Laboratorio dei talenti 2.0 /6
Riccardo Pascolini
(NPG 2019-01-68)
Premessa
Fin dalle sue origini la Chiesa ha sempre vissuto la dimensione della fraternità come elemento caratterizzante l’annuncio stesso del Vangelo. La fraternità infatti scaturisce dall’insegnamento stesso di Gesù che esortava i suoi discepoli a non farsi «chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste» (Mt 23,8-9).
Il senso pieno della fraternità si esprime nella comunità dei credenti in forza del pane spezzato nell’Eucaristia: l’incontro con il Risorto è condizione imprescindibile a vivere in piena comunione ogni forma relazionale della nostra vita. Questa dimensione sacramentale ha come frutto il dono dello Spirito Santo, che porta ogni persona ad esprimersi secondo il comune linguaggio dell’amore, nella piena comunione di carità, condivisione e partecipazione. In questo senso, la comunità risponde pienamente alla sua vocazione, quando è capace di vivere, trasmettere ed educare a questo amore e a questa capacità di prendersi cura dell’altro.
«Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna alberga, infatti, il desiderio di una vita piena, alla quale appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere e abbracciare. Infatti, la fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale… E occorre subito ricordare che la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia, soprattutto grazie ai ruoli responsabili e complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e della madre. La famiglia è la sorgente di ogni fraternità, e perciò è anche il fondamento e la via primaria della pace, poiché, per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore... Tale vocazione è però ancor oggi spesso contrastata e smentita nei fatti, in un mondo caratterizzato da quella “globalizzazione dell’indifferenza” che ci fa lentamente “abituare” alla sofferenza dell’altro, chiudendoci in noi stessi. La globalizzazione, come ha affermato Benedetto XVI[1], ci rende vicini, ma non ci rende fratelli… Le nuove ideologie, caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello “scarto”, che induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli, di coloro che vengono considerati “inutili”. Così la convivenza umana diventa sempre più simile a un mero “do ut des” pragmatico ed egoista… Una vera fraternità tra gli uomini suppone ed esige una paternità trascendente. A partire dal riconoscimento di questa paternità, si consolida la fraternità tra gli uomini, ovvero quel farsi “prossimo” che si prende cura dell’altro»[2]
Già alla fine degli anni Novanta, i vescovi italiani avevano indicato una prospettiva di fede ben precisa per il mondo giovanile in seno alla comunità cristiana:
«Il cammino della fede non è un percorso che si compie da soli, ed è riduttivo pensarlo anche come un progetto da condividere tra pochi, magari fortemente affini. Il luogo storico in cui Gesù si offre all'incontro personale è l’intera comunità ecclesiale, comprensiva di tutte le sue diversità. Essa deve anzitutto esprimere un clima di vera fraternità, che si traduce in rapporti concreti di attenzione, accoglienza, riconciliazione e servizio reciproco, frutti autentici della comunione: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). In questa carità vissuta si dà una presenza trasparente e visibile di Cristo nella storia, ed è pertanto il primo fondamentale modo con cui la Chiesa si fa testimone della salvezza ed educatrice della fede».[3]
“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sarò con loro”: la comunità educante
«La necessità di esprimere la vostra fraternità in Cristo fa sì che le vostre relazioni interpersonali seguano il dinamismo della carità, per cui, mentre la giustizia vi porterà a riconoscere i diritti di ciascuno, la carità trascende questi diritti e vi chiama alla comunione fraterna; perché non sono i diritti che voi amate, ma i fratelli, che dovete accogliere con rispetto, comprensione e misericordia. I fratelli sono l’importante, non le strutture».[4]
La comunità educante ha le sue radici nell’appartenenza a Cristo e vive nella missionarietà di Gesù; la carità ne è il denominatore comune e lo stile identitario. «L’idea di comunità educante porta in sé l’idea di educazione, sia nell’accezione di portare alla luce i talenti di ciascuno (educere) sia di prendersi cura dell’altro (edere) creando un movimento di relazioni che nel tempo fanno emergere la comunità stessa».[5]
