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    Etty e la parola


    "Dentro di me c'è una melodia che a tratti vorrebbe tanto essere tradotta in parole".

    "A volte vorrei rifugiarmi, con tutto quel che ho dentro, in un paio di parole.
    Ma non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare"

    "Ogni parola deve nascere da una necessità interiore: scrivere non può essere altro".


     

    Etty è parola, pensata, meditata, trascritta nel suo Diario.
    Non esisterebbe Etty, e tanto meno la sua testimonianza, senza le parole scritte e che vengono ora lette da milioni di persone, e che mostrano - a distanza di 70 anni - una freschezza, una potenza, una forza inesauribile.
    C'è un uso del termine "parola" molto comune, diremmo quasi quotidiana, nelle sue pagine: sono le parole che vengono ascoltate e dette nelle relazioni con le persone (a volte però anche le cose parlano... i fiori, il cielo, le nubi... il filo spinato) o quelle che vengono sussurrate o urlate nei dormitori del campo o in attesa di salire il treno della morte.
    Anche questa parole sono degne di rispetto, di attenzione; e sono così preziose che bisogna essere parsimoniosi con esse, ed evitare di dire parole pretenziose, vuote, inadeguate, patetiche.
    Ma il desiderio è sempre quello di parole limpide, anche se a volte sono fragili, parole che nascono nelle notti e che sfociano nella fonte interiore.
    Di dire parole precise, pur nella fatica, trasparenti, che possano evitare equivoci e malintesi.
    Occorre viverle le parole, farle diventare carne e sangue, esserne responsabili. E, ripetiamo, anche quelle del linguaggio della relazione quotidiana.
    Poi ci sono le parole "grandi" (circa cui Etty fa anche dell'umorismo, le parole grosse, le parolone. Sono quello che permettono di dirsi nella propria intereiore, e che la alimentano (tra cui le sue letture, Rilke in particolare, tra cui i dialoghi soprattutto con Spier).
    E parole cercate e ricercate perché possano diventare testimoni non solo del lavorio interiore di Etty, ma anche di un tempo drammatico, che corre il rischio di essere cancellato o dimenticato, tempo futuro di cui Etty vorrà essere cronista.
    Ci sono poi le parole d'amore... ma su questo conserviamo la riservatezza, nel rispetto ("Adesso prendo di nuovo ciascuna sua parola nel palmo della mano e me la metto sul cuore, e le sue parole rimarranno là")
    Per concludere questi spizzichi di impressioni, citiamo alcune "parole" importanti per Etty (oltre ovviamente a quelle citate nella rubrica in cui questo articolo è collocato); sono parole tedesche, che esprimono un suo preciso atteggiamento di fronte alle cose e alle situazione, ma soprattutto rispetto a se stessa.
    Pura e dotta curiosità? Non direi...
    -
    hineinhorchen (In fondo, la mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro me stessa, gli altri, Dio. E quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La parte più essenziale e profonda di me che presta ascolto alla parte più essenziale e profonda dell'altro. Dio a Dio); o anche: hineinhören in sich;
    -
    auseinandersetzen (occuparmi a fondo di ogni cosa)
    -
    vorwegnehmen (anticipare): "Comincio a mettere al coperto un po' del dolore che patiremo quest'inverno. Non si può farlo in una volta sola. Oggi sarà una giornata molto pesante. Rimarrò a letto, con calma, e “anticiperò” una piccola parte dei duri giorni che verranno".
    E anche: Mitleid - Unfreiheit- Weltschmerz...


     

    Queste parole sono per me di capitale importanza. Negli ultimi giorni sono diventate carne e sangue.

    Ma è solo teoria, che se non altro serve a preservare ancora un po' di umanità grazie a qualche parola gentile. Se sentissimo davvero così, non avremmo neppure bisogno di dirlo espressamente, ci sentiremmo animati da un medesimo sentimento, la contadina tedesca come gli studenti ebrei, e allora potremmo parlare del bel tempo come della minestra di verdura, invece di tormentarci con discorsi politici, che servono solo a sfogare il nostro odio.

    Per la verità non voglio scrivere niente: mi sento così leggera e raggiante e contenta che ogni parola peserebbe come piombo, in confronto. Però stamattina mi sono proprio guadagnata questa gioia interiore, ho dovuto lottare contro l'irrequietezza del mio cuore che batteva all'impazzata.

