Linee di una spiritualità mariana per i giovani

Luis A. Gallo


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Maria è uno straordinario modello di spiritualità. Un modello degno di essere proposto ai credenti in Cristo di tutti i tempi, e quindi anche ai giovani d'oggi. E se in altri tempi la spiritualità mariana ha avuto delle caratteristiche proprie (si pensi per esempio a quelle messe in luce da S. Luigi-Maria Grignion di Montfort), oggi credo che la caratteristica principale debba essere quella di un accentuato cristocentrismo. Un cristocentrismo però che a sua volta sia inteso secondo ciò che sono le legittime attese del momento attuale. Infatti, anche la cristologia odierna è profondamente segnata da ciò che sono le accentuazioni proprie del momento culturale in cui ci troviamo.

Spiritualità mariana vorrà quindi dire vivere con Maria e come Maria, secondo le condizioni proprie dell'età in cui si trovano i giovani, nello stesso Spirito del suo Figlio. Ora, questo vivere può concretizzarsi in tre componenti strettamente collegate tra di loro, che si possono enunciare sinteticamente così: sentire ciò che sentì Gesù; lavorare per ciò per cui lavorò Gesù; essere disposti a soffrire ciò che soffrì Gesù.

 

Sentire ciò che sentì Gesù

L'esperienza di Gesù comporta fondamentalmente due dimensioni, pure esse intimamente collegate tra di loro: figliolanza nei confronti di Dio, passione per la vita nei confronti degli uomini suoi fratelli. E' un'esperienza che implica certamente un determinato modo di vedere, di pensare e concepire le realtà tra le quali e con le quali si vive, ma che soprattutto comporta un modo di sentire in profondità le realtà in questo modo: «Abbiate in voi lo stesso sentire (fronein) che fu in Cristo Gesù», dice Paolo ai Filippesi (Fil 2,5).

Questo sentire, che non è un mero e superficiale sentimentalismo, ma una specie di strutturazione psichica profonda, costituisce come la «matrice emotiva» (Tillich) dalla quale scaturisce poi anche l'agire. E', direi, come la «carne psichica» (passi l'espressione!) dello Spirito di Gesù. Certo, questo sentire sarà vissuto a seconda delle diversità del corredo psichico di ognuno, ma non potrà mai essere assente dalla spiritualità. E va inoltre coltivato adeguatamente, come lo coltivava certamente lo stesso Gesù, a giudicare da alcuni dati che ci hanno tramandato i vangeli, quali quello delle sue notti passate in preghiera con Dio (Lc 6,12; ecc.).

Senza dubbio Maria ha fatto un'esperienza simile. Non ne abbiamo testimonianze bibliche, ma lo possiamo fondatamente supporre. Anzi, ci si può chiedere se questa esperienza di intimissima figliolanza con Dio e di incontenibile passione per la vita degli uomini che visse Gesù, non sia dovuta in gran parte al previo influsso materno di Maria. Un'osservazione dello psicologo E. Fromm sul ruolo dell'amore materno nella formazione dell'uomo ci può orientare verso una risposta positiva al riguardo: la madre, sostiene questo Autore, è colei che istilla nel figlio l'amore per la vita (cf L'arte di amare). Ad ogni modo, se Maria visse nello Spirito del suo Figlio, possiamo essere certi che fece fondamentalmente la stessa sua esperienza. Ovviamente, adeguata alla sua psicologia di donna e di donna ebrea di quel tempo. Pure lei, quindi, visse con intensa intimità un rapporto di figliolanza con Dio, e un'ardente passione per la vita degli uomini.

 

Lavorare per ciò per cui lavorò Gesù

Abbiamo parlato di quel sentire profondo che era certamente presente tanto in Gesù quanto nella sua Madre. Ma l'istanza ultima di Gesù non è il sentire  tanto meno il pensare o il parlare!  ma l'agire: «Non chiunque dice 'Signore, Signore' entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21; ecc.).

