Verso un «movimento» tra gruppi giovanili ecclesiali: problemi e prospettive

Inserito in NPG annata 1974.


(NPG 74-12-79)

Il Centro Salesiano Pastorale Giovanile presenta agli amici uno studio a carattere interlocutorio su un tema di attualità, per un confronto e un dialogo.
La proposta è volutamente generica: offre uno stimolo ai movimenti esistenti e ai gruppi che credono alla urgenza di collegamenti. È facile cogliere che un tema del genere può interessare gli operatori della pastorale giovanile a livello locale (che credono al coordinamento dei vari gruppi esistenti in una istituzione pastorale) e a coloro che a livello diocesano e interdiocesano ne sentono l'urgenza. Graditi pareri e verifiche, per continuare il discorso con ulteriore concretezza.

LA CRISI DELL'ASSOCIAZIONISMO TRADIZIONALE

Sulla crisi dell'associazionismo tradizionale si è scritto molto. Al tentativo di arginare attraverso «richiami» una frana rovinata addosso all'improvviso, si sono presto sostituiti i rimpianti. E poi il silenzio. Una pietra su un passato glorioso e carico di frutti.
I giovani che oggi danno vita ai gruppi non sono spesso neppure segnati da problematiche pochi anni fa vive e «scottanti». Dunque, tutto è finito? È definitivamente chiuso il capitolo dell'associazionismo giovanile tradizionale?
Questo intervento vuole riaprire il discorso, raccogliendo i fili di una nuova sensibilità che ci pare nell'aria.
Il discorso è serio. E va quindi articolato con profonda attenzione educativa.

Quale associazionismo è tramontato?

Non è possibile raccontare la «storia» dell'associazionismo (e di quello cattolico in specie), secondo un parametro unico. C'è il rischio di avanzare per generalizzazioni indebite.
Prima di procedere, è quindi importante specificare i termini.
Ci sono strutture organizzative che hanno retto bene l'urto: con qualche assestamento geniale, vari movimenti hanno superato la crisi.
Altri movimenti, all'interno degli stessi quadri dirigenziali hanno presto elaborato una ristrutturazione radicale, integrando molto bene la nuova cultura teologica e i valori ecclesiali più vivi nella sensibilità giovanile, con lo studio di istanze metodologiche corrette.
Per molti movimenti, invece, è scoppiata la crisi, irreversibile, agli inizi degli anni settanta. Ad essi intendiamo riferirci. Proprio per evitare giudizi su situazioni di fatto, preferiamo generalizzare l'analisi, parlando di «associazionismo tradizionale».
Vogliamo fare anche un'altra precisazione che segna un ulteriore limite della nostra ricerca.
Siamo tutti convinti che il clima esterno condiziona e influenza i movimenti interni di ogni istituzione, fino a determinare contenuti e scelte che hanno tutt'altra origine di quella apparentemente indicata.
Un certo stile associazionistico, legato a strutture rigide e a manifestazioni esteriori, rispondeva al clima politico ed ecclesiale che si respirava. Mutato il clima culturale, cambia anche lo stile generale di gestione. L'associazionismo «tradizionale» era caratterizzato da un insieme di gruppi (associazioni) collegati al vertice, attraverso processi piramidali. Il flusso organizzativo era notevole: tessere, labari, «cariche» sociali, strutturazione interna precisa e articolata, stretto collegamento con i «centri» direttivi.
La circolazione dei valori in ogni gruppo era centralizzata e a carattere discendente: dal «centro» non solo defluivano gli strumenti operativi tecnici ma soprattutto giungevano i «valori» su cui fare gruppo.
Questo collegamento determinava alla base, normalmente, uno stile particolare di vita di gruppo. La forza «educativa» del gruppo era segnata prima di tutto dalla accettazione reale di quanto proveniva dal vertice; anche perché le «proposte» erano, per lunga esperienza, «materiale» davvero pregevole. La coesione interna non era ritenuta formalmente qualificante. Non interessava un buon gruppo ma un gruppo capace di macinare adeguatamente le «informazioni» che gli giungevano.
In altre parole, la preoccupazione educativa era più sui contenuti che sullo stile di gruppo.
Anche in questo contesto, l'educazione era più attenta a ciò che si faceva circolare del modo con cui il materiale circolava. Tutto l'interesse era sul messaggio: il veicolo del messaggio e la disponibilità psicologica dei destinatari passava in secondo piano.
Il collegamento con il centro diventava quindi l'aspetto prioritario del progetto pastorale. L'accurata strutturazione organizzativa, in questo spirito, era strumento indispensabile e qualificato.
Gli aspetti caratteristici dell'associazionismo tradizionale, se riletti ad un livello profondo, potrebbero quindi essere ricondotti a queste tendenze:
- assodato che educano «buoni contenuti» fatti circolare, è importante soprattutto trovarne i canali adeguati;
- il gruppo di base non è fonte di clima educativo ma «occasione» per mettere i singoli giovani a contatto con i valori educativi proposti;
- gli «specialisti» sono incaricati di elaborare e proporre i contenuti, attingendo in forma prioritaria all'oggettivo della tradizione e dell'esperienza; la «base» ha il compito non di creare ma di recepire;
- la struttura organizzativa è funzionale alla trasmissione discendente di valori, favorisce l'ampia partecipazione e permette il superamento di alternative che distraggono dal gruppo;
- un buon clima di gruppo facilita l'accettazione dei valori proposti: le molte attività non sono prima di tutto orientate a «fare gruppo» (nel senso con cui se ne parla oggi) ma a rendere «interessante» il gruppo per assicurare l'identificazione dei suoi membri con i «valori» educativi proposti.

