzione salvifica della Chiesa è essenziale: essa è realmente sacramento universale di salvezza».
NOTE
[1] B. PASCAL, Pensieri, ed. Brunschvicg, n. 425.
[2] N. ABBAGNANO, Il senso della salvezza nella cultura moderna, Relazione al VI Congresso naz. dell'Ass. teologica ital., Roma 2-4 gennaio 1975.
[3] Ivi.
[4] CENTRO SALESIANO PASTORALE GIOVANILE, Fare pastorale giovanile oggi, LDC, Torino-Leumann 1975, passim.
[5] O. DA SPINETOLI, Salvezza, Dizionario teologico (a cura di J.B. BAUER e C. MOLARI), Cittadella, Assisi 1974, p. 655.
[6] E. CHIAVACCI, Evangelizzazione e promozione umana, in «Catechesi», 1 novembre 1974, pp. 16 s.
[7] H. DE LUBAC, Athéisme et sens de l'homme, Du Cerf, Parigi 1968, p. 101.
[8] C. Molari dipinge efficacemente questa posizione: «Operare la salvezza non significa "diventare salvi", ma acquistare il diritto per esserlo», C. MOLARI, La salvezza cristiana, oggi, Relazione al VI Congresso naz. dell'Ass. teol. it., p. 30.
[9] La salvezza «è un affare privato nel quale i beni terreni vengono utilizzati in vista di un "reddito eterno" ed infinito. Gli altri entrano in questo piano come occasione per accumulare meriti e procurarsi la ricompensa eterna», C. MOLARI, o.c., p. 31.
[10] R. LAURENTIN, Développement et salut, Du Seuil, Parigi 1969, pp. 162 s.
[11] Documenti di Medellin, ed. Dehoniane, Bologna 1969, p. 16.
[12] Le varie definizioni di salvezza ricorrenti nella teologia contemporanea sono state raccolte da C. MOLARI, o.c., p. 5.
[13] O. DA SPINETOLI, o.c., p. 655.
[14] Se ne veda una documentazione antologica in M. PELLEGRINO, Vangelo e promozione dell'uomo al sinodo 1974, LDC, Torino-Leumann 1975.
[15] Commentando la Gaudium et spes J. Mouroux fa osservare: «Se ci sono, nell'universo, dei livelli di analisi differenti (creazione, peccato, redenzione), non ci sono però due ordini differenti, ma uno solo, quello dell'Alleanza, di cui la creazione è il primo tempo, di cui il Cristo è l'alfa e l'omega, il centro e la fine; e quest'ordine è soprannaturale», in AA. VV., L'Eglise dans le monde de ce temps, Du Cerf. Parigi 1967, p. 232.
[16] E. CHIAVACCI, Principi di morale sociale, ed. Dehoniane, Bologna 1971, p. 38.
[17] C. DUQUOC, Le salut chrétien comme libération, in «Cahiers Evangile», n. 7, 1974, p. 15.
[18] «Un corpo è un centro di relazioni con l'intero universo, mondo fisico e mondo umano; se il corpo di Gesù risorge (cioè viene trasformato e penetrato dalla vita divina), è tutta la "rete di relazioni" con l'universo che viene trasformata in Dio. La risurrezione di Cristo è una rinnovazione dell'intero universo», E. POUSSET, Le Christ est ressuscité, in «Cahiers de l'Action réligieuse et sociale», 1972, p. 201.
[19] «Il peccato è l'alienazione fondamentale che, per ciò stesso, non può essere colta in se stessa, ma solo nelle sue concretizzazioni storiche determinate, in alienazioni particolari. È impossibile comprendere l'alienazione fondamentale, senza comprendere quelle particolari... Soltanto se si partecipa in modo combattivo ed efficace al processo storico di liberazione, sarà possibile individuare l'alienazione fondamentale presente in ogni alienazione parziale», G. GUTIERREZ, Vangelo e prassi di liberazione, in «Rassegna di teologia», 15 (1974), p. 28. Si vedano anche i Documenti di Medellin citati alla nota 11.
[20] «La prosperità temporale resta " un bene ", ma relativo. Essa vale in certi limiti, e deve sempre essere subordinata ai valori umani di giustizia, di carità, di comunione fra gli uomini», R. LAURENTIN, o. c., p.87.
[21] La «teologia della liberazione», almeno nei suoi esponenti più qualificati, si muove in questa direzione che mi pare giusta. Cito un testo significativo al riguardo: «La teologia della liberazione cerca di superare i dualismi, prendendo sul serio la vocazione unica dell'uomo alla salvezza... Si supera, così, una statica distinzione di piani, e, al suo posto, viene introdotta una distinzione fra dimensioni della stessa realtà concreta, nella tensione escatologica del "già ma non ancora" all'interno dell'unica storia. Le liberazioni storiche, politiche e sociali, ecc., sono già delle realizzazioni salvifiche, ma sono anche dei preannunci, dei segni e delle anticipazioni della liberazione totale e definitiva che ancora non è stata consumata».