    Mi sento come un pugno chiuso e non so come rilassarmi. Costringerò me stessa a scrivere qualcosa ogni giorno, anche solo un paio di parole, altrimenti esploderò.

    Tutte queste espressioni, che potrebbero venire direttamente dal mio cuore, mi riguardano così tanto, perché è come se S. le avesse rivolte proprio a me. La sua faccia grigia espressiva, con quegli occhi a volte così luminosi, si nasconde dietro le parole, quasi suggerendomi, per così dire, queste verità.

    È proprio sciocco da parte mia, ma torno di continuo a questo diario, perché c'è sempre qualcosa da aggiungere. Tutta la mia debolezza, in effetti, deriva dal fatto che ogni volta, o almeno molto spesso, sono perseguitata da una grande domanda che in realtà esprime un vuoto: Ne vale davvero la pena? Vale la pena di lottare? Non bisognerebbe semplicemente prendere quello che la vita ha da offrire e lasciar perdere il resto? Dietro a questa domanda ce n'è forse una ancora più banale: chi ti sarà grato per questa lotta o, per dirla ancora meglio: a chi importerà? A Dio, di certo: queste parole, che scaturiscono inattese dalla mia stilografica, mi danno d'un tratto un'umile forza. Forse queste parole - Dio te ne sarà grato - si trasformeranno nella salvezza.

    Ho scritto che mi sono confrontata col “dolore dell'Umanità” (questi paroloni mi fanno ancora paura) ma non è del tutto esatto.

    Alle volte mi irrita vedere tutte quelle donne attorno a lui, in attesa di ricevere l'una o l'altra parola saggia del Maestro o una carezza del suo grande artiglio. Forse anche questa è solo gelosia: voglio avere una persona, almeno un uomo, soltanto per me. Del resto succede solo nei miei momenti peggiori, in quelli più negativi. In realtà devo ammettere che lui si occupa di tutte queste donne in maniera impeccabile, e che l'atmosfera è incontaminata e amichevole.

    Penso davvero di non essere proprio una persona socievole, non sono fatta per garbate occasioni sociali e per i convenevoli. È una sciocchezza, ovviamente, vista la mia vitalità, la mia vivacità e la capacità di divertirmi in compagnia. Ma è come se mi costasse sempre più fatica. In base a come mi sento in questo istante, credo di essere buona solo per le conversazioni a due, in cui qualcuno mi racconta tutta la sua vita in una volta sola. Sono interessata all'essenziale, al fulcro dell'essere umano, il resto mi annoia. Mi chiedo quanto sentimentalismo ci sia in tutto questo, in che misura io cerchi sempre le emozioni e le passioni molto forti.
    In realtà, quello che ho appena scritto non è vero. Infatti amo la compagnia degli altri, in quei momenti riesco a godere di una singola parola, un gesto, un sorriso, l'espressione particolare del volto di qualcuno. E soprattutto dell'umorismo che si incontra da tutte le parti. Forse volevo solo dire che sento sempre meno il bisogno di parlare di me stessa o di rivelare qualcosa di essenziale su di me, e questo è probabilmente il motivo per cui ho la sensazione di essere una persona poco socievole.

    Anche il mio studio è altrettanto strano. Trascrivo brani dai libri, quasi in maniera istintiva: spesso mi soffermo su una sola frase, una parola, che mi pare di dover conservare per il futuro, così almeno penso in quel momento. Sto lavorando per qualcosa, lavoro in un contesto più ampio che però non è ancora delineato, eppure sento che mi conduce da qualche parte, alla ricerca di una sintesi.

    A volte mi sembra che ogni parola che vien detta, e ogni gesto che vien fatto, accrescano il grande equivoco. Allora vorrei sprofondarmi in un gran silenzio e vorrei anche imporre questo silenzio agli altri. Sì, a volte qualunque parola accresce i malintesi su questa terra troppo loquace.

    Vuoi espanderti tutta in una parola, in parole colorate ed estese. Ma quelle parole non potranno contenerti. Il mondo e il cielo di Dio sono così vasti. Non sono vasti abbastanza?

