Giovanni Vecchi
(NPG 1979-10-03)
Le riflessioni sul «sistema preventivo» di Don Bosco ci hanno portato ad accumulare una serie ampia di dati. Si tratta di «materiale di lavoro» da montare in un progetto organico e articolato.
Certo, ogni comunità educativa deve farsi il suo progetto, commisurando idealità e realtà, verso un possibile concreto e storico.
In base a quali criteri, però, fare questo progetto?
L'articolo che segue, offre una rassegna molto stimolante di criteri per elaborare un progetto. Si tratta, quindi, di un discorso molto importante, perché le cose dette precedentemente possano confluire in prassi educative e pastorali.
Tra le righe dell'articolo, è facile accorgersi che l'autore pensava soprattutto all'istituzione scolastica, mentre stendeva questo suo contributo. Siamo convinti, però, che le cose dette siano facilmente estensibili a tutte le «situazioni» educative e pastorali (oratorio, parrocchia, gruppi e movimenti giovanili...).
Un'ultima sottolineatura. Anche l'autore ricorda che condizione fondamentale per l'elaborazione di un progetto è la «partecipazione»: la condivisione operosa dei fini e della ricerca sui mezzi. Questo significa che l'articolo seguente dovrebbe essere attentamente meditato da tutti coloro che di fatto costituiscono ogni concreta comunità educante.
La mia esposizione è sulla linea della metodologia: non riguarderà però il metodo dell'intervento particolare del singolo educatore su un aspetto particolare.
Sovente quando parliamo del Sistema Preventivo non oltrepassiamo la considerazione individuale: ci è facile ripensare a un educatore che sa amare, essere vicino, comprendere. Più difficile ci risulta cogliere e attuare ciò che significa la parola sistema, cioè, la convergenza e mutuo riferimento, la organicità di svariati elementi.
Io risponderò piuttosto a questa domanda: come attualizzare oggi la esperienza globale del Sistema Preventivo? Quali sono le linee di lavoro che le comunità devono assumere affinché nelle circostanze odierne di personale, di destinatari, di condizioni ambientali riescano a continuare dinamicamente non un tratto, ma l'esperienza totale di Don Bosco?
DALLE PROGRAMMAZIONI AL PROGETTO
Perché «progetto»?
La parola progetto sembra di moda. Anzi, per coloro che solo l'ascoltano intensamente ripetuta e riferita ai più svariati aspetti dell'attività, può sembrare già logora. Forse questi non si prendono la briga di pensare che una nuova situazione storica comporta il suo uso frequente.
L'irruzione di una parola nell'uso comune è indice di un cambiamento storico tanto quanto lo è la sostituzione di uno strumento di lavoro con un altro. Tra l'uso comune della parola «carrozza» e quello della parola «macchina» c'è di mezzo la stessa evoluzione che c'è tra i due oggetti che queste parole indicano.
Oggi si parla di «Progetto di vita», «Progetto di società», «Progetto religioso», «Progetto educativo», «Progetto storico». La parola è saltata dall'ambito delle costruzioni materiali al piano culturale. A tal punto che sembra si voglia esprimere l'esistenza umana in termini di progettualità e di progettazione. L'estensione del significato di una stessa parola a diverse aree, è un fatto comune di linguaggio. Una parola esce dalla scienza in cui è stata coniata per esprimere un fenomeno, e invade tutte le aree del pensiero e dell'attività, esprimendo la stessa struttura fondamentale di realtà diverse. Basti pensare alla parola «struttura» applicata agli edifici, alla personalità, alla società, al linguaggio, al pensiero.
Progetto è una di queste parole. Non è stata diffusa dalla pubblicità, ma è nata dalla nuova comprensione di se stesso che l'uomo ha raggiunto e dalla sua maniera tipica di vivere la propria esistenza. Il suo uso frequente è naturale e inevitabile.
La parola progetto comporta un richiamo alla creatività, al reale e al futuro.
