Catechesi giovanile in un mondo secolarizzato


Giancarlo Negri

(NPG 1970-08/09-72)

DAL LAICO «INVENTATO» DAI TEOLOGI AL LAICO ACCETTATO DAI TEOLOGICI (SVILUPPI DAL VATICANO I AL VATICANO II)

La catechesi si interessa al problema della secolarizzazione per quanto riguarda il programma, il linguaggio, il contenuto, il ragionamento delle sue lezioni ai giovani: considera cioè l'uomo secolarizzato, l'uomo laico, l'antropologia laicale e il modo laico di sentirsi nel cosmo da parte dei giovani a cui si rivolge.
Ora, il punto cruciale da chiarire in questa prospettiva è il fatto che per prendere sul serio l'uomo secolarizzato, laico, occorre secolarizzare il pensiero del teologo nel momento in cui pensa a questo uomo secolarizzato.
Di solito il teologo che pensa l'uomo «secolarizzato», l'uomo laico, lo inventa in base alle proprie categorie mentali, lo guarda partendo dal suo punto di vista, pensa la «laicità», la «secolarizzazione» come termine corrispondente alle verità rivelate ed alle strutture ecclesiastiche in cui si muove e di cui è impregnato.
È molto difficile uscire da se stessi, e pensare l'uomo secolarizzato così come è; ma basterà riflettere su questo dato di fatto: l'uomo che noi chiamiamo secolarizzato e laico, non ha coscienza di essere così come noi lo definiamo. Egli è marxista, esistenzialista, empirico, tecnologico, scientifico-positivo, ma non si conosce come «laico» e «secolarizzato», così come noi lo definiamo. E questo proprio perché egli è secolarizzato, cioè fuori dei nostri schemi teologici e biblici. Se prendiamo come dato materiale la sua coscienza, la sua Weltanschauung, questa risulta a noi «secolarizzata», cioè avulsa dai concetti, che a noi vengono dalla rivelazione. Ma al possessore di questa coscienza essa non risulta secolarizzata per il semplice fatto che a lui manca quel contesto teologico in base al quale sorge la nozione di secolarizzazione.
* Ora tutto ciò è importante perché quando il teologo o il moralista si mette a descrivere come è l'uomo secolarizzato, in pratica lo inventa, cioè lo descrive in base alla sua coscienza, modificata da tanti studi teologici, e non in base alla coscienza diremo fotografica di questo uomo secolarizzato. Ne risulta un equivoco colossale nel dialogo: il teologo si sforza di dire all'uomo secolarizzato che egli è tormentato dall'inquietudine religiosa (inquietum est cor nostrum, ecc.) oppure è travolto dal senso del peccato, dell'abbandono della casa paterna, oppure è pieno di aspirazioni a Dio (anima naturaliter christiana), mentre invece l'uomo secolarizzato onestamente non ha nessuna coscienza di queste presunte inquietudini, nostalgie, aspirazioni nei termini in cui le definisce il teologo.
Il caso più interessante di questa invenzione della altrui coscienza soggettiva sta in quei manuali di morale, nei quali probati auctores cercano di descrivere quando vi è piena avvertenza di commettere peccato e quando no. Essi descrivono nei dettagli lo stato soggettivo di dormiveglia, lo stato di distrazione, lo stato di passione veemente ed attribuiscono questi stati di coscienza agli uomini concreti come fatti reali, oggettivamente esistenti in essi.
Tutte queste invenzioni nella morale e nella pastorale sono credute reali dai teologi, dai sacerdoti in cura d'anime, con la stessa certezza con cui i soggetti, a cui essi si rivolgono, sanno di non esperimentare niente di tutto questo. Ne nasce in questi un grave senso di incomprensione, una specie di ripulsa a questi uomini di Chiesa che appaiono murati vivi nei loro studi e incapaci di guardare con altri occhi la realtà.
* In questo senso la secolarizzazione, come fatto storico, svolge un compito importante nella storia della Chiesa, in quanto può aiutare la Chiesa a svegliarsi da un apriorismo teologico, consistente nell'usare la teologia anche per le realtà non teologiche. Con Galileo la Chiesa cessò dall'usare la teologia per definire realtà fisiche e astronomiche; forse con il Vaticano II la Chiesa finirà di usare la teologia per definire realtà altrettanto positive e descritte da scienze sperimentali, quali sono le realtà dell'esperienza psicologica, dell'antropologia culturale, della sociologia.

