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    Etty e il tempo

     

    La "fenomenologia" del tempo di Etty è davvero ricca e varia. E procede in profondità lungo i vari quaderni del suo Diario, e verso gli ultimi la dimensione del tempo acquista una coloritura filosofica o teologica, perfino mistica.
    Da prime preoccupazioni iniziali di un tempo che è sempre poco e che sempre manca (per gli incontri, per gli amici, per lo studio, per il sonno...), al desiderio di accoglierlo e viverlo soprattutto a contatto con due persone "amate", il poeta Rilke e il suo "maestro" Spier, alla considerazione di un tempo, quello presente, sempre più cupo e pauroso, fino alla considerazione di un tempo che è di Dio, e che deve essere vissuto in Lui e nella consapevolezza della bellezza della vita, della possibilità di redenzione, in maniera che nel futuro si possa narrare come un tempo nuovo.
    Cercheremo in un futuro non troppo remoto di passare in rassegna le dimensioni del tempo, nel suo passato-presente-futuro, o - come direbbe Agostino - nel modo in cui è vissuto dall'uomo: nel presente del passato (memoria), nel presente del presente (attenzione), nel presente del futuro (attesa).
    Per il lettore, certi lunghi brani evidenziati in giallo sottolineano una particolare sensibilità acquisita ed espressa, appunto verso il "mistico".
     


     

    “Chi riposa in se stesso non tiene conto del tempo (né tanto meno ne tiene conto un bambino); una vera maturazione non può tener conto del tempo”.
    Queste parole sono per me di capitale importanza. Negli ultimi giorni sono diventate carne e sangue. Prima avevo sempre l'incalzante sensazione di non aver mai tempo per nulla, almeno non per le piccole cose della vita, per il dentista o per il parrucchiere, e neanche per fare due passi, e non sempre per gli amici. I discorsi, gli interludi con amici e conoscenti mi davano sempre la sensazione, burrascosa e spasmodica, che andasse perduto il mio prezioso tempo. E per che cosa avevo bisogno di tutto quel tempo? Per il mio “lavoro”, un concetto davvero mistico, perché non ne è venuto fuori molto, proprio per via dell'agitazione e inquietudine interiori.
    ...
    Adesso ho tempo per tutto, lavoro di più e più intensamente che mai

    Adesso i rami di castagno sono sul piccolo tavolo bianco. Dai rametti più scuri e spogli fiorirà la vita più radiosa e gradevole. E poi c'è il sorriso infinitamente dolce di Tideman, che sboccia sul suo viso scialbo ogni volta che comincia a cantare; e, ancora, gli occhi brillanti e limpidi di Han, e il viso segnato dal tempo e affascinante, eppure anche tanto indifeso, di S.: ci sono molte altre cose attorno a me e la vita è ricca, sebbene debba essere conquistata minuto per minuto. E adesso al lavoro! E conserva la pace e non dimenticare Dio nel frattempo.

    Se davvero vuoi trasformare la tua vita in un tutto grande, significativo e serio, ragazza mia, dovrai disimparare tante cose e al tempo stesso cominciare a considerarne più seriamente molte altre. Dovrai anche organizzare meglio il tuo tempo e non perderne così tanto in futilità. E prendere atto onestamente del cumulo di insicurezze che hanno ancora libero corso nel tuo animo. Dovrai rendere conto di te stessa, sempre. Non potrai vivere senza una supervisione.
    Se fra qualche tempo vorrai insegnare ad altri come vivere, occorre che prima ti dia da fare con te stessa e soprattutto pratichi un po' di “igiene” spirituale. Credo che Jung lo definisca essere psicologicamente stubenrein, “impeccabile”. Tu sei ancora all'inizio, ma almeno hai cominciato, ed è già tanto.

    Ho scritto che mi sono confrontata col “dolore dell'Umanità” (questi paroloni mi fanno ancora paura) ma non è del tutto esatto. Mi sento piuttosto come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi, o almeno alcuni problemi del nostro tempo. L'unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità da qualche parte, trovare un luogo in cui possano combattere e placarsi, e noi, poveri piccoli uomini, noi dobbiamo aprir loro il nostro spazio interiore, senza sfuggire. Forse, su questo punto, io sono davvero molto ospitale, a volte sono come un campo di battaglia insanguinato e poi lo pago con un gran sfinimento e con un forte mal di capo. Ma ora sono semplicemente me stessa: Etty Hillesum, una laboriosa studentessa in una camera ospitale con dei libri e con un vaso di margherite. Scorro di nuovo nel mio stretto alveo e il contatto con “Umanità”, “Storia Universale” e “Dolore” s'è interrotto un'altra volta. Così dev'essere, del resto, altrimenti una persona impazzirebbe. Non ci si può sempre perdere nei grandi problemi, non si può essere sempre come un campo di battaglia; dobbiamo poter recuperare i nostri stretti confini e continuare dentro di essi - scrupolosamente e coscienziosamente - la nostra vita limitata, mentre quei momenti di contatto quasi “impersonale” con tutta l'umanità ci rendono ogni volta più maturi e profondi. Forse, in futuro, saprò esprimermi meglio, o farò dire queste cose a un personaggio di una novella o di un romanzo, ma sarà solo fra molto tempo.

    Sei una creatura così privilegiata da avere tanto tempo per te stessa: devi usarlo al meglio, ma prima devono essere superati tutti i piccoli fastidi dovuti ai problemi di salute.