Alla comunità quindi il compito di far emergere i doni di ciascuno, custodendone le scelte e allo stesso tempo valorizzandone le peculiarità, così da esprimersi pienamente nel tessuto ecclesiale e sociale. È nella comunità che ogni credente può attingere la forza per rinnovare la propria professione di fede e rinvigorire la propria disponibilità al servzio. Così facendo la comunità risponde a quell’appello che il Concilio Vaticano II aveva espresso con forza nella Gaudium et Spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo».[6]
La comunità è educante quando fa dell’umiltà un punto di forza, quando lascia la libertà ai singoli di esprimere i propri doni, quando è generativa, quando permette alle specificità di emergere, quando è maieutica e non chiusa in se stessa, come emerge dall’Instrumentum laboris della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi:
«Durante il Seminario Internazionale sulla condizione giovanile si è chiarito che l’esperienza comunitaria rimane essenziale per i giovani: se da una parte hanno “allergia alle istituzioni”, è altrettanto vero che sono alla ricerca di relazioni significative in “comunità autentiche” e di contatti personali con “testimoni luminosi e coerenti”. Varie Conferenze Episcopali hanno manifestato il desiderio che il Sinodo riaffermi la natura aperta e inclusiva della Chiesa, chiamata ad accompagnare i giovani nell’ottica della salvaguardia sia dell’integralità dell’annuncio che della gradualità della proposta, rispettando così i ritmi di maturazione della loro libertà, che si costituisce in una vicenda storica concreta e quotidiana. Sull’esempio di Gesù, "il primo e il più grande evangelizzatore" (EN 9; EG 12), anche la comunità dei credenti è chiamata ad uscire e ad incontrare i giovani lì dove sono, riaccendendo i loro cuori e camminando con loro (cfr. Lc24,13-35). Il rischio di rinchiudersi in un’appartenenza elitaria e giudicante fu già una grande tentazione presente nella cerchia dei discepoli di Gesù. Per questo il Signore loda la fede della donna siro-fenicia, che pur non appartenendo al popolo eletto, manifesta una fede grande (Mt 15,22-28); così, mentre Pietro rinnega per tre volte l’amato Maestro e Giuda lo tradisce, il centurione romano lo riconosce per primo come Figlio di Dio (Mc 15,39). La comunità cristiana è chiamata ad uscire dalla presunzione di “vedere” con i propri occhi (cfr. Gv 9,41) e di giudicare con criteri diversi da quelli che vengono da Dio. Come già accennava il Documento Preparatorio, "rispetto al passato, dobbiamo abituarci a percorsi di avvicinamento alla fede sempre meno standardizzati e più attenti alle caratteristiche personali di ciascuno" (DP III, 4). La comunità cristiana vive così di diversi livelli di appartenenza, riconosce con gratitudine i piccoli passi di ognuno e cerca di valorizzare il seme della grazia presente in ciascuno, offrendo a tutti rispetto, amicizia e accompagnamento, perché "un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà" (EG 44; AL 305). I giovani stessi quindi, con le loro esperienze di vita frammentate e i loro cammini di fede incerti, aiutano la Chiesa ad assumere la sua naturale forma poliedrica (cfr. EG 236)».[7]
La famiglia, la scuola, la comunità parrocchiale, l’associazionismo giovanile, le esperienze di promozione sportiva, l’oratorio, hanno ciascuna specifiche caratteristiche e proprie peculiarità ma tutte hanno il compito, in quanto “piccole fraternità”, di collaborare insieme all’educazione dei ragazzi e dei giovani, destinatari primi di una tensione educativa che nasce da una passione ma anche e soprattutto da una comunione generativa, dono dello Spirito Santo. Si tratta quindi di molteplici “fraternità educanti” che si muovono insieme per uno stesso obiettivo e con gli stessi valori condivisi quali: responsabilità, competenza, autorevolezza, gratuità, clima di fiducia, accoglienza e amorevicendevole, caratteristiche proprie di ogni buon educatore. Prerogativa essenziale di questo cammino rimane la propria adesione alla Parola, nutrimento e ristoro, che invita all’azione nella contemplazione: “venite in disparte voi soli, in un luogo deserto e riposatevi un po” (Mc 6,31).