Dalla psicologia razionale alla psicologia sperimentale

In sostanza la secolarizzazione significa per l'ecclesiastico cessare di usare la psicologia razionale tomista e tradizionale per descrivere l'esperienza individuale e il campo di coscienza soggettivo, oggetto della psicologia sperimentale.
Questo passaggio, veramente pasquale per i benefici che verranno ad una rispettosa evangelizzazione, risulta difficile perché si parte sempre dal dato incontrovertibile che fede e scienza non possono contraddirsi.
Questo autorizza molti teologi, biblisti, liturgisti e pastori di anime a fare delle deduzioni psicologiche e sociologiche con lo stesso sistema con cui fanno le deduzioni teologiche, aggiungendovi caso mai un po' di esperienza altrettanto empirica quanto particolare e quindi non generalizzabile. È il caso classico del teologo che definisce una situazione sociologica nazionale, partendo da esperienze di una parrocchia o due.
* Per essere precisi, occorre dare atto che sul piano metafisico e ontologico, la psicologia razionale tomista o agostiniana, nata da un continuo confronto con quanto risulta rivelato nella Bibbia, incontra la realtà, è nel vero. E quindi una antropologia soprannaturale o biblica, quale è descritta da Rahner, da Schefflzick e da altri, ha su quel piano ontologico il suo pieno valore.
* Ma la catechesi incontra gli uomini sul piano sperimentale della loro coscienza di esistere, coscienza impastata dai dati della cultura circostante; nella catechesi è necessario partire dall'«uomo fenomenico», come ben disse Paolo VI nel discorso di chiusura del Vaticano II; e questo uomo è descritto dalle scienze sperimentali e positive.
Il discorso sull'«uomo fenomenico» di Paolo VI acquista sempre più importanza ed evidenza per il suo corrispondere all'uomo «secolarizzato», cioè nutrito di un'altra cultura, rispetto a quella omogenea ed universale nella cristianità medievale e rinascimentale (cattolica o protestante), che era di origine teologica e biblica. L'uomo fenomenico è quindi cosciente di sé attraverso schemi mentali lontani dalla psicologia razionale e cristiana, mancanti dello sfondo e contesto teologico-biblico. Nell'uomo «secolarizzato» i fatti del vangelo e della Chiesa hanno più o meno la risonanza e la posizione che hanno dentro di noi, cristiani, i fatti di Budda, di Visnù, di Confucio.
È molto importante che Paolo VI in chiusura del Concilio abbia così vivamente e dettagliatamente proposto alla pastorale e alla morale della Chiesa l'apertura all'uomo fenomenico.
Ciò significa che tutto questo nostro discorso si muove nell'ortodossia. Sembrerà paradossale, ma il «secolarizzarci» scientificamente significa un ritorno ad una autentica cristologia: Dio si è fatto «vero uomo», vero non solo ontologicamente ma anche sul piano fenomenico della realtà storica, culturale, esistenziale di un uomo di Nazareth; egli non è nato nell'anno 0 o 1 dopo Cristo, cioè non è nato in un tempo già culturalmente definito dalla sua figura, ma è nato nell'anno tale e tale della fondazione di Roma, delle Olimpiadi, del dominio di Augusto, ecc., cioè si è fatto uomo di una umanità e di una cultura secolarizzata, pur restando vero Dio.
Noi invece indichiamo gli anni con la sigla «dopo Cristo», cioè in base al fatto di Cristo: e se questo è valido teologicamente, non è valido nel dialogo con l'uomo la cui cultura non abbia niente di esplicitamente cristiano.
Come in Gesù Dio si è fatto «vero uomo» e non ha inventato una umanità separata e diversa, così la pastorale dovrà farsi «veramente umana», assumendo una antropologia non inventata in base ai dati teologici, ma descritta dalle scienze antropologiche, dalla ricerca positiva e sperimentale.

L'apologetica impropriamente soggettiva del Vaticano I e il progresso del Vaticano II

Un punto molto interessante per la catechesi di questa antropologia ortodossa perché fedele a Cristo e, di conseguenza, perché fedele alle scienze antropologiche, riguarda l'apologetica.
Si sa che nella sessione III il Vaticano I (con la Costituzione Dei Filius) ha definito che la ragione umana può giungere alla conoscenza di Dio, ma ha anche distinto i motivi oggettivi dai motivi soggettivi nel riconoscimento di Dio e nella credenza in Dio.
Ma che cosa erano i «motivi soggettivi?». Tutto lo sviluppo successivo fino a Rousselot, fino a Aubert, fino allo studio di Giulio Girardi sui fattori arazionali della conoscenza fa pensare che questo «soggettivo» era pur sempre inventato da teologi o comunque da pensatori, che guardavano l'uomo soggettivo, partendo da prospettive teologiche, muovendosi con schemi mentali maturati nella teologia e nella esegesi e poi applicati a identificare lo stato di coscienza soggettiva dell'uomo.
I tempi postconciliari sembrano maturi perché il passo fatto con Galileo dalla Chiesa in materia di fisica, distinguendo le competenze teologiche da quelle profane e laiche, per poi riunirle, sia fatto anche in materia di antropologia «fenomenica», cioè positiva, sperimentale.
Il Vaticano I con l'apertura ai «motivi soggettivi», distinti da quelli oggettivi, ha aperto la strada; il Vaticano II con il grande discorso sui laici, distinti dal loro essere fedeli cristiani, ha portato la cultura cristiana alle soglie della decisione. Occorre ora assumere in pieno la secolarizzazione, intesa come riconoscimento dell'uomo fenomenico, quale è descritto dalle scienze positive, sperimentali, rifiutando di inventarlo in base alle proprie convinzioni teologiche ed al solo dato della propria esperienza empirica e non scientifica.

L'«oboedientia fidei» e la secolarizzazione

Data l'incarnazione, non esiste Regno di Dio che non sia incarnato, cioè non assuma la realtà umana così come è di generazione in generazione, rifiutando di inventarsi una umanità per proprio uso e consumo al posto di quella reale. La Chiesa dovrà sempre fare i conti con le scienze che ci sono, in quanto esse sono l'umanità storica al livello di crescita del secolo a cui siamo arrivati: il fare a meno di queste scienze, per quanto imperfette, significherebbe contraddire l'incarnazione. Estremamente attuali risuonano allora le celebri parole di Pio XII: «Il Corpo mistico non vive e non si muove nell'astratto, fuori delle condizioni incessantemente mutevoli di tempo e di luogo, non è e non può essere segregato dal mondo che lo circonda; è sempre nel suo tempo, avanza con lui di giorno in giorno, di ora in ora, adattando continuamente le sue maniere e il suo portamento a quello della società in mezzo alla quale deve operare» (30 aprile 1949).
In secondo luogo, comunque sia la funzione profetica e liberatrice dagli errori della Chiesa, per la pastorale è essenziale partire dalla realtà educativa così come è.
La Chiesa porterà poi una trasformazione, ma quando si agisce per via educativa occorre partire da dati reali, dall'uomo così come è cosciente nel soggetto, da «motivi soggettivi» che sono realmente verificati nelle coscienze. Quindi rimane doveroso «secolarizzare» il pensiero al momento in cui ci si occupa di uomo fenomenico, di «motivi soggettivi», e questo diventa oboedientia fidei in quanto accetta di assumere, come fece Gesù, il «vero uomo» e non quello da noi inventato.