    Non c'è niente da fare, dovrò risolvere i miei problemi. Ho sempre la sensazione che, se riuscirò a risolverli per me stessa, li avrò risolti anche per migliaia di altre donne. Ragion per cui mi tocca auseinandersetzen, “occuparmi a fondo di ogni cosa”. Ma la vita è di certo molto complicata, in special modo quando non si riescono a trovare le parole.

    Anche mentre annoto tutto ciò, credo di essere alle prese, in qualche angolo del mio inconscio, con il disgusto per parole come “scopo della vita”, “umanità” e “soluzione di problemi”. Trovo quelle parole pretenziose e me stessa una tale sciocca “ragazzina insignificante”, ma questo deriva dal fatto che non ho ancora il coraggio di guardare a me stessa.

    Non riesco ancora a scrivere. Voglio scrivere della realtà che si cela dietro le cose, ma questo è ancora fuori dalla mia portata. L'unica cosa che mi interessa davvero è l'atmosfera, si potrebbe dire l'“anima”, ma la sostanza continua a sfuggirmi, con il risultato che mi manca un punto d'appoggio. Devi descrivere la realtà concreta, terrena, e illuminarla con le tue parole, con il tuo spirito affinché l'anima che sta dietro alle cose venga evocata.

    Non riesco ancora a esprimerlo a parole. A volte vorrei vivere come un fiore o come una mucca o un altro elemento naturale simile. Allora avverto la vita intellettuale come qualcosa di artificioso e insalubre. Vorrei soltanto che la mia vita scorresse come qualcosa di scontato, su cui non dover riflettere.

    Dentro di me percepisco tutto in modo così ricco, variegato ed eccitante, ecc., ma quando ne vengono fuori solo un paio di misere parole, temo che lui non ne riceva un'immagine completa.

    Eppure sono maturata ancora un po'; ho coltivato un ulteriore segmento di campo, ma la distesa è incommensurabilmente vasta. Ciò di cui più soffro è il fatto che non riesco ancora a dire le cose, a formularle in modo tale che le parole diventino trasparenti e vi si scorga dietro l'anima. Ti sei espressa in modo troppo forbito, ragazza!

    La sua lettera ha avviato in me un processo psicologico molto importante, che io ho cercato di mettere per iscritto, ma non credo di esserci riuscita; provo quanto meno un senso di insoddisfazione per tutte queste parole, troppe parole scritte su ciò che dentro di me sento così semplice e chiaro.

    Noi usiamo sempre belle parole, quasi d'istinto, “umanità” e “società” ed “essere buoni”, e Dio sa cos'altro ancora. Ma dobbiamo anche “vivere” quei concetti.

    Se non mi do da fare, tra qualche anno sarò forse una donna irrequieta, ansiosa e con un grande desiderio di queste parole: “riposare in se stessi”, ma senza la minima idea di come si raggiunge tale condizione.

    Dentro di me c'è una melodia che a tratti vorrebbe tanto essere tradotta in parole. Ma per la mia repressione, mancanza di fiducia, pigrizia e non so che altro, rimane soffocata e nascosta. A volte mi svuota completamente. E poi mi colma di nuovo di una musica dolce e malinconica.
    A volte vorrei rifugiarmi, con tutto quel che ho dentro, in un paio di parole. Ma non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare. È proprio così. Io sto cercando un tetto che mi ripari ma dovrò costruirmi una casa, pietra su pietra. E così ognuno cerca una casa, un rifugio per sé. E io mi cerco sempre un paio di parole.
    A volte mi sembra che ogni parola che vien detta, e ogni gesto che vien fatto, accrescano il grande equivoco. Allora vorrei sprofondarmi in un gran silenzio e vorrei anche imporre questo silenzio agli altri. Sì, a volte qualunque parola accresce i malintesi su questa terra troppo loquace.

    Vedi, questo è tipico. Sono in cucina e sto riempiendo una caraffa, e d'un tratto un pensiero afferra la mia mente. Si tratta di un pensiero abbastanza illuminante, a mio avviso, e subito voglio scriverlo. Ma non ne viene fuori nulla, perché non trovo le parole e “il pensiero” si dissolve; eppure sembrava essenziale. Mi succede sempre. I miei pensieri e sentimenti mi sembrano abbastanza maturi ma hanno l'aria di non voler venire alla luce. O forse non sono poi così maturi. O magari mi manca la pazienza? Non lo so. E adesso, per davvero, buona notte.

