SULLE SPALLE DEI GIGANTI /7
Francesca Arcolini e Irene Costa
(NPG 2019-03-54)
“Ci sono soltanto tre modi efficaci per educare:
con la paura, con l'ambizione, con l'amore.
Noi rinunciamo ai primi due".
(R. Steiner)
L’intento di formare i giovani attraverso l'amore, forse, non risuona come un invito così eccezionale alle nostre orecchie, anzi, pare quasi di poterlo dare per scontato. Se si pensa, invece, che le parole di Rudolf Steiner nascono dall'esperienza di un uomo che ha vissuto e operato tra la fine del 1800 e i primi decenni del 1900, allora si comprende come siano cariche di spirito di novità. Solo in quegli anni, infatti, i primi maestri ed educatori iniziano ad abbandonare la via dell'autoritarismo per delineare un nuovo stile educativo, maggiormente attento ad accompagnare e rispettare i bisogni dei ragazzi.
Rudolf Steiner, filosofo fondatore dell’antroposofia, nasce a Kraljevitsche (allora Impero Austro-Ungarico, oggi Croazia) il 27 febbraio 1861 e muore a Dornach, Basilea, il 30 marzo 1925. Gira il mondo conducendo una vita da insegnante e conferenziere su temi che vanno dalla filosofia, alla medicina, passando per la matematica, la fisica, l’agricoltura, l’economia, l’architettura fino ad abbracciare la pedagogia, tema di nostro interesse. Il suo lavoro e i suoi scritti rappresentano il tentativo di rinnovare tutte le discipline conoscitive umane alla luce della scienza da lui fondata: l’antroposofia. Si intende con questo termine una “scienza spirituale” che tenta di investigare il mondo spirituale attraverso l’applicazione del metodo scientifico anche agli oggetti che risiedono al di là del mondo dei sensi. Con l’antroposofia Steiner ha voluto infatti “sollevare l’intelletto umano allo spirito, lo ha compenetrato e congiunto con l’essenza spirituale del cosmo[1]”.
In campo pedagogico fonda le Libere Scuole Waldorf, chiamate oggi più comunemente Scuole steineriane, il cui obiettivo primario e fondamentale è mettere al centro l’educazione della persona nella sua interezza: dunque non solo obiettivi intellettuali e risultati. Per Steiner, infatti, educare è arrivare a risvegliare lo spirito di ogni giovane, coinvolgere il ragazzo in esperienze sempre più ricche, da viversi non solo con l’intelletto e il sentimento, ma con la moralità e la spiritualità. La metodologia educativa, lavorando sulla totalità corporea e spirituale del bambino, ha dunque per scopo lo sviluppo equilibrato di pensiero, sentimento e volontà. In queste scuole Steiner ha voluto dar vita a una vera e propria “arte dell’educazione”, che si sostanzia di ritmicità e armonia degli insegnamenti al fine di creare continuità fra didattica e vita spirituale, con il fine ultimo di far emergere l’elemento divino che risiede nel fanciullo[2].
L’approfondita conoscenza dell’uomo è il punto di partenza dell’educazione, ed è proprio questa comprensione che apre all’amore per l’altro, elemento chiave per una relazione educativa feconda e dinamica. Senza amore, infatti, la conoscenza diventerebbe mera manipolazione e controllo. Il fine dell’educazione è formare persone libere e capaci di continuare ad imparare dalla vita, portare a compimento le potenzialità insite in ciascuno e permettere uno sviluppo e una collaborazione armonica di pensiero, sentimento e volontà. Per educare in questa direzione è importante conoscere i processi di sviluppo e la graduale evoluzione delle facoltà dell’animo umano (pensare, sentire e volere). Il fine è la ricerca di un equilibrio dinamico tra la formazione delle capacità di accoglienza e di comprensione del mondo esterno, attraverso l’affinamento dei sensi e del pensiero riflessivo, e il potenziamento di ciò che rende soggetti attivi, come la fantasia, la creatività, l’iniziativa, l’espressività e l’attività motoria[3].
Ciò che forma maggiormente un ragazzo in età evolutiva è il modello umano rappresentato dall’educatore. Ecco allora che il presupposto imprescindibile richiesto a chi mette in pratica questo, ma si potrebbe dire qualunque, approccio pedagogico è l’attenzione verso una continua autoeducazione che mira a una costante crescita morale e spirituale, senza la pretesa di costituire un modello umano perfetto, ma con l’intento di presentare modelli coerenti di uomini in cammino[4].