Il perché di una crisi

A partire da questa diagnosi, è facile intuire i motivi che hanno condotto l'associazionismo tradizionale ad una crisi rapida, e, per molti aspetti, irreversibile.
Non c'è solamente in questione uno spontaneo rifiuto di organizzazione a stile verticistico né il crollo delle tessere e dei labari. Certo, la sfiducia nelle istituzioni a cui il vento della contestazione ha condotto molti giovani, ha giocato un peso non irrilevante.
Ma, forse, solamente come «detonatore» di una crisi più profonda e più matura. Essa ci pare riconducibile alle seguenti linee:
* La «scoperta» della dinamica di gruppo e l'attenzione sulla forza educativa del gruppo hanno messo in forse ogni utilizzazione solo estrinseca del gruppo. Pensare al gruppo come «occasione» per far circolare buoni contenuti educativi, è diventato per gli educatori che hanno preso gusto allo studio della dinamica di gruppo, un controsenso. Ci si accorgeva di eludere il problema. Se la prima forza è il gruppo stesso, la preoccupazione educativa va alla costituzione di gruppi, ricchi di coesione interna. Per «fare gruppo», le proposte dall'esterno sono abbastanza un intralcio; le varie «tecniche», invece, preziose, irrinunciabili (anche se formalmente meno impegnate e quindi apparentemente meno «educative»). E così la polvere ha ricoperto la stampa «organizzativa»: il gruppo ha scoperto attività di base. Più gratificanti e» più funzionali alla moltiplicazione matura di rapporti interpersonali.
* Pedagogia e pastorale hanno scoperto la «creatività». Gli educatori sono diventati molto scettici sui valori «dall'alto». Si preferisce parlare di centralità della persona come soggetto educativo e della prassi come fonte di valori.
I contenuti educativi elaborati nelle «centrali direzionali» non riuscivano più a descrivere l'impegno concreto spicciolo. Al contrario si vuole creare, attraverso processi induttivi. L'esperienza si fa luogo educativo e teologico. I metodi deduttivi cadono presto in disuso.
Ne consegue il rifiuto di tutti gli apparati centralizzati che pretendono di fornire valori o che si arrogano il diritto di indicare piste prioritarie.
* La centralità della persona e l'impegno storico, caratteristici della nuova sensibilità educativa e pastorale, hanno anche messo l'interrogativo sulla validità oggettiva di molti contenuti che circolavano nell'associazionismo tradizionale.
Non solo i valori trasmessi dall'alto venivano contestati per la forma con cui erano comunicati ma diventavano problemativi anche per i contenuti che li caratterizzavano. La base giovanile si è sintonizzata sull'esigenza di vivere una esperienza di fede coinvolta in un preciso impegno politico, con una rapidità che ha sorpreso spesso e superato la maturazione che stava avvenendo nei «centri» dell'associazionismo cattolico tradizionale, a tutti i livelli.
La rottura è diventata più rapida e larga del prevedibile. Il rifiuto delle forme tradizionali è stato a macchia d'olio. I giovani, maturati all'esperienza associativa cattolica, hanno fornito la base più consistente a tutto il nuovo gruppismo di ispirazione sociale e politica.