    Ma affronterò qualsiasi cosa mi tocchi in sorte - ecc. ecc. Nel momento in cui un pensiero simile mi coglie, mi appare suggestivo e potente, e riesco a trovare le parole poetiche che mi sembrano adatte a esprimerlo, ma poi, quando provo a mettere quel pensiero nero su bianco, le parole non ci sono più.

    Ora dovrei scrivere di nuovo dell'amore, di un genere d'amore più elevato che è in me, e anche del mio desiderio di essere il più possibile onesta nel giudicare i miei simili, ma quella parola, “amore”, sta diventando molesta. D'un tratto la penso così.

    E l'unica cosa che mi fa sentir realizzata in questa vita è perdermi in un pezzo di prosa, o in una poesia che io mi sia conquistata con fatica, parola per parola.

    Naturalmente ho pensato tutto questo in un modo molto diverso, ma lasciatemi avere almeno il coraggio di scrivere alcune incerte parole, che forse un giorno si tramuteranno in altrettanti appendiabiti imperfetti ai quali potrò infine attaccare dei pensieri più maturi.

    Quando riuscirò a trovare le parole giuste per esprimere tutto questo?

    Nella mia anima ci sono parecchie cicatrici per via delle parole che avrei dovuto dire a qualcuno e che, per insicurezza, ignavia o avidità, o per pura indolenza, ho trattenuto e ancora trattengo dentro di me

    E non posso neanche insistere nell'assaporare in solitudine le parole e i ritmi che mi attraversano, e a cui in realtà ha diritto anche l'altro: devo pian piano raggiungere una forma, per quanto manchevole essa possa essere

    E poi anche quell'intensa conversazione con Jan Polak. È solo grazie a essa che mi sono resa conto di come io possa esprimere le cose che mi toccano e come abbia anche il coraggio di mettere in parole le mie sensazioni interiori. Diventa quasi una testimonianza.

    Sono diventata molto timida. Non voglio più trasformarmi nella più famosa scrittrice di questo secolo: voglio solo trovare, di tanto in tanto, un paio di parole che possano ospitare i sentimenti che crescono in me. Solo per me stessa. Voglio sempre restare in contatto con la parte profonda da cui germogliano le parole, altrimenti mi sento come una nave che ha perso gli ormeggi. So di avere un ancoraggio. Non mi smarrisco così facilmente, in questo periodo.

    È impossibile portare direttamente con sé, fin dentro il giorno, parole nate da solitarie notti di contemplazione. Me ne accorgo di nuovo in questo momento. Vi amo così tanto, mie notti solitarie.

    E quando ho letto quelle parole, mi sono sentita come... già, come mi sono sentita? Non riesco ancora a esprimerlo bene. Le parole hanno operato su di me come una verga da rabdomante che sferzava il fondo duro del mio cuore, facendone improvvisamente scaturire sorgenti nascoste.

    E ogni sera vado di nuovo a dormire con un cuore colmo di gratitudine. L'intensa connessione con Rilke degli ultimi giorni mi pesa anche, a tal punto che le mie stesse parole non se ne riescono a liberare.

    Sarò capace di assumere la responsabilità di queste parole di fronte a me stessa, sarò capace di viverle? Non possiamo farci molte illusioni. La vita diventerà molto dura e saremo di nuovo separati, tutti noi che ci vogliamo bene. Credo che quel tempo non sia più molto lontano. È sempre più necessario prepararci interiormente.

    Un solo spazio compenetra ogni essere:
    spazio interiore del mondo.
    Mi sembrano le parole più belle che conosco, probabilmente perché, con la loro completezza e perfezione, riescono a rendere esattamente quello che con sempre maggiore intensità sto vivendo
    . Ho appena riletto alcune poesie di Rilke: non vi si dovrebbero aggiungere altre parole, adesso che le parole stanno avvicinandosi un po' ai miei sentimenti.

    Accogliere in sé i gesti, gli sguardi, le parole, i problemi e la vita degli altri, e lasciare che quella vita altrui continui a svilupparsi in noi, diventando sempre più delineata: questo è il nostro compito essenziale.
    Ci sono un paio di cose delle quali continuerò probabilmente a parlare per tutta la vita, con parole che diventano sempre più limpide; mi sarà concesso di trovare quelle giuste?