Fare la volontà del Padre non significa diventare esecutori  magari anche attenti e precisi  di una incombente decisione divina sulla propria vita o sugli avvenimenti della storia, ma fare propria la causa del Regno di Dio quale causa della vita più piena degli uomini, specialmente dei più bisognosi. Significa, in concreto, lavorare per ciò per cui lavorò indefessamente Gesù, mossi dalla sua stessa passione per la gloria del Padre che è la pienezza di vita degli uomini. Una pienezza che esclude qualunque limitazione, appunto perché la vita concreta degli uomini si gioca sull'ampio fronte dell'intera realtà. Non è quindi più spirituale  torniamo ancora a ribadirlo  chi si dedica alle cosiddette «cose spirituali» o «cose di Dio», ma chi si dedica alle cose degli uomini mosso dallo Spirito di Gesù, a cominciare da quelle per niente «spirituali» quali sono il pane da mangiare, il vestito per coprirsi, il tetto per avere una sicurezza. Gli atti più «materiali» o «profani» possono diventare così veramente spirituali, mentre quelli più «spirituali», quali la preghiera e la contemplazione, possono essere vuoti di Spirito, dello Spirito di Gesù, appunto perché non vanno nella direzione della ricerca della vita degli uomini.

Noi non sappiamo, dai dati che ci hanno tramandato gli evangelisti, come abbia vissuto storicamente Maria questo impegno. Il fatto però che Luca abbia elaborato la narrazione della visita ad Elisabetta (Lc 1,39-56) e Giovanni la narrazione delle nozze di Cana (Gv 2,1-12) in quel modo in cui l'hanno fatto, ci può permettere di intravedere quale sia stato il modo di impegnarsi di Maria dietro le orme del suo Figlio. Certamente quella incontenibile passione per la vita concreta degli uomini, soprattutto dei più poveri e bisognosi, deve averla spinta ad un darsi costantemente da fare per venire incontro, premurosa ai loro bisogni.

 

Essere disposti a soffrire ciò che soffrì Gesù

Appunto perché era un «uomo spirituale» nel senso che abbiamo indicato, Gesù dovette scontrarsi con coloro che questo Spirito di Dio non l'avevano, ma viceversa erano mossi da altri spiriti: lo spirito dell'egoismo, che li portava all'indifferenza e all'insensibilità verso gli altri, e a produrre emarginazione e addirittura sfruttamento nei loro confronti; lo spirito dell'orgoglio, che li faceva disprezzare gli altri; lo spirito dell'invidia, che li portava a desiderare per sé il bene degli altri; lo spirito del legalismo, che li chiudeva in un atteggiamento servile e mercanteggiante nei confronti di Dio; ecc.

Questo scontro mise Gesù in condizione di dover sopportare contraddizioni di ogni genere, fino a essere messo in croce, per portare avanti il suo progetto, il progetto del Padre. In questo contesto il suo Spirito si manifesta come coraggio, pazienza, costanza imbattibile. Lo muoveva soprattutto a non mollare davanti agli ostacoli, ad affrontare anche la morte per la causa abbracciata.

A questa vicenda dolorosa partecipò pure la sua Madre. I vangeli ce lo ricordano. Secondo Giovanni, come abbiamo già ricordato, essa era ai piedi della croce (Gv 19,25). Indubbiamente Maria visse con lo stesso Spirito del suo Figlio questa fecondità del chicco di frumento che, data la realtà concreta della nostra condizione umana, deve passare attraverso il dolore, la fatica, la contraddizione, per poter dare la vita (Gv 12,24-25). Non per niente Gesù usa nei suoi discorsi il paragone della donna che soffre per dare alla luce una vita nuova (Gv 16,21).

Chi vuole essere «spirituale» dietro a Gesù e alla sua Madre deve essere quindi disposto a soffrire ciò che essi hanno sofferto. Perché gli spiriti che si opponevano al progetto di Gesù esistono oggi come allora, dentro di noi e attorno a noi. In questo senso la spiritualità è anche una lotta e implica necessariamente la croce. Però la croce non come canonizzazione di qualunque tipo di sofferenza, ma come sopportazione attiva del dolore fecondo.

Fare l'esperienza che fecero Gesù e Maria, lavorare appassionatamente per ciò che per cui essi lavorarono, essere disposti a sopportare e soffrire ciò che essi sopportarono e soffrirono: ecco tre componenti caratteristiche e imprescindibili della spiritualità mariana dei giovani.

