Dimorare in un umile amore

un monaco di Bose


 

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 21,10-24 (Lezionario di Bose)
In quel tempo 10Disse Gesù: ai discepoli «Portate un po' del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. 15Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».20Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». 21Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». 22Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». 23Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».24Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera.

Al centro del brano del vangelo di oggi troviamo il dialogo tra Gesù risorto e l’apostolo Pietro, che di fatto è la ripresa in extremis di un dialogo interrotto durante l’ultima cena. In quell’occasione Pietro, quando Gesù gli aveva detto: “Dove vado ora tu non puoi seguirmi, ma mi seguirai più tardi” (Gv 13,36), con la sicumera e l’irruenza che così spesso caratterizza i suoi interventi nel vangelo, aveva risposto di getto: “Signore perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!” (Gv 13,37). E Gesù gli aveva preannunciato il suo triplice rinnegamento (cf. Gv 13,38). Al che Pietro, imbarazzato, non aveva avuto più il coraggio di rispondere nulla, e in seguito, dopo un primo timidissimo tentativo di seguire Gesù nel buio della sua passione (cf. Gv 18,15), lo aveva di fatto abbandonato al suo destino rinnegandolo tre volte (cf. Gv 18,17-27).
Qui, senza ricordargli il suo peccato, ma con bonario affetto e forse anche un po’ di ironia – ma un’ironia piena di misericordia – è come se Gesù offrisse di nuovo a Pietro la possibilità di dichiarare il suo amore, per tre volte, come per tre volte lo aveva rinnegato. È come se, riaprendo il discorso, Gesù gli dicesse: “E allora, Pietro, dopo quanto è successo, sei ancora convinto di dare la tua vita per me? Sei ancora convinto di esser capace di quell’amore di cui non ne esiste uno più grande: dare la vita per gli amici?” (cf. Gv 15,13). Nelle prime due domande Gesù infatti gli chiede: “Simone mi ami?” (vv. 15-16, dove nel testo greco c’è il verbo agápao, che indica un amore totale), cioè: “Mi ami davvero?”. EPietro, consapevole ormai della propria debolezza, ammette di non essere in grado di vera agápe, di quell’amore totale che si era illuso di poter offrire a Gesù. E risponde entrambe le volte: “Signore, lo sai che ti voglio bene” (v. 17, dove c’è il verbo philéo, “provare amicizia”). Come a dire: adesso riconosco di esser capace solo di questo, un povero amore. E così Gesù, nella sua terza domanda, scende finalmente al livello di Pietro e gli chiede un semplice amore umano: “Mi vuoi bene?”. E la lezione è finita.
In questo modo Gesù vuol far capire a Pietro che il vero amore del discepolo è umile e non tollera auto-affermazioni, perché il vero amore non viene da noi. Solo il Signore può farlo nascere in noi. È sufficiente che noi predisponiamo le nostre vite per accogliere il suo amore, ed egli farà del nostro povero amore umano, sempre imperfetto, un amore totale, capace anche di quella dedizione “fino alla fine” (eis télos) di cui Gesù stesso ha dato prova (cf. Gv 13,1).
E infatti qui Gesù alla fine conferma che Pietro arriverà a “dare la vita”: la darà nell’esercizio del suo ministero di pastore, per nutrire e guidare il gregge degli agnelli e delle pecore che gli sono state affidate. Come il vero e unico “pastore buono” (cf. Gv 10,11.14) egli darà la vita per le pecore, ma questo sarà espressione di una sequela umile e quotidiana, in cui tante volte sarà chiamato a lasciarsi condurre “là dove non vuole” (cf. vv. 18-19). Il martirio che subirà sarà un atto di estrema obbedienza e, come la croce di Gesù, davanti agli uomini apparirà un fallimento, tutt’altro che un atto di eroismo trionfale di cui potersi compiacere.
Nella comunità cristiana Gesù rimane l’unico Signore, l’unico maestro e l’unico pastore. Chi svolge un ministero di presidenza come Pietro ha certamente il dovere di imitarne le funzioni di servo dei fratelli, ma con la coscienza dei propri limiti. Egli resta un uomo, un fratello accanto a fratelli e sorelle, non qualcuno che si erge al di sopra degli altri come un modello unico da seguire e da imitare.In questo senso Pietro, e ciascuno di coloro che svolgono un ministero simile al suo, deve accettare che nella chiesa vi siano tante forme diverse di sequela nell’unico amore del Signore. Dovrà vincere la tentazione di mettere la mano su tutto e su tutti, mantenendo tutto sotto il proprio controllo. Certo a lui spetta assicurare l’unità, ma egli deve anche accettare la presenza di quel “discepolo amato da Gesù”, secondo modalità che gli sfuggono.
Il discepolo amato, Giovanni, l’autore del quarto vangelo, rappresenta ogni discepolo chiamato a “dimorare” nell’amore di Gesù. Anche in questo caso, il primato non va all’amore umano, all’amore che l’uomo è capace di dare a Gesù, ma alla testimonianza resa all’amore che il Signore stesso ci ha donato e ci dona. Il “discepolo che Gesù ama”, che Pietro deve accettare accanto a sé nella sequela dell’unico Signore, riceve il semplice compito di rimanere là dove già si trova: nello spazio dell’amore perfetto, in cui Gesù lo ha introdotto. Pietro che voleva essere protagonista eroico dell’amore per Gesù deve porsi alla scuola di questo amore umile, anzitutto passivo più che attivo. Solo allora il suo ministero sarà un’espressione del comandamento nuovo dato da Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 15,12).