    Anche per questo mi è tanto caro: è così vero. E ogni parola che dice, canta, o legge, la vive. Quindi se legge cose tristi, diventa veramente triste anche lui. Trovo commovente quand'è così emozionato che sembra stia quasi per piangere: allora piangerei volentieri un pochino con lui.

    Più tardi mi è venuto in mente a un tratto che, tutto sommato, quella era una meravigliosa cosa da dire. Sei carina da guardare. Di solito lo dice soltanto con sguardi e gesti carezzevoli delle sue buone mani, ma non riesce a esprimerlo a parole. E noi, sciocche donne, dipendiamo così tanto dalle parole.

    Ci vuole un'intera vita prima che si riescano a trovare le parole giuste per questi pensieri e sentimenti. Ma mi piacerebbe tanto riuscire qualche volta a fissare qualcosa di tutti i pensieri che ci scambiamo, per avere un piccolo, sia pur povero, appiglio per dopo, o anche solo per avere un sostegno e uno stimolo per i giorni a venire, che forse saranno più vuoti di quelli che vivo adesso.

    Una volta, tanto tempo fa, lui mi ha detto: Sono parsimonioso con le parole d'amore alle donne, perché so che loro vi si attaccano troppo, mentre noi a volte le diciamo solo per dire.

    A volte mi sveglio con una frase bell'e pronta nella testa, un paio di parole che, nel cuore della notte, in uno stato di dormiveglia, devo aver detto a me stessa a bassa voce; non so mai di preciso da dove vengano, ma alla mattina d'un tratto sono lì e io me le ricordo.

    E se dovessi aver bisogno di trovare parole che possano rendere il mio attuale stato d'animo, le prenderò in prestito di nuovo da un altro, cercherò le lettere “a un giovane poeta” e leggerò le stesse parole per l'ennesima volta e, di nuovo, sentirò l'urgenza di trascriverle (fino a che non troverò le mie parole?)

    E, tuttavia, qualche volta mi chiedo se non dovrei fare uno sforzo più deciso nella ricerca delle parole e della forma che diano espressione ai miei pensieri e ai miei sentimenti. In realtà in questo sono tanto indolente e caotica, e lo trovo ancora molto difficile.

    Perché mai non si dovrebbero trovare ogni giorno nuove parole e vezzeggiativi per le cose quotidiane che ci circondano e per l'aria che respiriamo?

    Ho sempre pensato di dover raccogliere tutte le sue parole e annotarle come “materiale” - materiale per Dio sa che cosa -, ma è molto meglio questo processo: le sue parole e le sue considerazioni vanno a vivere in me, fino a diventare parte di me; questo accade con sempre maggiore forza e ha più valore, credo, che registrare continuamente le sue espressioni. A volte penso di conoscerlo, di valutarlo e di capirlo appieno, ma ogni volta si ripresenta un momento, una parolina, un solo gesto, un'espressione del viso, per cui lui si fa per me ancora più chiaro. È un libro aperto che io leggo e rileggo, e ogni volta di nuovo sfoglio: ci sono sempre le stesse parole, ma io sto imparando sempre più a guardare dietro il loro significato. Leggo con sempre meno interruzioni e con più fiducia in lui, come non ho mai fatto con nessun libro. E così dev'essere una persona per te, e restare tale per tutta la vita: un libro che sfogli di continuo, nel quale, dietro le parole note, si spalancano orizzonti sempre più ampi.

    Qualcosa di molto diverso: a volte credo che potrei scrivere, descrivere, ma poi divento così stanca, improvvisamente, e penso: perché tutte quelle parole? Vorrei che ogni singola parola che mi trovo a scrivere fosse una nascita, davvero una nascita, che nessuna parola fosse artificiale; vorrei che ogni parola fosse essenziale, altrimenti non ha proprio alcun senso. Ed è per questa ragione che non potrò mai vivere della “scrittura” e invece dovrò sempre avere un altro lavoro parallelo per guadagnarmi la giornata. Ogni parola deve nascere da una necessità interiore: scrivere non può essere altro.

    Forse ho troppa fiducia nel fatto che le parole verranno da sé, quando i tempi saranno maturi, ma può darsi che stia commettendo un grandissimo errore di valutazione.

