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    Pietro: dal tradimento al coraggio


    Ti racconto Gesù /3

    Riccardo Tonelli

    (NPG 2012-03-44)


    La lettura del Vangelo lascia sempre il segno. Ci sono eventi e parole che abbiamo meditato ormai tante volte. Eppure, quel giorno e in quella situazione speciale, risuonano nuovi, come se fosse la prima volta che li incontriamo. Ci costringono a pensare.
    Una di queste pagine è il racconto del tradimento di Pietro. Lui, uomo forte e coraggioso, strapieno di grandi progetti e di parole decise, tradisce Gesù. E lo fa nel peggiore dei modi. Perché raccontare questa pagina triste?
    Se il Vangelo l’avessi scritto io, quella pagina l’avrei censurata di sicuro. La Chiesa sta iniziando il suo cammino, difficile e impegnativo. Riconosce in Pietro la presenza speciale che continua la guida autorevole di Gesù. E gli fa fare una pessima figura. Non è proprio una grande consolazione incominciare un cammino difficile in questo modo.
    Una ragione c’è. Ed è molto bella.
    Pietro ha insistito tanto che l’avrebbero fatto arrabbiare se non avessero raccontato quello che è capitato nella notte, al fuoco acceso nel cortile del tribunale per combattere il freddo, mentre Gesù, al piano superiore, era giudicato in modo disonesto e condannato a morte. Pietro ha insistito tantissimo su questa triste storia… non per anticipare le critiche e mettere le mani avanti, ma perché in quella storia sapeva di poterci regalare un tratto del volto di Gesù fondamentale, da porre davanti alla nostra quotidiana esperienza nei momenti duri della nostra vita… di figli testardi, scontrosi, traditori.
    Ascoltiamo i fatti e poi facciamoci aiutare da Pietro a scoprire il volto di Gesù.
    Anche questa volta, come per tutti gli insegnamenti che riguardano la vita, la condivisione di esperienze diventa l’unica parola eloquente.