    Oggi pomeriggio credo di aver scritto un sacco di maledette sciocchezze; o almeno mi sono sentita un po' in imbarazzo, per questo. Ma, forse, mi rendo le cose più difficili del necessario. La vita è probabilmente molto buona. Ho ancora tanto lavoro da fare, non devo sprecare il mio tempo con cose senza senso.

    Devo pur essere riconoscente per tutto il tempo che ho a disposizione: adoperalo bene in nome di Dio, stupida che sei. E ora basta con questo chiacchiericcio.

    Voglio diventare il cronista di tanti fatti di questo tempo (al piano di sotto lamenti e urla, papà grida: vattene allora, e sbatte le porte; anche questo va digerito e d'un tratto piango, dunque non sono ancora così oggettiva; la vita è proprio impossibile in questa casa, ma coraggio, andiamo avanti); sì, un cronista, dicevo. Io noto che alla mia sofferenza personale si accompagna sempre una curiosità oggettiva, un interesse appassionato per tutto ciò che riguarda questo mondo, i suoi uomini, i moti della mia anima. A volte credo che sia questo il mio compito: chiarire nella mia testa, e col tempo descrivere, tutto ciò che accade intorno a me. Povera testa e povero cuore, quante cose vi toccherà digerire! Ricca testa e ricco cuore, avete però una bella vita! Già non piango più. Ma ho la testa che gira in modo terribile. Qui è un inferno. Per rappresentarlo, dovrei saper scrivere già molto bene. In ogni caso, io vengo da questo caos, ed è mio compito portarmi più in alto. S. lo chiama “costruire con nobile materiale”, quel tesoro.

    Mi sento come se per mesi non avessi scritto nulla su questo quaderno e, in un certo senso, avessi tradito me stessa, mi fossi lasciata andare. Per mancanza di tempo e con la sensazione che non fosse necessario. Per un paio di settimane ho avuto una vita sicura e regolare, ma ora, a posteriori, mi sembra che le cose siano andate diversamente. D'un tratto sento che quella vita equilibrata in realtà non era altro che un avanzare con cautela su una fune tesa nel vuoto. Dovrei “lavorare su me stessa” con maggiore regolarità, osservarmi con grande attenzione, ma è proprio a questo punto che iniziano le più grandi difficoltà. Ora ho l'impressione di essere una sorta di laboratorio psicologico, dove vengono compiute una lunga serie di sperimentazioni, sufficienti per una ventina di persone. Mi costerebbe ogni attimo del mio tempo, se volessi mettere per iscritto tutti quegli esperimenti. Certo, potrei costringermi a scrivere ogni sera, diciamo per una mezz'oretta, ma le cose in genere non vogliono scaturire cristalline dal mio caos, sicché riesco a descriverne solo futili dettagli. Eppure credo che per me sia importante tenermi in stretto contatto con la mia interiorità, e rendere sempre conto a me stessa di ciò che provo. E del resto è importante che io sappia come, di volta in volta, riesco a sconfiggere le mie diverse forme di depressione, in modo che in futuro io possa indicare la via ad altri.

    Ecco la tua malattia: pretendi di rinchiudere la vita nelle tue formule, di abbracciare tutti i fenomeni della vita con la tua mente, invece di lasciarti abbracciare dalla vita. Com'era un tempo: va bene che tu affacci la tua testa in cielo, ma non che tu cacci il cielo nella tua testa. Ogni volta vorresti rifare il mondo, invece di goderlo com'è. È un atteggiamento alquanto dispotico.

    Ho appena finito di leggere le annotazioni su quell'uomo schizofrenico. È straordinariamente interessante, al punto che mi chiedo perché in realtà io stia sprecando così tanto tempo con i miei umori. Potrei usare quel tempo terribilmente bene. Del resto, non so che ne sarà della mia vita, se saprò portare avanti i miei studi con libertà e senza preoccupazioni, e anche insieme a qualcuno come S. Gli devo ancora fare 1000 domande, devo ancora imparare un'infinità di cose da lui. Perché non uso meglio il mio tempo? Sono fisicamente sana, sto addirittura meglio di moltissime persone in questi tempi di malnutrizione, posso persino concentrarmi, nonostante le bombe e i campi di concentramento, nonostante le storie dell'orrore e un milione di cadaveri, perché credo nella missione del singolo, e anche nella mia piccola missione. Ma allora perché perdere tempo con te stessa, perché? Me lo chiedo così spesso.

    Non ha senso lamentarsi. Hai senz'altro tutto il tempo necessario per scrivere, più tempo di chiunque altro, probabilmente. Ma c'è quell'insicurezza interiore. Per quale ragione, poi? Perché pensi di dover avere idee geniali? Perché non puoi comunque dire come stanno veramente le cose? Ma questo può solo venire con la pratica. “Essere fedeli a se stessi”. S. ha sempre ragione. Mi è tanto caro eppure sono piena di astio nei suoi confronti. E quell'astio è connesso a cose più profonde, cose che mi sfuggono.

