L'uomo del desiderio sovrano
Armido Rizzi
Si tratta di delineare la fisionomia dell'uomo contemporaneo (post-moderno) a partire dalla categoria del desiderio. Nella prima parte il desiderio è messo a confronto con il bene (etica) e nella seconda con il vero (dato rivelato)
I Parte: descrizione del desiderio sovrano
Oggi il desiderio si impone con la sua sovranità, esso è divenuto, cioè, il principio di individuazione e di identificazione del soggetto.
L'aggettivo sovrano richiama tre significati:
(La liberazione dal bisogno). L'adeguamento del desiderio e degli oggetti che possono colmarlo, quella che potremmo chiamare, in altre parole, la realizzazione dell'utopia degli oggetti. Se confrontiamo la nostra situazione con quella dell'uomo di un recente passato, non possiamo non constatare lo scarto tra i desideri, anche quelli di beni elementari, e l'odierno collimare dei beni che appartengono all'eccedente. Sullo sfondo abbiamo i binomi sapere/potere, scienza/tecnica. Oggi l'uomo ha il potere di fruire di quei beni, eccedenti il necessario, che in taluni casi anticipano e promuovono ulteriormente il desiderio.
C'è una seconda forma di liberazione, quella dalla legge. Il desiderio è diventato esso stesso legge. Queste mie riflessioni sono state sollecitate dal discorso del Card. Martini per la festa di Sant'Ambrogio del 1997. Il card. di Milano, parlando della gratuità, apre una lunga parentesi sull'oggi, dicendo che il discorso sulla gratuità trova una forma di sordità nel soggetto contemporaneo che è individuo che si ritiene costituito dalle insindacabili ragioni proprie. Oggi si assiste ad una caduta del senso positivo della legge, quello che resta è la libertà che consiste nel poter far tutto quello che non nuoce agli altri. Uno guardo al passato ci fa comprendere che siamo in presenza di una rivoluzione che era già esplosa nel '68. Riflettendo con maggior distacco su quel periodo, mi sono accorto che sotto al '68 politico, ci stava un '68 antropologico che consisteva nella liberazione del desiderio. La liberazione che in diversi modi prendeva la forma della protesta contro il "padre" o l'autorità o ogni imperativo, come pure nella forma del superamento della concezione della felicità che va da Aristotele fino all'inizio della modernità (si tratta della felicità che si conquista attraverso la realizzazione dell'umano che è nell'uomo, e non la realizzazione dei suoi desideri né del piacere). L'invenzione più brillante e più vera è espressa dallo slogan: Coito, ergo sum. In questo slogan è contenuta la critica al cogito, alla ragione autoritaria, ed è espressa una concezione dell'uomo che si identifica coi suoi desideri: io sono in quanto sono un essere desiderante. Questa che in quegli anni era una ribellione, pian piano si è stabilizzata a tal punto da non essere più tale, ed è diventata la tranquilla vittoria del desiderio, il placido oblio di quelle che erano fino ad ieri regole elementari dell'ethos comune. L'esempio più chiaro è rappresentato sicuramente dalla sessualità e da quelle realtà ad essa relazionate: il culto del corpo, la famiglia, le relazioni interpersonali,… .
La terza dimensione è costituta dall'affermazione dei diritti, dal carattere rivendicativo del desiderio. Come diceva Balducci, dalla rivoluzione francese in poi c'è stata una lunga marcia di rivendicazione dei diritti, ma al tempo stesso c'è stato un processo di individualizzazione di tali diritti.
Appendice sul senso della laicità
Il termine laicità ha assunto un drastico capovolgimento in un senso più radicale di quello che c'è stato nel passaggio dalla coscienza religiosa a quella laica (intesa in senso kantiano). La laicità di ispirazione kantiana è quella che consiste nel vivere come se Dio non ci fosse, ma alle prese con quella immanentizzazione della trascendenza oltre i desideri del soggetto, dove persiste un connaturato senso del dovere che accomuna credenti e laici, con la differenza che per gli uni è la volontà di Dio e per gli altri è esclusivamente la propria coscienza. Questa laicità rappresenta sempre una forma di trascendenza sui miei desideri. Oggi laicità vuol dire invece vivere come si crede meglio, con il limite di non nuocere agli altri. Questa ambiguità si manifesta anche quando si parla di stato laico inteso come l'espressione istituzionale di questa libertà divenuta legge.