Difatti progetto, diversamente da quello che significano le parole «norma» o «regolamento», è un'operazione «creativa» dell'immaginazione sorretta dalla tecnica e dalla scienza, che però non deriva con rigore deduttivo dalle conclusioni di queste.
È un incontro libero con la realtà. Un progetto educativo non è un trattato sull'educazione, né sugli educandi, né sugli educatori. Ma una maniera personale di combinare tutti questi e altri elementi forniti dalla scienza e dalla osservazione personale, conforme a certe scelte esistenziali, la cui radice è più profonda e globale che qualunque sviluppo particolare di ricerca scientifica.
Però oltre che di creatività, progetto indica una azione sul «reale». Questo è il luogo del progetto. In questo si differenzia da uno studio, da una ricerca. Quando facciamo un progetto, i concetti e le spiegazioni hanno la funzione di aiutarci a destreggiarci con più facilità, chiarezza, rapidità ed efficacia tra le persone, tra le cose, tra i fenomeni. La finalità e la modalità del progetto e la maniera di verificarlo e agire.
Finalmente progetto fa riferimento a un «futuro»: un progetto è una «intenzione»; i suoi risultati e la sua attuazione si collocano dopo il momento della progettazione. Ma questo futuro ha una faccia: non è un futuro imprevedibile, ma un futuro calcolato; un futuro che si costruisce calcolando trasformazioni effettuabili, partendo dalla realtà che noi abbiamo avanti. Progettare è l'arte dell'anticipazione.
Nel progetto c'è la combinazione di vari elementi
All'uomo di oggi la parola progetto riferita alla sua vita o ad un tipo di attività a cui non la si applicava prima, è comprensibile anche per altri motivi. Un progetto è la combinazione di elementi vari. I moduli li danno le scienze; la convergenza e l'unificazione le opera l'uomo. Ora la complessità della vita, la divisione del lavoro, la frammentazione dell'esperienza, la fugacità delle relazioni, fa sì che egli senta il bisogno di ricostruire una certa totalità, raccogliendo i frammenti in un progetto unitario. Per noi è rifare la sintesi, l'unita educativa che fu propria di Don Bosco.
Poi c'è il senso dei fini. In un progetto si sa a che cosa si tende. Lo sanno tutti: coloro che sono nell'alta direzione e coloro che compiono un lavoro spicciolo e umile.
Si supera così il carattere puramente «funzionale» e «mercantile» della prestazione di lavoro, tipica di colui che fa un pezzo senza sapere a che macchina andrà a finire, né a che servirà la macchina a cui va il pezzo che sta lavorando.
Il progetto come «personalizzazione» del lavoro e come partecipazione attiva per definire e conseguire i fini è una forma di resistenza alla considerazione puramente commerciale della prestazione. Progetto comporta visione della totalità, compresi i fini e le mete.
Nell'area educativa, alcuni anni fa eravamo convocati e sollecitati sovente a fare e rivedere programmi scolastici, organizzazione di attività, calendari. Progetto era un termine che appariva quando si trattava di una struttura edilizia: nessuno al sentire l'espressione «progetto di scuola», «progetto di oratorio», si sarebbe riferito mentalmente ed immediatamente ad altro che all'edificio.
Programmi, azioni, calendari, sono aspetti parziali e strumentali. Si dava per scontato che tutto questo si integrava in un quadro di riferimento cosi evidente che non aveva bisogno di essere enunciato. Tutto era indirizzato verso mete e finalità presumibilmente chiare e univoche. Era abbastanza condiviso che cosa voleva dire «un buon cittadino» e per i credenti «essere un buon cristiano».
Da alcuni anni si insiste sul fatto che ogni istituzione, che offre un servizio di educazione, elabori il suo progetto educativo; si è richiesto di passare dalla logica della programmazione, alla logica del progetto, al cui compimento si ordinano le programmazioni.
Vi sono delle ragioni.
