Ariela Ligato
(NPG 2023-01-65)
La domanda mi sembra che lasci inequivocabilmente tra parentesi un prerequisito essenziale: i giovani oggi cercano il Signore, lo vogliono incontrare e si interrogano, insieme ai loro educatori e all’intera comunità cristiana, riguardo ai “luoghi” in cui questa relazione si possa dare.
Si tratta in prima battuta di rendere ragione al punto di partenza della nostra riflessione, per evitare di vanificare ogni discorso che si farà successivamente. Per non parlare di giovani in generale mi riferirò ai giovani che in questi anni ho avuto modo di incontrare, raccontando in particolare un’esperienza, per me significativa. Anche il recente sinodo sui giovani, si è fatto queste stesse domande e ha interagito con molti giovani, da tutto il mondo; sarà necessario passare anche da lì per avvalorare la nostra ipotesi.
Alcuni anni fa sono stata invitata ad una tavola rotonda sul tema “Fidarsi è bene. Essere giovani nella terra di mezzo”. Ogni relatore aveva il compito di interagire con i giovani su un ambito della loro vita. Il tema a me assegnato riguardava la dimensione spirituale e mi aveva benevolmente sorpreso la concordanza tra una mia profonda convinzione, sperimentata durante gli anni di insegnamento e il loro feedback: i giovani non hanno spento la loro sete di Dio, il loro desiderio di incontrarlo. Nello stesso tempo, però, i toni con i quali hanno descritto questo loro anelito erano principalmente fatti di paura, inquietudine e solitudine.
Troviamo un riscontro analogo anche nel documento finale della XV assemblea generale ordinaria del sinodo dei Vescovi I giovani, la fede e il discernimento vocazionale (27 ottobre 2018): «In tanti modi anche i giovani di oggi ci dicono: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21), manifestando così quella sana inquietudine che caratterizza il cuore di ogni essere umano: “L’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore”» (n. 50).
Il desiderio è vivo nel cuore dei giovani di oggi, ma si tratta di un desiderio che deve essere educato, orientato e riempito di significato; non però come fosse un blocco inerte di marmo al quale dare forma perché questo desiderio e questa ricerca si nutrono di relazioni quotidiane, di esperienze fatte insieme a loro, perché le domande restino vive e si impari a frequentare i luoghi nei quali questa presenza di Cristo si dà.
Lo stesso documento mette però in guardia dal rischio (n. 49-50) di trasformare questo desiderio in un indefinito bisogno di religiosità senza mai arrivare ad un incontro con Cristo, oppure si risponda a questo anelito con un appagamento emotivo e soggettivo che non si incontra mai con la comunità dei credenti. Incontrare gli altri e l’Altro è il bisogno più profondo di tutti gli uomini, anche dei giovani ma resta sempre anche una delle fatiche più grandi con la quale dobbiamo fare i conti quotidianamente e forse oggi ancora di più.
Per poter rendere abitabile questo vuoto tra il desiderio e l’incontro dei giovani con il Signore, è importante chiarire anzitutto le coordinate di riferimento della Rivelazione cristiana; attraverso il Vangelo rivisiteremo la dinamica dell’incontro di Gesù con Zaccheo per poter successivamente identificare i luoghi in cui ancora oggi Cristo è presente e vivo nella sua Chiesa e si lascia incontrare.
La buona notizia che il cristianesimo porta all’uomo di tutti i tempi è che se da un lato è vero che l’uomo da sempre cerca Dio dall’altro lato è ancora più vero il contrario; Dio ha da sempre cercato l’uomo, si è relazionato con lui in diversi modi, nella storia fino a quando ha mandato a noi suo Figlio, fatto uomo, culmine della sua Rivelazione e cifra di ogni incontro con Lui.
Il concetto di Rivelazione può prestarsi ad interpretazioni contenutistiche, quasi che il cristianesimo sia più un concetto da comprendere e da credere di una persona da incontrare. Il termine può anche essere inteso ricorrendo alla dinamica relazionale; è l’esperienza in questo caso a mediare la mia conoscenza e a permettermi di entrare in relazione con l’Altro con la A maiuscola. Lo potrò conoscere perché Lui si farà conoscere da me; la condizione di possibilità della conoscenza è data dall’esperienza della sua presenza reale e concreta. Capita di usare questa espressione “quella persona per me è stata una rivelazione!”, significa che magari incontrando e conoscendo meglio una persona scopriamo di lui o di lei qualcosa di inedito, che non avremmo mai potuto sapere se non fossimo entrati in relazione con lui o lei. La dinamica della Rivelazione cristiana è una dinamica che si può comprendere nei termini di un incontro, e il Figlio di Dio fatto uomo ha dato concretezza ed esperibilità a questa dimensione fondamentale dell’uomo.