Difficoltà e resistenze

La dimensione «politica» nell'esperienza di fede, la scoperta della dinamica di gruppo e il nuovo stile educativo hanno rovesciato d'un colpo l'associazionismo tradizionale. La contestazione ha reso contrastati i toni ed esasperate le accuse, acutizzando (e spesso innescando) il dramma. In molti casi, alla radice di tutto sta una nuova immagine di Chiesa, emersa dal Concilio, dalla riflessione teologica successiva e dall'esperienza di comunità ecclesiali.
L'associazionismo si è trovato nel fuoco di molte intuizioni, spesso rese polemiche nei toni, anche perché ancora a livello «carismatico».
Il volto di comunità che si andava ipotizzando (e, tra mille difficoltà, costruendo) scontrava con quella più burocratica o poco dinamica, sottesa nei canoni tradizionali dell'associazionismo. Le motivazioni ecclesiali si intrecciano così con quelle tecnico-strutturali, in un amalgama in cui è difficile cogliere che cosa è ascolto della Parola di Dio da quanto è invece ricerca di sicurezze psicologiche, scoperta della comunitarietà dell'essere chiesa da quanto è rifiuto adolescenziale dell'autorità, dinamicità e crescita sulla linea dello Spirito da quanto è solo spontaneismo ad oltranza... Se le nuove intuizioni avessero potuto sedimentarsi in un tempo lungo, il passaggio di forme avrebbe potuto diventare una crescita progressiva. Purtroppo le cose sono andate ben diversamente. I toni aspri propri della prima contestazione hanno spesso nascosto i reali stimoli di maturazione. Questi stessi aspetti, facilmente bollati per le loro intemperanze, sono stati utilizzati come alibi da quegli educatori che, non sensibili alle nuove percezioni pastorali, si arroccarono nella prassi tradizionale. Coloro cioè che non «credevano» alla priorità della persona né alla forza del gruppo nel progetto pastorale, ebbero buon gioco a deprecare la sfiducia nell'associazionismo, diventata presto luogo comune, misurando i valori sulla falsariga delle intemperanze e delle polemiche.
Così, ancora una volta, i veri problemi venivano mascherati. Per l'incomprensione su aspetti parziali e marginali, è stato troppo spesso evitato il confronto sui progetti educativi che stavano facendosi strada.
Invece di integrare la nuova sensibilità in una reinterpretazione saggia de passato, ci si è affidati all'onda di radicalismi polemici e spurii.
La centralità del gruppo è diventata spontaneismo ad oltranza. La priorità della persona, soggettivismo e relativismo.
Il gruppo si è concentrato sugli interessi e ha rotto i ponti ad ogni articolazione con l'esterno. La vita interna si è spesso retta come principio assoluto. Il ricambio dei membri di un gruppo e dei gruppi stessi è stato frequente. Il conseguente pullulare di gruppi, dalle denominazioni le più diverse, ha reso impossibile ogni catalogazione. Dove invece la voglia di cambiare ha goduto della collaborazione di un educatore accorto, il gruppo, spontaneo all'origine, ha trovato consistenza educativa notevole, permettendo una circolazione di valori seri al suo interno ed una conseguente presa di impegno verso l'esterno. Per molti giovani, questo gruppo è stato la tavola di salvezza nell'attuale crisi culturale.

