Etty e il silenzio
"La mattina è di nuovo finita e io ho una marea di cose da scrivere. A dire il vero, non ho proprio fatto nulla stamattina: ho girato su e giù un po' per la stanza, fissato un po' il fuoco, chiacchierato con Käthe, scribacchiato qualcosa su questo quaderno. Eppure ho fatto molto. Ho di nuovo passeggiato lungo i confini del mio regno interiore, di nuovo girovagato totalmente immersa nel mio silenzio - un silenzio ancora non sufficiente - e ho capito che ne ho un tremendo bisogno"
"Un desiderio di silenzio. Ora il silenzio è tornato da me e io lo porto con me, continuamente".
"In me c'è un silenzio sempre più profondo. Lo lambiscono tante parole, che stancano perché non riescono a esprimere nulla. Bisogna sempre più risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche che ci sono necessarie. E questa nuova forma d'espressione deve maturare nel silenzio".
Il contrappunto della parola è per Etty il silenzio; o meglio il silenzio (soprattutto della notte) è la patria e la scaturigine delle parole che poi Etty dirà e scriverà, a testimonianza di un cammino personale e come "cronaca" di un tempo che vuole annichilire persone e memorie.
È il suo giusto modo per ascoltarsi dentro, per non perdere nessun pezzetto di sé.
La vita è fatta di storie che aspettano di essere raccontate da me. Oh, che idiozia - in realtà non lo so. Sono di nuovo infelice. E riesco perfettamente a immaginarmi perché le persone si ubriachino o vadano a letto con un perfetto estraneo. Ma la mia strada non è certo questa. Io devo restare sobria e con la testa lucida. E da sola. È un bene che quel farabutto stasera non fosse a casa, altrimenti sarei di nuovo corsa da lui dicendo: Aiutami, sono così infelice, sto scoppiando! E mi aspetto che gli altri si risolvano i problemi da soli! Voglio prestare ascolto, sì, proprio così. Quindi mi sono seduta per terra, nel più nascosto angolino della mia camera, schiacciata tra due pareti, il capo chino. Sì, e sono rimasta lì. Completamente in silenzio, fissando il mio ombelico, per così dire, in devota speranza che nuove forze sorgessero in me. Il mio cuore era di nuovo congelato e non voleva sciogliersi: tutti i canali erano bloccati e il mio cervello serrato in una morsa. E quando mi trovo ben raccolta in me stessa, attendo che qualcosa si sciolga e fluisca dentro di me.
Stamattina volevo essere un pastorello su una distesa alpina, con un flauto, sedevo accoccolata con le spalle al tempio di libri di legno di pero, maledicendo il mio cervello, e adesso sono di nuovo così grata che Dio me l'abbia dato. Un giorno riuscirò sicuramente a trovare l'equilibrio tra il pensare e il sentire. Ma questo è il mio rimedio: non parlare, non ascoltare l'esterno, ma stare totalmente in silenzio cercando di far risuonare dentro di sé l'essere più profondo e peculiare, e prestare ascolto a quello. È l'unico modo.
A volte mi sembra che ogni parola che vien detta, e ogni gesto che vien fatto, accrescano il grande equivoco. Allora vorrei sprofondarmi in un gran silenzio e vorrei anche imporre questo silenzio agli altri. Sì, a volte qualunque parola accresce i malintesi su questa terra troppo loquace.
orrei tanto qualcosa di saldo. “Niente è eterno, solo il cambiamento”. Ogni tanto lo dimentico e cerco un punto fermo. Ma non esiste. Solo nella morte. E questo forse spiega quel desiderio della morte, del niente, della forza pacificatrice del grande silenzio. E adesso, maledizione, ti metterai a lavorare.
Ci si lamenta di come fa buio al mattino. Per me, invece, è spesso l'ora migliore del giorno - quando l'alba s'affaccia grigia e silenziosa alle mie pallide finestre. In quel grigiore e silenzio c'è allora una macchia luminosa e violenta, il piccolo abat-jour splendente che rischiara il grande piano scuro della mia scrivania. La settimana scorsa è stata proprio la mia ora migliore. Ero immersa nell'Idiota, traducevo solennemente qualche riga in un quaderno, aggiungevo una breve annotazione mia, e di colpo erano le dieci. Allora ho pensato: sì, così devi studiare, così assorta, così va bene.