Una comunità di fratelli
«Uno degli esiti più fecondi emersi dalla rinnovata attenzione pastorale alla famiglia vissuta in questi ultimi anni è stata la riscoperta dell’indole familiare della Chiesa. L’ affermazione che Chiesa e parrocchia sono «famiglia di famiglie» (cfr. AL 87.202) è forte e orientativa rispetto alla sua forma. Ci si riferisce a stili relazionali, dove la famiglia fa da matrice all’esperienza stessa della Chiesa; a modelli formativi di natura spirituale che toccano gli affetti, generano legami e convertono il cuore; a percorsi educativi che impegnano nella difficile ed entusiasmante arte dell’accompagnamento delle giovani generazioni e delle famiglie stesse; alla qualificazione delle celebrazioni, perché nella liturgia si manifesta lo stile di una Chiesa convocata da Dio per essere sua famiglia... Una Conferenza Episcopale afferma che "nel bel mezzo della vita rumorosa e caotica molti giovani chiedono alla Chiesa di essere una casa spirituale". Aiutare i giovani a unificare la loro vita continuamente minacciata dall’incertezza, dalla frammentazione e dalla fragilità è oggi decisivo. Per molti giovani che vivono in famiglie fragili e disagiate, è importante che essi percepiscano la Chiesa come una vera famiglia in grado di “adottarli” come figli propri».[8]
Laddove la famiglia è la sorgente naturale di ogni forma di fraternità e laddove la Chiesa e le parrocchie sono invitate ad essere “famiglia di famiglie”[9] è allo stesso tempo stimolante e impegnativo vedere allargata la propria famiglia cristiana che si declina in molteplici fraternità educanti, è dono che continuamente interroga la comunità, che interpella il credente ad accogliere nella propria vita lo Spirito di Gesù che rende fratelli, e a coltivare la pazienza di saper tessere nel quotidiano quelle esperienze che uniscono le persone. Farsi fratelli significa guardare all’altro non come a un rivale da ridimensionare, ma come a un fratello da amare e da servire, come a colui nel quale vedere il Signore stesso, e a sua volta i fratelli con uno sguardo simile a quello di Gesù. «La fraternità cristiana, imita e ripropone l’evento cristologico, tutte le volte in cui abbatte una barriera e ritrova il coraggio della compagnia con gli ultimi. Proprio qui essa si distingue da ogni equivoco intimista, da ogni riduzione a consolazione di gruppo, da ogni identificazione moralistica, a intesa fra i “buoni” e i “pii”, da ogni moda giovanilistica dell'essere assieme»[10]. Del resto la fraternità che il Concilio Vaticano II ha dato come orizzonte, non è certo ridotta a un gruppo di privilegiati, limitata alla Chiesa, ma si allarga al desiderio di fare di tutto il mondo una sola famiglia illuminata e guidata dallo stesso Padre: «Si ricordino tutti i fedeli che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno, l’unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al vangelo. Pertanto con quanta più stretta comunione saranno uniti con il Padre, col Verbo e con lo Spirito santo, tanto più intimamente e facilmente saranno capaci di accrescere la mutua fraternità»[11]. È proprio questo slancio ecclesiale che suggerisce una nuova sfida per il mondo giovanile che non è da intendersi solo in termini morfologici (comunità, fraternità, accoglienza…) ma soprattutto nell’essenza: costruire per essere fraternità educante.
Esercizi di fraternità
«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui» (Lc 10, 30.33-34).