II Parte: Il desiderio sovrano nella sua relazione con il vero
L'elemento fondamentale del desiderio rimane anche in questa seconda serie di riflessioni, ma, mentre nella prima parte esso diventava principio di rapporto con il bene (è bene ciò che soddisfa questo desiderio), adesso diventa il principio del rapporto con il vero. Io vedo una convergenza tra tre fenomeni:
La emozionalizzazione dell'esperienza religiosa, del rapporto con Dio. Di Dio e di tutto quello che si sente di Dio, si accoglie selettivamente quello che suscita una certa esperienza, nel senso del fare esperienza, non un'esperienza che abbia in sé una propria intenzionalità e che è tale se è all'altezza di quella intenzionalità. Viceversa questo nuovo tipo di esperienza diventa tale li dove appaga emotivamente. Questa emozionalizzazione non va confusa con il processo di personalizzazione del dato oggettivo della fede. Al contrario l'odierna emozionalizzazione è proprio la cancellazione di ogni dato oggettivo.
Un secondo fenomeno, verificabile nell'ambito del dialogo interreligioso, è la posizione pluralista. Essa è rappresentata da coloro che non accettano la mediazione necessaria di Cristo in ordine alla salvezza. I pluralisti hanno come obiettivo polemico la posizione rahneriana del cristianesimo anonimo: tutti, taluni esplicitamente, altri atematicamente, sono in relazione con Cristo, e per tutti la salvezza passa attraverso Cristo. Per questa posizione, che si autodefinisce pluralista, ed è molto diffusa soprattutto negli Stati Uniti, Gesù sta al Cristianesimo, come Maometto sta all'Islamismo, come Mosè all'Ebraismo, ecc.. Il dialogo tra le religioni, dunque, può avvenire sono su questo piano di parità, dove nessuna religione è più vera dell'altra. Alle spalle di questa concezione mi pare ci sia la concezione antropologica culturale secondo cui ogni cultura è una totalità conclusa in se stessa e quindi non comparabile con le altre, o almeno non comparabile in termini di confronto assiologico.
Un terzo momento è rappresentato da quella che potremmo definire la deriva soggettivistica dell'ermeneutica. Per ermeneutica intendo l'esercizio delle tecniche di interpretazione dei testi, nel caso nostro, dei testi normativi della fede. L'oggettivismo che, almeno in campo cattolico imperava fino agli anni '50, è stato messo in discussione dalla presa di coscienza ermeneutica del carattere soggettivo dell'oggettività di un testo. In questa posizione non siamo sul piano di una lettura che implica il soggetto, ma di una visione soggettivistica che finisce per abbracciarsi con il primo aspetto della emozionalizzazione. In un recente passato si difendeva l'oggettività, magari quella del magistero o della tradizione, ora, un po' per ignoranza e un po’ per il principio del desiderio sovrano come principio ermeneutico, l'oggettività del testo biblico, come pure di ogni altro testo, è solo un punto di partenza per le infinite risonanze che questa ha nei singoli soggetti.
È una lettura un po’ pessimista. Non è detto che tutto quello che è acquisizione di libertà sia negativo. Guardando in avanti, però, ho l'impressione che si debba fare i conti con i rischi della deriva di questo principio del desiderio assoluto.
Discussione
Giorgio Bonaccorso (APL) Nella tripartizione della seconda parte della relazione di Rizzi si avverte una differenza di piani che nella riflessione sulla comunicazione della fede è opportuno tenerne conto. L'emozionalismo è un dato antropologico comune a tutti gli uomini, mentre il pluralismo è un elemento appartenente solo a pochi che si occupano del dibattito interreligioso. L'uomo occidentale è figlio di una impostazione per cui l'intelletto si impone alla volontà e la volontà comanda l'agire e ogni altra attività umana. Questo modello ha dato origine, a sua volta, a due azioni: etica e tecnica. La postmodernità rappresenta una rivoluzione di questo impianto: prima c'è il corpo che agisce sulla volontà e quindi sull'intelletto. Questo capovolgimento è più vicino alla dinamica della fede. Non solo, ma questo nuovo modello legittima anche una terza azione che è quella rituale. Dunque anche le acquisizioni della postmodernità danno un apporto positivo alla riflessione sulla fede.