Questa mattina è tutta per me. E adesso che mi costringo a sedere tranquilla e sola davanti a questo quaderno, mi accorgo una volta di più di quanta fatica mi costi in realtà, di come noi tutti siamo ancora dominati da irrequietezza e impazienza. La scusa è sempre la stessa: non ho tempo, ho troppo da fare. Ma l'unica cosa a cui si approda è l'irrequietezza. Non si può permettere al silenzio di svilupparsi appieno, ma bisognerebbe gioire almeno dei brevi momenti di calma e introspezione che sempre più spesso si insinuano nella mia quotidianità. Per pura impazienza, invece, inciampo di continuo in quei brevi intervalli di silenzio, e mi accontento troppo in fretta illudendomi di riuscire ad ascoltarmi dentro; adesso, però, dopo settimane, non appena mi fermo a riflettere che questa mattina è tutta per me, mi rendo conto di quanta impazienza e di quanto “vivere giorno per giorno” ci sia ancora in me.
La mattina è di nuovo finita e io ho una marea di cose da scrivere. A dire il vero, non ho proprio fatto nulla stamattina: ho girato su e giù un po' per la stanza, fissato un po' il fuoco, chiacchierato con Käthe, scribacchiato qualcosa su questo quaderno. Eppure ho fatto molto. Ho di nuovo passeggiato lungo i confini del mio regno interiore, di nuovo girovagato totalmente immersa nel mio silenzio - un silenzio ancora non sufficiente - e ho capito che ne ho un tremendo bisogno.
Oggi pomeriggio avrei voluto scrivere molto: mi sarei voluta svuotare gentilmente e silenziosamente su queste pagine. Ma ero troppo stanca. E adesso, a letto presto. Ma prima devo chiamare S. Ciò che è sempre buffo è il modo in cui ogni conversazione telefonica con lui si riveli un'avventura ricca di possibilità; è sempre sorprendente scoprire quali frasi confuse o profonde osservazioni verranno fuori durante la nostra telefonata. E quel sobrio strumento nero dotato di cavi elettrici, o comunque la cosa funzioni, non è più un ostacolo alle voci che si accarezzano.
E poi, una settimana fa, mi sono ripromessa di registrare nel mio diario, alla fine di ogni giornata, le persone con cui ho parlato. Ma questo costerebbe un mare di carta. E poi, ha davvero senso? A volte la mia giornata è straripante di persone e di conversazioni, eppure ho la sensazione di vivere in un silenzio e una pace completi. E l'albero davanti alla mia finestra, di sera, è un'avventura ancora più grande di tutta quella gente messa insieme. Qualche volta penso che succeda talmente tanto nella mia vita - così tante persone interessanti, libri, colloqui, esperienze - che è proprio un peccato non riuscire a registrare tutto per i tempi a venire. Del resto, la mia realtà è un'altra. Penso che dovrei smetterla, una buona volta, di annotare tutto quello che mi accade. La mia realtà è altrove.
Non ci sono più momenti persi o morti, bisogna imparare sempre meglio a riposare tra due profondi respiri o in una breve preghiera di cinque minuti; nonostante le molte persone, le tante domande, lo studio eterogeneo, si deve continuare a portare in sé un grande silenzio nel quale potersi costantemente ritirare, anche nel cuore del caos più grande e della più intensa conversazione. Bisogna trarre forza da se stessi di volta in volta.
Ho mille cose da scrivere. Ma di tutte queste posso forse lasciarne perdere 999. Mi chiedo se non sto vivendo troppe esperienze. Questo spiegherebbe forse l'estemporaneo scoppio nei confronti di S., giovedì sera, quando ho gridato: Se potessi fare quello che voglio, afferrerei tranquillamente una valigia e andrei a sotterrarmi in un villaggio di pescatori sul mare. Da giorni ero infatti affamata di silenzio e solitudine. Ma è come se tutto questo fosse stato “cancellato” in quella sala di teatro vuota, spoglia, fredda, dove sono rimasta a sedere per circa sette ore di fila, e dove mi sono un po' guardata attorno, in quella gabbia di matti dove non fanno che provare.
Un desiderio di silenzio. Ora il silenzio è tornato da me e io lo porto con me, continuamente.
Sì: appartenere alla propria esperienza interiore e trasformarla. È anche il mio grande desiderio. E bisogna portare in sé il proprio “vissuto”, metterlo al centro di spazi silenziosi e ascoltarlo. E tutto questo non è possibile se concedi troppa attenzione all'entusiasmo che dall'esterno investe la tua personcina. Essere in se stessi. Essere soltanto. Silenzio. Anche se sei circondata da una marea di persone. E nessuna vanità!