Il fatto però che si tratti appunto di giovani, e di giovani del nostro tempo, mi porta a sottolineare, per finire, un altro tratto caratteristico dello Spirito di Gesù, che non può quindi mancare nella spiritualità mariana: la sua spinta verso il nuovo, verso l'inedito. La parabola degli otri è molto eloquente e significativa al riguardo (Mt 9,17). Il regno di Dio, ossia il trionfo pieno e definitivo della vita sulla morte negli uomini e tra gli uomini, è infatti la grande e vera novità della storia. Nell'ultimo libro della Bibbia, l'Apocalisse, il Dio «che era, che è e che viene» dichiara solennemente: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (21,5). Per questo, Gesù è un sognatore e un «rivoluzionario», perché è in intima e operosa comunione con questo Dio. Egli sogna una situazione umana nuova, diversa; invita ad un cambiamento radicale di rapporti e strutture che faccia possibile tale novità; sollecita, come dirà poi Paolo, a «buttare via il lievito vecchio» (l Cor 5,77) per diventare massa nuova, a deporre l'uomo vecchio per diventare uomini nuovi (Col 3,910); incoraggia ad essere non meri uomini della memoria che ripetono il passato, ma piuttosto uomini della fantasia che inventano il futuro nuovo e migliore.

I giovani sono biologicamente e psicologicamente in situazione di connaturalità con una spinta di questo genere. Sempre che non siano stati guastati da fermenti di vecchiaia. Lo Spirito di Gesù trova quindi in essi degli otri predisposti. La loro spiritualità dovrà quindi essere una spiritualità eminentemente utopica. Non di quella utopia che è sterile illusione, ma di quella che con sano realismo provoca la realtà ad una rottura con il presente, in vista di quell'impossibile-possibile che l'amore del Dio della vita ha sognato per l'uomo e del quale Gesù, e con lui anche Maria, hanno dato i segni anticipandoli nel loro impegno.

Ciò vuol dire, da una parte, che i giovani devono coltivare ed essere aiutati a coltivare una spiritualità profetica, nel senso indicato dalla Gaudium et Spes (n. 11a). Una spiritualità che li impegni seriamente nel discernimento dei segni del progetto di Dio negli avvenimenti, richieste e aspirazioni cui prendono parte insieme con gli altri uomini e giovani del nostro tempo. Ad essere cioè contemplativi, ma non di una contemplazione che li alieni dalla storia, ma di quella contemplazione che li faccia capaci di scoprire Dio in ciò che accade in essa.

E, dopo il discernimento, deve venire anche l'impegno nella realizzazione di quanto attraverso esso scoprono. Per essere così spirituali ci vuole, come è logico, una profonda inserzione nelle realtà del mondo, nelle mutevoli e contingenti realtà della storia.

D'altra parte, questa spiritualità utopica non dovrà portare i giovani a fuggire la dura realtà del presente alienandosi in vane prospettive di futuro, ma a calare l'utopia del regno della vita nella grigia e alle volte pesante monotonia del quotidiano, come fecero appunto Gesù e sua Madre. In loro infatti non c'è una fuga irresponsabile verso un futuro inconsistente, ma la ricerca realista di un anticipo del domani di fraternità nell'oggi del conflitto e della morte.

Ho tentato di segnalare alcuni elementi che, a mio giudizio e a partire da una certa esperienza, possono tratteggiare una spiritualità mariana per i giovani d'oggi. La cosa migliore però a questo scopo sarebbe quella di affacciarsi alla realtà e vagliarla. Si troverebbero sicuramente nella Chiesa giovani che ci potrebbero fare da maestri in questo senso. Forse potremmo imparare molto da loro, più di quanto alle volte sospettiamo.

Poiché nei loro riguardi si attua certamente con speciale intensità quanto dice la Lumen Gentium: «Con la sua materna carità, Maria si prende cura dei fratelli del suo Figlio ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata» (n. 62).

 

(Il brano fa parte di un articolo in NPG 93-04-36)