    Ma se i momenti in cui sento che qualcosa sta cercando di svilupparsi con forza in me, e nei quali mi riprometto di mettere a frutto il tempo, vanno presi sul serio e non solo considerati un impulso, allora devo continuare a vivere e a lavorare anche quando mi sento meno ispirata e più abbattuta, anche se in quell'istante mi sembra senza senso. Altrimenti quei momenti d'ispirazione alla lunga saranno troppo peregrini. Un solo momento ispirato deve continuare a splendere per un lungo tempo e dare forza. Desideri ancora troppo vivere momenti sublimi, e ti senti in realtà vittima di un torto quando la vita ogni tanto appare un po' grigia o ordinaria o soltanto un po' fastidiosa. Quando in passato mi sentivo così a pezzi e depressa a causa di quel mal di pancia mensile, ritenevo di avere un'occasione per non fare più nulla, per lasciarmi andare un po', aspettando che mi tornasse spontaneamente la voglia di fare. Non mi fraintendere, non devi sempre vivere con grande intensità, sarebbe addirittura deleterio per te, ma potresti benissimo darti ogni tanto un piccolo colpetto, decidere consapevolmente di percorrere una determinata strada e non lasciarti andare ogni volta. Ma, a dire il vero, sta funzionando abbastanza ultimamente.

    Igiene interiore e organizzazione; e non l'ozio e lo spreco di così tanto tempo.

    Nelle ragazze la maturazione emotiva e quella intellettuale procedono forse più in parallelo. Ora che sto raggiungendo la maturità spirituale, mi accorgo che sono più consapevole nei miei studi, quasi più creativa, anche se mi sembra di fare troppo poco e di lavorare troppo lentamente. La mia intuizione precede ancora di chilometri la mia conoscenza. Ma non posso forzare le fasi temporali, posso solo preoccuparmi di dividere il mio tempo nella maniera più disciplinata possibile.

    Ieri, in un momento sgradevole, mi sono sentita improvvisamente del tutto alienata dai due giorni appena trascorsi, soprattutto da domenica: mi sono sembrati così irreali. Ma d'un tratto ho rivisto la domenica nella mia mente. Era un giorno che, come una nave tranquilla e maestosa, attraversava l'anno. Quell'unico giorno si staccava dal novero dei giorni e si condensava in un'immagine, una nave, che attraversava sognante, eppure molto sicura, il grigio oceano del tempo. E anche, per un attimo, l'immagine di un cigno tranquillo su un lago scuro. Grazie a queste immagini, il giorno è diventato di nuovo qualcosa di reale e non era più inafferrabile, e finalmente io ero in grado di assorbirlo dentro di me, dove adesso occupa il suo posto inalienabile.

    Se si ha di continuo bisogno dell'attenzione e dell'amore di un altro per sentirsi bene, per poter credere in un'amicizia, allora c'è qualcosa che non va. Le alte e le basse maree ci sono comunque, no? E non è forse un bene? E perché mai non dovrebbero esistere anche nelle relazioni personali? Bisogna soltanto ascoltare il ritmo. È così stupido e folle voler forzare le cose. Anche nei rapporti personali ci sono ritmi importanti, eterni, e bisogna dar loro tempo, essere pazienti e non forzare le cose.

    A poco a poco mi sbarazzo anche di sciocchi, inutili complessi, se solo potessi vincere questa paralizzante passività, che non tocca tanto la mia vita interiore, bensì quella esteriore. I lavori di cui nessuno sa nulla procedono bene, mentre quelli che hanno a che fare con gli altri vanno storti, e così molto spesso non ho alcuna consapevolezza delle mie qualità. Non ha molto senso riflettere su queste cose, solo la vita e il tempo possono essere d'aiuto in simili circostanze, o magari è perfettamente inutile voler cambiare qualcosa.

    Eppure la mia tristezza è diversa da quella di un tempo.
    Non cado più così in basso, e nella mia tristezza è già insita una possibilità di ripresa. Una volta, quando ero triste, pensavo che avrei continuato a esserlo per tutta la vita: ora so che anche quei momenti fanno parte del mio ritmo vitale, e che è un bene che sia così. Ho di nuovo fiducia, una grandissima fiducia, anche in me stessa. Credo nella serietà del mio impegno, e so che col tempo riuscirò ad amministrare bene la mia vita.

    Sono di nuovo impegnata a trovare la strada verso me stessa con queste parole di Rainer Maria:
    “Tutto è portare a termine e poi generare. Lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe d'un sentimento dentro di sé, nel buio, nell'indicibile, nell'inconscio irraggiungibile alla propria ragione, e attendere con profonda umiltà e pazienza l'ora del parto di una nuova chiarezza: questo solo si chiama vivere da artista: nel comprendere come nel creare.
    “Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l'albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz'apprensione che l'estate possa non venire. Ché l'estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l'eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d'ogni ansia. Io l'imparo ogni giorno, l'imparo tra dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto!”.
    Le acquisizioni interiori di quest'anno percorrono vie sempre diverse e inattese per giungere a me. È così anche adesso: stasera, accanto al fuoco che si sta affievolendo, in mezzo a un crescente senso di malessere e di tensione, queste parole arrivano fino a me, e di colpo mi fanno riflettere sulle cose che contano davvero.

    Questa mattina è tutta per me. E adesso che mi costringo a sedere tranquilla e sola davanti a questo quaderno, mi accorgo una volta di più di quanta fatica mi costi in realtà, di come noi tutti siamo ancora dominati da irrequietezza e impazienza. La scusa è sempre la stessa: non ho tempo, ho troppo da fare. Ma l'unica cosa a cui si approda è l'irrequietezza. Non si può permettere al silenzio di svilupparsi appieno, ma bisognerebbe gioire almeno dei brevi momenti di calma e introspezione che sempre più spesso si insinuano nella mia quotidianità.