La nuova sensibilità giovanile

Dopo il caldo della contestazione, molte cose sono mutate. Disvalori e distorsioni di un tempo sono ormai tra le percezioni definitivamente sepolte. I giovani hanno una sensibilità notevole al riguardo. Chi tentasse di ricostruirle, anche all'insegna di raffinati camuffamenti, si troverebbe davanti un muro impenetrabile. Ma sono state recuperate istanze che l'onda polemica della contestazione sembrava dare per superate.
Ed è su questa raggiunta maturità che possono essere ritessuti i fili di un nuovo tipo di associazionismo.
* Questo difficile tempo in cui viviamo, segnato da rapidi cambi e da crisi di valori, è vissuto da non pochi giovani e gruppi con toni ecclesialmente molto maturi. Mai come oggi la Parola di Dio ha uno spazio preminente nella vita quotidiana dei gruppi giovanili. Voci come «comunità», «corresponsabilità», «servizio» assumono spessore di concretezza e realismo veramente significativi. La preghiera, la celebrazione eucaristica e l'esperienza ecclesiale segnano il ritmo normale di crescita di giovani e gruppi. Esiste, in altre parole, una riscoperta di valori evangelici e teologici, pronti per ricostruire in novità una matura vita di Chiesa.
* I giovani più sensibili credono nell'istituzioni. Non solo per un principio di realismo politico, ma per la loro imprescindibile funzione sociale. Bisogna intenderci. Non credono a questa o quella istituzione: ne contestano oggi molte più di ieri e con maggior precisione di argomenti. Credono invece alla funzionalità di strutture che «codifichino» i rapporti sociali fondamentali, liberandoli dallo spontaneismo e dall'improvvisazione velleitaria. Quindi credono ai collegamenti anche tra gruppo e gruppo. A patto che siano sciolti da ogni burocratizzazione e da ogni forma di verticismo. Credono alle istituzioni capaci di conservarsi al servizio della persona.
* È stata riscoperta anche l'organizzazione, come funzione di servizio. L'hanno riscoperta proprio i gruppi che la temevano maggiormente. E con l'organizzazione, tutto un certo apparato «tattico», prezioso a partire dalla natura «sociale» dell'esperienza umana: leadership ufficiale e «carismatica», fogli di collegamento, manifesti, strutture tecniche e, persino, labari e bandiere.
* La spinta a collegamenti viene sempre più avvertita come esigenza di serietà professionale e di incidenza sociale, visto che non è possibile modificare la realtà se non attraverso una pressione ben orientata e di «massa». La coscienza di classe diventa, in questo contesto, costruzione di una solidarietà operativa, per poter «incidere».
* Sta facendosi strada nei gruppi più maturi l'urgenza di superare lo spontaneismo nei rapporti interpersonali e la ricerca di una coesione solo improntata di interazioni amicali. Si avverte con crescente chiarezza la funzionalità integrativa dalla gratificazione psicologica e la necessità quindi di «sgonfiare» il mito dell'amicizia, per creare condivisione matura di progetti, concentrazione sui valori, maturazione comune di impegni storici.
* Questo insieme di percezioni ad una condizione irrinunciabile: il rifiuto di ogni struttura piramidale e di ogni collegamento verticistico. Il valore è e deve restare la persona e il singolo gruppo. Nei gruppi avviene la scoperta di valori «importanti».
I gruppi più maturi sentono il bisogno di comunicare questi valori all'esterno e di confrontarsi con altri. Ne nasce così uno scambio arricchente ed un reciproco sostegno. Diventano logici il contatto e il collegamento.
Molti dei gruppi che pullulano nelle istituzioni ecclesiali sono ancora invece molto concentrati verso l'esperienza interna, spesso preoccupati di aprirsi sull'esterno, per le ventate di novità che mettono sotto critica la coesione. Si ha paura di una «pluralità di appartenenze», che spesso sbocca in un conflitto di valori.
Eppure la strada della crescita è proprio su questa direzione: si matura nei termini in cui si è capaci di rompere il cerchio chiuso della propria sufficienza, in cui ci si «decentra». A costo di scossoni e difficili momenti iniziali.
Tocca perciò all'animatore e ai membri più cresciuti del gruppo, l'impegno educativo di «aprire», di spingere a confronti, di collegare.
Il collegamento, come sempre, sui «valori» che definiscono la propria identità e quella degli altri, per un confronto.
Sui valori nasce convergenza e una forma più ampia e matura di «coesione».
Il processo è testimoniato dalla diffusione capillare di nuclei di giovani e di gruppi che si riconoscono in alcune esperienze comuni: si pensi alla capacità di presa che ha oggi Taizé, e alla forte risonanza di alcuni movimenti sociali e politici, per non fare che due esempi fra i tanti.

Un progetto: il movimento

Raccogliendo le indicazioni che emergono da queste tendenze, ci pare possibile tentare una proposta: un nuovo associazionismo giovanile come movimento di gruppi giovanili, collegati dalla condivisione di uno stesso fascio di valori.
Ci spieghiamo.

