Si può essere felici

senza gli altri?

Frédéric Lenoir


Senza amici, nessuno sceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti gli altri beni.
(Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 1)



La felicità può essere l'esito di una vita regolata interamente sull'egoismo? Senza necessariamente fare del male agli altri, si può essere completamente disinteressati a loro e concentrarsi esclusivamente sull'accrescimento del proprio benessere personale. Gli studi sociologici contemporanei mostrano tuttavia che l'amore, l'amicizia, il legame affettivo costituiscono alcuni dei principali pilastri della felicità (con la salute e il lavoro). Aristotele ed Epicuro lo avevano già sottolineato: non c'è autentica felicità possibile senza amicizia. Aristotele, del resto, non distingue l'amore coniugale dall'amicizia: per lui, quello che unisce gli sposi come gli amici, e fa la loro felicità, è uno stesso sentimento, implicando identità e reciprocità. Identità, perché in primo luogo riconosco nell'amico "un altro me stesso" (Etica Nicomachea, IX, 4), con cui condivido aspirazioni, gusti e interessi, valori ed eventualmente progetti di vita. Siamo felici di aver trovato un essere con cui ci sentiamo in comunione sulle cose essenziali. Diogene Laerzio riferisce che quando si domandava ad Aristotele cos'era un amico, lui di solito rispondeva: "Un'anima sola che abita in due corpi" (Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, V, 20). Montaigne non dirà cose diverse nel descrivere la sua amicizia con Étienne de La Boétie: "E al nostro primo incontro, che avvenne per caso, in occasione di una grande festa e riunione cittadina, ci trovammo così presi, così conosciuti, così legati da mutuo obbligo, che da allora niente ci fu tanto vicino quanto l'uno all'altro" (Saggi, I, 28, Dell'amicizia). Reciprocità, poi, perché l'amore, per farci rifiorire, ha bisogno di essere condiviso: si può essere solo infelici del fatto di amare qualcuno che non ci ama. Aggiungerò a queste due dimensioni una terza, più implicita in Aristotele: l'alterità, perché ciò che ci tocca nell'altro è anche la sua differenza radicale, irriducibile, ciò che in lui c'è di unico, il suo specifico viso. Apprezziamo la singolarità, ma anche la libertà del nostro amico, e speriamo che queste due caratteristiche si fortifichino sempre di più.
L'amore amicale (philia) di cui parla Aristotele implica la presenza di un essere caro con cui fare "opera comune": condividere una passione artistica, sportiva, ludica, intellettuale, qualcosa che sia alla base di un focolare. Il filosofo precisa che "amici in numero superiore a quanti bastano alla nostra vita sono superflui [...] ne bastano pochi, come il condimento nel cibo" (Etica Nicomachea, IX, 10).
Nessuno può essere felice senza amore, cioè senza vivere un'esperienza di comunione affettiva. Questo non significa, però, che ogni forma d'amore renda felici. La passione amorosa, poiché è fondata sul desiderio fisico e, il più delle volte, su una rappresentazione idealizzata dell'altro, può anche rendere molto infelici. C'è in effetti qualcosa di patologico nella passione amorosa: idealizzazione del partner, gioco di seduzione, gelosia, alternanza di tristezza ed euforia, speranza e disillusione... Molte relazioni amorose iniziano con un prologo di tipo passionale, e poi evolvono verso una conoscenza approfondita dell'altro, un'amicizia di complicità raddoppiata, così che l'amore sia duraturo e stabile.
Sicuramente, in ogni relazione affettiva c'è una dimensione duale di amore egocentrico e di amore altruista: si è al contempo preoccupati di sé attraverso l'amore che si dà e che si riceve, e si è preoccupati dell'altro, del suo piacere, della sua felicità, della sua realizzazione personale. Questi due aspetti sono mescolati in modo molto diverso. L'amore è tanto più forte e luminoso quanto più le due persone coinvolte si amano nella reciprocità di un amore fortemente altruista.•Ma non bisognerebbe essere infelici nel voler dare agli altri più di quanto si possa fare. Montaigne condannava lo spirito di sacrificio di molti cristiani e ricordava la necessità di non sforzare eccessivamente la propria natura volendo amare o aiutare gli altri a tutti i costi: "Chi dimenticasse di vivere bene e santamente, e pensasse di esser esentato dai propri doveri indirizzandovi ed educandovi gli altri, sarebbe uno sciocco: così chi abbandona per quanto lo riguarda il vivere sano e lieto per procacciarlo agli altri, prende a mio parere un partito iniquo e contro natura" (Saggi, III, 10).