    I fatti

    «Ho paura che, questa notte, mi troverò da solo, circondato soltanto dai miei nemici».
    È triste restare da solo, abbandonato da tutti. Ed è più sconfortante ancora scoprire che i traditori si annidano tra gli amici.
    «Questa notte mi lascerete solo. Sarò tradito da qualcuno di voi».
    Le parole di Gesù cadono, dure e impietose, tra i discepoli, radunati per mangiare la cena di festa. Restano senza voce, sconfortati e amareggiati. Possibile? Tradire Gesù? Ab¬bandonarlo dopo tutto quello che è stato per ciascuno. «Perché dovremmo farlo?», si chiedono l’un l’altro. «Per paura», incalza Gesù. I nemici si sono organizzati. Sono decisi a tutto. Non ne possono più. Arriveranno armati fino ai denti, decisi a tutto: o questa volta o mai più.
    «Mi lascerete nelle loro mani... Anzi, qualcuno passerà persino dalla loro parte, per paura di fare la mia stessa fine».
    Pietro non ne può più. Esplode, sicuro come sempre. «Gesù, questo poi no. Io non ti tradirò mai. Sta’ certo: anche se tutti dovessero abbandonarti, io no. Non lo posso fare. Sei tutto per me. Ho lasciato tutto per stare con te... vorresti che proprio nel momento più impegnativo cambiassi parere?».
    «Pietro... anche noi... tutti. Mai e poi mai... Gesù, sta’ tranquillo... staremo con te anche se dovesse costarci la vita». Lo gridano tutti, a una sola voce.
    Gesù tace. Cambia discorso. Ritornano i toni della festa.
    Passano poche ore e i timori di Gesù si avverano puntuali.
    È solo nell’orto. Prega il Padre, affranto dalla minaccia che gli incombe. Prega e suda sangue. Gli altri, i discepoli, persino i più fedeli, dormono tranquilli, intorpiditi dalla fatica e dalle emozioni.
    Poi, all’improvviso, arrivano i soldati. Gesù è arrestato e trascinato davanti al tribunale.
    I discepoli si disperdono. La debole resistenza è controllata da Gesù stesso, pronto al perdono anche nel momento conclusivo.
    Pietro vaga un po’, disperato, nella notte di Gerusalemme. Poi arriva nel cortile del tribunale. Sopra, tra urla scomposte, Gesù è giudicato. Sotto, attorno al fuoco, Pietro aspetta. Vuol sapere come le cose finiranno, ma non ha nessun’intenzione di farsi riconoscere. Non vuole rischiare. Incomincia già a tirarsi indietro, lui che, qualche ora prima, a parole, dichiarava di essere pronto a tutto per il suo maestro.
    Si avvicina una donna. Non ha nessuna pretesa. Sa di contare poco in quel cerchio di uomini, che stanno scaldandosi al fuoco e commentano i fatti del giorno. Lei, poverina, è persino una serva di casa. Deve stare attenta: oltre a non darle eccessivo ascolto, le possono far perdere il posto.
    Prima ascolta. Poi butta lì una battuta. Forse è solo un po’ di curiosità o il tentativo di farsi notare. Non è certo un atto d’accusa. Per carità... non se lo può permettere davvero.
    «Senti, Pietro... ma tu quel Gesù che stanno condannando... lo conosci? L’hai frequentato? Che tipo era?». Pietro scatta, punto sul vivo: «Mai visto... che ti viene in mente? Che razza di domanda mi stai facendo? Per favore, siamo seri».
    La donna non è convinta. Si ferma e ascolta. Pietro si è messo a parlare, come un fiume in piena. Vuole dimostrare che non ha proprio niente da spartire con Gesù.
    La donna insiste: «È difficile immaginare che tu non lo conosca. Parli come lui. Hai la stessa inflessione di voce. Scommetto che siete dello stesso paese. Possibile che non lo conosca?».
    Questa volta Pietro non ne può più. La paura lo stringe alla gola. «Basta», grida, «fatela smettere. Dice solo sciocchezze. Mai visto quel Gesù lì». Lo scatto di Pietro è stato controproducente. Qualche altro sembra confermare la constatazione della donna. Pietro giura e spergiura: «Io Gesù non so chi sia. Mai visto. Lo condannino se lo merita. Lo lascino libero se non ha commesso nulla di grave. Io non lo so. Non me ne importa nulla. E smettetela... una buona volta. Mi avete infastidito».
    Si alza per andarsene. Vuole dimostrare che ha ragione lui. L’hanno offeso e se ne va.
    Ha fatto solo due passi e si trova avvolto nella disperazione della morte.
    «L’ho tradito. Ho tradito Gesù. L’ho tradito perché sono un vigliacco. Non mi costava nulla... e l’ho tradito. E adesso... cosa faccio? Dove posso fuggire? Ho tradito il mio Signore. L’ho condannato io alla morte».
    Si ferma. Dalla scala scende qualcuno. È Gesù, circondato dai soldati, legato come un malfattore. Con¬dan¬nato due volte: dal giudizio perverso e dal tradimento del suo amico.
    Pietro guarda Gesù. L’ultimo sguardo e poi... non gli resta che la morte del disperato.
    Gesù guarda Pietro. Uno sguardo dolce: un profondo abbraccio accogliente. Non l’aveva mai sperimentato come questa notte. Gesù gli butta le braccia al collo... a lui, a Pietro, il traditore per paura.
    Gli sguardi s’incrociano rapidissimi. Non c’è tempo neppure per una parola. Non riesce a gridare neppure «Gesù». I soldati lo trascinano via, a strattoni e a spinte.
    Pietro ferma il tempo. Lo sguardo di Gesù si fa parola. Sente l’eco lontano di una bellissima storia, raccontata qualche mese prima da Gesù. Allora non l’aveva capita tanto bene. Gli sembrava strana, troppo rassegnata. Adesso la riscopre tutta: è sua... la sua storia.

