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    E se fosse amore?

    Virginia Drago

    Drago
    Sono molte le ore passate a “scrollare” la home su Instagram o Facebook per cercare news, pettegolezzi o foto continuamente postate. Capita, ad un certo punto, che arrivi finalmente il post interessante, quello a cui dedichiamo qualche secondo in più, per rendere più efficace la navigazione durante quei momenti morti che generalmente scandiscono le nostre pause studio. A me è successo così e ho improvvisamente conosciuto una storia, una di quelle che ti porta subito a riflettere: “Progetto Happiness” di Giuseppe, un ragazzo che gira il mondo chiedendo a chiunque incontri che cosa sia la felicità; esistono migliaia di risposte e mai nessuna è identica alla precedente, questa è la forza del progetto!
    Ma facciamo un salto! In questi ultimi giorni mi sono chiesta che cosa sia l’amore per una ragazza di 21 anni, poco più alta del metro e sessanta, che vive nel ventunesimo secolo. Ci viene insegnato fin da bambini che l’amore è quel sentimento che fa battere forte il cuore e credo che oggi, anche per i più grandi, questa possa essere la risposta più adatta per quanto la più semplice.
    Esistono così tante forme d’amore che non basterebbe un foglio per raccontarle: c’è l’amore chiuso nei confini di un testo o che viaggia nelle parole di una canzone; c’è l’amore libero nell’aria, quello che si respira nelle buone giornate, e l’amore prigioniero di un cuore sofferente; c’è l’amore a prima vista e quello ad ultima vista; c’è l’amore per sé stessi e l’amore per il prossimo; c’è l’amore per la famiglia, quello per chi si prende cura di noi; c’è l’amore silenzioso e quello urlato a squarciagola. Si riconosce da lontano una persona innamorata e dalla stessa distanza si riconosce chi ha sbarrato le porte all’amore, si vede dagli occhi, si percepisce dalle parole, si nota dall’atteggiamento. E forse, avremmo più bisogno delle prime, perché chi è innamorato fa innamorare, come una reazione a catena, come a procedere all’infinito.
    Un mese fa una ragazza diciannovenne si è tolta la vita in un bagno della sua università, perché delusa dal fallimento negli studi. È una storia così tragica che dovrebbe invitarci al dibattito, tutti, grandi e piccoli. Nessuno ha una vita perfetta, e anche se così si immagina, riflettendoci sopra si capirebbe che “non è tutto oro ciò che luccica”. Per migliaia di cadute e sconfitte esistono altrettante vittorie e ripartite. Nessuno sa quale dolore portasse con sé quella ragazza, ma sarebbe bastato ricordarle di amare sé stessa nella fragilità e non soltanto da guerriera; sarebbe bastato ricordarle l’amore che la circondava tra famiglia e amici; sarebbe bastato che il mondo istituzionale le ricordasse che non è il tempo necessario per laurearsi a fare di lei una brava “dottoressa”, ma il come si affronta un percorso che non necessariamente sarà privo di buche e ostacoli. È mancato amore che in questo caso è sinonimo di troppa solitudine e troppo silenzio, come, al contrario, troppo poco è stato il tempo dedicatole dall’università prima e dopo la sua scomparsa.
    Poi, potremmo guardare più i numeri, per essere concreti e connessi alla realtà: di anno in anno si moltiplicano i femminicidi che in alcuni casi, probabilmente la maggior parte, rappresentano una sorta di nuova veste del vecchio delitto d’onore. Ma dov’è l’amore? E cosa è l’amore se non libertà o complicità? Dov’è l’amore quando si impedisce alla propria sorella, figlia o moglie, di studiare, formarsi, essere consapevole e cosciente di ciò che la circonda? Come in Iran, dove si lotta per amor proprio, per una giusta causa, per una civilizzazione che ancora sembra lontana a causa di anacronistiche culture. Ma la tradizione, non è immobile, si evolve con l’avanzamento della società, ed è per questo che si combatte. E infine, dov’è l’amore fra le macerie di un territorio devastato dalla guerra? Dov’è l’amore fra soldati “vicini di casa” che sparano e bombardano? Siamo a più di un anno di distanza dall’inizio del conflitto Russia-Ucraina, dov’è il nostro amore davanti a tanta sofferenza?
    Sicuramente in questi casi, non c’è amore, ma bisognerebbe guardare oltre, bisognerebbe crederci con forza, ricordarlo, essere divulgatori di un sentimento così nobile e semplice nello stesso momento.
    Per me l’amore è una mamma che saluta da lontano con le lacrime agli occhi il proprio figlio quando parte per vivere lontano da casa, è la colazione che mi viene preparata con cura la domenica, è il cioccolatino a fine giornata di chi mi vuol bene, è la pizza in famiglia prima di un film insieme, è un consiglio giusto di un amico quando serve, una pacca sulla spalla del prof., un sorriso di chi mi ama quando le cose non vanno. Tornando indietro, se Giuseppe di “Progetto Happiness” mi facesse la sua domanda, io risponderei così: “L’amore in fondo è felicità e la felicità in fondo è amore!”.
    Chiediamo e chiediamoci cosa sia in modo da costruire una fitta rete di risposte che possano colmare lacune dove presenti, riparare al dolore e alle ferite, far nascere un sorriso dove serve. Benigni diceva di cercare ovunque la felicità, in ogni momento; sarebbe bello farlo con l’amore, cercarlo dietro l’angolo, su un tram, nelle relazioni con gli altri, in casa, durante una passeggiata, nei luoghi dello studio e del lavoro, in ciò che ci circonda, perché è di questo che naturalmente siamo fatti.

     

     


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