    Ma sì, perché provo un grande desiderio di te, un desiderio terreno, legato al tempo, e tu sei lì, con quei tuoi occhi senza tempo, per cui ho l'impressione che non riuscirò mai a raggiungerti. E tuttavia mi sembra bello che i tuoi occhi siano senza tempo, per questo ti amo anche così, ma ti prego: cerca di essere un po' terreno, qualche volta. E lui mi ha presa sulle ginocchia e i suoi occhi si sono improvvisamente velati - occhi che possono davvero spezzare il cuore dalla tenerezza - e ha detto: Non è curioso tutto questo? Arrivare da Berlino, stabilirsi in due camerette nei Paesi Bassi e trovare una ragazzina così - a dire il vero le persone si trovano dappertutto, basta avere pazienza, non occorre cercarle, se hai pazienza, ti arriva tutto.

    “Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l'albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz'apprensione che l'estate non possa venire. Ché l'estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l'eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d'ogni ansia. Io l'imparo ogni giorno, l'imparo tra dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto!” (Rilke).
    Lo avverto con tanta forza negli ultimi tempi: i Leitmotiv appartengono in misura crescente alla mia vita. A tempo debito riemergerà un Leitmotiv, ogni volta, sì, dopo momenti caotici o faticosi o confusionari, ne spunterà di nuovo, all'improvviso, un altro.

    “Ma prima di tutto il lavoro. Ciò che si sente accanto a Rodin: il lavoro è spazio, è tempo, è muro, è sogno, è finestra ed eternità... Il faut travailler toujaurs... Lo ha detto di recente, questo sabato, e come lo ha detto: con profonda convinzione, in tutta semplicità, mentre stava lavorando... fu solo come un mormorio e una carezza delle sue mani" (Rilke).

    "Voglio percorrere a ritroso ogni cammino fino a quell'inizio, e tutto ciò che ho fatto non sarà stato nulla, meno ancora dello spazzare una soglia su cui il prossimo lascerà di nuovo l'orma della via. Ho in me pazienza per secoli e voglio vivere come se il mio tempo fosse lunghissimo. Voglio concentrarmi al riparo da tutte le distrazioni, voglio recuperare quanto di mio ho troppo rapidamente prodigato e risparmiare...” (Rilke).

    Ieri mi ha colpita questa frase di Rilke:
    “... per me dovrà venire un tempo in cui sarò solo con la mia esperienza interiore, le apparterrò e la trasformerò: perché tutto l'immutato urge in me e mi confonde”.
    Sì: appartenere alla propria esperienza interiore e trasformarla. È anche il mio grande desiderio. E bisogna portare in sé il proprio “vissuto”, metterlo al centro di spazi silenziosi e ascoltarlo. E tutto questo non è possibile se concedi troppa attenzione all'entusiasmo che dall'esterno investe la tua personcina. Essere in se stessi. Essere soltanto. Silenzio. Anche se sei circondata da una marea di persone. E nessuna vanità!

    Ho così taaaanto da scrivere! Ma non c'è tempo, purtroppo non c'è tempo. È necessario che divida il mio giorno in modo più disciplinato. Non perdere troppo tempo nelle fessure della giornata, negli intervalli tra le diverse attività: bisogna passare dall'una all'altra attività, con sicurezza e determinazione. Sbriciolo ancora troppo il mio tempo tra una cosa e l'altra, credo. Costanza. La mia giornata mi appare a volte come un complicato congegno con tante leve. Devo imparare a maneggiare quelle leve sempre meglio, sicura e assidua e costante, soprattutto costante. C'è un indescrivibile cumulo di cose da fare. E respirare profondamente tra due giri di leva per tranquillizzarmi. Ci sono troppe cianfrusaglie sulla mia scrivania, e anche questo dipende dall'uso sbagliato di quel congegno. E adesso a lezione di conversazione in russo.

    Non è ancora giunto il momento in cui le nostre vite debbano separarsi. Sentiamo entrambi che quel tempo non è ancora arrivato. E poi, non posso certo continuare a ripeterglielo: imparo comunque sempre qualcosa da lui? A volte sono proprio un “discepolo” attento e fervente che pende dalle labbra del”maestro”. Siedo col fiato sospeso accanto a lui, guardando le onde e i movimenti che scorrono sul suo volto ispirato, e allora lo so: devo ancora imparare così tanto da te e crescere ancora tanto grazie a te e non posso andare avanti senza di te, non lo potrò per molto tempo; ma anche: arriverà un tempo in cui potrò proseguire da sola e trasmettere qualcosa della forza e dell'ispirazione che quotidianamente eredito da te, in piccole quantità, ma è assolutamente necessario che io non vada ancora via da te.

