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    Dio, Lucifero, il mondo

    Jean D’Ormesson


     

    CAPITOLO XIX
    in cui Lucifero si spazientisce
    e Dio versa una lacrima raccolta dagli angeli

    Come voi, anche Lucifero ne aveva abbastanza di questa totalità immobile. Voleva del movimento, che finalmente succedesse qualcosa. Aspirava oscuramente alla venuta di un tempo che fosse un po' più - e anche molto meno -, che fosse molto meno - e anche un po' più - di questa insipida eternità. Uno sviluppo, naturalmente, e una limitazione. Ignorava che cosa volesse, ma voleva qualcosa d'altro. Qualcosa di diverso dall'eternità. Qualcosa di diverso dal tutto. Gli avvertimenti divini per lui valevano più come promesse che come minacce. Era agitato da due forze formidabili che erano ancora amore e non erano già più amore: il desiderio e la passione.
    Lucifero si faceva degli amici a suon di promesse e di speranze. Metteva insieme Asmodeo, Belzebù, Mammone, il Samaele nero, Samassia, i darvanda, gli arcideva, i drugi, i pairiha e molti altri ancora. L'impazienza, la curiosità, un'ardente sete di conoscenza, il gusto dell'avventura e anche la collera incominciavano ad animarli. Sognavano l'influenza, il potere, anche l'amore e l'ignoto. Poiché Lucifero era l'intendente del Signore, doveva partecipare all'edificazione di quest'universo a cui tutti vagamente aspiravano e di cui l'eternità e il tutto erano soltanto l'immagine astratta, o forse troppo concreta.
    Volevano sapere. Volevano agire. E, oscuramente, avevano voglia di limiti da sfidare e da trasgredire. Si riunirono attorno a Dio e Lucifero si rivolse a lui press'a poco in questi termini:
    «Signore, ti adoriamo e veneriamo il tuo santo nome. Ma è un'eternità che stiamo qui senza far niente. L'infinito ci pesa un po'. Cominciamo ad annoiarci nello splendore dell'assoluto. Abbiamo voglia di qualcos'altro. Vorremmo viaggiare. Vorremmo sperare. Vorremmo vedere meraviglie diverse dalla gioia dell'eternità. Vorremmo diffondere dovunque lo splendore della tua gloria e della tua potenza. Vorremmo batterci per lei, farne condividere lo splendore a un numero immenso di Creature, creare un po' dappertutto le delizie dell'attesa, della lieta sorpresa e del giubilo. Vorremmo mettere in movimento il tuo pensiero infinito. In una parola come in mille, vorremmo una storia. Ma noi siamo impotenti se tu non ci vieni in aiuto. Vogliamo qualcosa, ma non sappiamo cosa. Aiutaci a far brillare fuori dell'eternità un poco del tuo amore e della tua onnipotente energia».
    Dio guardò Lucifero e tutti quelli che lo circondavano. Da quando aveva tratto dal nulla l'angelo della luce, non aveva più avuto un solo istante di pace. Questo tormento era la sua gioia, la sua ricompensa, il suo onore. Conosceva, come li conoscete voi, i disastri infiniti che sarebbero nati dal desiderio. Ma benediceva nel suo cuore questo desiderio di Lucifero. Quel che pretendeva Lucifero era un teatro per Dio. Sulla scena di questo teatro sarebbe corso molto sangue. Vi si sarebbero viste cose atroci. Ma su un punto almeno Lucifero aveva ragione: vi si sarebbe visto qualcosa. Una concatenazione di meraviglie, una serie ininterrotta di splendori e di miracoli: qualcosa al posto di nulla.
    Dio domandò a Lucifero:
    «Lucifero, non hai paura di quel che potrebbe accadere se sfuggisse qualcosa all'eterna immobilità della totalità?».
    Allora Lucifero diede a Dio la risposta terrificante e sublime che avrebbe deciso su tante sventure e tante felicità, tanti delitti e tanti riscatti:
    «No, Signore, non ho paura. Signore, non ho paura di niente».
    «Di niente?» domandò il Signore.
    «Di niente» rispose Lucifero. «Nemmeno di te, Signore, poiché sei tu che mi hai creato».
    Dio non guardò più il mondo, né i pianeti, né tutti i possibili futuri, né la storia degli uomini. Guardò dentro di sé. E l'amore per Lucifero lo sommerse di nuovo tutto quanto.
    Dio mormorò, con un filo di voce:
    «Esiste già qualcosa di diverso dal niente. Quando esisterà qualcosa di diverso dal tutto, non capisci che noi saremo separati?».
    «Ah! Signore» disse Lucifero «come dev'essere bello essere separati! Nulla quanto la separazione può dare senso alla riunione. Non permettere che ci stanchiamo del tuo inutile splendore. Arriviamo quasi al punto di sperare che qualcuno ti combatta per poterti aiutare e che tu soccomba per poterti salvare. Separiamoci, Signore! Lasciaci finalmente precipitare fuori dell'eternità! Lasciaci abbandonare il tuo soggiorno! Lasciaci vivere, Signore. E dar prova della nostra forza. E noi ci ritroveremo».
    «Lucifero» riprese Dio con voce calma e forte «te lo dico per l’ultima volta: non è per me che temo ciò che tu desideri, ma per te. Per la creatura non è un bene essere separata dal suo creatore. La creazione che tu desideri sarà crudele per le creature. Ma sarà ancor peggio per te. Perché tu regnerai sulla creazione e lei ti maledirà».
    Lucifero sentì nuovamente nelle parole divine la minaccia che aveva già avvertito. Dio si ostinava ad umiliarlo, lui, l'angelo della luce, la creatura di fuoco, il primogenito del Signore. Lo prese una collera fredda e si mise quasi a gridare:
    «Ah! Signore, quando cesserai di impedirci di essere noi stessi? Se dobbiamo assumere dei rischi, li accettiamo di buon grado. Lascia soltanto che si faccia ciò che deve esser fatto. Noi ci occuperemo del resto e di dominare, a nome tuo, e nostro, l'insieme della creazione. Soffochiamo, Signore! Soffochiamo sotto la tua legge, spietata e sterile. Vogliamo il piacere, la sorpresa, l'imprevisto, il nuovo. Nella tua eternità non c'è mai niente di nuovo. Noi vogliamo montagne e vallate, luce ed ombra. Vogliamo degli avvenimenti e vogliamo che un gran soffio di gaiezza e di vita passi attraverso di essi, li animi, li trascini. E se ci vuole della sofferenza, della bruttura e del male, ebbene, alla fin fine, vengano pure la sofferenza, la bruttura e il male! I miei compagni ed io ce ne faremo volentieri carico. Eravamo i principi della verità e del bene. Saremo anche i principi della sofferenza e del male. Ne accettiamo in anticipo la responsabilità. In tal modo diventeremo ancora più belli: saremo il fascino e la seduzione in persona. E questo ci distoglierà un poco dalla tua eternità».
    E volgendosi verso i suoi, meravigliati dalla sua eloquenza, Lucifero si mise a ridere.
    Allora Dio si distolse dall'angelo delle tenebre che stava ridendo della sofferenza e del male e versò le sue prime lacrime. In esse c'erano al tempo stesso dolore e pietà. L'universo sorge in una formidabile esplosione dall'amor di Dio e dalla sua energia. Ma da una sola lacrima di Dio, più pesante di tutto l'universo e raccolta dagli angeli spaventati e fedeli, secondo una leggenda più vera della verità, sarebbe sgorgata l'acqua primordiale, i torrenti, la liquida pianura di cui sarebbe stato composto il fango ardente che avrebbe dato origine alla vita.

    (Dio: Vita e opere, Rizzoli 1982, pp. 138-140)


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