    «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. [...] Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa» (Lc 15, 11-32).

    La storia l’ha trasformato. Gli ritorna il sorriso sul volto. Non ha più paura. L’abbraccio di Gesù ha distrutto il suo peccato. È tornato quello di prima, con un’esperienza in più, che l’ha cambiato dentro e gli ha fatto toccare con mano l’amore accogliente di Dio.

    Se anche il tuo cuore t’inquieta…

    Non è facile scoprire il volto di Dio nell’abbraccio che accoglie, spegne in bocca ogni richiesta di perdono e lancia l’invito alla festa come battuta finale di tutto il processo.
    Certo, ci piacerebbe; magari lo sogniamo nei momenti più duri, ma ci rendiamo conto che sarebbe davvero pretendere troppo. La pazienza ha un limite… lo ripetiamo tante volte quando ci sembra di aver ormai toccato il confine. Persino Pietro, discutendone con Gesù, aveva fatto notare che un limite all’amore accogliente e perdonante di Dio… ci deve essere. Stabilire un confine alla capacità di perdonare era per Pietro un atto di rispetto e di devozione nei confronti di Dio, un modo serio di riconoscere la sua trascendenza.
    Da buon ebreo ragionava così. Poteva produrre tanti documenti dell’Antico Testamento per darsi ragione. Qualche pagina era particolarmente inflessibile. Ce n’erano altre più dolci. Traboccavano della tenerezza di una madre che non riesce mai a dimenticare suo figlio. Ma buttare le braccia al collo sette volte era proprio il massimo immaginabile.
    Gesù aveva messo in crisi la logica di Pietro, portando il confine di una sana pazienza… all’indefinito del sette volte sette.
    Stentava però a crederci. Forse, qualche volta, nel suo cuore si era trovato d’accordo con quelli che accusavano Gesù proprio nel nome di quel Dio che pretendevano di conoscere.
    Adesso, dopo il tradimento, sprofondato nello sguardo di Gesù, è costretto a scegliere: sette volte… o settanta volte sette?
    Per fortuna, cambia tutto. Scopre Dio nell’abbraccio accogliente e perdonante di Gesù. Si trova, all’improvviso, sprofondato nel mistero di un Dio che è più grande del nostro cuore, proprio quando il nostro cuore ci inquieta.
    L’esperienza è così grande e travolgente, che la deve gridare a tutti. Non gli interessa fare una brutta figura. Si rende conto che questa pagina triste della sua vita gli ha rivelato Dio nel volto accogliente di Gesù e nell’abbraccio perdonante.
    Il tradimento è la «colpa felice» che gli ha permesso di costatare, sulla propria esperienza diretta, chi è Dio, riconoscendo il volto di Dio che Gesù gli consegna, nel tessuto sofferto di un incrocio di esperienze. Dopo aver ascoltato tante volte i discorsi di Gesù, l’aveva intuito con la testa… ma aveva troppe ragioni per dubitarne. Ora, per fortuna, nella croce di Gesù, lo sperimenta per sé. E non può più tacere.
    Non è stata un’impresa facile.
    Ho dovuto bruciare tutta la sua presunzione di fronte alla donna. Ha dovuto perdere la faccia davanti ai suoi colleghi. È stato costretto a smentire, nel grido di protesta, tutto quello che pensava di sapere su Dio.
    Gli è costato. Ora però ce lo può regalare, facendo dono agli amici di un pezzo importante della propria vita.
    Anche a Gesù è costato: la croce è il segno che rende credibile la storia del padre che butta le braccia al collo al figlio che torna a casa. Sapeva di farsi dei nemici, perché avrebbe messo in crisi il potere di chi pretendeva di risolvere le questioni in nome di Dio e di coloro che avrebbero voluto il capretto da mangiare con gli amici, solo perché non si erano mai mossi da casa.
    In fondo, nello sguardo che travolge il tradimento di Pietro e gli restituisce la gioia di chiamare Dio come padre che accoglie e perdona, Gesù ci consegna la più bella notizia su Dio.
    Sarebbe davvero molto triste e sconsolante costatare che i discepoli di Gesù continuano a parlare di Dio, ignorando il tradimento di Pietro e lo sguardo di Gesù.