    Mercoledì mattina [3 giugno 1942], le sette di sera
    A volte mi sento in colpa perché sto forse ignorando i miei doveri più essenziali e sono pigra nelle cose più importanti. Dovrei cercare di fare almeno una cosa semplice con le parole, anche se imperfetta. Dovrei avere il coraggio di far uscire alcuni dei miei pesanti, vaghi sospetti da una prigione interiore che si fa sempre più stretta, dovrei cercare di dar forma a quei sospetti, una forma che permetta loro di mostrarsi alla luce del sole, e non dovrei provare vergogna qualora quella forma fosse brutta o manchevole. Ma questo è ciò che a volte quasi mi fa impazzire Avrei bisogno di vaste distese di tempo, di deserti di tempo, d'infiniti spazi e concentrazione attorno a me, per poter realizzare anche la più piccola cosa. E un giorno è costituito da una colazione, un pranzo e una cena, e in mezzo alcune ore. Una telefonata, un allievo e un esercizio di russo. E a volte si vive un solo minuto che sembra essere formato da giorni e giorni, tanto ampio e sconfinato. Ma in realtà occorrerebbero giorni e giorni di tempo reale per descrivere le esperienze di un solo minuto. Invece le ore si ritrovano incastrate tra le molte attività giornaliere e i piccoli doveri. Se riuscissi a scrivere - il che sarà infinitamente faticoso per me, credo - dovrei avere ore con un'ampia visuale su molte altre che verranno dopo, e che saranno soltanto per me. Dovrei starmene seduta, per dir così, in una sala del Tempo, con molte grandi finestre da cui si vede il Tempo, che dovrebbe essere dominio totalmente mio. Ecco perché ho a volte la sensazione di non fare nulla e che tutte le buone ispirazioni e i piccoli inizi si polverizzino in sogni vaghi e speculazioni circa le grandi cose che in futuro creerò in base alle esperienze, alle percezioni e alla piccola saggezza che ho acquisito, cose per le quali in questo momento ritengo di non aver tempo. Ma so che la vita sarà sempre costituita dal momento di alzarsi e da quello di andare a dormire, e da alcuni pasti e doveri quotidiani e, tra l'uno e l'altro, bisogna fare in modo di completare le grandi cose che si ritiene contino davvero. E se adesso non ci riesco, se oggi nella mia vita non riesco a fare spazio per quelle, chi mi dice che più in là lo potrò fare?

    Comunque, in realtà: lo so già. E poi: non me ne vanto. Ma anche: non ho nemmeno complessi di inferiorità. Per quanto riguarda questo punto, vivo esattamente in mezzo, la bilancia non pende né da una parte né dall'altra. Non mi trovo per nulla particolarmente brillante o intelligente, come gli altri sostengono sempre, o perlomeno non perdo il mio tempo a pensare, oh, quanto sono intelligente. In realtà non mi immagino mai di fare qualcosa di speciale, non ne ho bisogno per il mio senso di autostima. Ma, d'altro canto, non mi succede neanche mai di avere la sensazione di essere troppo stupida per l'una o per l'altra cosa, non riesco a farlo. Per quanto riguarda questo punto, vivo in equilibrio. Simili sentimenti sottraggono inutilmente tempo ed energie, e non sono neanche necessari, bisogna solo andare per la propria strada e niente più.

    Riesco a riposare tra due profondi respiri, lo imparo sempre meglio: un'ora di sole può significare un'intera vacanza estiva. Avrò una vita molto impegnata e tanta vacanza e libertà, come le persone al di fuori non possono neanche immaginare. E non potrei concedermi di non far nulla per giorni, perché per me equivarrebbe a non fare nulla per interi anni. Sto prendendo un ritmo tutto mio, imparo una mia divisione del tempo, al punto da diventare davvero inadatta alla vita in comunità; del resto, una reale vita in comunità mi trasformerebbe probabilmente in un orso solitario, per quanto possa sembrare paradossale.
    Sono le undici meno un quarto, alle undici voglio essere a letto, alle sette alzarmi e poi cominciare a scrivere una risposta alla lettera di Netty van der Hof.
    La mia ambizione letteraria è più grande dei miei risultati. Forse un giorno accadrà il contrario.
    In futuro gli sarò grata per avermi fatta germogliare così a lungo verso di lui. Verso di lui? Solo il tempo potrà dirlo. Forse la ragione per cui talvolta cerco di spingere con forza nella direzione di un rapporto completo è che sono spaventata all'idea che il tempo non mi darà ragione. Se il desiderio non ha lunga vita, non è necessario che venga esaudito. Il desiderio deve prima essere denudato lentamente di tutti i suoi orpelli superflui e, nel momento in cui ti starà davanti nudo, urgente e irresistibile, e quando rimarrà con te e crescerà e continuerà a farlo a dispetto di tutti i malesseri e di tutte le noie quotidiane, bene, allora vedremo.

    E si deve demolire il vecchio tempo per poter cominciare una nuova èra.

    Io penso e penso, e mi rompo la testa, e provo a risolvere le preoccupazioni minacciose di ogni giorno nel minor tempo possibile - ho un groppo dentro che mi affatica il respiro, debbo fare i conti e darmi da fare e lasciar perdere lo studio per una parte della mattinata, cammino un po' su e giù per la camera, ho anche mal di pancia, ecc. - ed ecco che rispunta quella certezza: più tardi, se sarò sopravvissuta a tutto quanto, scriverò delle piccole storie su questo tempo, e saranno come rade pennellate su un ampio, muto sfondo fatto di Dio, Vita, Morte, Dolore, Eternità. Talvolta le molte preoccupazioni ci saltano addosso come parassiti. Bene, allora bisogna grattarsi un po' e si diventa anche più brutti, ma uno deve pur toglierseli di dosso.
    Considererò il breve tempo in cui potrò rimanere qui come un regalo, una vacanza
    . In questi ultimi giorni sto percorrendo la vita come se mi portassi dentro una lastra fotografica che registra esattamente tutto, fin nei minimi dettagli. Sento che ogni cosa mi entra “dentro” con grande nitidezza di contorni.
    ...
    Dovrei impugnare questa sottile penna stilografica come se fosse un martello e le mie parole dovrebbero essere come tante martellate, per raccontare il nostro destino e un pezzo di storia com'è ora e non è mai stata in passato - non in questa forma totalitaria, organizzata per grandi masse, estesa all'Europa intera. Dovranno pur sopravvivere alcune persone per diventare più tardi i cronisti di questo tempo. Anch'io vorrei essere in futuro una piccola cronista.