L'UOMO NUOVO DELLA CATECHESI E LA SECOLARIZZAZIONE

È facile che molti teologi, biblisti, liturgisti, moralisti e pastori d'anime giungano ad accettare di secolarizzarsi spiritualmente fino a questo punto, cioè fino ad obbedire onestamente ai dati delle scienze profane e laiche per descrivere l'uomo fenomenico da cui partire.
Ma vi è un altro passo da fare: anche l'uomo nuovo in Cristo a cui si vuole giungere a partire dall'uomo fenomenico dovrà essere pensato in parte con una mente «secolarizzata». E questo è più difficile da ammettere.
Per localizzare subito l'ambito di questo aspetto occorrerà pensare all'apporto delle scienze antropologiche nello stabilire il modo di vivere dell'uomo nuovo, una volta morto e risorto con Cristo.
Di solito il modo di vivere dell'uomo nuovo in Cristo è pensato solo con la teologia, la storia ecclesiastica, la storia delle spiritualità. I modi di vivere secolari sono considerati come parte del «mondo giovanneo», che è sotto il maligno. Per schematizzare il tutto con un esempio ci sembra che l'uomo nuovo debba invece essere pensato non in uno schema di trapianto, al posto del vecchio, ma in uno schema di innesto nell'uomo, diciamo così, vecchio.
In una pastorale di innesto l'uomo nuovo innesta la novità di Cristo nella cultura più nuova, più attuale, più progressista che egli incontra: una Novità nella novità. Ma è appunto il problema da discutere, poiché esso significa precisamente una parziale secolarizzazione nel formulare la linea dell'uomo nuovo in Cristo, ad esempio nel 1970.
Forse è utile ispirarsi ad un passo della lettera agli ebrei: Cristo è diventato «simile a noi in tutto, eccetto che nel peccare» (Eb 4,15). Pensiamo analogamente l'uomo nuovo in Cristo come «simile ai suoi contemporanei in tutto, eccetto che nel peccare». Questa voluta somiglianza ai propri contemporanei è parte del nostro conformarsi a Cristo, e quindi è santità e possiamo allora dire che la secolarizzazione è parte della santità cristiana.
Si tratta ora di definire in che misura secolarizzarsi ed in che misura portare novità cristiana nel mondo a noi contemporaneo.

L'accelerazione dei cambiamenti come «oboedientia fidei»

Crediamo che oggi la vera sofferenza del Corpo mistico nell'«adattare continuamente le sue maniere e il suo portamento a quello della società in mezzo alla quale deve operare» (per ripetere le parole di Pio XII) sia data da due fatti precisi: l'originalità della cultura secolarizzata rispetto alla teologia e la rapidità di successivi cambiamenti, a causa delle applicazioni tecniche.
L'originalità della cultura secolarizzata consiste in questo: fino al 1800 era ancora cosciente la matrice di civiltà cristiana in tutte le menti, per cui ogni novità in fatto di mode, di costumi, o era a questa matrice ispirata e quindi diventava accettabile ai teologi o era anche dal popolo riprovata: ad esempio, il divorzio. Oggi è il non divorzio ad essere un fatto di minoranza nel mondo! In questa situazione le iniziative «secolari» e mondane risultano originali, rispetto ad una matrice cristiana diventata inconscia ormai, e mentre per il loro carattere di maggioranza culturale si impongono al popolo come senso comune, risultano più difficoltose ai teologi, abituati ad affrontare un umanesimo sempre, diciamo così, addomesticato dalle universali tradizioni cristiane.
In secondo luogo le originalità e novità del costume e della cultura hanno assunto oggi un moto di rapido rinnovamento, dato l'uso dei mezzi tecnici in tutte le forme di produzione e di diffusione dei prodotti. Da una parte è molto più rapido, grazie ai mass-media, il formarsi di un senso comune che giustifica all'uomo del popolo, soprattutto ai giovani, una nuova moda e dall'altra trova sempre troppo lento ad ambientarsi il teologo, abituato ai lenti e impercettibili passaggi da un costume all'altro nel corso dei secoli precedenti.
Ma non sarà allora oboedientia fidei all'incarnazione l'assumere il nuovo ritmo di cambiamenti, che caratterizza l'umanità attuale? Diventa certo più difficile profetizzare e innestare la novità cristiana adatta «alle maniere ed al comportamento» della società, ma questo costituirà la fatica, la croce dei cristiani d'oggi: «Sufficit diei malitia sua», dovremo abbracciare il faticoso tipo di ascetica e di crocifissione che viene implicato nel ricercare e innestare la novità cristiana a una umanità in così rapida evoluzione.
D'altra parte i «mass-media» faciliteranno la tempestiva scoperta della giusta secolarizzazione, necessaria ad un vero incarnarsi del Regno di Dio oggi. Non si dovrà cioè andar dietro a tutte le fantasie, ma si dovrà assumere quel costume, quell'etica che attraverso i mass-media diventa rapidamente senso comune, quindi cultura attuale, quindi modalità d'essere uomo del tempo d'oggi. Qui è anzi dato un criterio di autentica secolarizzazione: riferirsi a quanto rimane più a lungo dopo la diffusione attraverso i «mass-media».