Un progetto educativo oggi distingue e qualifica un gruppo di educatori, in una società che è caratterizzata dal pluralismo delle scelte, non soltanto settoriali o parziali ma globali sul senso dell'uomo e del mondo. Un progetto educativo obbliga a esplicitare obiettivi e rende possibile la revisione non soltanto del «rendimento» dei giovani, ma anche dell'opportunità ed efficacia degli interventi educativi.
Un progetto educativo ha come funzione di far convergere i ruoli e gli interventi in modo da evitare il settorialismo o la giustapposizione di quelle prestazioni professionali che ignorano o che prescindono dai fini.
La prima linea metodologica è dunque quella di recuperare a livello del singolo e della comunità l'unita dell'azione educativa esplicitando le finalità, gli obiettivi, le attività e gli interventi.
LA COMUNITÀ EDUCATIVA ELABORA IL PROGETTO
Chi elabora il progetto
A questo punto si mette la domanda: Chi fa il progetto? Uno specialista? L'autorità?
La risposta è: il progetto, per raggiungere i suoi fini, deve essere elaborato, assimilato e applicato dalla comunità educativa.
Il discorso sulla comunità educativa non è di oggi. Dalla istituzione educativa, concepita come proprietà di un gruppo dirigente, qualificato nella sua specialità, che fa un'offerta di educazione, si è passato per gradi al criterio di partecipazione e di gestione comunitaria. Il fenomeno ha percorso i seguenti passi: si è cominciato a parlare della collaborazione sistematica tra genitori ed educatori; poi si è sottolineata la necessità di partecipazione dei giovani alla programmazione educativa.
Ciascuno di questi passi rappresenta oggi, per coloro che li hanno compiuti, un antecedente favorevole: averli studiati e tentati ci ha portato ad ulteriori esigenze.
L'insistenza di oggi va sulla prospettiva personale, più che su quella strutturale; sulla «formazione» della comunità educativa, più che sulla organizzazione per mezzo di uno statuto.
Si parla di animazione, di coscienza comune, di impegni vissuti per costruire un segno dell'unità della Chiesa.
Dico insistenza, non esclusività. Infatti anche l'istituzionalizzazione è indispensabile almeno in un certo grado. Se però al di sotto non esiste la realtà della comunione, finisce per mettere le persone in rapporti di forza e stabilisce all'interno di una istituzione educativa lo stile parlamentare.
I nuovi rapporti trovano espressione negli statuti, ma non provengono né sono creati da essi. Ci si invita a superare la concezione imprenditoriale basata sull'offerta, lo studio della domanda, i giudizi di gradimento, i clienti, le buone relazioni tra gli interessati al prodotto. Ci si invita anche a superare la concezione parlamentare basata sulla partecipazione in dialettica di forza, di «rappresentanza» di gruppi che sostengono interessi diversi.
La novità dei rapporti può concepirsi sulla linea di forza dell'assenza-presenza e passare da rapporti scarsi a rapporti frequenti. Può concepirsi sulla linea della partecipazione-esclusione e migliora ammettendo la partecipazione di gruppi e di persone che prima non partecipavano. E tutto questo non è indifferente.
Ma la novità di rapporto può andare più in la della frequenza e dell'estensione e puntare sulla qualità: vuol dire passare da un rapporto di lavoro, o anche professionale, ad un rapporto pastorale; cioè di membri di Chiesa che cercano la crescita nella fede. Anzi ad un rapporto vocazionale. Cioè di senso e di scelta di vita, e di assunzione di una missione in comune.
Il progetto crea la comunità educativa
Un progetto crea comunità. Ma la presuppone anche, almeno come proposito e intenzione.
Il che ci dice che la sola redazione del progetto non sarà mai sufficiente nemmeno per dare ampio respiro a se stesso. La sua lettera suppone un insieme di persone più ricche di umanità di quanto il progetto scritto riesca ad esprimere. Per questo la comunità educativa si presenta in primo luogo come testimonianza di valori.