* Valori «scoperti» e non imposti
Molti gruppi giovanili stanno muovendosi alla ricerca di un progetto globale attraverso cui raggiungere unità, tra i membri e nel pluralismo di attività.
Ogni gruppo dà una dimensione molto particolare a questo progetto. Eppure esso contiene tratti comuni, in cui altri gruppi possono facilmente riconoscersi.
Convergere verso questo «progetto», tra gruppi, significa avvertire il conforto dell'«essere in tanti» e il confronto critico di chi sta battendo la stessa strada. L'esperienza di uno arricchisce gli altri. L'elaborazione di ulteriori sviluppi facilita il lavoro di ricerca e permette una canalizzazione di energie verso una efficacia più ampia. I valori sono emersi dal basso. Continuano a serpeggiare a livello locale. Nessun vertice li assume per gestirli autoritativamente o per burocratizzarli.
Uno strumento di collegamento, che faccia quasi da specchio di riflessione e di amplificazione, diventa però prezioso per mettere in circolazione esperienze e conquiste.

* Dall'unico progetto attività diverse
Se il progetto è maturo, ampio, capace di afferrare la vita, esso può essere vissuto in attività diverse, come risposte diverse alla sfida della vita che giunge unica anche in un pluralismo di situazioni.
Non c'è nessun bisogno di programmare attività in comune. Esse devono rispondere prima di tutto alle urgenze storiche. E queste per definizione sono sempre «tipiche». La convergenza tra gruppi è sul progetto che dà corpo e contenuto alle singole attività, non sulle attività, né tanto meno sui programmi.
Il movimento cioè non si costruisce, raccontandosi reciprocamente le attività fatte, o, peggio, progettando dall'alto attività, ma nel confronto sui valori e sul progetto di base da cui le diverse attività derivano ispirazione e significato.

* «Valori» e movimento
L'insieme dei valori, raccolti dalla vita reale dei singoli gruppi interessati al «movimento», diventa il concreto punto di coagulo.
Attorno a questi «valori» (i contenuti centrali del movimento) possono nascere nei gruppi queste due attenzioni operative:
- verso l'interno dell'esperienza di gruppo: l'invito ad approfondire il significato operativo dei valori in cui ci si, riconosce, collegare a questa tensione le singole diverse attività, verificare se in queste stesse attività l'anima dei valori è presente, accettare di centrare la coesione interna prima di tutto su questo progetto;
- verso l'esterno: l'invito al gruppo a comunicare le sue «conquiste» culturali, per permettere a molti di condividere la propria ricchezza (il processo è evidentemente reciproco); il gruppo può essere interessato a momenti «formativi» a raggio vasto (regionale, nazionale?), può fruire del «materiale» di studio e di riflessione messo in circolazione, soprattutto può scoprire gioiosamente di condividere con tanti altri un'esperienza di impegno umano e cristiano, per cui vale la pena vivere, lottare e sperare.

* L'impegno per la «liberazione»: il perno del movimento?
Non è possibile stabilire a priori un progetto capace di catalizzare i gruppi. Questo è il terreno della ricerca: quello su cui si gioca la credibilità definitiva del movimento che si sta ipotizzando. Non partiamo però da zero. Esistono molti gruppi giovanili già decisamente collegati attorno a valori in cui si riconoscono (o per proposta o per scelta). È evidente che per loro il nostro è solo discorso metodologico: offriamo un contributo a verificare i propri «ingranaggi» operativi, senza entrare affatto nei contenuti che qualificano la loro specifica identità.
Altri gruppi, invece, stanno vivendo in proprio valori interessanti, ma sono sospettosi (e spesso riottosi) nei confronti di ogni proposta di collegamento. Hanno fatto un'opzione radicale per un impegno di liberazione. Nella liberazione si riconoscono: anche se con sfumature diverse e, felicemente, con attività pluraliste.
Potrebbe diventare la «liberazione» il progetto globale «dal basso» su cui innestare la proposta, per questi gruppi che sentono il desiderio di aprirsi e non hanno una collocazione in movimenti già esistenti?
Lo crediamo fortemente e lo proponiamo alla riflessione e al confronto dei gruppi interessati.
Perché la «liberazione»?
- salda in forma corretta fede e impegno politico, ricapitolando così contenuti educativi ormai irrinunciabili (il termine «liberazione» è equivoco, perché è spesso utilizzato in contesti diversi. Per noi però ha ormai uno spessore ben assodato, per i molti discorsi che ne sono stati fatti. Ci riferiamo, in sintesi, alle riflessioni contenute in La liberazione, un dono che impegna, LDC);
- è valore totalizzante, tale cioè da afferrare la totalità della vita e dell'esperienza di gruppo;
- permette un ventaglio di attività;
- per molti gruppi è il principio interno di una coesione matura capace cioè di superare i soli rapporti primari;
- e, soprattutto, è una sensibilità largamente diffusa, su cui molti gruppi hanno riflettuto e lottato a lungo e che di fatto descrive già il perno di «movimento» per molti gruppi giovanili.