La santità come secolarizzazione

A questo punto occorrono alcuni presupposti di fondo:
* Occorre pensare che l'umanità nel suo insieme ha un fondamentale buonsenso vulneratus in naturalibus, diremmo con il Tridentino, ma non giunto all'intrinsece malus luterano; quindi l'incarnarsi nei costumi contemporanei troverà sempre una parziale armonia con la novità cristiana dopo che il buonsenso avrà operato una autocritica interna attraverso i gruppi culturali e il loro dialogo favorito e accelerato dai mass-media. La Chiesa, collaborando alla gratia sanans, favorirà questa autocritica del mondo secolarizzato soprattutto attraverso i suoi laici, che appartengono al mondo in modo diretto (cfr. discorso di Paolo VI del 3 gennaio 1964).
* Il rapporto tra ciò che è essenziale e ciò che è temporaneo nel cristianesimo viene ad essere conseguentemente variato: molte più cose che una volta si ritenevano essenziali sono invece temporanee e caduche: il latino, certe forme di devozione, persino le formule dei sacramenti. Ciò crea nei teologi e nei pastori d'anime una parallela autocritica per evidenziare ogni volta ciò che è davvero essenziale e immutabile e ciò che risulta invece cambiabile e rinnovabile. Il caso più clamoroso sarà tra breve, forse, la cessazione della istituzione del celibato ecclesiastico obbligatorio, tradizione veneranda ma non divina; chi esamina bene la portata del discorso alle ostetriche di Pio XII del 1948, trova un tale cambiamento nel definire che cosa è essenziale e che cosa è mutabile, da non sorprendersi poi per nient'altro.
* La «teologia crucis» va considerata non come una obiezione all'incarnarsi ma come una sua norma: la novità cristiana comporterà sempre una sofferenza, una morte dolorosa, ma è essenziale che tale morte consista non nel fuggire le novità mondane bensì nel viverle in altro modo, cioè in modo da liberarle dal male, da intensificarle in quanto sono secondo Dio e da elevarle ai nuovi destini ed alle nuove condizioni che sono in Cristo.
* L'escatologia cristiana, così espressa della vita da Paolo: «Dimenticando le cose che mi stanno dietro e proteso a quanto mi sta davanti, corro verso la meta» (Fil 3,13), sembra inclinarci verso l'accento sul rinnovamento, sull'inserimento della Novità cristiana nelle novità del progresso umano, in un giusto «secolarizzarsi», entrando con fiducia e lucidità nel vivo del tempo presente e profetizzando un cristianesimo che «avanza con il mondo di giorno in giorno, di ora in ora».

I cristiani anima del mondo, il mondo corpo di quest'anima

Ma la secolarizzazione ha un posto ancora più definito nel pensiero fedele a Cristo: la lettera a Diogneto ci ha detto che i cristiani sono anima del mondo e il mondo è il corpo di quest'anima, per cui quest'anima è, per dirla con S. Tommaso, quantitate signata, cioè in parte programmata, determinata, definita dalla realtà mondana.
Per quanto riguarda la catechesi, la predicazione, ciò comporta un enorme cambiamento in coloro che spiegavano la Parola di Dio avendo come corpo di quest'anima non gli avvenimenti del mondo, ma gli studi esegetici, dottrinali, storici, che sono per definizione astratti dal presente.
In questo campo il pericolo per la predicazione viene proprio con quelle «scienze», cioè l'esegesi, la teologia, che pure sono indispensabili per predicare. Queste scienze, come scienze astratte, extra-temporali, servono a capire la sostanza della Parola di Dio; ma come l'anima, sostanza spirituale, non esiste se non come forma del corpo, così questo mistero di Cristo, una volta compreso grazie alle scienze astratte, doveva essere presentato come quasi-forma (dice la Mystici Corporis) del mondo d'oggi.
* Che cosa comporta in concreto questo ritorno della predicazione? Prendiamo di vista i programmi: essi sono ispirati in generale a motivi e criteri che astraggono dagli avvenimenti presenti: mentre per l'anima il «qui, adesso» è dato dal corpo, per i programmi di religione il «qui, adesso» è dato da tradizioni, da capitoli o indici di libri, da inclinazioni personali, e si evita così di essere invece quantitate signati, nel realismo dell'incarnazione.
Secolarizzare la predica, la catechesi, vorrà dire ritrovare ogni volta il vero corpo di quest'anima, cioè i fatti più vivi negli ascoltatori e rivelare i misteri cristiani come anima di questo corpo e non come entità separata ed astratta. Senza teologia, esegesi, ecc. questo è impossibile; ma con la sola teologia, esegesi, ecc. è egualmente impossibile: occorrono le scienze profane.

SECOLARIZZAZIONE E PASTORALE CATECHISTICA

Gli ultimi capoversi precedenti ci hanno affacciato alla realtà di Dio che è nel vivo dell'umanità come creatore, incarnato e redentore.
Si apre quindi il discorso del rapporto tra secolarizzazione e rivelazione di Dio: che rapporto rivelatore tra il Cristo storico-mistico-eucaristico e l'insieme di avvenimenti mondani (un trattato di Mao Tse Tung, un divorzio di Brigitte Bardot, un incidente d'auto a Cuneo, un festival della canzone a Sanremo, una corsa d'auto a Le Mans, uno sciopero alla Fiat, e così fino ai dettagli personali di una crisi matrimoniale di un impiegato, la tentazione di rubare per farsi il visone di una commessa, l'invito di un principale alla sua segretaria, la scoperta di un nuovo farmaco in un laboratorio sperduto, il prostituirsi di una madre nel Terzo Mondo per avere di che sfamare i figli) ?
Una certa teologia conosceva due rapporti di fondo: quello morale, consistente nella misura dei comportamenti secondo una legge eterna con in più le attenuanti delle singole coscienze e quello metafisico, di Dio creatore con l'ontologia delle sue creature.
Sorge allora il sospetto che gli ecclesiastici abbiano da tanto tempo clericalizzato Dio nel senso di presentarlo sempre e solo come un ecclesiastico accanto ai laici, ma non laico egli pure, come Colui che è addirittura «primatum tenens» (Col 2,17) di tutti i valori che i laici coltivano, partecipandone da lui la sostanza e la perfezione.
Secolarizzare il volto di Dio significa allora far riscoprire al laico che nel suo mondo, in cui egli si sente a suo agio, a casa sua, Dio pure è «di casa» ed è anzi primatum tenens in quei valori, evitando s'intende sempre di dare al creatore partecipante il volto di una semplice creatura. Noi parliamo di valori sportivi e matrimoniali, ma sempre da ecclesiastici, cioè presentando un rapporto solo esterno di Dio a questi fatti umani, mentre l'onesta considerazione che Dio è il creatore del corpo, ad esempio, ci porta a quella «teologia della materia», di cui P. Chenu ci ha dato un saggio.

