Dimore divine
Chandra Candiani
Mai come in tempi di emergenza e di distanza forzata si sente l'essenzialità dell'insegnamento delle dimore divine. Poter inviare il bene da lontano, e inviarlo con precisione, fa di noi dei disciplinati postini che consegnano a domicilio anche nelle ore notturne auguri di bene, vicinanze trasparenti, strette delicatissime, carezze. E molti mantelli custodi.
Bisogna preparare il cuore, dargli il tempo di sentire, senza preferenze e opinioni, lasciare che il cuore scelga e si permetta di percepire. La tristezza quieta e vibrante che tira i fili e ci richiama a ospitare il male senza paura di contagi e danni irreversibili si chiama compassione.
Allora ci sediamo e chiunque arrivi alla nostra mente lo inviamo gentilmente al cuore, gli facciamo una cuccia. E non facciamo niente, solo ospitiamo, accarezziamo con il respiro, inspiriamo ed espiriamo insieme. Tutto il corpo, tutto il pensiero è un augurio di bene, senza decidere quale sia il bene giusto.
Portare al cospetto del cuore anche chi o che cosa ci crea turbamento e dolore, chi ci ha fatto torto, la relazione finita o rotta, e non fare niente: limitarsi ad assistere alla cura del cuore, alla trasparenza della nuda ospitalità. Forse niente si aggiusterà, certe volte c'è una risonanza nella realtà contingente e l'altro risponde, ma spesso quel che è rotto resta rotto; solo, i pezzi non sono piú acuminati, non feriscono piú: stanno. E noi contempliamo senza alcun parere né posizione. La cura del cuore è l'affidamento alla legge dell'impermanenza e della causa-effetto, ovverossia del karma. Affidandoci si calma la smania della riparazione e della rottura definitiva, affidandoci non sappiamo e aspettiamo. Quieti.
(Questo immenso non sapere, Einaudi 2011, pp. 71-72)