    Io posseggo in realtà pochissime parole per tutto quello che vorrei dire. Potrei forse allargare il mio vocabolario? Penso che sia possibile. Significa lavorare duro, è un mestiere. Credo di contare ancora troppo sul fatto che la “grazia” mi investirà, e che a quel punto tutte le parole e le immagini appariranno da sé.

    ico sempre che c'è un così forte desiderio creativo in me, che io sono di continuo alla ricerca delle parole e delle immagini con cui potrei delineare quel desiderio. Ma forse dovrei cercare piuttosto di raffigurare ciò che dà origine al desiderio in minuziose ed esatte forme, per esempio, un fiore o un gesto o il viso di una persona o un'atmosfera in cui m'imbatta da qualche parte. Non riesco ancora a farne nulla, per così dire, non riesco ad afferrare nulla, ogni cosa si affastella ancora in me, incombendo così grande e forte e vaga. Mentre ieri pomeriggio sedevo qui alla mia scrivania, mi ha raggiunto un pensiero, quasi una sorta di epifania: ora siedo qua e potrei fare cose con le parole.
    ...
    Vorrei creare cose con parole serie e bizzarre.

    E questo è il motivo per cui ogni sua singola parola è una ventata d'aria fresca: mai vaga, ogni parola nasce dopo che è stata ragionata, tutto è così sicuro, così senza ambiguità, trucchetti o camuffamenti. E io imparo da ogni parola che viene fuori da lui. Persino una serata come questa, durante la quale entrambi eravamo un po' rimbambiti per via del caldo e ci comportavamo come due folli a piede libero, porta con sé momenti cristallizzati grazie ai quali le cose si chiariscono nella mente e si diventa un po' più lucidi dentro. Ma di tutto questo quel buon uomo non si rende conto.

    Oggi pomeriggio ho guardato alcune stampe giapponesi con Glassner. Mi sono resa conto che è così che voglio scrivere: con tanto spazio intorno a poche parole. Odio troppe parole, mi danno fastidio. Vorrei scrivere parole che siano organicamente inserite in un gran silenzio, e non parole che esistono solo per coprirlo e disperderlo: dovrebbero accentuarlo, piuttosto. Come in quell'illustrazione con un ramo fiorito nell'angolo in basso: poche, tenere pennellate - ma che resa dei minimi dettagli - e il grande spazio tutt'intorno, non un vuoto, ma uno spazio che si potrebbe piuttosto definire ricco d'anima. Io detesto gli accumuli di parole. In fondo, ce ne vogliono così poche per dir quelle quattro cose che veramente contano nella vita. Se mai scriverò - e chissà poi che cosa? - mi piacerebbe dipinger poche parole su uno sfondo muto. E sarà più difficile rappresentare e dare un'anima a quella quiete e a quel silenzio che trovare le parole stesse, e la cosa più importante sarà stabilire il giusto rapporto tra parole e silenzio - il silenzio in cui succedono più cose che in tutte le parole affastellate insieme. E in ogni novella, o altro che sia, lo sfondo muto dovrà avere un suo colore e un suo contenuto, come capita appunto in quelle stampe giapponesi. Non sarà un silenzio vago e inafferrabile, ma avrà i suoi contorni, i suoi angoli, la sua forma: e dunque le parole dovranno servire soltanto a dare al silenzio la sua forma e i suoi contorni, e ciascuna di loro sarà come una piccola pietra miliare, o come un piccolo rilievo, lungo strade piane e senza fine o ai margini di vaste pianure.

    E così continuo a prendere in prestito le parole degli altri per annotare cose per le quali mi mancano le mie.

    A volte, quando pedalo per le strade, molto lentamente e tutta assorta in quel che avviene dentro di me, mi sembra di potermi esprimere con una tale forza e sicurezza che mi ritrovo poi piena di meraviglia, quando ogni frase che scrivo appare così traballante e sgraziata. A volte parole e frasi corrono dentro di me così sicure e persuasive, che dovrebbero uscirmi fuori quasi da sole, e proseguire naturalmente il loro corso su un qualsiasi pezzo di carta.

    Ciò che ho scritto all'inizio della mattina ha di nuovo perso la sua verve; una volta che hai messo nero su bianco le cose, ti scivolano via. Mi sto addentrando in una giungla di parole, molte parole sono ridondanti e molte non colgono nel segno e sono sbagliate, ma non si tratta delle parole, quanto piuttosto di farsi strada in mezzo a esse per poi arrivare d'un tratto in una radura con una visuale aperta su tutti i lati e sul cielo: allora sarò andata ancora un po' avanti. E alla fine di una conversazione così caotica con me stessa, mi rendo conto di non essere comunque così piccola, immatura e miserabile come pensavo all'inizio.