«La collaborazione responsabile, la partecipazione vissuta, dice il Documento sulla Scuola Cattolica a proposito della comunità educativa, è di natura sua testimonianza che non solo edifica il Cristo nella comunità, ma lo irradia diventando segno per tutti» (S.C. n. 61). Da questo proviene il programma totale, non settoriale, di una comunità educativa, che si esprime con la formula: lavorare insieme, pregare e celebrare insieme, condividere l'esperienza umana e cristiana. È questa la traduzione odierna di uno dei principali elementi dell'esperienza di Don Bosco: il clima è la realtà di una famiglia che educa.
E quali sono gli elementi che uniscono sempre più fortemente le comunità?
In primo luogo enuncerei la chiarezza dei fini e l'univocità dei fini. Se i fini non sono definiti, si compromette fin dall'inizio la composizione umana della comunità e la sua linea di progettazione e di progresso. Su altri elementi si può ammettere pluralità nella misura che le circostanze di ciascun gruppo lo richieda... non sulla definizione dei fini. Questo capita già a livello di qualunque gruppo di lavoro.
La domanda è: vale la spesa, c'è speranza di arrivare a qualche cosa in educazione se non abbiamo certi valori comuni e non sentiamo la responsabilità e la gioia di approfondirli, proporli e trasmetterli ed essere testimoni di questi valori?
C'è molta differenza tra l'insegnare e l'educare, tra l'educare simpliciter e l'«evangelizzare educando». E anche se queste scelte sono alla portata e dentro le possibilità di un cristiano, una comunità educativa non può non definire su che piano intende collocarsi.
Le finalità non risultano chiare immediatamente e d'un colpo. È necessario ritornare ad esse per approfondirne il significato, le implicanze e le conseguenze nuove, chiarirle in analisi successive ed evidenziarle. Ritornare alle finalità e interrogarsi sul perché esistiamo come comunità educativa è dunque riprendere contatto con la propria ragion d'essere. Questo crea la coscienza comune.
Fare strada assieme
Inoltre la comunità si rafforza per i valori condivisi non solo a livello di enunciazione, ma di esperienza.
Quali sono i valori che circolano in un gruppo di educatori, e qual è lo stile e il livello di condivisione? Gli animatori dovranno farsi la domanda del come li propongono, come li esplicitano, come li fanno approfondire e che occasione cercano per condividerli e crescere assieme in essi.
Su due versanti si può essere in difetto: o il gruppo riesce ad esprimere valori capaci di unire persone adulte; o mancano i canali e le opportunità di comunicazione ed espressione. Sui valori circolanti, c'è posto per una tipologia delle comunità educative: ci sono gruppi che non esprimono nessun valore, sebbene certe speranze e certi ritagli di valori siano attaccati al nome, alla tradizione dell'istituzione, o anche molti degli educatori ne siano portatori. Il programma comune non emerge. L'azione educativa appare ancora lottizzata in ruoli funzionali e non comunicanti tra loro se non a livello di coesistenza non conflittuale. L'aspetto di comunione di persone è sotto il peso dell'organizzazione dei ruoli.
Ci sono gruppi nei quali i valori che circolano si limitano alla competenza, alla disciplina, alla efficienza, alla prestazione cosciente di lavoro.
Sembra poesia o idealismo ipotizzare un gruppo che esprima insieme ai valori professionali, anche l'amore per i giovani e l'interesse per offrire loro l'ideale cristiano della vita, l'apertura al mistero di Dio, la mutua solidarietà e condivisione a livello di senso di vita.
I vincoli vocazionali riconosciuti come una misteriosa destinazione a lavorare insieme sono un'altra forza «unitiva» della Comunità.
La via è quella della comune opera di educazione cristiana.