    Per tanti, la peggior sofferenza è la totale impreparazione interiore, per cui crollano miseramente già prima di aver visto un campo di lavoro. Secondo loro, la nostra catastrofe è completa e definitiva. L'inferno di Dante è davvero un'operetta frivola al confronto. “Questo è l'inferno”: così aveva detto lui poco tempo fa, molto semplicemente e molto oggettivamente. Certe volte la mia testa si sente urlare, mugghiare, e fischiare intorno, e i cieli si stendono così bassi e minacciosi sopra di me. Eppure, di tanto in tanto, riaffiora quell'umore leggero e come danzante che non m'abbandona veramente mai e che non è umorismo macabro, perlomeno non credo. Col passare del tempo mi sono pian piano preparata a questi momenti, ora posso continuare a vivere indisturbata guardando con occhio limpido alle cose. In questi ultimi anni non mi sono solo occupata di belle lettere, alla mia scrivania.

    Mi sembra di custodire un prezioso pezzo di vita, con tutta la responsabilità che me ne viene. Mi sento responsabile per quel grande e bel sentimento della vita che mi porto dentro, devo cercare di mantenerlo intatto in questo tempo per poterlo trasmettere a un tempo migliore. È l'unica cosa che conta e ne sono pienamente cosciente. Ci sono dei momenti in cui penso che dovrei rassegnarmi e soccombere, ma ogni volta ritrovo quel senso di responsabilità nei confronti della vita che in me va veramente tenuto vivo. Ora leggo ancora alcune lettere di Rilke e poi molto presto a letto. Fino a oggi la mia vita personale è stata infinitamente buona.

    Sono tanto stanca oggi, in tutto il corpo, non ho molto coraggio per affrontare il lavoro di questa giornata. Non credo molto in questo lavoro, se dovesse continuare a lungo penso che diventerei completamente fiacca e rassegnata. Eppure Ti sono grata perché non mi hai permesso di rimaner seduta a questa tranquilla scrivania, ma mi hai portato in mezzo al dolore e alle preoccupazioni di questo tempo. Un idillio con Te in una stanza da studio ben protetta non sarebbe proprio tanto difficile, ora invece è importante che io Ti porti con me, intatto attraverso tutte queste vicissitudini, e che Ti rimanga fedele così come Ti ho sempre promesso.
    Camminando per le strade ho da riflettere molto sul Tuo mondo; “riflettere” non è la parola giusta, è piuttosto un tentativo di approfondire le cose con un nuovo organo o senso. Spesso ho la sensazione di vedere questo tempo in prospettiva, come una fase della storia di cui conosco già l'inizio e la fine e che posso inquadrare nel tutto.

    Sono molto stanca.
    Sono in grado di sopportare questo tempo presente, lo capisco persino un poco.
    Se sopravviverò a questo tempo e se allora dirò: la vita è bella e ricca di significato, bisognerà pur credermi.

    Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile.

    Un giorno troverò le parole per le cose che voglio esprimere; per ora le prendo in prestito ancora da Rainer Maria.
    “... che in fondo le decisioni non esistono. Questo è vero. Perché, quando dentro di noi una cosa procede con tanta naturalezza dall'altra, senza alcuna forzatura, ecco che non resta spazio per una decisione. La catena si srotola, anello dopo anello, e l'uno è infilato nell'altro, con una chiusura leggera e tuttavia fissa, mobile eppur in un legame infinito”.
    Più tardi
    “Forse perché mi trovo in quei momenti di transizione che mi insegnano a negare il dato di fatto della bruttezza (così come, analogamente, del suo opposto: la bellezza), per restituirmi, con il tempo, tutto più nuovo, più giusto, più anonimo”.

    In futuro sarò il cronista delle nostre vicissitudini. Le comporrò in una lingua nuova e le conserverò in me stessa, se non avrò la possibilità di scriverle. Diventerò apatica e rivivrò, cadrò a terra e mi rialzerò, e forse, fra molto tempo, mi capiterà di avere intorno uno spazio tranquillo che sarà tutto mio, e allora ci rimarrò anche un anno se sarà necessario - fintanto che la vita tornerà a zampillare, e mi verranno le parole giuste per testimoniare ciò che dovrà essere testimoniato.

    Abbiamo avuto tempo a sufficienza per prepararci agli avvenimenti catastrofici di oggi: due anni interi. E proprio l'ultimo è stato l'anno decisivo, l'anno più bello della mia vita. Sono certa che ci sarà continuità tra questa vita e quella che ora verrà. Perché è una vita che si svolge interiormente e lo scenario esteriore ha sempre meno importanza.