Il volto laico di Dio creatore

Nel fatto che Dio è «immediatamente presente» in ogni uomo (come dice S. Tommaso) per dargli vita, movimento ed esistenza, pensiamo alla affettuosa coesistenza, convivenza di Dio con ognuna delle sue creature, quelle che per noi sono forse repellenti, oggetto di disprezzo oppure lontane, come è lontana l'esperienza interiore di un playboy e di una indossatrice dalla nostra esperienza.
Ma noi non siamo mandati a predicare il Dio dei filosofi e neppure il Dio degli ecclesiastici e neppure il Dio nostro, quello che ci appare dalla continua dimestichezza con la teologia, ma siamo invitati a predicare il Dio di Abramo, di Isacco e così di ogni Abramo, di ogni Pierino, di ogni Paola, Anna, Elisabetta del mondo, il Dio che ha con questo Pierino e con il suo mondo di esperienza interiore quella immediata e continua presenza, di cui parla S. Tommaso, il Dio che ha il «primato» quanto a tutti i valori che quel Pierino vive giorno per giorno con tutte le deformazioni sopravvenute con il peccato, dal suo lavoro alla sua famiglia, dal suo sport alla sua cultura.
Ora se la persona umana è oggi tanto secolarizzata, se Dio è con ogni persona umana in modo ben partecipante, ben cosciente ed amante, si dovrà in qualche modo rivelare questo Dio così secolarizzato.
E ciò non toglie nulla alla trascendenza ed al movimento pasquale di liberazione e di elevazione, poiché egli è presente nel «secolo» di ognuno come primatum tenens, cioè come assoluto e come protagonista di uno sviluppo in perfezione fino al primato, fino alla pienezza. L'unica cosa che si deve correggere è la mentalità manichea che là dove vi è il peccato vede solo il peccato, vede l'intrinsece malus e non vede invece la buona creatura di Dio pur vulnerata in naturalibus, non vede che «dove abbondò il peccato, sovrabbonda la Grazia». E si dovrà pure correggere in senso secolarizzante la mentalità angelista, che vede consistere la nostra ascesa a Dio nel disumanarsi, nell'atrofizzare e fuggire le realtà corporee, male interpretando l'espressione di Cristo: «Ci sono alcuni che sono diventati eunuchi per il Regno dei cieli».
Per alcuni secolarizzazione significa non mescolare Dio con gli eventi profani, ma ciò finisce con assurdità come il pensare che Dio non crei gli uomini quando sono in attività profane. Allora, secolarizzazione significa non privare Dio del suo profano modo di essere con ogni uomo nella sua realtà profana, significa non dare un indebito volto sacro a Dio quando Dio è con le sue creature nelle realtà profane. Evidentemente il fatto che Dio è presente dà a tutto un carattere «religioso», cioè collegato a Dio e in colloquio con Dio, e Dio non attenua l'esigente sua santità nel fatto di coesistere sempre con le sue creature.
Davanti dunque alla secolarizzazione si avevano due vie: o eliminare Dio da molte esperienze umane profane, esperienze dove l'uomo è così vivo, così pieno di sentimenti, di coscienza d'esistere e di intenzioni e scelte; o spiegare come Dio è nel profano, come Dio è laico, come Dio è sempre con noi nel «secolo», senza che l'uomo si trovi imbarazzato e non osi togliersi la cravatta per rispetto a Dio presente, oppure che debba trasformare tutti i suoi guanciali in un altare, come fece Giacobbe, invece di dormirci onestamente sopra, alla presenza di Dio.

Il volto laico di Dio incarnato

Ma anche come incarnato e redentore Dio va rivelato partecipante e protagonista anche nel momento secolarizzato, laico, profano della vita umana.
Innanzi tutto lascia molto perplessi una teologia che si trova costretta a separare molto Dio redentore da Dio creatore, mettendo Dio redentore, ad esempio, solo nei battezzati ed escludendolo da Mao Tse Tung con i suoi cinesi comunisti. La cosa è leggermente paradossale e proviene dalla non accettazione del profano e del secolare nella realtà di Dio. È invece probabile che lo stesso Dio creatore, che sta dando a Mao Tse Tung, come a tutti noi, «vita, movimento, esistenza», sia anche il Dio redentore che ci è divenuto cibo nell'Eucaristia ed egli sia creatore di Mao come di ogni altro con la ferma volontà di redimerlo oltre a crearlo, dopo che egli si è preso su di sé, incarnandosi, «le sue piaghe ed i suoi livori» (Isaia 53); come di tutti gli altri.
Allora la realtà della Chiesa, ad esempio, si coestende con la realtà di Dio creatore, il fatto di Dio creatore di ogni persona umana fa capire in nucleo, in radice, proprio come Dio creatore è alla radice di ogni singola vita umana, della vita di ogni guardia rossa della Cina e di ogni ballerina più o meno disdicevole di Los Angeles. In noi battezzati la Chiesa sarà l'esplicitazione, la manifestazione, la sacramentalizzazione di quella realtà comune e universale che in radice è presente in ogni uomo della terra. Proprio il Capo del Corpo mistico è vivamente presente in ognuno come suo creatore.
Allora la comunione con Cristo è comunione con Dio che è presente come creatore in tutti i singoli uomini della terra a cominciare «dal più piccolo di questi miei fratelli»; e sapendo come è intenso l'amore di Dio creatore e redentore per ognuno di questi, è chiaro che non possiamo abbracciare Dio senza abbracciare tutti i quattro miliardi quasi di suoi figli, da cui egli è per amore inseparabile.
* Così è in Dio il superamento dell'orizzontalismo rispetto ai verticalismo. Il Verticale stesso si è fatto orizzontale, amando infinitamente ognuno di quelli che noi poniamo nell'orizzontale, incarnandosi per ognuno, morendo per ogni Pierino della terra, ogni Fellini, ogni Rivera, ogni Fidel Castro, ogni Nasser della terra: è questo Amore creatore e redentore che ci è stato rivelato, è questo che noi predichiamo. È qui la base della nostra secolarizzazione, cioè della nostra accettazione - anzi partecipazione, come per Dio - alle varie culture, alle varie antropologie, ai vari modi di realizzare i doni del creatore. L'Amore con cui Dio rispetta ogni libera iniziativa, sostenendola con la sua creazione, liberandola dal male che la deforma, diventa da noi imitato, poiché lo troviamo troppo rivolto a tutti gli uomini, per non diventare anche noi rivolti a tutti gli uomini così come esistono.