QUALE COLLEGAMENTO?

E siamo al punto nodale di tutto il discorso. Molti gruppi accettano di parlare di movimento, di confronto su valori comuni e condivisi, ma sono refrattari a qualsiasi sfumatura di collegamento. Serpeggia il timore di essere catturati nuovamente nelle spirali della struttura verticistica, da cui ci si è finalmente liberati.
Il timore è fondato. Ed è importante conservarne lo spettro davanti allo sguardo, proprio nel momento in cui si ripropone il discorso del «movimento».
Senza un minimo di struttura di collegamento non può però esistere movimento. Rifiutare l'una comporta meccanicamente il rifiuto dell'altro. Se esperienza e riflessione mettono oggi nuovamente l'accento sulla necessità di un movimento tra gruppi giovanili ecclesiali, per coordinare energie in un servizio maturo e per superare la tentazione velleitaristica, diventa irrinunciabile la progettazione di strutture di collegamento.

Criteri per un collegamento

Confrontandosi con molte realizzazioni, ci pare di poter descrivere almeno due «criteri» di collegamento tra gruppi.
Ci sembrano i motivi che possono orientare verso un certo collegamento e i modi con cui esso potrebbe realizzarsi.

* Collegamenti e complementarietà
I gruppi che agiscono in uno stesso luogo (città, quartiere, parrocchia, diocesi) «dialogano» di fatto con le stesse concrete persone, anche se in modi e con forme diverse, per il fatto di occupare un comune territorio fisico e di interessarsi di problemi comuni.
Quando una stessa persona è raggiunta da proposte diverse, si può parlare di reale servizio solo se le varie proposte sono coordinate e complementari. In campo educativo si afferma spesso la necessità di un coordinamento tra operatori «in vista dell'unità interiore della persona». È un criterio molto importante, per non camuffare sotto etichette, gesti di potere e proposte di manipolazione culturale.
Coordinare non significa canalizzare in un'unica direzione, né tanto meno costringere tutti a fare la stessa cosa. È importante, al contrario, il pluralismo di attività. Ma a patto che esse siano risposte complementari all'unica profonda esigenza.
Questo a tutti i livelli: dall'impegno educativo a quello politico, a quello strettamente ecclesiale.
Per raggiungere fattivamente questo indispensabile coordinamento tra i vari gruppi operanti in uno stesso ambiente, non basta la buona volontà o l'intesa vaga. Si richiedono « strutture » minime che ne assicurino un funzionamento adeguato.
Quali strutture? E un discorso tutto da inventare.
Le esperienze mature, però, non mancano. Soprattutto in campo ecclesiale si avverte la necessità di un collegamento con l'istituzione (parrocchia e diocesi) per una comunione reale che, superando adolescenziali conflitti, raggiunga un'oggettiva dimensione di «cattolicità», anche grazie alle opportune strutture.
Queste stesse esperienze indicano anche il ruolo delle istituzioni in questa nuova prospettiva associazionistica. I gruppi accettano il collegamento quando hanno la percezione che nessuno sta, a titoli diversi, «catturandoli», o nel tentativo di istituzionalizzare immediatamente la tensione verso il coordinamento o, peggio, manovrando i nodi della convergenza per sottili giochi di proselitismo vecchia maniera.
In altri termini, la maturità oggettiva del gruppo deve aprire al collegamento come l'accettazione della nuova sensibilità associazionistica deve modificare una tendenza burocratica non ancora totalmente rientrata.

