Il futuro dei giovani


Osservatorio giovani

Domenico Cravero

(NPG 2012-02-4)


Si parla ancora dei giovani. L’Italia prova a rialzarsi e dice che bisogna farlo anche per loro. Lo hanno ripetuto il presidente Napolitano, il premier Monti, il governatore della Banca d’Italia Visco.

Anche alcune importanti ricerche nazionali, come quelle del Censis e dell’Eurispes, in questi giorni hanno parlato dei giovani, descrivendone, con nuovi dettagli, la condizione. Il canale televisivo Mtv ha esaminato un campione di 6.500 ragazzi anni in 15 Paesi. Le nuove generazioni fanno fatica a immaginare un progetto di vita e di lavoro. Interrogati sul futuro usano per lo più le parole «rischio», «incertezza», «buio». Sono cose risapute ma che è sempre utile riconsiderare. Anche per non dimenticare che in Italia più 2 milioni di ragazzi non studiano, non lavorano e non fanno apprendistato. «Non è un paese per giovani», sintetizzano i commenti più amari, considerando una disoccupazione giovanile che si avvicina al 30%.
Nei tempi difficili i giovani sono costretti a ridimensionare le loro aspettative e a tenere duro. I più fragili però si disaffeziono allo studio, perdono la voglia e si lasciano andare.
Ma davvero è la crisi economica a scippare ai giovani il futuro? Solo in parte. È causa determinante anche quella vita senza sogni, senza progetti e senza speranza che quotidianamente essi respirano nei loro ambienti di vita, nella cultura estranea della scuola, nel lavoro inteso come pura prestazione e guadagno, nella corruzione dell’amore, nel sentirsi ai margini, eppure ammaliati, di un mondo di efficienza e di immagine. Gli adulti sono parte in causa di questa caduta della speranza, non solo perché si sono dati finora regole sociali egoiste e miopi, ma soprattutto perché non sanno riconoscere i giovani, non li chiamano, non li invitano a partecipare.
Le ricerche sociologiche che ho citato documentano, invece, abbondantemente le risorse delle nuove generazioni.
I giovani non inseguono utopie, ma apprezzano gli adulti che si applicano con impegno. Credono ancora che l’amore, la verità e la fede siano capaci di inventare linguaggi nuovi, più attenti alle persone, alle diversità, ai diritti e all’ambiente. Sono affezionati ai loro genitori e cercano il dialogo con gli adulti. Attraverso Facebook, Twitter, YouTube abbattono le frontiere, mentali o fisiche degli stati e delle culture. Attribuiscono grande valore allo scambio affettivo e credono al primato dell’amore romantico. Qua e là sono anche attivi e protagonisti nelle lotte sociali, per lo più fuori dai partiti e dalle ideologie. I giovani di oggi forse sono la prima generazione globale, con valori, abitudini e modi pensare convergenti.
Essere nativi digitali li rende aperti, aggiornati, curiosi.
Questi giovani hanno soprattutto bisogno che qualcuno oggi dica loro: «bravi!», come quando li hanno visti a spalare il fango, durante il disastro dell’alluvione ligure. I giovani hanno bisogno del riconoscimento sociale per ritornare a sentirsi fieri e orgogliosi della propria vocazione.
E così il futuro può iniziare. L’ammirazione degli adulti, riconoscendo l’unicità di ognuno dei giovani, ne rigenera la voglia di sperare e di agire. Una cosa concreta ed efficace possiamo fare anche nei nostri ambienti: offrire luoghi, occasioni e linguaggi per promuovere i talenti dei giovani e organizzare la speranza. Lo ribadisce il messaggio del papa per la giornata mondiale della pace: «Saper ascoltare e valorizzare il mondo giovanile è un dovere primario di tutta la società».