Siedo qui in silenzio e immersa totalmente in me stessa, e tra un'ora sarò una persona molto diversa: vivace e intensa; e la cosa buffa è che dopo la tua lezione di un'ora, non riesci subito a tornare allo stato di concentrazione precedente, ma sei un po' cambiata per via del contatto con un altro elemento.
Oggi pomeriggio ho guardato alcune stampe giapponesi con Glassner. Mi sono resa conto che è così che voglio scrivere: con tanto spazio intorno a poche parole. Odio troppe parole, mi danno fastidio. Vorrei scrivere parole che siano organicamente inserite in un gran silenzio, e non parole che esistono solo per coprirlo e disperderlo: dovrebbero accentuarlo, piuttosto. Come in quell'illustrazione con un ramo fiorito nell'angolo in basso: poche, tenere pennellate - ma che resa dei minimi dettagli - e il grande spazio tutt'intorno, non un vuoto, ma uno spazio che si potrebbe piuttosto definire ricco d'anima. Io detesto gli accumuli di parole. In fondo, ce ne vogliono così poche per dir quelle quattro cose che veramente contano nella vita. Se mai scriverò - e chissà poi che cosa? - mi piacerebbe dipinger poche parole su uno sfondo muto. E sarà più difficile rappresentare e dare un'anima a quella quiete e a quel silenzio che trovare le parole stesse, e la cosa più importante sarà stabilire il giusto rapporto tra parole e silenzio - il silenzio in cui succedono più cose che in tutte le parole affastellate insieme. E in ogni novella, o altro che sia, lo sfondo muto dovrà avere un suo colore e un suo contenuto, come capita appunto in quelle stampe giapponesi. Non sarà un silenzio vago e inafferrabile, ma avrà i suoi contorni, i suoi angoli, la sua forma: e dunque le parole dovranno servire soltanto a dare al silenzio la sua forma e i suoi contorni, e ciascuna di loro sarà come una piccola pietra miliare, o come un piccolo rilievo, lungo strade piane e senza fine o ai margini di vaste pianure.
In quei momenti le parole non sono ostacoli che devono essere superati per capirsi totalmente, sono piuttosto i mediatori silenziosi che portano con sé l'intero fluire della vita.
E oggi voglio ritirarmi a riposare nel mio silenzio: nello spazio del mio silenzio interiore a cui chiedo ospitalità per un giorno intero. Forse riuscirò a riposarmi così. Corpo e mente sono molto stanchi e funzionano male, ma oggi non ho da lavorare, e credo che andrà bene.
Così, stanca, posso restar seduta nell'angolino del mio silenzio, accoccolata come un Buddha e anche col suo sorriso - interiormente, s'intende. Bello per le persone che lavorano tanto duramente dover guardare una tale boccaccia ghignante! Non mi è chiaro perché sia di nuovo necessaria quell'improvvisa rozzezza. Oggi devo scrivere molto, moltissimo.
Ecco che sento il suo passo sulla scala. Le pareti di questa camera stanno già scivolando attorno a me come un abito familiare e su misura. Potrei vivere e lavorare qui. Una piccola arte. Una gentilezza d'animo che sarebbe meglio lasciare a se stessa, oggi. No, non era il suo passo. Forse in futuro, molto in là, ci sarà concessa una camera silenziosa? Forse quando avremo attraversato tutto e superato tutto, onestamente e senza cercare di evitare nulla, senza voler vivere meglio di altri in questi tempi. Se riusciremo a superare tutto quello che deve venire, forse un giorno avremo una camera silenziosa per gli anni futuri, con un po' di comfort e con la sensazione di essercelo meritato. E altrimenti? Be', non è comunque la cosa principale. C'è sempre una camera silenziosa in qualche angoletto del nostro essere e potremo pur occuparla di tanto in tanto. Non potranno di certo privarci di quello spazio. Ormai da un anno intero sto lavorando al silenzioso spazio dentro di me, tanto che adesso si è esteso fino a diventare una sala, tangibile nella sua presenza.
In me c'è un silenzio sempre più profondo. Lo lambiscono tante parole, che stancano perché non riescono a esprimere nulla. Bisogna sempre più risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche che ci sono necessarie. E questa nuova forma d'espressione deve maturare nel silenzio.