La maggior parte dei pensatori moderni stima che l'uomo sia visceralmente egoista e agisca solo, per quanto apparentemente in modo disinteressato, nel suo proprio interesse. È la tesi di Thomas Hobbes, o di Adam Smith, ripresa da Freud. Questa concezione pessimista della natura umana è forse eredità del dogma cristiano del peccato originale, secondo cui la natura umana, corrotta in profondità, può essere sanata solo dalla grazia divina. Se eliminiamo Dio, resta solo il pessimismo! Questa tesi riposa comunque su una verità già evocata in precedenza: esiste un nucleo di egoismo che ci fa inclinare ad agire perseguendo le nostre aspirazioni e la realizzazione delle nostre azioni: il generoso ha piacere a dare come l'avaro ha piacere a trattenere. Ma esiste un'altra legge del cuore umano, altrettanto universale – sembra – ma ignorata da questi pensatori pessimisti: lavorando alla felicità degli altri, si fa del bene anche a se stessi.
Molti studi scientifici hanno in effetti mostrato che esiste un legame tra felicità e altruismo: le persone più felici sono le più aperte agli altri e si sentono toccate dalla sorte altrui quanto – se non di più – dalla propria." Non c'è opposizione fra l'amore di sé e l'amore degli altri, fra essere felici e rendere felici gli altri. Al contrario, il fatto di interessarsi agli altri riduce l'egocentrismo, che è una delle principali cause di infelicità.
Anche se la parola "altruismo" è stata inventata nel XIX secolo da Auguste Comte, ciò che significa – l'amore-dono –e la sua relazione diretta con la felicità sono stati messi in luce dalla maggior parte dei saggi, dei mistici e dei filosofi. Platone sottolinea già nel Gorgia che "l'uomo più felice è colui che non ha nell'animo alcuna traccia di cattiveria". L'apostolo Paolo riferisce questa parola di Gesù, curiosamente assente dai Vangeli sebbene ne esprima la quintessenza: "C'è più gioia nel donare che nel ricevere" (Atti degli Apostoli 20, 35). L'illuminista Jean-Jacques Rousseau afferma: "So e sento che fare il bene costituisce la più grande felicità che il cuore umano possa godere" (Le fantasticherie del passeggiatore solitario, Sesta passeggiata). In epoca contemporanea, Matthieu Ricard, facendo eco alla tradizione più che bimillenaria del buddhismo, conclude la sua ultima opera, Plaidoyer pour l'altruisme, con queste parole: "La vera felicità è indissociabile dall'altruismo, perché partecipa di una bontà essenziale che si accompagna al desiderio profondo che ciascuno possa realizzarsi nella sua esistenza. È un amore sempre disponibile e che deriva dalla semplicità, dalla serenità e dalla forza immutabile di un cuore buono."
Contro la dottrina del peccato originale, condivido pienamente l'opinione di Matthieu Ricard e del buddhismo, secondo cui il fondamento della natura umana è buono, e il nostro cuore cerca di realizzarsi nell'amore e nel dono. Quando commettiamo atti negativi ispirati all'odio, alla collera, alla paura, abbiamo del resto spesso l'impressione di essere come estranei a noi stessi: di un uomo travolto da qualcosa non si dice forse che è "fuori di sé", "uscito dai gangheri"? Al contrario, quando realizziamo delle azioni positive motivate da bontà, altruismo, empatia, ci sentiamo pienamente noi stessi. È perché la nostra natura è profondamente portata all'altruismo. Sono le reazioni alle vicissitudini della vita che ci fanno sviluppare delle paure, delle collere o dei veri e propri odi. Per uscirne, un lavoro su di sé, sui propri pensieri e sulle proprie emozioni è spesso prezioso. Ma niente può sostituire l'esperienza dell'essere amato. L'amore-dono guarisce molte ferite della vita: non solo quando siamo amati, ma anche quando scopriamo i tesori della bontà nascosti nel nostro stesso cuore. Possiamo allora entrare nello straordinario circolo virtuoso della vita: più si aiutano gli altri, più si è felici; più si è felici, più si ha voglia di aiutare gli altri.


(La felicità. Un viaggio filosofico, Bompiani 2014, pp. 151-160)