Il volto laico di Dio redentore

Ma esiste sempre il problema del peccato, del male. Secolarizzarsi non può voler dire assumere gli ateismi, le violenze, gli egoismi, i disordini delle varie culture, dei vari originali modi di interpretare il tema dato da Dio nel crearci.
Che significato ha allora la secolarizzazione sia del volto di Dio e sia della nostra spiegazione di Dio agli uomini? Quando giungiamo a spiegare la chiamata di Dio a ciascuno (capitolo della morale) come annunciamo questa chiamata? Chiamata alla fuga dalle occasioni? Chiamata a reprimere gli istinti? Chiamata a diventare come angeli? Qui occorre distinguere tra umanizzare e secolarizzare.
Tutti d'accordo nell'umanizzare la morale: Dio non può chiederci che una morale umana in ogni sua chiamata. E noi pensiamo che la mortificazione medievale, a base di catene, scarnificazioni, digiuni non era chiamata di Dio, ma sua accettazione della buona fede dei suoi eroici figli, che lo pensavano evidentemente in base alla cultura dell'epoca: è il tema della divina condiscendenza del paragrafo 13 della Dei Verbum.
Ma il nostro umanizzare la morale può ancora essere astratto dalla cultura contemporanea, per cui «secolarizzare» la redenzione significa qui cogliere quante delle realtà culturali attuali vengono assunte nell'«uomo nuovo in Cristo».
* Per chiarezza è meglio distinguere tra natura e soprannatura un terzo fattore: la cultura, cioè la natura così come è manipolata dall'insieme delle libere iniziative umane. Ora tale cultura è quella che incontriamo: non esiste la natura non culturalizzata dall'uomo. Secolarizzare vorrà dire allora umanizzare le realtà della redenzione, compresa la chiamata divina all'uomo e il piano della sua divinizzazione.
Ma le libere iniziative umane sono di due sorta: alcune sono «connaturali», cioè sviluppano la natura secondo i piani di Dio e in tal modo sono in armonia con la soprannatura; altre sono «innaturali», sono peccato, disordine, stortura delle energie da Dio create.
Quindi la secolarizzazione dell'uomo nuovo in Cristo significherà assumere dei fatti culturali quanto è connaturale, quanto è progresso e liberare questo da quanto è invece innaturale.
E qui occorre evitare due eccessi: il fissismo e l'evoluzionismo assoluto, come in biologia. I fissisti scoprono le leggi naturali come indeformabili, appena rivestite da modalità transitorie e variabili, gli evoluzionisti assoluti vedono invece la natura come pura energia senza leggi, modellata di volta in volta dall'incontro di varie culture. I primi trovano, ad esempio, che non si arriverà mai al divorzio ed i secondi vedono giustificate certe relazioni prematrimoniali, nella cultura di oggi.
Sappiamo che la cosa si complica con l'interferenza della buona fede, della coscienza soggettiva, la quale può in determinate culture non sentire più nulla di una norma naturale e perenne.
* Come secolarizzarci in questo caos di problemi?
- I fissisti sono portati al pessimismo di fronte ad una cultura o un comportamento che vedono totalmente innaturale: essi cadono facilmente nel luterano intrinsece malus, pensando ad un drogato, ad una prostituta, ad esempio. Ammettono una bontà metafisica, ma non l'esistenziale presenza del grano accanto alla zizzania in ogni campo, non ritengono che nella confusione di quel drogato ci sia, nelle manifestazioni più involute, la ricerca e l'intenzione di un aldilà, di un divino, o di una libertà, o dell'amore, non vedono cioè viva, anche se perita o deformata, la imago Dei. I fissisti devono liberarsi sia da una indebita estensione delle «leggi naturali», che scoprono dappertutto, sia da una errata concezione di legge naturale, come se fosse solo verniciata di caduche modalità temporali.
La legge naturale va invece pensata come la res rispetto ai segni di un sacramento: le modalità culturali, così diverse di popolo in popolo, di epoca in epoca, sono segni efficaci, cioè efficacemente realizzano la natura perenne anche se per il peccato hanno sempre bisogno di «fare pasqua». È la teologia postconciliare dei «segni dei tempi», dove non si cade nella morale della situazione perché sempre si interviene con il rinnovamento pasquale, con la morte di qualcosa per la risurrezione dell'insieme: e il perenne è la parte connaturale del nuovo.
Come e dove ridurre il perenne e dove riconoscere connaturale il nuovo della cultura, diventa compito di tutto il potere profetico della Chiesa volta per volta, con la grazia della infallibilità che impedisce di andare fuori strada. L'importante è qui secolarizzarsi nel senso di superare il fissismo morale delle leggi naturali indeformabili. Il grande giurista italiano Capograssi sviluppò a fondo queste tesi.
- Gli evoluzionisti assoluti rischiano di perdere la conoscenza dell'uomo in una giravolta di variazioni prese ciascuna in modo totalitario e non sacramentale. Qui occorre cogliere i segni dei tempi precisamente come segni. Segni di qualcosa d'altro che è proprio l'identità di se stesso dell'uomo, l'identità riscoperta tra uomini di varie razze, di varie culture, di varie civiltà, di vario peccato. Secolarizzarsi non vuol dire prendere ogni novità senza critica, ma esaminare e scrutare i segni dei tempi per cogliere la nuova manifestazione della sempre identica vita umana nel suo progredire.
Ancora il potere profetico è qui invocato per cogliere nel «fare pasqua» che cosa deve morire e che cosa deve risorgere a piena vita volta per volta.
Ma occorre tener presente che in questo «scrutare i segni dei tempi» sia per chi si corregge dal fissismo sia per chi si corregge dall'evoluzionismo assoluto, secolarizzazione significherà sempre mettere accanto alle scienze teologiche e bibliche anche le scienze antropologiche positive e sperimentali.
Allora la redenzione sarà capita ogni volta con il suo volto laico, cioè con le modalità, che sono fornite dallo sforzo laico, profano, secolare di progresso nella conoscenza e nella formazione dell'uomo. Il modo del morire in Cristo e del risorgere in Cristo sarà ogni volta in parte perenne ed in parte variato; ciò che deve morire sarà volta per volta diverso e ciò che deve risorgere sarà volta per volta con una aggiunta di novità criticamente vagliata prima dalle scienze profane per accertarne il valore umano e poi da quelle della rivelazione.