L’icona del Samaritano è volto di chi “si fa prossimo”, si avvicina, è fraternità che incrocia nel proprio cammino quelli che la provvidenza pone sul proprio orizzonte. È un atteggiamento di premura e cura perché la Chiesa viva la sua dimensione educativa verso tutti con tenerezza e comprensione. Come il Samaritano, ogni educatore è chiamato a offrire se stesso per “chi incappa nei briganti”. Il disagio in ogni sua forma, le povertà materiali e spirituali, le durezze della vita, le insicurezze che paralizzano le scelte, le paure inespresse, le fragilità familiari e relazionali sono tutte espressioni dei briganti in cui possono incappare i nostri giovani. Vivere la fraternità significa farsi prossimo di chi è lontano, diverso, indurito dalla vita e dalla sofferenza: non possiamo aspettare di essere riconosciuti, stimati e corrisposti nel nostro ruolo educativo, occorre amare a prescindere, senza garanzia di successo, perché questa è l’espressione più alta della vita cristiana.
Ci sono ambienti all’interno del tessuto ecclesiale che maggiormente sanno esprimere questa fraternità nel mondo giovanile: l’ambiente educativo della catechesi, articolato nei diversi gruppi di appartenenza, la dimensione associativa attraverso la proposta del proprio carisma, la realtà dell’oratorio quando nelle proprie proposte intercetta la profonda umanità di ogni ragazzo e persona, la fraternità espressa dalle famiglie religiose che sanno farsi carico di tante situazioni di sofferenza, ponendosi come medicina contro la solitudine.
«Quando una comunità di credenti è consapevole del suo compito educativo e si appassiona ad esso, è in grado di liberare forze spirituali e materiali che concretizzano una vera e propria “carità educativa”, capace di mettere in campo insospettate energie e passione verso le giovani generazioni. Merita una parola speciale la realtà dell’oratorio o di attività pastorali simili, che vedono la Chiesa soggetto proponente di un’esperienza che in vari contesti rappresenta, come dice una Conferenza Episcopale, "la cura specifica di una comunità cristiana nei confronti delle giovani generazioni. I suoi strumenti sono i più diversi e passano attraverso la creatività di una comunità educativa che sa mettersi al servizio, ha uno sguardo prospettico sulla realtà e sa affidarsi allo Spirito Santo per agire in modo profetico". Dove c’è l’oratorio le giovani generazioni non sono dimenticate e assumono un ruolo centrale e attivo nella comunità cristiana».[12]
Oggi più che mai, quindi, la comunità cristiana è esortata ad esprimere una fraternità educante, e ne ha tutte le potenzialità, perché in grado di leggere il cuore dei giovani e di prendersene cura.
«È tale l’importanza di lavorare insieme e con un mandato preciso, che ogni equipe, all’interno di una comunità educante, è evangelizzante se riesce a diventare quasi una fraternità educante; ossia un gruppo di persone che, nello stile della fraternità, possa testimoniare l’importanza di spendersi verso le nuove generazioni, lasciandosi pienamente attrarre dal servizio, nel pieno rispetto dei talenti e del dono di ciascun fratello della comunità».[13] La fraternità educante è terreno ideale di relazioni autentiche, sia tra pari sia intergenerazionali, le quali aprono nuove prospettive di vita, di futuri possibili e credibili, dove anche i conflitti, se affrontati e superati, sprigionano risorse di creatività e rinnovamento: riaprire ogni giorno un laboratorio di umanesimo, dove l’esperienza dello stare insieme, della condivisione e dell’ascolto, diventa tesoro prezioso[14], proprio perché espressione di tutti e di ciascuno.
Papa Francesco, alla Veglia di preghiera con i giovani al Circo Massimo in occasione dell’evento “SIAMO QUI”, organizzato dal Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile nell’ambito delle iniziative promosse per il Sinodo dei Vescovi 2018, ha invitato i ragazzi a vivere la propria vita da protagonisti e ad essere nella Chiesa uomini e donne coraggiose, che possano correre ad incontrare il Risorto per essere testimoni fedeli e credibili per tutti e aperti a tutti, nello stile della fraternità, prendendo il passo del più debole. Questo è allora lo stile che affidiamo anche alle nostre comunità educanti perché vivano nella fraternità l’incontro con il Risorto e ne siano testimoni, in uno spiritualità educativa rinnovata e rigenerata in Cristo.