* Crescita nel confronto (la «formazione» come crescita comune in un progetto e nella condivisione di valori)
Ogni gruppo è chiamato a definire, con una certa precisione, la propria identità, collegando le attività che gestisce con un « progetto » intessuto di valori.
I gruppi maturi sanno continuamente mettere sotto discussione progetto e identità, non per smarrirli al primo soffiare di vento contrario, ma per «arricchirli» in un dinamico confronto con altri. Non è facile, perché incombe la tentazione di assolutizzare la propria esperienza o di entrare in rapporto con altri da «potenti», per sopraffarli o per giudicarli dall'alto della propria sicurezza.
Per questo l'invito al confronto, serio e onesto, va spinto, sostenuto La motivazione di fondo è unica: la crescita propria (nei termini in cui si accetta la logica del «decentrarsi») e quella altrui.
Aprendosi ad altri, i carismi di cui ogni esperienza particolare è ricca, vengono proposti come stimolo e le inevitabili lacune facilmente «coperte».
Ci si sente inoltre in tanti, capaci di incidere: essere in tanti fa speranza. È l'avventura positiva di molti gruppi sorti sulla trasmigrazione di persone o di idee (si pensi, per esemplificare, a movimenti politici presenti in tutta Italia, anche a livello giovanile), o al contatto con esperienze o leaders fortemente «carismatici» (alcuni gruppi di impegno sociale o i movimenti tipo cl o «focolarini»).
Anche a questo livello nasce l'esigenza di un minimo di strutture di collegamento, che facilitino il contatto con la matrice del movimento, ne permettano l'«ortodossia» attraverso il continuo confronto, ne curino l'allargamento attraverso la «stampa» specializzata.

Strutture di servizio

Le battute precedenti hanno sottolineato a più riprese la necessità di dare corpo al movimento (quale? non l'abbiamo detto, perché la risposta compete ad ogni insieme di gruppi concreti) anche attraverso la costituzione di strutture minime di servizio.
Vogliamo spendere qualche parola specifica, per indicarne la portata e i limiti.
* La priorità è sempre «dal basso»: nessuna struttura può sovrapporsi in forma direzionale alla realtà dei gruppi locali. La struttura inoltre è mezzo e non fine. Il punto di coagulo del movimento sono i valori condivisi. Il movimento non è creato dalla efficienza di struttura ma dai valori condivisi e fatti circolare. Si è «assieme» non perché collegati, ma in quanto decisi a condividere un comune progetto.
Parlare di strutture di collegamento, in questo contesto, significa perciò rifiutare decisamente ogni carattere impositivo.
* Anche il dosaggio di quantità di strutture è un fatto importante.
Parliamo di strutture «minime». Nessuna organizzazione fine a se stessa, ma quel tanto che basta per servire la persona, sul piano delle sue attese e in vista della sua crescita. Le forme organizzative vanno finalizzate alla circolazione dei valori. La funzionalità per la crescita delle persone e dei gruppi è il criterio di validità.
* Vanno concretamente inventati gli strumenti utili a creare quella circolazione di valori cui si è spesso accennato, secondo i due criteri del servizio e della formazione: stampa comune, utilizzazione critica dello stesso materiale di studio e di azione, proposta di strumenti di analisi, confronto su esperienze, incontri tra leaders, incontri a raggio più vasto tra i membri dei gruppi, incontri con esperti (attenti però a non far un movimento di tecnici o di teorici o di leaders, che si scollino presto dalla base).
Il tutto, sempre, non per canalizzare né per «organizzare». Ma unicamente per favorire la messa in comune dei valori già presenti nelle singole esperienze.
* Ai gruppi ecclesiali si richiede una consapevolezza di fondo, una quasi struttura capace di portare seriamente tutto il «movimento». La «comunione» tra figli di Dio è un fatto: un dono da accogliere prima di essere una costruzione da elaborare. Il «movimento» esiste nel progetto d'amore del Padre, che chiama e convoca. Va scoperto prima di essere «costruito».

UNA PROPOSTA INTERLOCUTORIA

Per molti gruppi, le cose scritte in queste pagine sono fatto scontato. Abbiamo elaborato una proposta, partendo proprio dalle loro realizzazioni.
Per altri, il discorso può suonar nuovo.
Non vogliamo fare un discorso che interessi solo i gruppi d'élite. Sono proprio i gruppi ai primi passi che hanno bisogno di ricevere una mano per crescere.
La proposta contiene un traguardo. Ogni gruppo potrà valutarlo e adattarlo alle sue concrete misure.
La nostra intenzione è chiara. Ci pare importante superare il frammentarismo e lo spontaneismo ad oltranza. Hanno dato ambedue i loro frutti. Ma oggi in essi incombe il rischio di scollarsi dalla realtà e di perdere, quindi, di maturità e funzionalità.
La risposta non è la ristrutturazione dello spontaneo, attraverso una canalizzazione in piste prestabilite e manovrate dall'alto.
Il nostro progetto è un altro: la convergenza anche esterna sui valori di fatto comuni. Per arricchirsi e sostenersi reciprocamente, in un tempo difficile come è, per molti versi, il nostro.
A questa condizione l'esperienza di gruppo oggi può camminare in avanti.