Tra professione e vocazione ci sono differenze. La vocazione coinvolge il senso della vita, la dedizione di tutte le forze, la logica della gratuità, non nel senso che le prestazioni non siano retribuite monetariamente, ma nel senso che l'intenzione va al valore e alle persone più che alla prestazione tecnica: il senso della «vocazione educativa» e il rilevare e coltivare i vincoli che da essa provengono, può dare al gruppo la consistenza e il tono di una comunità educativa.
Fare strada insieme. Non tutto può essere definito, né calcolato fin dall'inizio. Anche se alcune intese di fondo sono indispensabili fin dall'inizio, non mancheranno sfide di ripensamento e opportunità di crescita.
L'affrontarli insieme non ha come finalità soltanto di risolverli con soddisfazione di tutti, ma di mantenere salda e di far crescere la stessa comunità che è l'ambiente della educazione. Ma la strada che si fa assieme non è in qualunque direzione.
Nella reciproca comprensione si potranno più facilmente trovare i punti d'accordo e di convergenza su quel progetto educativo a cui insieme ci ispiriamo.
Non dunque un regolamento di lavoro e nemmeno un annaspare, un fare e disfare le convergenze senza direzione. Ma su finalità e criteri di base condivisi, affrontare insieme programmazioni e revisioni, difficoltà e arresti, riprese e tempi di crescita. La tensione tra una apparente lentezza di realizzazione e una maggiore partecipazione e crescita di tutti i membri della comunità si deve risolvere a favore di questa.
LINEE DI RIFLESSIONE PER ELABORARE IL PROGETTO
Poniamo quest'altra domanda: che strada deve fare, dove e che cosa deve guardare la comunità per fare un progetto?
Attenzione alla condizione giovanile
La prima linea di riflessione e di attenzione è la realtà giovanile come «condizione».
Questo non è un atteggiamento tattico per fare assimilare ciò che noi proponiamo, ma un entrare in sintonia col mondo giovanile allo scopo di percepire le sue attese.
Si parla della «condizione giovanile» e non del singolo giovane. Si rileva così che la conoscenza del singolo comporta e richiede la comprensione delle componenti, delle costanti, dei dati emergenti, delle proposte implicite, delle gratificazioni sociali, delle paure collettive, delle esigenze di gruppo e di ambiente dove questo singolo respira e della struttura dove questo singolo deve portare avanti la sua inevitabile evoluzione.
La condizione giovanile è oggi tema di studio e discussione. Gli operatori di educazione hanno un compito più difficile di coloro che descrivono soltanto questa situazione: trarre da essa proposte e metodi per far percepire i valori.
Alcuni temono che ci sia nei pastori e negli educatori del giovanilismo: con questo vocabolo intendono il considerare il Vangelo o i valori, solo o principalmente come risposta alle attese dei giovani. Sia che questa considerazione la si riferisca alla sostanza del messaggio (il che sarebbe veramente grave), sia che la si pensi come una metodologia pedagogica, dicono, ha come effetto di far cadere il carattere assoluto e originale del Vangelo: il Vangelo di fatto è quello che è; e interpella come è, qualunque siano le attese o le pretese di coloro a cui è annunciato. Il Vangelo non solo risponde, ma chiama; non solo dà risposte, ma fa proposte originali e impensabili.
La condizione giovanile richiede dunque non soltanto un rilevamento, ma una lettura evangelica. La sua fenomenologia ci viene offerta dalla scienza. Però l'analisi non è ancora la lettura e si sa che questa richiede una chiave che le è anteriore. La «lettura salvifica» non può non avere che come chiave ermeneutica la fede e la storia della salvezza che ne è l'oggetto.
All'analisi sufficientemente seria va aggiunto il contatto con i giovani. Se la salvezza è personale, il punto decisivo di comprensione e di interpretazione sarà nell'incontro delle persone nell'amore: a questo incontro servono di aiuto statistiche e scienze. La comunità educativa non solo legge sui giovani, ma convive e consente con essi, simpatizza ed ascolta. Dunque: analisi lettura contatto vivo.