    Ho avuto bisogno di molte strade laterali e di cespugli di parole, in questa mattina piovosa e cupa, per arrivare a una consapevolezza chiara e semplice delle cose. In mezzo alle troppe, e tuttavia necessarie, parole di stamattina ho anche scritto qualcosa di simile: a volte, si cerca di compensare una temporanea mancanza di forze interiori facendo richieste supplementari al mondo esterno, aspettandosi irragionevolmente che queste possano sostituire le forze provenienti da dentro.

    Mi è venuto d'un tratto in mente che le cose stanno realmente così. Infatti non ho probabilmente il talento per scrivere; ho solo il talento, se così lo si può chiamare, di fare esperienza di tutto quello che in questa nostra vita umana è possibile vivere e sentire e subire, e non solo a mio modo, ma anche come molti altri. I vizi più grandi non mi sono sconosciuti, ma conosco anche la più grande fiducia in Dio e lo spirito di sacrificio e l'amore per l'umanità. E faccio esperienza di tutto, corpo e anima, attraverso il sangue e l'oscurità, in ogni angolo del mio essere. Non credo di avere un vero talento per la scrittura. Se fosse necessario, forse potrei scrivere cose facili e bizzarre, Spielereien, ma queste non hanno nulla a che fare con il profondo del mio essere, sono le creste delle onde, ma là sotto non c'è il mare? Non posso scrivere, ma faccio esperienza di questa vita con il corpo e con l'anima, di minuto in minuto, in tutti i suoi aspetti e fluttuazioni, in tutti i suoi colori e suoni. Faccio esperienza delle persone e anche della loro sofferenza. E da quell'esperienza, forse, un giorno si faranno strada a fatica le parole che dovrò dire, e che sgorgano da una sorgente talmente vera che dovranno trovare la loro via. Saranno forse parole molto impacciate, ma vorranno essere dette. Ho anche paura di una certa facilità nella scrittura. Credo di poterlo fare, ma è come se opponessi resistenza perché non riuscirei comunque a toccare le cose che contano davvero. Un giorno troverò certamente le mie parole, o, meglio, le mie parole forse un giorno troveranno me; la mia esperienza un giorno incontrerà le parole che la libereranno. Non riesco a scrivere, ma riesco di certo a vivere. E, un giorno, da questa mia vita reale nasceranno anche parole.

    Una volta ogni tanto, una conversazione simile ci raggiunge come un inatteso regalo del cielo. Lui osserva, per dire così, la sua intera vita come da un'alta torre, e quella vita mi viene incontro in semplici parole, come un corso d'acqua. In quei momenti le parole non sono ostacoli che devono essere superati per capirsi totalmente, sono piuttosto i mediatori silenziosi che portano con sé l'intero fluire della vita. Io aspetto con lui nella torre di vedetta, e i vari paesaggi della sua vita, i suoi traguardi e le sue intuizioni si srotolano ai nostri piedi.

    Ieri sera ho avvertito la bellezza quasi insostenibile del pisello odoroso color rosa-rosso tra i miei libri. Se avessi avuto a disposizione sufficienti parole (e fortunatamente non ce l'ho) , allora mi sarei seduta a scrivere un trattato estetico. E con questo avrei scacciato il peso di quella bellezza che mi ha quasi frantumata. Ma non avevo parole a disposizione e ho scritto soltanto: anche la bellezza è qualcosa che bisogna saper sopportare.

    Quante volte ho pregato, neppure un anno fa: Signore, ti prego, rendimi un po' più semplice. E se quest'anno mi ha portato qualcosa, è stata proprio questa maggiore semplicità interiore. E credo che in futuro riuscirò anche a esprimere le cose difficili di questa vita con parole molto semplici. In futuro.

    Non giocherò più con le parole che creano soltanto malintesi
     
    Non riesco tanto a esprimermi, finisco sempre per usare le stesse parole.

    Parole come Dio e Morte e Dolore ed Eternità si devono dimenticare di nuovo. Si deve diventare un'altra volta così semplici e senza parole come il grano che cresce, o la pioggia che cade. Si deve semplicemente essere.

