Osservatorio giovani
Domenico Cravero
(NPG 2012-03-4)
Non gli abbiamo fatto mancare nulla». Sembra questa la cifra sintetica dell’educazione familiare al tempo della società dei consumi. Il «nulla» è riferito ai beni materiali, concessi con una prodigalità che spesso precede la richiesta. Il paradosso che la grave crisi dei nostri giorni ha reso esplicito, è che le nuove generazioni, che hanno avuto «tutto», si sono ritrovate con niente. Sono i giovani italiani, infatti, a pagare il prezzo più alto di scelte miopi ed egoistiche operate e convalidate a suo tempo dagli adulti. Il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 30,1% e chi trova lavoro non ha alternative alla precarietà. La nuova condizione giovanile è drammaticamente senza futuro.
Perché è fallito quel programma educativo? Perché al dono non è corrisposta la possibilità di raggiungere l’autonomia e la libertà? Che cosa ha interrotto il dialogo, l’incontro-scontro tra le generazioni? Che cosa ha reso i giovani particolarmente predisposti alla rassegnazione e alla rinuncia? Gli adulti non sono stati capaci di trasmettere a chi veniva dopo ciò che, a loro volta, avevano ricevuto. È mancato l’appuntamento tra le generazioni.
L’interesse si è tutto concentrato sul valore assoluto della libertà e dei diritti personali, nell’individualismo vincente del discorso sociale. La benevola ossessione a favore dei giovani («che non manchino di nulla») si è rivelata un fattore di rischio che ha finito per indurre forme debilitanti di dipendenza, le quali hanno limitato creatività e determinazione. Nel momento della crisi, il desiderio di emancipazione e la sana aggressività di fronte alle difficoltà, sono stati insufficienti a ritrovare il senso della propria presenza nel mondo.
L’individualismo consumistico ha mutato profondamente la solidità dei legami interpersonali e il loro contributo alla possibilità di entrare da protagonisti nella storia. Le certezze assistenziali garantite non si sono rivelate utili alla solidità psicologica. Scienze e mercato non possono, infatti, porsi in alternativa o competere né con la tenuta dell’istituzione familiare, né con la speranza che deriva dalla fede.
L’entrata nel mondo umano presuppone la mediazione dell’istituzione familiare. Il sistema educativo familiare non ha saputo, invece, garantire i passaggi fondamentali per una dipendenza sana, creativa, responsabile. Ne è scaturita non la riscossa dei giovani ma l’emergenza educativa. La crisi di oggi lo dimostra con nuova evidenza. Ciò che compromette il protagonismo giovanile non è il conflitto tra le generazioni, ma l’eccesso di garantismo con cui i genitori crescono i figli, il bisogno di coprirli e di volerli felici alla loro maniera, fino a escluderli dalle responsabilità familiari e sociali. La caduta dell’autorevolezza e lo stemperarsi dei legami familiari non hanno aiutato i giovani a comprendere il senso del dono ricevuto e quindi del patto che li vincola reciprocamente. Il non mancare di nulla, il sentirsi «scusati» e protetti, hanno curiosamente prodotto la disaffezione di molti dalla loro cultura di appartenenza, vestendo i panni di meri consumatori anziché di partner della partecipazione sociale, alla quale non si sono sentiti comunque chiamati e aspettati.
La pastorale giovanile non ha soluzioni tecniche per l’attuale crisi. Può dare però il suo contributo. Può pensarsi come una pubblica agorà dove il dramma sociale delle nuove generazioni diventi racconto e rappresentazione. Un’esperienza vissuta non è mai veramente completa finché non è raccontata e rappresentata. Quando la vita storica e quotidiana sembra aver perso il suo senso vitale, la narrazione e la rappresentazione di un dramma possono aprire un varco e produrre un nuovo senso culturale (ed evangelico). Il «dramma sociale» di oggi, che merita di essere raccontato, consiste nelle radicali trasformazioni sociali della vita affettiva e familiare e nel loro contraccolpo sulla formazione della sicurezza psicologica di base; è il racconto della giovinezza defraudata del suo sogno e della paura che il futuro non possa iniziare; è la sensazione di perdita sia della sicurezza che della libertà, insieme allo sfacciato trionfo dell’effimero e dei suoi idoli, dei non pochi privilegiati che non temono le crisi.