Conviene ricordare che con gli strumenti e metodi del suo tempo Don Bosco portò il suo sguardo penetrante sulla psicologia individuale dei suoi ragazzi e sulla loro situazione di vita.
Basta ricordare la tipologia casalinga inserita nel trattatello del Sistema Preventivo, il discorso alle volte frammentario e occasionale sulla situazione dei piccoli emigranti e apprendisti, le sue deduzioni pedagogiche riguardo alla gioia e ai divertimenti, all'emulazione e all'ambiente.
C'è dunque una prima area a cui rivolgere lo sguardo e su cui fare delle domande quando si elabora un progetto:
- Chi sono i giovani per cui e con cui vogliamo lavorare in senso educativo?
- Cosa aspettano, cosa pensano, come si riferiscono a quella qualità di vita che noi denominiamo «umana» e «cristiana»?
- In che ambiente, in che società si trovano, in che processi sociali e culturali sono coinvolti o forse travolti?
La «memoria sociale»
La seconda linea di riflessione è la «memoria», cioè la tradizione, il patrimonio di una istituzione ecclesiale, educativa.
Noi ci inseriamo in una tradizione pedagogica la cui sorgente prossima è relativamente vicina: Don Bosco e la sua esperienza. Non è possibile proporre oggi il progetto educativo salesiano senza partire da Don Bosco e la sua esperienza tra i giovani. Non si può parlare di Don Bosco educatore senza evidenziare quattro elementi forse irripetibili nella loro sintesi, dai quali sgorga, come da una fonte, la sua sapienza pedagogica, e cioè:
- la sua capacità naturale di sintonizzare con i giovani; è stato detto che come alcuni nascono poeti, artisti o ricercatori, Don Bosco è nato educatore;
- la vocazione sacerdotale che modellò il suo cuore sulla misura del cuore di Cristo, lo mise in contatto con le espressioni più squisite della spiritualità cristiana e gli diede l'esperienza dell'azione di Dio nel cuore dell'uomo;
- la sua lunga e felice convivenza con i giovani di ogni tipo e condizione: «sono stato 40 anni tra i giovani e posso dire che essi mai mi hanno negato quello che io ho chiesto loro»;
- la sua riflessione per lo più occasionale ma continua e penetrante sul tema educativo.
Questa è la fonte. La pedagogia salesiana ha inizio non da una teoria, ma dalla storia di un educatore sacerdote e santo. Don Bosco alla sua morte lascio in eredità una sapienza e una prassi pedagogica. Il suo modo di comunicarla sono le massime brevi nelle quali si condensa l'esperienza, scritti confidenziali, biografie esemplari e alcune sintesi di linguaggio semplice e di carattere pratico.
Ma oltre agli scritti, lasciò una comunità di educatori ai quali affidò la sua eredità pedagogica.
La cultura, la scienza, la prassi sono processi accumulativi. Cosi lo è anche la pedagogia che è l'arte dell'educazione. La «memoria» di un popolo, di un gruppo umano è il senso delle proprie radici e della sua unità con la parte più valida di una esperienza precedente: ciò che rimane e persiste perché è dovuto alla stessa identità dell'essere. Per cui non ci è possibile assumere nemmeno il nostro presente se non prendiamo coscienza del come siamo arrivati dove siamo.
Ci sono cento anni di esperienza accumulati sulla base di un contatto reale coi giovani e di una inserzione in contesti vari: è il patrimonio pedagogico che configura l'identità di questo gruppo di educatori-apostoli. È anche il suo apporto più tipico alla Chiesa e all'umanità. Alcuni «testi» cercano di esplicitare ed esprimere il nucleo concettuale di questa esperienza. Ma la sua ricchezza totale si percepisce attraverso la riflessione sulla storia dell'uomo, Don Bosco, della comunità e dell'opera. Basti pensare che fatti di enorme risonanza e valore pedagogico, come il fatto delle missioni durante la vita di Don Bosco, sovente non si trovano inseriti in nessuno dei «testi» che intendono presentarci la pedagogia di Don Bosco.