L'educatore, colui che cresce con i propri ragazzi
Sebbene le riflessioni pedagogiche di Steiner si sviluppino principalmente intorno al mondo della scuola e al ruolo dell'insegnante, è comunque possibile cogliere alcuni spunti interessanti che riguardano in modo più ampio tutti gli educatori.
Come già riportato in precedenza, l'autore richiama più volte l'attenzione sulla necessità insita nell’adulto di continuare a formarsi e, soprattutto, curare la propria spiritualità. Questo è indicato non tanto quale esercizio di perfezionamento fine a se stesso, ma poiché soltanto attraverso una costante crescita personale e l'esempio della propria vita diviene realmente possibile per l'adulto educare a sua volta giovani liberi e in grado di realizzarsi in modo autentico. Ogni uomo, infatti, non è mai dato una volta per tutte, ma durante l'intero corso della vita deve essere continuamente sollecitato a conquistare la propria umanità, la quale si costruisce giorno per giorno negli incontri e nelle esperienze che la vita offre. È altresì vero che – dice Steiner – "si può sicuramente obiettare che siamo già umani. Perché allora il bisogno di diventare umani? In quanto esseri umani non siamo prodotti finiti. Ogni persona porta individualmente in sé un enorme potenziale, molto più grande di quello visibile in qualsiasi momento. Quando si lavora con i bambini, è particolarmente importante portare l'aspetto del divenire in ogni disposizione personale".[5]
La relazione educativa si può quindi ricondurre a qualcosa che si rinnova sempre, un rapporto dinamico volto al cambiamento di ciascuna persona coinvolta: non solo, dunque, del ragazzo, ma anche dell'educatore. Nell'ambito scolastico Steiner ritiene necessario che le classi siano seguite per tutto il ciclo da un unico insegnante, generalmente per un periodo di tempo che corrisponde a otto anni. A questo punto ci si potrebbe chiedere se un rapporto così prolungato nel tempo possa stancare i ragazzi e risultare poco stimolante per cogliere nuovi spunti di crescita. In realtà il tutto si gioca proprio intorno alla capacità del maestro di autoeducarsi, quindi di crescere con e per i ragazzi che gli sono affidati; è così necessario che impari a "trasformarsi insieme a loro. E saranno proprio loro (i ragazzi) a sostenerlo in questo cammino di educazione"[6]. Infatti, ogni volta in cui si presenterà all'adulto una sfida educativa, come la difficoltà di un giovane, sarà allora chiamato a mettersi in gioco con tutto se stesso, per trovare soluzioni e possibilità creative, nuove strade e quindi un modo nuovo di essere che possa dare una risposta significativa ed efficace.
Quanto detto finora aiuta a porre in luce alcune questioni rispetto a un tema centrale in educazione e quanto mai attuale, quello riguardante l'autorevolezza che gli adulti manifestano nei confronti delle giovani generazioni. I ragazzi osservano con molta attenzione i comportamenti e gli atteggiamenti degli adulti, specialmente di quelli che rappresentano un punto di riferimento. Questo permette di capire quanto possa valere l'esempio di un educatore che, come già detto, è capace di mettersi in gioco e crescere a sua volta. Così facendo non è più soltanto colui che indica da lontano una strada già percorsa, ma è testimone reale di un percorso possibile e continuo e guida che cammina insieme ai propri ragazzi.