    Ora, su quel letto così familiare, è distesa una salma. Quella coperta di cretonne! In fondo non ho nessun bisogno di tornare là. Tutto si compie da qualche parte in me stessa, tutto, in me ci sono vasti altipiani senza tempo né confini, tutto si compie lì. Ora percorrerò di nuovo quelle poche strade. Quante volte le ho percorse, anche con lui, sempre immersi in dialoghi interessanti e fruttuosi. E quante volte le percorrerò ancora, ovunque mi troverò, su quegli altipiani interiori della mia vita più profonda. Dovrei forse fare una faccia triste o solenne? Sono forse triste? Vorrei congiungere le mani e dire: ragazzi, sono così felice e riconoscente e trovo la vita così bella e ricca di significato. Proprio così, e lo dico mentre sto accanto al letto del mio amico morto prematuramente, e mentre io stessa posso essere deportata ogni momento in una terra sconosciuta. Mio Dio, Ti sono così riconoscente per tutto quanto.

    [Martedì] 22 settembre [1942]
    Bisogna vivere con se stessi come con un popolo intero: allora si conoscono tutte le qualità degli uomini, buone e cattive. E se vogliamo perdonare agli altri, dobbiamo prima perdonare a noi stessi i nostri difetti.
    È forse la cosa più difficile, come constato così spesso negli altri e un tempo anche in me, ora non più: sapersi perdonare per i propri difetti e per i propri errori. Il che significa anzitutto saperli generosamente accettare.
    Vorrei proprio vivere come i gigli del campo. Se sapessimo capire il tempo presente lo impareremmo da lui: a vivere come un giglio del campo.
    Una volta ho scritto in uno dei miei diari: vorrei poter toccare con la punta delle dita i contorni di quest'epoca. Ero seduta alla mia scrivania, allora, e non sapevo bene come accostarmi alla vita perché non l'avevo ancora toccata dentro di me. Ho imparato a farlo mentre ero seduta qui. Poi, d'un tratto, sono stata scaraventata in un centro di dolore umano - su uno dei tanti, piccoli fronti di cui è disseminata l'Europa. E là - sui volti delle persone, su migliaia di gesti, piccole espressioni, vite raccontate - su tutto ciò ho improvvisamente cominciato a leggere questo tempo come un insieme compiuto, e non solo questo tempo. Avevo imparato a leggere in me stessa e così ero in grado di leggere anche negli altri. Era proprio come se le mie dita sensibili sfiorassero i contorni di questo tempo, e di questa vita.
    Com'è possibile che quel pezzetto di brughiera recintato dal filo spinato, dove si riversava e scorreva tanto dolore umano, sia diventato un ricordo quasi dolce? Che il mio spirito non sia diventato più tetro in quel luogo, ma più luminoso e sereno? A Westerbork ho letto un tratto del nostro tempo che non mi sembra privo di significato. Ho amato tanto la vita quand'ero seduta a questa scrivania ed ero circondata dai miei scrittori, dai miei poeti e dai miei fiori. E là, tra le baracche popolate da uomini scacciati e perseguitati, ho trovato la conferma di questo amore. La vita in quelle baracche piene di correnti d'aria non contrastava affatto con la vita in questa camera protetta e tranquilla. Non sono mai stata tagliata fuori da una vita per così dire “passata”, per me esisteva solo una grande, significativa continuità. Come potrò descrivere tutto ciò? E far sentire quanto la vita sia bella e degna di esser vissuta e giusta, sì, proprio giusta? Forse Dio mi concederà quelle poche, semplici parole? Parole che siano anche colorite, appassionate e serie, ma soprattutto semplici? Come posso rappresentarlo con poche, tenere, leggere e robuste pennellate, il piccolo villaggio di baracche tra cielo è brughiera? Come posso far sì che anche altri leggano dentro a tutte quelle persone - persone che devono esser decifrate come geroglifici, tratto dopo tratto, finché non ci si trova davanti a un unico, grande e comprensibile insieme, incorniciato da cielo e brughiera?
    Una cosa è certa: non potrò mai scrivere le cose come la vita le ha scritte per me, in caratteri viventi. Ho letto tutto, con i miei occhi e con tutti i miei sensi, ma non saprò mai raccontarlo allo stesso modo. Potrei anche disperarmi per questo, se non avessi imparato che dobbiamo accettare le nostre forze insufficienti, però con queste forze dobbiamo veramente lavorare.
    Cammino accanto agli uomini come se fossero piantagioni e osservo quant'è cresciuta la pianta dell'umanità.
    Sento che questa casa comincia a scivolarmi giù dalle spalle ed è un bene che sia così: il distacco si compie definitivamente, e con molta cautela e malinconia, ma anche con la certezza che è un bene e che non può essere diversamente, lascio che tutto scivoli, giorno dopo giorno.
    Con una camicia indosso e una nello zaino - com'era la fiaba dell'uomo senza camicia raccontata da Kormann? Un re cercava per tutto il reame la camicia del suo suddito più felice, e quando ebbe finalmente trovato quell'uomo, si scoprì che non aveva camicie - e con quella minuscola Bibbia, posso forse portarmi anche i vocabolari russi e i racconti popolari di Tolstoj, e magari ci sarà anche posto per un volumetto di lettere di Rilke. C'è anche quel maglione di pura lana di pecora, lavorato a mano da un'amica - quante cose possiedo ancora, Dio mio: e una persona come me vuol essere un giglio del campo? Dunque, con quell'unica camicia nello zaino me ne vado incontro a un “avvenire sconosciuto”. Così si dice. Ma sotto i miei piedi girovaghi non c'è forse dappertutto la stessa terra? E lo stesso cielo - ora con la luna, ora col sole, per non parlare di tutte le stelle - non si stende forse sopra i miei occhi rapiti? Perché si dovrebbe parlare di un “avvenire sconosciuto”?