Il senso «religioso» dell'esistenza e dell'educazione
La «memoria salesiana» offre alcuni elementi persistenti in una corrente dinamica: un senso religioso della persona del giovane, del suo sviluppo e del suo destino temporale ed eterno. È incompatibile dunque con qualunque scelta che parta da un apprezzamento agonistico, laico o ateo. L'ideale di uomo a cui si ispira è quello configurato a Cristo, amato da Dio, destinato a Lui.
Il «senso religioso» comporta che l'uomo si costruisca dalle risposte che partono dal nucleo della sua libertà. È dunque da questa che va impostato tutto il processo di educazione. Ed è questo che esige che il soggetto non sia funzionalizzato né ad un sistema, né ad un progetto collettivo, né ad esigenze immediate di tipo disciplinare o istituzionale. Il «senso religioso» ci fa vedere la persona in un piano e in una proposta di salvezza da parte di Dio in Cristo. Nella risposta a questa proposta si gioca la sua libertà.
Il «senso religioso» ci parla ancora dei condizionamenti esterni ed interni della libertà davanti alle scelte fondamentali di vita. L'educazione della libertà è anche educazione alla libertà, cioè liberazione dal male. Tutto questo richiede le mediazioni educative. Non dunque manipolazione, ma nemmeno abbandono alla pura spontaneità. C'è una azione specifica accompagnante, sanante, illuminante e sostenente dell'educatore.
Il «senso religioso» illumina la comprensione del soggetto e del suo destino; per questo il progetto educativo-pastorale illumina anche la funzione dell'educatore e la natura e funzione dell'azione educativa. Come fare chiara al giovane la proposta di salvezza che viene da Dio e come abilitare la sua libertà a rispondere con maturità in maniera che la sua persona cresca fino alle dimensioni che la sua vocazione comporta?
Come farlo «progressivamente» e come farlo «concretamente», «intelligentemente», senza produrre scissioni nella realtà percepita? Come far vivere l'offerta di salvezza nel suo quotidiano, fatto di gioia, famiglia, tensione verso la vita piena, scuola, esperienza di chiesa, incontri, cultura, inserimento nella società?
Attraverso una proposta integrale in cui tutte le sue aspirazioni sono valorizzate e illuminate dalla vocazione cristiana: le due dimensioni umanistica-cristiana fuse profondamente negli interventi, nelle attività, nelle motivazioni.
La proposta si esprime in un ambiente concreto in cui l'elemento più determinante non sono le cose, ma la comunità di persone e il loro stile di presenza e di rapporto.
L'incontro personale non soltanto tecnico o formale, ma pieno e libero nelle forme, nelle espressioni, nelle tematiche e la partecipazione alla vita del giovane personalizza la proposta educativa e la adegua al singolo.
Il richiamo alle forze interiori dell'amore, della libertà, della coscienza, della risposta da darsi a Dio costituisce la forza più grande di costruzione della personalità.
Attenzione alle scienze dell'educazione
E veniamo alla quarta linea di riflessione: l'apporto delle scienze pastorali e dell'educazione.
L'approccio scientifico alla realtà diventa ormai patrimonio di tutti e mezzo necessario per una comprensione organica e completa. La conoscenza scientifica come possibilità di operare è forse una delle caratteristiche che contraddistingue il momento che viviamo.
La fusione costante tra esperienza diretta, riflessione sapienziale e conoscenza scientifica conforma «l'intelligenza d'amore» con cui vogliamo avvicinarci alla gioventù, e risponde all'atteggiamento «sintetico», «di unità» di Don Bosco, che non tralasciava nessun mezzo o via per capire meglio il mondo dei giovani e arrivare a loro con efficacia.
Questa linea di riflessione comporterà di lavorare nella elaborazione del progetto in maniera interdisciplinare, contando su apporti vari e informazioni sistematiche, sulle cui basi interpretare meglio l'osservazione spontanea.