LA PASTORALE DELL'INCARNAZIONE E RISURREZIONE

Il discorso si è fatto piuttosto deludente per chi si aspetta precise descrizioni di che cosa occorre far morire e di che cosa occorre far risorgere dei fatti culturali che ogni volta si presentano. E tale delusione corrisponde al mistero: come è un mistero per la mente umana l'unione tra divino e umano in Cristo, così analogamente è mistero che si possiede ogni volta nella onestà, nella purezza e nella preghiera questo mutuo scambio di dati tra teologia e antropologia culturale; dove l'anima modifica il corpo, ma dove anche il corpo determina e segna di sé l'anima.
Teniamo solo fermo che la risurrezione è come per Gesù Cristo non la sostituzione di un altro corpo, appena uscito di fabbrica, del tutto estraneo ai millenni di storia, ma la risurrezione di quello stesso corpo, con quelle ferite storiche, ora glorificate. Quindi è essenziale che ogni volta il corpo da far risorgere sia «il secolo», il mondo così come lo troviamo, senza trafugamenti, sostituzioni, distruzioni: «il secolo», cioè l'attuale, esistenziale realtà di ogni persona in modo che persino le sue ferite rimangano, pur glorificate dalla vita divina. Il programma della risurrezione ha quindi «il secolo», come corpo da far risorgere, ed occorre sentire come disobbediente allo Spirito ogni programmata risurrezione di un uomo, di una chiesa locale, nella quale il nuovo uomo, la nuova società non abbia più lo stesso corpo «secolarizzato» e culturale di prima.
Con questo punto fermo si troverà nella riflessione, nella preghiera, nella comune ricerca, la via per distinguere in ogni «corpo secolarizzato» ciò che è innaturale e da far morire e ciò che è connaturale e da far risorgere.
* Di perenne vi sarà l'amore infinito di Dio, di perenne vi sarà la coscienza personale che sa di amare veramente Dio e il suo prossimo, di variabile vi saranno i modi, le forme, le strutture, il linguaggio, le prospettive da cui guardare lo stesso centro di tutti e di tutto. Secolarizzare significa qui essenzializzare il perenne nell'alleanza tra l'io umano e il Tu divino in Cristo e nella comunità dei fratelli e non sacralizzare niente altro, non ritenere che in più vi sia da adorare Dio a Gerusalemme o sul monte Garizim: «Viene l'ora in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre, in cui i veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità» (Gv 4,22-23).
Non si cada, però, nello spiritualismo, contrario alla concretezza dell'incarnazione; le parole di Gesù non significano, a parere nostro, assenza di strutture, di templi, di codificazioni, ma non sacralizzazione, non fissismo, non uso oltre il necessario, non identificazione di questi con la sostanza dell'adorazione. La secolarizzazione significherà invece rapidità, tempestivi cambiamenti di modi, di strutture, di metodi, di linguaggio, di devozioni, di pratiche di pietà, di forme di culto, di accenti ascetici, ecc. avendo come criterio di scelta il «corpo» concreto, più o meno ferito, da far risorgere e vivere della vita di Cristo senza perdere il buono del suo progresso mondano e secolare.
Nelle antiche religioni era l'uomo a venir sacrificato a Dio; nel cristianesimo è Dio che si sacrifica per l'uomo e ciò è il massimo della secolarizzazione pastorale, pronta a modificare tutte le strutture piuttosto che non far risorgere anche una piccola parte del corpo umano, dell'uomo che nel suo «secolo» ha raggiunto pur con tanto male nuovi sviluppi del bene seminato in lui dal creatore. Il timore di Gesù che gli apostoli strappando la zizzania strappino anche il grano, è tale da tollerare piuttosto la zizzania nel lavorare affinché il grano, cioè la cultura connaturale, sia lievitata dalla vita di Gesù Cristo.