Un documento del Concilio Vaticano II, descrive in modo molto incisivo la dinamica della Rivelazione: «Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (Dei verbum, 2). Il Signore si mette in relazione con noi come con degli amici; una relazione che denota reciprocità, fiducia, luoghi e tempi d’incontro. Dio si rivela a noi e lo fa attraverso gesti e parole intimamente connessi. La salvezza ci viene comunicata per mezzo di un incontro, attraverso la concretezza di parole e gesti, all’interno di una comunità di fede. La relazione diventa principio primo di Rivelazione!
Un teologo domenicano del secolo scorso, Edward Schillebeeckx, ha dedicato la maggior parte della sua vita a riflettere sulla categoria di incontro per descrivere la dinamica dell’intera storia della salvezza. In uno dei suoi primi testi, Cristo sacramento dell’incontro con Dio (1959) mette in risalto come la struttura dialogica della Rivelazione sia già ravvisabile nella pedagogia di Dio nell’Antico Testamento. Dio, prendendo l’iniziativa vuole condurre il popolo ad una fedeltà perenne; nell’uomo Gesù però, la fedeltà all’Alleanza si realizza in modo pieno e definitivo secondo le due coordinate del dialogo e della risposta. Questo significa che la nostra comunione personale con Dio risulta possibile solo in una dinamica intersoggettiva con l’uomo Gesù che si serve necessariamente della mediazione corporea.
I Vangeli ci narrano la dinamica di numerosi incontri di Gesù con persone concrete, che si portavano dietro la loro storia e la loro incredulità e incoerenza. Penso che l’incontro di Gesù con Zaccheo (Lc 19, 1-10) ci possa aiutare a delineare i contorni di senso e la pedagogia di ogni incontro che possiamo fare con il Signore. Intanto il punto di partenza è una ricerca, più o meno motivata, di un uomo che non aveva neppure chiaro chi fosse quel Gesù del quale probabilmente aveva sentito parlare: «un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù». C’è sempre una condizione di partenza che ci mette in moto, non solo la curiosità ma la stessa SOFFERENZA può diventare il luogo in cui permetto al Signore di incontrarmi.
Da non sottovalutare la folla attorno a Gesù, che sembra quasi impedire questo incontro e il sicomoro che in questa storia si dà come una delle condizioni di possibilità perché i due sguardi si possano davvero incontrare: «non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura […] per poterlo vedere, salì su un sicomoro». Il nostro incontro con il Signore è reso possibile dalla comunità dei credenti, la CHIESA. La certezza della sua presenza nella Chiesa radunata ce l’ha data lo stesso Signore: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20).
La storia, l’incontro, può continuare perché da parte di entrambi c’è un mettersi in moto: «Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". In fretta scese e lo accolse pieno di gioia»; c’è una profonda volontà di entrare in relazione che non si ferma lì, ma prosegue in un momento in cui si vive la convivialità, in cui la gioia dell’incontro diventa una festa vissuta con tutta la comunità che prima sembrava ostacolare. L’EUCARESTIA e la LITURGIA celebrate dalla comunità riunita nel suo nome, sono due luoghi per eccellenza della presenza e del dono di sé del Signore, che viene rinnovato continuamente, per noi e per la nostra salvezza; i gesti, le PAROLE e la PAROLA, ci coinvolgono attivamente e provocano in noi una risposta, ci mettono in dialogo con Lui.
Ma quella storia non finisce neppure con la festa, perché Zaccheo si riconosce anche in relazione ai suoi tanti fratelli e sorelle che ha privato del suo amore, anzi che ha addirittura derubato, e sceglie di fare dei gesti concreti che indicano una vita nuova. La sua vita ora è nuova perché abitato da un amore che lo ha cambiato e che ritma le sue giornate: «Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto"». La sua relazione con Cristo non è, e non è mai stata unicamente un fatto suo personale, quasi intimistico, ma ha assunto i toni concreti di un amore che si dona e che chiede di essere condiviso. Il Signore è presente laddove sentiamo l’altro come un nostro fratello, dove la POVERTÀ non ci lascia indifferenti e dove il servizio, o DIACONIA e ANNUNCIO, diventano espressione concreta di quell’amore che ci abita e che siamo chiamati a diffondere a tutti! Anche qui la sua presenza viva e reale è garantita: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40).
Ad essere più accorti, la storia non è ancora terminata, perché questo racconto termina con un altro movimento di ricerca: «il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto»… ma questa volta è la ricerca instancabile di Dio che da sempre aveva desiderato quell’incontro, quel giorno, proprio con Zaccheo, in quell’oggi concreto che si dà come salvezza!
Dobbiamo allora tornare alla domanda iniziale, ma ora possiamo farlo con una consapevolezza maggiore del dove, del come e soprattutto del perché quei luoghi esistono, ancora oggi e rimangono quella “casa” in cui il Signore desidera entrare e portare la salvezza!