La qualità della relazione educativa è, ovviamente, un aspetto fondamentale nella pedagogia steineriana. La relazione tra educatore e ragazzo per essere significativa si deve fondare su un autentico legame affettivo, che non è da ridursi a mera emotività o fusione sentimentale, ma si rende concreto nell'amore responsabile e maturo dell'adulto. Il legame che si crea diviene così generativo e capace di trasmettere ai giovani la passione per l'esistenza e la vita[7]. L'amore inoltre in educazione necessita di manifestarsi concretamente: secondo Steiner questo avviene nel momento in cui l'educatore nutre fiducia nei confronti dei ragazzi. La fiducia è mossa dal saper guardare in profondità ogni giovane per riuscire a scorgervi quanto di più vero e autentico vi è scritto dentro. Allora l'educatore si potrà attivare affinché venga rimosso ogni ostacolo alla crescita del giovane e questi si possa realizzare pienamente. E la piena realizzazione di se stessi non è altro che risposta di libertà, o, in altre parole, apertura alla vocazione personale di ciascuno. In sintesi, è chiaro come cada così ogni presunta contrapposizione tra agire educativo dell'adulto e libertà del ragazzo, poiché, sottolinea Steiner, "l'autorità è una stazione di passaggio nel cammino verso la libertà".[8]
Arte: il passaggio dal gioco alla vita
Per Steiner l’arte gioca un ruolo di fondamentale importanza nel processo educativo. Nella nostra vita, dominata dalla tecnologia, siamo costantemente coinvolti in azioni, anche appassionanti, che necessitano di grande attenzione e concentrazione, ma che di rado richiedono una partecipazione con anima e corpo. Disegnando, dipingendo, lavorando i materiali, facciamo invece esperienza di un coinvolgimento totale, perché si tratta di attività che, attraverso l’esercitazione e l’elaborazione, allenano positivamente la volontà, soprattutto se ci sono delle difficoltà da affrontare[9]. Si può dire allora che l’arte favorisca la vitalità perché stimola una molteplicità di esperienze interiori e una profonda interazione tra lavoro fisico e psichico e, in questo modo, modifica il corpo stesso, rendendolo più sensibile agli impulsi che vengono dall’interiorità. Proprio così il corpo, grazie alle attività artistiche, diventa uno strumento malleabile, sul quale, attraverso le forze dell’anima, agisce l’individualità[10]. Anche in questo caso la figura dell’educatore ha un ruolo fondamentale: “Se gli educatori non ci aiutano a farci un’idea di che cosa è l’uomo, non possiamo pretendere che nell’animo si sviluppino quelle forze che pongono l’uomo di fronte al suo simile nel modo giusto. Tutto dipende dalla capacità dell’uomo di liberarsi dal semplice osservare esteriore, dal puro sperimentare. Solo prendendo le dovute distanze dall’osservazione e dall’esperimento esterni potremo apprezzarli nel senso giusto. E la liberazione più semplice è quella che avviene attraverso l’arte […] se il maestro saprà di nuovo formare artisticamente la propria lezione, così che l’arte vi regni ovunque, allora potrà nascere un nuovo movimento giovanile…si imparerà solo se si sente un’attrattiva naturale verso gli adulti […] questa attrattiva naturale si instaura solo se la generazione più anziana viene incontro ai giovani con l’arte, se la verità si manifesta dapprima nella bellezza. Allora nei giovani si accenderà la parte migliore: non l’intelletto, che è una facoltà passiva, ma la volontà, che è attiva e che attiva poi anche il pensiero.
Un’educazione artistica educa la volontà, e dall’educazione della volontà dipende tutto il resto”[11].
L’arte ha dunque delle potenzialità molto interessanti: fa emergere esperienze profonde coinvolgendo anima e corpo, educa la volontà e inoltre, per Steiner, essa rappresenta il mezzo privilegiato per giungere all’incontro con il trascendente. “Guardate come in Goethe la ricerca della verità passa per la bellezza. Ascoltatelo quando dice che l’arte è una manifestazione di forze naturali segrete, il che non significa altro che la verità viva è raggiungibile soltanto per mezzo di una comprensione artistica del mondo, altrimenti si arriva solo alla verità morta. Pensate alla bella espressione di Schiller: “È solo grazie all’aurora della bellezza che fai ingresso nella terra della conoscenza.” Finché non si sarà compreso nel senso più profondo il significato di questa via che conduce alla verità passando per l’arte, l’umanità sarà lontana dal capire davvero il mondo spirituale, come lo sa fare l’anima cosciente.[12]”
La contemplazione della bellezza diventa allora la via prediletta per l’approfondimento religioso, perché “l’arte non è soltanto qualcosa di inventato dall’uomo, ma è un campo in cui l’uomo può guardare, a un livello diverso da quello della normale comprensione, nei misteri della natura, nei misteri di tutto il mondo in senso assoluto. Soltanto nel momento in cui si impara a comprendere che il mondo stesso è un’opera d’arte, in cui si impara a guardare in tutta la natura e in ogni avvenimento naturale in modo da vedere nella natura un’artista creatrice, soltanto allora si è sulla strada di arrivare fino all’approfondimento religioso[13]”.