«Abbiamo bisogno di fraternità: rischiate, andate avanti! Sarò felice di vedervi correre più forte di chi nella Chiesa è un po’ lento e timoroso, attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci, come Giovanni aspettò Pietro davanti al sepolcro vuoto. E un’altra cosa: camminando insieme, in questi giorni, avete sperimentato quanto costa fatica accogliere il fratello o la sorella che mi sta accanto, ma anche quanta gioia può darmi la sua presenza se la ricevo nella mia vita senza pregiudizi e chiusure. Camminare soli permette di essere svincolati da tutto, forse più veloci, ma camminare insieme ci fa diventare un popolo, il popolo di Dio. Il popolo di Dio che ci dà sicurezza, la sicurezza dell’appartenenza al popolo di Dio… E col popolo di Dio ti senti sicuro, nel popolo di Dio, nella tua appartenenza al popolo di Dio hai identità. Dice un proverbio africano: “Se vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno…" È stato bello e faticoso il cammino per venire a Roma; pensate voi, quanta fatica, ma quanta bellezza! Ma altrettanto bello e impegnativo sarà il cammino del ritorno alle vostre case, ai vostri paesi, alle vostre comunità. Percorretelo con la fiducia e l’energia di Giovanni, il “discepolo amato”. Sì, il segreto è tutto lì, nell’essere e nel sapere di essere “amato”, “amata” da Lui, Gesù, il Signore, ci ama! E ognuno di noi, tornando a casa, metta questo nel cuore e nella mente: Gesù, il Signore, mi ama. Sono amato. Sono amata. Sentire la tenerezza di Gesù che mi ama. Percorre con coraggio e con gioia il cammino verso casa, percorretelo con la consapevolezza di essere amati da Gesù. Allora, con questo amore, la vita diventa una corsa buona, senza ansia, senza paura, quella parola che ci distrugge. Senza ansia e senza paura. Una corsa verso Gesù e verso i fratelli, col cuore pieno di amore, di fede e di gioia. Andate così!».[15]
NOTE
[1] BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Caritas in veritate n. 19.
[2] PAPA FRANCESCO, Messaggio per la celebrazione della XLVII Giornata Mondiale della Pace, gennaio 2014.
[3] CEI, Educare i giovani alla fede, Orientamenti emersi dai lavori della XLV Assemblea Generale, 1999.
[4] PAPA FRANCESCO, Discorso ai membri delle famiglie francescane del primo ordine e del terzo ordine regolare, novembre 2017.
[5] A. SCOLA, “La Comunità educante. Nota sulla proposta pastorale del triennio 2011-2014”, Ed. Centro ambrosiano.
[6] CONCILIO VATICANO II, Gaudium et Spes, n. 1.
[7] Instrumentum laboris della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, n.175-177, giugno 2018.
[8] Instrumentum laboris della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, n.178, giugno 2018.
[9] FRANCESCO, Esortazione apostolica Amoris Laetitia, 87
[10] G. RUGGIERI, Cristianesimo, Chiese e Vangelo, Il Mulino, Bologna 2002, 90-91.
[11] CONCILIO VATICANO II, Unitatis Redintegratio, n. 7.
[12] Instrumentum laboris della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, n.179-180, giugno 2018.
[13] Card. G. Bassetti, Intervento allo stage di formazione annuale promosso dall’Anspi per oratori e circoli, luglio 2017.
[14] M. FALABRETTI, L’Educatore dentro la comunità/espressione della comunità in “Ma che lavoro fai?” Alessandra Augelli, Angela Melandri, ed ELS LA SCUOLA, 2016.
[15] Papa Francesco, VEGLIA DI PREGHIERA CON I GIOVANI ITALIANI in occasione dell’evento SIAMO QUI, Circo Massimo, agosto 2018.