Silvano Maggiani (APL). In liturgia è particolarmente importante tenere presente il problema dell'oggettività. Oggi nella liturgia c'è molta improvvisazione, soggettività ed emozionalità. Quest'ultimo è un problema particolarmente urgente. Spesso è la stessa Chiesa che gioca sull'emozione, vedi l'incontro giubilare a Tor Vergata, o altri incontri liturgici modellati sull'impianto dei varietà televisivi. Noi veniamo dal superamento del rubricismo e dalla giusta scoperta del poietico, purtroppo però questo cammino rischia di sfociare nell'estetismo. L'estetica va recuperata in modo accorto, solo allora può dare un respiro di apertura al poietico che vive di precarietà.
Giorgio Bonaccorso (APL) Il rubricismo è anti rituale. Il rubricismo rappresenta il primato dell'intelletto che si impone su tutto, quindi anche sulla dimensione rituale. Il rituale autentico muove da quell'altro modello che prima ho accennato. Dal punto di vista teologico questa impostazione dovrebbe far superare una distinzione, a mio modo di vedere deleteria: quella tra fides qua e fides quae, dove sembra che ci sia un modello in cui oggettivo e soggettivo sono inversamente proporzionali, mentre esiste una sola fides dove o soggettivo e oggettivo sono direttamente proporzionali per la costituzione dell'unica fides, o la fides non esiste. Questa contrapposizione nasce ancora in un modello in cui l'intelletto si impone su ogni altro aspetto. Il discorso va posto in modo che l'oggettivo non si contrapponga al soggettivo, ma l'oggettivo che va nella direzione del soggettivo e viceversa.
Roberto Vignolo (ABI) La lettura di Rizzi trova armonica ed esplicita compiutezza nel discorso sull'estetica. Occorrerebbe far leva sulla considerazione da una parte dell'appiattimento dell'etica e, dall'altra, sulla sua potenziazione. Pertanto occorrerebbe approfondire due categorie: a. La rimozione della morte, che soggiace al discorso sul desiderio sovrano; b. lo scambio della realtà per il virtuale (vedi anche l'emozionalità gonfiata dai media) in nome di un principio di differenza. L'apporto della riflessione biblica sulla comunicazione della fede, tenendo conto di queste osservazioni, potrebbe andare nella direzione del recupero della sensorialità, di tutto ciò che costituisce il vissuto umano, nell'atto di fede. Il recupero di ciò che contribuisce ad una riflessione sulla differenza tra il soggetto e il contenuto oggettivo. Una riflessione più specifica sulla teologia della predicazione così come è descritta in Deuteronomio, Isaia o nello stesso Giovanni. Sarebbe interessante entrare nell'ambito della dinamica della fede in quanto si trasmette e si attesta. Un aspetto che meriterebbe di essere sottolineato è che il postmoderno è il massimo dell'ironia e, nelle sue espressioni migliori dell'autoironia, che è una forma di comunicazione, in questo senso ha il vantaggio di pescare sul soggetto ma di farlo criticamente ridimensionandosi (in questo sono maestri i libri sapienziali soprrattutto Qoelet).
Gildo Manicardi (ABI) Pensando molto concretamente al nostro lavoro si potrebbe pensare ad un seminario comune tra ABI e APL che affronti la questione: la Bibbia nella comunicazione della fede. Si tratterebbe di valutare il ruolo della bibbia nella proclamazione liturgica (parola/parole), e di studiare il ruolo delle spiegazioni dei biblisti (tema della deriva soggettivista dell'ermeneutica).
Vincenzo Battaglia (SIRT) È importante riflettere su cosa sia veramente primario per identificare il cristiano, per questo risulta utile riflettere criticamente sul desiderio, così come ci ha aiutato a fare Rizzi, ed è altresì importante riflettere sull'esperienza della fede. E' giusto sottolineare il fatto che l'esperienza di fede deve essere personalizzata secondo il criterio della relazione personale con Dio, per non correre il rischio di svilire tutto nella emozionalità. Per quanto riguarda il lavoro della SIRT, l'Associazione si sta muovendo da anni sul tema: "ridire il Simbolo della fede". Il discorso sulla comunicazione della fede è un discorso sul quale siamo pienamente impegnati. Tra i grossi punti all'ordine del giorno del dibattito, c'è quello del linguaggio con cui si annuncia e si confessa la fede. Noi ci siamo interrogati su un punto nevralgico: cosa apprende tanta parte di Dio quando si enunciano e si annunciano le verità di fede? C'è un altro punto nodale da discutere ed è l'attenzione all'esperienza della fede che conduce alla celebrazione. Il linguaggio e esperienza della fede sono i due nodi nevralgici.