    Dovrei impugnare questa sottile penna stilografica come se fosse un martello e le mie parole dovrebbero essere come tante martellate, per raccontare il nostro destino e un pezzo di storia com'è ora e non è mai stata in passato - non in questa forma totalitaria, organizzata per grandi masse, estesa all'Europa intera. Dovranno pur sopravvivere alcune persone per diventare più tardi i cronisti di questo tempo. Anch'io vorrei essere in futuro una piccola cronista.

    Si dovrebbe parlare delle questioni più gravi e importanti di questa vita solo quando le parole ci vengono semplici e naturali come l'acqua che sgorga da una sorgente.

    Dobbiamo di nuovo dimenticare tutte le nostre grandi parole, cominciando con Dio e finendo con Morte, e dobbiamo tornare a essere tanto semplici quanto pura acqua di sorgente. Soprattutto, un po' meno eloquenti. Ma che ci si può fare, se lei si sente un po' come un Profeta?

    Adesso prendo di nuovo ciascuna sua parola nel palmo della mano e me la metto sul cuore, e le sue parole rimarranno là:

    Spesso mi viene da dire: c'è un gran marciume in quel posto. Ma oggi, d'un tratto, ho pensato: se dico sempre quella parola, marciume, esso finisce per propagarsi nell'atmosfera e non la rende certo migliore.

    In me c'è un silenzio sempre più profondo. Lo lambiscono tante parole, che stancano perché non riescono a esprimere nulla. Bisogna sempre più risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche che ci sono necessarie. E questa nuova forma d'espressione deve maturare nel silenzio.

    Un giorno troverò le parole per le cose che voglio esprimere; per ora le prendo in prestito ancora da Rainer Maria.

    Ho la sensazione di dover essere parsimoniosa con ogni parola che dico. Dovrei dire solo le parole più essenziali. Come se dovessi immagazzinare dentro di me ogni cosa cara e preziosa, in modo da riuscir più facilmente a portarmi dietro un intero mondo inalienabile. Di' soltanto quello che è assolutamente essenziale e per il resto cerca di essere sempre più concentrata su te stessa.

    In futuro sarò il cronista delle nostre vicissitudini. Le comporrò in una lingua nuova e le conserverò in me stessa, se non avrò la possibilità di scriverle. Diventerò apatica e rivivrò, cadrò a terra e mi rialzerò, e forse, fra molto tempo, mi capiterà di avere intorno uno spazio tranquillo che sarà tutto mio, e allora ci rimarrò anche un anno se sarà necessario - fintanto che la vita tornerà a zampillare, e mi verranno le parole giuste per testimoniare ciò che dovrà essere testimoniato.

    E poi - più tardi - dovrò trovare le parole adatte per descrivere tutto quanto.

    Vedi, ho ancora sempre lo stesso problema, non so decidermi a smettere di scrivere, all'ultimo momento vorrei ancora trovare la formula liberatoria, la parola che esprima il mio ricco, sovrabbondante sentimento della vita. Perché non mi hai fatto poeta, mio Dio? Ma sì, mi hai fatto poeta, aspetterò pazientemente che maturino le parole della mia doverosa testimonianza: cioè che vivere nel Tuo mondo è una cosa bella e buona, malgrado tutto quel che ci facciamo reciprocamente noi uomini.

    Vorrei poter dominare tutto con le parole.
    Come potrò descrivere tutto ciò? E far sentire quanto la vita sia bella e degna di esser vissuta e giusta, sì, proprio giusta? Forse Dio mi concederà quelle poche, semplici parole? Parole che siano anche colorite, appassionate e serie, ma soprattutto semplici?

    Più tardi viaggerò per i paesi del Tuo mondo, mio Dio, io lo sento in me, questo istinto che passa i confini, che sa scoprire un fondo comune nelle varie creature in lotta fra loro su tutta la terra. E vorrei parlare di questo fondo comune, con voce sommessa e dolcissima e insieme persuasiva e ininterrotta. Dammi le parole e dammi la forza.

    Che si possa essere un fuoco così sfavillante! Tutte le parole ed espressioni adoperate sinora mi sembrano grigie, pallide e scolorite, se paragonate all'intensa gioia di vivere, all'amore e alla forza che si sprigionano ora da me.

     


    T e r z a
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