COME AGIRE DI CONSEGUENZA

Veniamo ora almeno a qualche conseguenza operativa. Se il corpo da far risorgere nel cristiano è il suo corpo che troviamo secolarizzato, comprese le ferite, dovremo programmare la catechesi come «integrazione tra fede e vita», dice il Documento base al paragrafo 52, come lievito nella pasta, facendo in modo di non vanificare la pasta e non sostituirla. Questo porta a dei modi concreti di condurre avanti un discorso in un gruppo che vanno indicati:
* Si parte dalla pasta, dalla cultura attuale (interessi, problemi, istanze, inclinazioni, correnti di pensiero, valori), ma la si fa prima morire per farla risorgere. Questa prima operazione cristiana consiste praticamente nel collegare il superficiale al profondo, le istanze fenomeniche alle istanze profonde, le quali emergono, vengono realizzate nelle attualità superficiali come la sostanza è attualizzata dai suoi segni efficaci nel sacramento.
In questo discendere nel profondo occorre avere:
- Ottimismo per cui il peccato è il modo sbagliato di realizzare una cosa sostanzialmente buona (vulneratus in naturalibus), e buona nel senso di connaturale al piano di Dio creatore e redentore.
- Pluralismo, per cui la stessa istanza profonda e universale, la Urlibido, l'archetipo, l'imago Dei in ognuno, può esprimersi nei linguaggi più diversi, negli interessi superficiali più sorprendenti e imprevedibili in una varia «simbolica»,[1] che ha una sua difficile logica, ma anche il vantaggio di essere profondamente accettata da chi la elabora. Questo è il punto difficile, perché se è vero che nessuno, come dice S. Tommaso, può volere il male come male, anche nelle forme di peccato più depravate vi è un «volere un bene», vi è stravolta simbolizzazione di una aspirazione buona, che non interessa al moralista, ma interessa all'educatore di anime proprio per far prendere coscienza che tutto quel peccare è simbolo stravolto di un cercare ben altro, di un cercare e volere intimamente l'Assoluto o altre cose ma con l'Assoluto.
- Chiarezza della posizione di bivio, che si pone a questo punto dopo aver scoperto insieme il gioco psicologico della simbolizzazione, bivio che consiste in questo: l'aspirazione è connaturale, buona per te come per Dio, ma la realizzi con il tuo piano o con il piano di Dio? ti salvi con il tuo progetto o ti salvi con il progetto di salvezza di Dio? (E qui vi è la croce, vi è il rischio di fede, l'abbandono in Dio).
- Osservazione importante: nel collegare il simbolo più o meno stravolto all'aspirazione radicale all'Assoluto o a valori relativi collegati con l'Assoluto, occorre evitare di usare subito il nostro linguaggio nel chiamare per nome questo Assoluto e usare invece il linguaggio che è nel momento del soggetto, linguaggio secolarizzato nel quale egli si trova a suo agio, «di casa» e che sarà naturalmente imperfetto e incompleto. Solo più tardi, quando ci stima e trova piacere a condividere qualcosa con noi e non c'è più pericolo di rifiuto, solo allora occorrerà aggiungere la frase di S. Tommaso: «Et hoc dicimus Deum»; «È questo che tu adoravi senza saperlo, noi lo chiamiamo Dio Padre, Gesù Salvatore, Spirito Santo» (Atti 17,24).
* Occorre naturalmente conoscere moltissimi nomi di Dio, di Gesù, della Chiesa (ricordare le 13 parabole del Regno di Dio, ricordare i nove nomi di Gesù dati nella antica novena di Natale) e soprattutto tener presente il volto laico di Dio, quale «primatum tenens» in tutte quelle perfezioni sue che gli uomini partecipano sotto il nome oggi di valori, pur con tanta zizzania. Allora sapremo presentare Dio nei 17 diversi dialetti con cui miracolosamente fu presentato il giorno di Pentecoste, cioè sapremo presentare di Dio quel volto che è più incarnato, più assimilabile, più continuo con la parte connaturale della cultura del soggetto e che sarà in generale prima di tutto un aspetto del volto laico di Dio.
* Una volta decisa l'alleanza con il «Tu» che ha questo volto, così sintonizzato con il soggetto, allora si passa a scoprire anche gli altri aspetti e gli altri momenti della vita di questo «Tu» con cui ci si è alleati. Solo in questo schema ha ragione una divisione tra una prima catechesi, per un incontro di alleanza, di decisione al connubio «io-Tu» e poi una seconda catechesi di progressiva scoperta di tutti gli altri segreti di questo Tu, a cui ci si è uniti, e allora verrà il Cristo storico-mistico-eucaristico, verrà il momento sacro della liturgia, della vita ecclesiale, della morale, ecc.
* Osservazione importante: si resta su una dimensione «secolarizzata» se tutte le successive scoperte sono fatte, come del resto faceva S. Agostino per la Trinità, partendo da una analogia entis tra come è la persona umana e come sarà la divina persona di Cristo: che ha una parentela, una storia, dei sentimenti, delle aspirazioni, un lavoro, un compito, un posto nel mondo, un progetto, ecc. Allora proprio «per ea quae naturaliter cognoscuntur», come dice il Vaticano I, proprio sulla falsariga della cultura, della logica «secolarizzata», noi veniamo a scoprire ed esplicitare quel tanto dell'immenso mistero di Cristo che si integra con l'intera vita del soggetto e lo fa vivere, ma da risorto, da lievitato da Cristo.
* È superfluo ricordare che questo procedimento discorsivo e dialogico va inquadrato in tutto il contesto pastorale di esperienze sostentatrici e promotrici, di vita di gruppo intensa e calorosa, per cui il lavoro mentale è dentro tutta la vita e non è una elegante disquisizione in una parentesi di essa.

(Cf G. NEGRI, Aspetti socio-culturali dell'insegnamento religioso scolastico, in Orientamenti pedagogici, 1964, n. 6).

 

NOTE

[1] Cf P. CHENU, La Théologie en Xll siècle, Parigi 1957, pp. 171-174.