[22] Così J.C. SCANNONE, Evangelica o ideologica la teologia della liberazione?, in «Concilium», 10 (1974), p. 577. Anche G. GUTIERREZ, Teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1972, p. 46, distingue tre livelli di liberazione: liberazione dei popoli e delle classi oppresse, liberazione dell'uomo in modo che egli diventi coscientemente padrone del suo destino, liberazione dal peccato e dono della comunione con Dio.
[23] La teologia tratta di questa dimensione della salvezza parlando della grazia (il disegno del Padre che vuole fare degli uomini altrettanti figli nel Figlio suo incarnato), e della Chiesa (la grazia nel suo aspetto comunitario e sociale).
[24] R. LAURENTIN, o.c., p. 167.
[25] Si vedano: G. GROPPO, Vocazione cristiana e vocazione sacerdotale e religiosa, in «Note di pastorale giovanile», marzo 1975, pp. 2-16; G. GOZZELINO, Pastorale giovanile aperta all'animazione vocazionale: quale prete?, in «Note di pastorale giovanile», dicembre 1974, pp. 2-33.
[26] R. LAURENTIN, o.c., p.168.
[27] Si vedano le interessanti osservazioni di E. FRANCHINI, Dove s'incontrano chiesa e mondo, in «Il Regno-Attualità», n. 4, febbraio 1975, pp. 51-54.
[28] J. MOLTMANN, Uomo, Queriniana, Brescia 1972, pp. 103-129. Si veda anche W. KASPER, Introduzione alla fede, Queriniana, Brescia 1972, pp. 136 ss.
[29] K Rahner ha dichiarato recentemente in una intervista: «Un tempo si pensava alla grazia come a qualcosa di settoriale e particolare, che poteva mancare anche completamente, per esempio nel peccatore, e nel miscredente. La mia convinzione teologica fondamentale, invece, è questa: la grazia è realtà data da sempre e dappertutto come centro più intimo dell'esistenza umana (fatta di conoscenza e di libertà) come offerta e come accettazione o rifiuto. L'uomo così non può mai uscire da questa caratteristica fondamentale e trascendentale della sua essenza. In qualunque religione, perciò, è presente la grazia di Dio, magari in maniera oppressa e depravata», in «Pagine aperte», 5 (1975), pp. 10 s.
[30] G. GUTIERREZ, Teologia della liberazione, o. c., pp. 182 s.
[31] «Il Regno Docuenti», n. 21, 1974, p 599.
[32] J. MOLTMANN, Uomo, o.c., p. 192.
[33] Ivi, p. 189.
[34] Ivi, p 189.
[35] P. TIHON, L'espérance et l'action, in «Lumen vitae», 28 (1973), p. 186.
[36] «Se la pura efficacità (nel senso corrente) non è il criterio della speranza, è pure vero che la nostra speranza ci impegna ad essere efficaci», P. TlHON, a. c., p. 189.
[37] Volendo usare il linguaggio di Moltmann, potremo dire che «la pasqua di Cristo introduce nella storia una promissio, una promessa, che è nello stesso tempo una rnissio, una missione da compiere», J. MOLTMANN, Teologia della speranza, Queriniana, Brescia 1970, pp. 229-230.
[38] G. Gutierrez parla di tre livelli di significato del termine «liberazione»: livello economico-sociale-politico, livello antropologico-storico, livello teologico. Si veda la nota 21.
[39] A mio parere questa formulazione è troppo drastica ed esclusiva.
[40] J. VAN NIEUWENHOVE, La théologie de la libération de G. Gutierrez, in «Lumen vitae», 28 (1973), p. 217.
[41] G. GUTlERREZ, Teologia della liberazione, o. c., p. 198. Si vedano anche le pagine 193-202.
[42] Osserva umoristicamente, ma non senza ragione, K. Rahner: «... i princìpi cristiani, che vengono conservati e difesi autoritativamente dal magistero, cadono in notevole astrattezza e quindi in una sorprendente inefficienza... Dio e il diavolo sembrano interessarsi ai particolari, la predicazione ecclesiastica invece sembra muoversi nell'universale», K. RAHNER, Trasformazione strutturale della chiesa come compito e come chance, Queriniana, Brescia 1973, pp. 94 s. Si veda anche p. 99.
[43] In questo senso si vedano le linee programmatiche di pastorale giovanile secondo una prospettiva di incarnazione presentate nel volume citato alla nota 4.