I FATTORI DINAMIZZANTI
La partecipazione
Il risultato più pregevole di un tempo dedicato alla progettazione con la dimensione di totalità, di futuro, di reale che questa comporta, non è un volumetto con formulazioni esatte, ma la formazione di una comunità educativa con coscienza della propria missione, con chiarezza riguardo alle finalità delle proprie azioni e con convergenza operativa sulle scelte concrete. Ciò ci dice che nell'elaborazione del progetto dobbiamo lavorare con tempi lunghi.
Come si mantiene in tensione di crescita una comunità complessa per un tempo notevole, o come la si mette in movimento se fino adesso ha assolto il suo compito in maniera abitudinaria?
La comunità è per principio composta da tutte le persone interessate al fatto educativo: gli educatori, i genitori, i collaboratori, i giovani, ciascuno, con le sue esperienze di vita e la sua visione dei problemi educativi; ma anche con i suoi impegni.
La prospettiva e le possibilità di partecipazione per tutti è dunque il primo fattore dinamizzante. Accettare la partecipazione vuol dire accettare la dialettica interna, gli apporti diversi, alle volte facilmente integrabili, alle volte in tensione che richiede pazienza e approfondimento successivo non solo di contenuti ma di atteggiamenti e di rapporti.
Dico che è un elemento dinamizzante perché dà origine ad una interazione tra le persone e sull'azione stessa, diversa da quella che ha luogo quando dall'inizio si prospetta il movimento interno del gruppo in termini di partecipazione ridotta.
L'animazione
La partecipazione di tutti richiede la presenza di un gruppo animatore al centro del quale si trova la comunità degli educatori. Non si tratta di un vertice, ma di un centro propulsore.
Perché gli educatori? Forse perché sono i proprietari e si sono riservati i ruoli direttivi? Le ragioni vengono da altre considerazioni. Il tipo di preparazione antecedente, la dedizione totale all'opera educativa, il sostegno dell'istituzione, la possibilità di comunicazione con l'esperienza educativa più vasta li abilita ad essere portatori della sensibilità essenziale per un progetto che voglia essere veramente promozionale.
L'inserimento della chiesa locale
Non penso però che in questi due punti - partecipazione e gruppo animatore - si esauriscano le risorse dinamiche di una comunità educativa.
Ce n'è un altro: l'inserimento nella Chiesa locale attraverso lo scambio e la collaborazione.
È questa una prima apertura ad una comunità più larga e a uno scambio e mutua integrazione nell'area specifica della gioventù e dei suoi problemi.
È impensabile che a livello di Chiesa particolare non ci sia oggi - con i problemi che presenta la gioventù e l'educazione - un dialogo e uno scambio educativo esplicito.
E non è concepibile che a questo dialogo non partecipino in maniera sistematica e con programmi definiti coloro che alla Chiesa apportano un carisma che riguarda in modo particolare il compito educativo.
Se il dialogo non fosse ancora aperto, il primo passo consisterebbe nell'impostarlo.
Alla dichiarazione del principio della funzione educatrice della Chiesa deve far seguito la proposta di una linea concreta di educazione dell'uomo in un mondo in cui i progetti non soltanto si diversificano ma si contrappongono; e alla proposta di una linea deve far seguito l'attuazione attraverso comunità educative che la fanno reale e visibile: queste sono espressioni di Chiesa e argomento della sua capacità di educare; hanno inoltre la possibilità di comunicarsi la molteplice ricchezza di cui partecipano e appoggiarsi per il conseguimento di mete e obiettivi.
Gli antecedenti delle Chiese locali in questo aspetto sono diversi secondo il rilievo che hanno dato nel loro seno ai gruppi che si dedicano all'educazione della gioventù.
Per ogni comunità educativa lo scambio significherà sempre una maniera concreta di essere Chiesa e di approfondire la propria funzione nell'organicità dell'azione con cui lo Spirito propone all'umanità le sue mete definitive.