    Più tardi viaggerò per i paesi del Tuo mondo, mio Dio, io lo sento in me, questo istinto che passa i confini, che sa scoprire un fondo comune nelle varie creature in lotta fra loro su tutta la terra. E vorrei parlare di questo fondo comune, con voce sommessa e dolcissima e insieme persuasiva e ininterrotta. Dammi le parole e dammi la forza. Ma prima voglio trovarmi al fronte, tra gli uomini sofferenti - e poi avrò pur il diritto di parlare? Ogni volta è come una piccola ondata di calore, anche dopo i momenti più difficili: la vita è davvero bella. È un sentimento inspiegabile, che non può fondarsi sulla realtà in cui viviamo. Ma non esistono forse altre realtà, oltre a quella che si trova sui giornali e nei discorsi vuoti e infiammati di uomini intimoriti? Esiste anche la realtà del ciclamino rosso-rosa e del grande orizzonte, che si può sempre scoprire dietro il chiasso e la confusione di questo tempo.
    Dammi un piccolo verso al giorno, mio Dio, e se non potrò sempre scriverlo perché non ci sarà più carta e perché mancherà la luce, allora lo dirò piano, alla sera, al Tuo gran cielo. Ma dammi un piccolo verso di tanto in tanto.

    E dovunque si è, esserci “al cento per cento”. Il mio “fare” consisterà nell'“essere”! Soprattutto, devo essere più fedele a quel che vorrei chiamare il mio talento creativo, per modesto che sia. A ogni modo: ci sono tante cose che vorrebbero esser dette e scritte da me, e dovrei finalmente mettermici. Invece cerco in tutti i modi di scappare, e in questo manco. D'altra parte, so che devo aspettare con pazienza che le mie parole crescano. Ma devo anche aiutarle. È sempre così: si vorrebbe scrivere subito qualcosa di straordinario e di geniale, ci si vergogna delle proprie sciocchezze. Ma se io ho un dovere nella vita, in questo tempo, in questo stadio della mia vita, è proprio quello di scrivere, annotare, conservare. Le cose, nel frattempo, le digerirò comunque. Io leggo la vita come un tutto coerente, so che sono in grado di leggerla, e nella mia presunzione e pigrizia giovanili penso che tanto mi ricorderò ogni cosa, e che più tardi saprò anche raccontarla. Ma dovrò pur crearmi dei piccoli punti di partenza. Io vivo la vita sino in fondo, ma sento sempre più che ho delle responsabilità verso quelli che vorrei chiamare i miei talenti. Ma dove cominciare, mio Dio. Ci sono così tante cose. Non devi neppur pretendere di scrivere le cose così come le hai appena vissute con tanta intensità: sarebbe un errore. Non si tratta di questo. Non so ancora come farò a dominare tutta questa materia. So soltanto che dovrò fare tutto da sola, e che ho abbastanza forza e pazienza per riuscirci. Devo anche essere fedele, non posso più disperdermi come sabbia al vento. Io mi divido tra gli affetti, le impressioni, le persone e le emozioni che mi toccano: devo rimaner fedele a tutti ma devo anche essere fedele al mio talento. “Vivere” tutto quanto non è più sufficiente, ci vuole qualcosa in più.
    Credo di vedere sempre meglio gli abissi che inghiottono le forze creative e la gioia di vivere dell'uomo. Sono buche che ingoiano tutto e queste buche sono nella nostra stessa anima. A ciascun giorno basta la sua pena. Inoltre: l'uomo soffre soprattutto per la paura del dolore. Ed è la materia, è sempre la materia che attira tutto lo spirito a sé e non viceversa. “Vivi troppo con lo spirito”. Perché, Osias? Perché non ho abbandonato immediatamente il mio corpo alle tue mani desiderose? L'uomo è una strana creatura. Quanto vorrei scrivere. Da qualche parte in me c'è un'officina in cui dei titani riforgiano il mondo. Una volta avevo scritto disperata: è proprio nella mia testolina, nel mio cranio che dev'essere spiegato il mondo. Ora lo penso ancora di tanto in tanto, con una presunzione quasi diabolica. Riesco sempre più ad affrancare la mia forza creativa dalle necessità materiali, dal pensiero della fame, del freddo e dei pericoli. È comunque un pensiero, non una realtà. La realtà è qualcosa che bisogna prendere su di sé, con tutto il suo dolore e con tutte le sue difficoltà, e intanto che la si sopporta, la nostra pazienza aumenta. Ma il pensiero del dolore - non il dolore “vero”, che è fruttuoso e può render la vita preziosa -, quello va distrutto. E se si distruggono i preconcetti che imprigionano la vita come inferriate, allora si libera la vera vita e la vera forza che sono in noi, e allora si avrà anche la forza di sopportare il dolore reale, nella nostra vita e in quella dell'umanità.

    Imparerò ad accettare la mia parte, qualunque essa sia. Quante cose ho già imparato stando a letto stamattina.
    Sono sempre piuttosto soddisfatta quando un progetto umano ragionevole si rivela pura vanità. Avremmo dovuto sposarci, eravamo sicuri che in due saremmo riusciti a sopportare le miserie di questo tempo.

    In futuro ci sarà chi pubblicherà tutti questi dettagli, e probabilmente sarà necessario per tramandare la storia di questo tempo nella sua compiutezza. Io non ne sento il bisogno...

    Credo di poter sopportare e accettare ogni cosa di questa vita e di questo tempo.

     


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