Quanto detto finora, però, non deve rischiare di rimanere un pensiero astratto né una riflessione ritenuta interessante, ma che, di fatto, non offre alcuno spunto concreto per l'operato nei contesti di pastorale. Per quanto Steiner non fosse di fede cattolica, l'intuizione che la Verità[14] si manifesti immediatamente nella bellezza dovrebbe suscitare un forte richiamo per la sensibilità di ogni cristiano, dal momento che nella storia della Chiesa sono numerosi i riferimenti all'esperienza del bello. Nella Bibbia, tanto per citare un esempio, i Salmi[15] sono ricchi di immagini che lasciano intravedere lo stupore dell'uomo davanti alla natura e come questo senso di immensa bellezza sia segno della presenza e dell'opera di un Altro. E ancora, ogni chiesa, a partire dalle immense cattedrali fino alle più piccole cappelle, è la storia di un'opera d'arte, realizzata proprio per permettere al fedele di immergersi in una dimensione divina, di elevare il proprio spirito già prima di avvicinarsi all'Eucarestia, per il solo fatto di trovarsi avvolto da tanta meraviglia. Questi semplici esempi servono a fare comprendere quanto sia fondamentale la cura del bello anche all'interno dei contesti della pastorale. Non un'estetica fine a se stessa, ma volta a suscitare in modo immediato, ovvero non introdotto o concettualizzato da terzi, un senso di profonda Verità. È possibile cogliere, infatti, che fare esperienza del bello porti ad intravedere qualcosa, noi diremmo Qualcuno, che va oltre il fatto in sé. Nell'ambito della pastorale, quindi, non deve mai essere considerato superfluo soffermarsi sulla cura dei tempi, delle cerimonie, dei luoghi e, in senso più generale, delle relazioni. Vale sempre la pena, ad esempio, chiedersi quanto i locali dell'oratorio sono tenuti in ordine, puliti, accoglienti, se la liturgia è stata preparata con attenzione per essere resa bella e gioiosa, se i canti sono armoniosi e intonati, adatti al momento che accompagnano. Anche ogni incontro deve essere preparato e curato nella forma, non per eccesso di esteriorità, ma perché tra le righe ogni ragazzo si senta accolto e atteso e possa così sentire che è bello stare insieme, perché proprio lì in quel luogo, in quel momento e tra quelle persone vi è la presenza invisibile, ma viva, di Dio. E non lo capirà solo perché l'educatore, il catechista, o il sacerdote parleranno esplicitamente di Cristo, ma sarà una vicinanza colta nel profondo, senza il bisogno di parole. Quanto detto, ovviamente, non può darsi per scontato o automatico. I giovani devono essere accompagnati e formati a immergersi nella realtà con gli occhi aperti e lo spirito allenato a scorgere il volto di Dio nella bellezza. Gli educatori non devono dimenticare che l'esperienza dell'innamoramento, in particolare durante l'adolescenza, non è altro che un cuore che batte per l'altro scorto nella sua bellezza, interiore ed esteriore. Quindi, se il desiderio dell’educatore cristiano è che ogni uomo e donna si innamorino di Dio, allora la Chiesa che educa le nuove generazioni ha il dovere di fornire ogni occasione possibile per mostrare il volto di Cristo trasfigurato di luce.
NOTE
[1] M. Laeng, Enciclopedia Pedagogica, volume VI, Editrice La Scuola, Brescia, 1994, p.11197.
[2] Ivi, p. 11199.
[3] www.rudolfsteiner.it (consultato in data 20/03/2018).
[4] Cfr. R. Steiner, L’educazione dei figli, Mondadori, Milano, 2007.
[5] R. Querido, La vita interiore dell'insegnante (https://www.rudolfsteiner.it/articolo/47/la-vita-interiore-dellinsegnante/rene-querido - consultato in data 20/03/2018).
[6] F. Carlgren, A. Klingborg, Educare alla libertà: la pedagogia di Rudolf Steiner nelle scuole Waldorf, Philadelfia, Milano 1995, p.112.
[7] Ivi, pp.112-113.
[8] Ivi, p.116.
[9] Ivi, pp. 54-55.
[10] Ivi, p. 56.
[11] Dalla prima conferenza “Educazione che ci rende artisti”, Stoccarda, 11 ottobre 1922. Cit. in R. Steiner, Op. cit., pp. 33-34.
[12] Ivi, p.30.
[13] Cfr. R. Steiner, L’educazione dei figli, Mondadori, Milano, 2007.
[14] L'autore, ovviamente, non riporta Verità con la lettera maiuscola, ma nel nostro discorso il chiaro rimando al Dio della Bibbia richiede di operare questa scelta.
[15] Ad esempio si veda il Salmo 104.