Marino Mosconi (GDCCI) Nella considerazione critica dell'uomo d'oggi, mi sembra particolarmente importante rilevare il fenomeno diffuso della liberazione dalla legge. Questo aspetto interessa sia la norma morale che la norma canonica, quindi è un luogo d'incontro di queste due discipline. Pensando concretamente ad alcuni aspetti che meritano di essere approfonditi sono: la tematica dell'attestazione del già dato. Questo uomo da cui si parte, configurato da un fascio di desideri, è anche un uomo che è costituito, nella sua struttura originaria, dal desiderio di comprendersi a partire da qualcosa che sta prima di lui. C'è una consapevolezza che all'origine ci sta qualcosa di più di cui la libertà umana ha bisogno per dispiegarsi. Per cui il principio dell'autorevolezza di ciò che è già dato, anche quello della Parola (Scrittura) autorevolmente trasmessa (magistero) è un elemento di cui l'uomo ha bisogno. In che senso la natura dell'uomo è tale da aprirsi alla realtà dell'attestazione? Anche la genesi della legge ha alla base non solamente l'attenzione a non ledere l'altro, ma anche questa struttura di fondo.
Un secondo tema a cui pensavo è la nascita della legge e della sua accoglienza, che coinvolge il tema della libertà della persona. C'è una consapevolezza della comunità cristiana da cui la legge canonica nasce e l'autorità la conferma e non semplicemente la produce come in una prospettiva positivistica. Dunque il tema della nascita e dell'accettazione della legge da parte della comunità cristiana.
Terzo tema è quello della prassi. La fede non è solo una trasmissione di contenuti, anche la vita normata della Chiesa fa parte della vita della fede. Sarebbe interessante analizzare e comprendere il senso del comportamento del credente e di ciò che esso ritiene necessario fissare come comportamento dovuto.
Un ultimo tema, legato anche ai recenti documenti ecclesiali, è quello del cristiano adulto. Cosa significa l'espressione cristiano adulto? Come a livello pratico si può sostenere il cammino di questo soggetto? Questo è un tema che incontra la riflessione catechetica e pastorale.
Agostino Montan (GDCCI) Il discorso di Rizzi mi interessa sul piano teorico e della prassi. Solo per esemplificare: dalle categorie autorità, legge e coscienza, nel contesto moderno e postmoderno, sembra che sia scomparsa l'autorità. Allo stesso modo anche il concetto di giustizia dopo il cogito esso, non ha più un punto di riferimento stabile e preciso. Un altro tema importante che potrebbe far convergere l'analisi biblica con quella giuridica è il valore normante della Parola di Dio: La parola ha contenuti normanti per la comunità? Infine, con i liturgisti, mi piacerebbe discutere l'odierno silenzio sulle norme liturgiche. Io mi chiedo perché, dopo il Vaticano II, l'approfondimento liturgico abbia messo da parte il tema della legislazione liturgica. Ora questo aspetto merita ancora di essere approfondito?
Giorgio Bonaccorso Il problema credo sia da ricondurre al gioco tra autorità e libertà. È oggi una consapevolezza sempre più avanzata il fatto che non si da libertà senza autorità. Però il problema che oggi si pone è quale sia il luogo di questa autorità. Il luogo è un concetto, un universale? E' il pensiero, il cogito o una costruzione intellettuale? Oppure oggi la sorgente dell'autorità è da ricercarsi altrove? Io recupererei il concetto di esperienza nel senso dell'Erlebnis, dell'esperienza vissuta, come luogo da dove proviene l'autorità. Infatti l'Erlebnis porta con sé il mit sein - l'essere con - dove l'autorità non proviene dall'intelletto espresso in una qualsiasi forma di magistero, ma nell'altro che interagisce con la mia esperienza. E' l'esperienza dell'altro che entra a contatto con la mia esperienza.
Ignazio Calabuig (AMI) Dobbiamo tenere ben presente il tema del nostro seminario: la comunicazione della fede. Il tema è ricco e attuale ma va esplicato secondo tutte le problematiche che esso suscita. Nel termine comunicazione sono implicati una serie di questioni che devono essere tenute presenti e approfondite: Linguaggio, mezzi, intermediari, forme, pericoli, … della comunicazione della fede. Inoltre occorre una attenta fenomenologia della comunicazione: chi comunica e a chi si comunica la fede, dunque, soggetti e destinatari della comunicazione.