    Perdonato, scopre chi è Dio

    A Pietro è costato molto.
    La vecchia e gloriosa tentazione di guardare Dio negli occhi, sapendosi quasi alla pari, ce l’aveva nel sangue. Come tutti noi. Sogniamo di poter pregare anche noi, come il fariseo della parabola, dicendo, a testa alta: «Dio, ti ringrazio. Sei stato buono e generoso con me e io ti ho ripagato con la stessa moneta. Siamo pari: posso guardarti in faccia, come guardo quelli della mia stessa razza. Pago le decime, faccio le offerte prescritte, osservo tutte le leggi. Sono bravo, grazie a Dio e al mio impegno».
    Dopo il tradimento, si è trovato in totale accordo con l’esattore delle tasse. Anche lui, intona una preghiera tutta nuova, inedita e speciale rispetto allo standard delle sue preghiere tradizionali: «Signore, abbi pietà di me che sono un povero peccatore, pieno di problemi fino al collo. Sapessi quanto mi costa venire a pregarti. Ogni volta che penso a te, nella preghiera, scopro meglio chi sono, conto i tradimenti che attraversano la mia vita, confronto la tua bontà misericordiosa con la mia esistenza. I conti non tornano mai... e la crisi cresce. Sai... qualche volta mi è venuta la voglia di piantarla con questa preghiera. Così, potrei vedermela solo con me stesso. Alla fine riuscirei ad accontentarmi e basta crisi. Forse. Non è bello, però. Non è giusto. E poi sono sicuro che non ci riuscirei. Senza di te, sono morto.
    Ti chiedo due cose. Per me sono importantissime. Lo so che non me le merito. Ma te le chiedo ugualmente.
    Prima di tutto, ti chiedo la grazia di continuare a venire qui per pregarti... nonostante tutto. Ho scoperto che fa un gran bene contemplarti, anche se questo mi fa soffrire. Nel tuo volto, vedo il mio. Dal profondo t’invoco. Mi fa del bene. Mi aiuta a vivere. Pregare è come sognare a colori sulla propria esistenza: non voglio proprio perdere anche il diritto a sognare.
    La seconda cosa... è più difficile. Dipende solo da te. Non so bene le parole: leggi tu tra le righe. Ecco: provo a dirti quello che desidero. Pigliami così come sono. Accoglimi, povero diavolo che sono, nel tuo abbraccio. Senza di te non posso vivere. Non ce la faccio proprio. Non mi devi chiedere di diventare bravo come condizione del tuo amore. Resterei solo, triste, disperato. Regalami il tuo amore accogliente e vedrai che... un po’ alla volta... qualcosa cambierà nella mia vita».
    Stiamo camminando assieme, nella dolce compagnia dei discepoli, per scoprire e sperimentare Gesù, il Signore della nostra vita. Lo sappiamo che senza di lui non possiamo più vivere.
    Questa volta, Pietro ci dice: l’incontro personale con Gesù ci accompagna a penetrare il mistero di Dio. Sulle dimensioni più decisive della nostra vita, quando l’oscurità si fa impenetrabile e l’incertezza della disperazione sembra avvolgere tutto, Gesù ci rivela Dio, dà spessore alla parola «padre», travolge la ricerca nell’invito alla festa dell’accoglienza.
    L’aveva sperimentato anche Giovanni, che ha trovato le parole più belle per dircelo: «In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1 Gv 3,16-20).


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